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Charles&Mia

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    Charles Freeman | Auror
    I suoi passi risuonavano sulla pavimentazione legnosa, anche se in modo attutito visto il chiacchiericcio che proveniva da quel luogo. Era domenica e sembrava una giornata allegra e, per il giovane Lycan, avrebbe certamente dovuto esserla. Ma non era proprio così. Due sere prima aveva subito gli effetti della luna piena e aveva vissuto una piccola disavventura nel bosco, dove aveva incontrato quella rossa, Airwen, che era scappata da lui come se fosse stato davvero una belva feroce, ma in realtà uno stanchissimo ed altamente vulnerabile Charles, voleva solo indicazioni per tornare alla locanda. Successivamente, quella sera stessa, si era incontrato con un suo amico e professore di Hidenstone -così come Airwen- Daniele, il quale gli era stato accanto da una delle sue prime trasformazioni, sino a quel giorno... ed era stato proprio lui a dirgli che quel figlio di puttana di Mark aveva osato avvicinarsi di nuovo non solo alla sorella, ma anche ad altre ragazze. Il sangue gli ribolliva nelle vene al pensiero che quell'essere avrebbe potuto far di nuovo del male alla sua adorata Mia.
    Quella domenica pomeriggio aveva appunto appuntamento con la biondina e aveva deciso di optare per il porto di Denrise poiché osservare il dondolio delle navi e il rumore rassicurante delle onde che si infrangeva sul porto stesso, gli infondevano un'innata tranquillità. Si lasciò cadere su una panchina all'ingresso del luogo, in modo che Mia lo vedesse una volta arrivata. Sarebbe andato a prenderla direttamente ad Hidenstone, ma prima di vederla aveva disperato bisogno di capire cosa poterle dire, oltre che sentiva il bisogno di calmarsi. Non ce l'aveva con la sorella e non aveva intenzione di essere duro come lo era stato in passato l'estate scorsa, voleva solo sincerarsi che stesse bene in tutto e per tutto. Certo, Daniele gli aveva raccontato cos'era successo, ma lui voleva sentirlo anche dalla bocca di Mia. Nel mentre la aspettava, si chiese se fosse possibile accusarlo di qualche atto violento e mandarlo ad Azkaban. Dopotutto, se ben ricordava, adesso doveva essere maggiorenne, quindi sarebbe stato più che legittimato a sbatterlo dentro, anche in qualità di auror.
    Cercò di rilassare tutti i muscoli contro lo schienale della panchina, chiudendo gli occhi e lasciando che la brezza marina gli solleticasse il viso e che la salsedine facesse lo stesso col naso. Aveva fatto bene a scegliere quella location per vedere la sorella! E poi, sebbene fosse marzo -quasi finito- c'era un bel sole tiepido che lo abbracciava con i suoi raggi, riscaldandolo senza esagerare. E così, si lasciò cullare dal rumore delle onde e dalle conversazioni pacate della gente attorno a lui, fino ad assopirsi su quella panchina che, in un periodo di estrema stanchezza come quello, gli sembrava fin troppo comodo.
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    Era agitata, ovviamente. Sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato, sapeva che avrebbe dovuto ritrovare Charles prima o poi e le mancava suo fratello, dopotutto, ma era ancora difficile per lei riuscire ad accettare l’idea di parlargli ancora una volta di Mark. La prima volta lo aveva fatto perché obbligata da quest’ultimo, non certo di sua spontanea volontà, e ancora non era sicura che fosse così semplice parlare con lui di una cosa così delicate e personale. Mia faticava sempre a parlare dei propri sentimenti e di quello che stava passando, eppure sapeva di non poterlo evitare: nel momento in cui il fratello le aveva scritto sapeva bene di che cosa volesse discutere. Certo, era inevitabile, Charles era suo fratello e aveva tutte le ragioni del mondo per preoccuparsi per lei, soprattutto perché tutta quella storia con Mark non era di certo una sciocchezza.
    Aveva impiegato parecchio per prepararsi prima di quell’incontro, nonostante la giornata fosse soleggiata e ancora tiepida, un clima che Mia adorava da sempre, aveva faticato parecchio a sentirsi a proprio agio e convincersi a lasciare Hidenstone per raggiungere il porto. Sapeva quanto fosse stupido, avrebbe dovuto bramare quella libertà e invece ne aveva quasi paura, non aveva idea di come avrebbe potuto sentirsi lontana dalla sua stanza, dai suoi amati libri, senza la scusa di poter studiare per tenersi occupata. Dopotutto non c’era molto altro che potesse fare: non aveva molta voglia di vedere qualcuno e anche volendo non sapeva ancora come comportarsi con Blake, stava tenendo le distanze da Cam e non avrebbe saputo chi altro cercare. Jessica, forse, se solo non si sentisse responsabile per il suo coinvolgimento in quella questione e non si sentisse una terribile amica per aver permesso a Mark di avvicinarsi anche a lei.
    Era un periodo difficile, Mark era stato allontanato dall’Accademia ma non si sentiva ancora totalmente al sicuro, sapeva che il ragazzo aveva cambiato cose che non sarebbero più tornate come prima. Poteva essersene anche andato, era felice per questo, ma non significava che ora poteva dimenticarsene del tutto e voltare pagina definitivamente, sapeva che non era così che funzionavano le cose. Sarebbe sempre stato una parte di lei, che le piacesse o meno non avrebbe potuto cancellarlo dalla propria memoria, anche se senza di lui Hidenstone sembrava un posto migliore.
    Alla fine si convinse ad uscire anche perché detestava essere in ritardo, lasciò un buffetto affettuoso a Zeus, il suo fedele compagno di vita ormai, e uscì dalla propria stanza cercando di mantenere l’umore più alto possibile e non lasciarsi toccare dalla tristezza o dalla stanchezza. L’ultima cosa che voleva era far preoccupare ulteriormente Charles: era abbastanza sicura che la notizia di Mark lo avesse raggiunto, non gliene aveva parlato direttamente perché non voleva peggiorare le cose, non voleva allarmarlo per qualcosa che non poteva cambiare e, comunque, era stato tutto così veloce che non aveva avuto nemmeno il tempo di avvisarlo. Il fratello la conosceva bene, quello era indubbio, sapeva che avrebbe colto facilmente il suo stato d’animo e che avrebbe capito come si sentiva: le sue occhiaie erano state difficili da nascondere e si era impegnata ad indossare qualcosa di più elaborato di una semplice tuta –il suo umore le aveva imposto quel genere di abbigliamento nell’ultimo periodo- e che potesse in qualche modo darle un’aria più curata e meno provata.
    Raggiunto il porto realizzò che non poteva tornare indietro, anche se per una volta la voglia di abbracciare Charles era superata dall’agitazione per quello di cui avrebbero potuto parlare. Si sistemò lo zainetto sulle spalle, prese un profondo respiro, inalando l’odore famigliare della salsedine e del primo sole primaverile. Non impiegò poi molto ad individuare la figura di Charles e dopo un vago tentennamento si avvicinò a lui preparando un sorriso tiepido. Infondo non era lì per parlare di sé stessa, non lei almeno: sapeva che c’era stata la luna piena poco prima, e ogni volta che succedeva e lei e Charles erano lontani veniva attanagliata dall’ansia e dalla preoccupazione. Era normale no? Lo aveva aiutato quando vivevano ancora sotto lo stesso tetto, aveva cominciato a conoscere la sua reazione e quel che accadeva ogni volta e aveva paura che potesse stare male senza che lei potesse fare niente per migliorare la situazione. Gli aveva ovviamente chiesto subito se andasse tutto bene ma un messaggio non sarebbe mai bastato per tranquillizzarla. ”Ehi!” lo salutò avvicinandosi a lui.

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    Quella semplice parola, risvegliò Charles dal suo torpore. Non si era accorto di essersi appisolato ma, complice l'enorme stanchezza che ancora pendeva su di lui, era accaduto. Tuttavia la voce lo risvegliò completamente. L'avrebbe riconosciuta tra mille altre voci: Mia, la sua adorata sorellina. Sbatté un paio di volte le palpebre, quasi a volersi sincerare che la figura minuta che aveva davanti, fosse davvero sua sorella. Ma quel viso grazioso contornato da quell'aureola di capelli biondi, era inconfondibile. Sul suo volto apparve un sorriso, mentre le sue iridi chiare si piantarono su quelle profonde della sorella. Sembravano quasi due zaffiri, tanto erano belli. Ehi... ricambiò, dopo un secondo di esitazione. Si alzò in piedi e si avvicinò, piegando il capo per non perderla di vista nemmeno per un attimo. Non la vedeva da troppo tempo e gli era mancata molto più di quanto avrebbe mai ammesso ad altri. Il discorso che si era preparato, sfumò, cancellandosi dalla sua mente... ma avrebbe comunque dovuto aspettare. In un attimo, le cinse le spalle con le braccia e la attirò a sé, stringendola in un dolce abbraccio fraterno. Un abbraccio che sostituiva qualsiasi parola. Mi sei mancata. Disse alla fine, sciogliendo quell'abbraccio, quasi dolorosamente. Non si vedevano da veramente troppo perché potesse sprecare il tempo a loro disposizione incalzandola da subito con domande spiacevoli, per quanto in realtà fosse tempo ben speso. Eppure... voleva rimandare quel momento, per qualche strano motivo, e godersi un po' la sorellina.
    Come stai, Mia? Proferì di nuovo parola solo una volta sedutosi sulla panchina abbandonata in precedenza. Con leggerezza, batté la mano sulla seduta, imprimendovi leggere pacche per invitarla a sedersi accanto a lui. Solo quando -e se- lo avesse fatto, il giovane avrebbe proseguito con il suo discorso. È da un po' che non ci vediamo, perdonami ma il mio lavoro mi assorbe più tempo di quel che vorrei. Sospirò leggermente, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Il momento del confronto si avvicinava inesorabile, eppure il giovane ancora non sapeva bene cosa dire. Spero non vi siate cacciati nei guai. Né tu né i tuoi amici. Non era un rimprovero, quanto più una frase scherzosa che nascondeva fin troppa preoccupazione. E sottintendeva ciò che aveva appreso la sera prima riguardo a Mark. Al solo ricordo, si sentiva il sangue ribollire nelle vene.
    Puntò gli occhi stavolta verso il mare e le sue onde tranquille, ponderando le successive parole. Ma non poteva rimandare in eterno il momento del vero e proprio confronto.
    Allora... iniziò, mordendosi appena il labbro, sempre con lo sguardo rivolto all'immensa distesa azzurra. Ti ho chiesto di vederci soprattutto perché lo desideravo, sei mia sorella e non averti a casa un po' mi dispiace, ma... fece una pausa, prendendo un respiro profondo. Ora arrivava il difficile. Ieri sera ho incontrato Daniele esordì così, con calma. Ah parlo del tuo professore di astronomia specificò, perché di Daniele potevano essercene tanti, per quanto fosse un nome italiano. Non te ne ho mai parlato, ma siamo amici da qualche anno e... mi ha detto delle cose. Deglutì. Cose che non mi sono piaciute nemmeno un po'. Ora il suo sguardo, crucciato, si era fatto serissimo, sebbene non ce l'avesse in alcun modo con la sorellina. Si sentiva in colpa per non essere riuscito a proteggerla come si era ripromesso e come aveva promesso alla madre della giovane. Aveva abbassato la guardia, pensando e sperando che la vicenda si fosse chiusa quel giorno di mezza estate. Ci tengo a precisare che non ce l'ho con te, vorrei solo capire... ora la sua voce aveva un'inclinazione quasi disperata, bisognosa di spiegazioni sincere. Perché, Mia... tu sei mia sorella, siamo sempre stati praticamente solo noi due, voglio solo saperti al sicuro. Sì certo vivevano con i parenti babbani della bionda, però non facevano parte del loro mondo; era diverso. Inoltre, nel tempo percorso a casa Nott, erano sempre stati davvero solo loro due. Charles aveva sempre cercato di difenderla dai soprusi della propria di madre. Si guardò un attimo intorno, adocchiando la locanda poco distante da là. Che ne dici se continuiamo la conversazione mangiando qualcosa? Il suo tono non ammetteva repliche. Quel giorno avrebbero dovuto affrontare la questione una volta per tutte.
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    Non si era accorta che stesse dormendo o di certo sarebbe stata stranita dalla cosa e avrebbe provato ad essere più dolce. Immaginava che la sua stanchezza fosse legata alla recente luna piena, sapeva bene quanto fosse difficile per lui e ogni volta che il calendario le ricordava che quella fase stava tornando si sentiva in colpa perché non era in grado di essere sempre presente per aiutarlo. Dopotutto lo aveva fatto il più possibile ma sapeva di non poterci essere sempre, anche se forse avrebbe voluto: aveva anche provato a convincere Charles a non mandarla ad Hidenstone solo per restare ed essere d’aiuto, ma ovviamente non aveva funzionato. Non che le dispiacesse come erano andate le cose, avrebbe solo voluto essere anche una brava sorella oltre a tutto il resto.
    Era da parecchio che non si vedevano, e dopo mesi passati a vivere sotto lo stessi tetto e vedersi ad ogni pasto e anche più spesso le faceva strano non avere sempre Charles a portata di mano, pronto ad aspettarla in cucina o in salotto ogni volta che ne aveva voglia. Si sciolse all’istante nel suo abbraccio e si appigliò a lui, stringendolo piano a sé e affondando il viso nel suo petto, lasciandosi avvolgere dal suo profumo. Quando sentì le sue parole sorrise istintivamente e si sentì di nuovo a casa, finalmente. “Mi sei mancato tanto anche tu…” ammise piano per poi guardarlo dal basso, sorridente e con gli occhi leggermente lucidi. Le era mancato davvero, più di quanto sarebbe stata capace di spiegare: non era così brava ad esprimere i suoi sentimenti ma aveva provato comunque a renderli tangibili preparando dei muffin ad hoc per l’occasione. Sorrise appena e seguì prontamente il fratello sulla panchina, inclinando appena la testa alla sua domanda. Sospettava in realtà che lui conoscesse già la risposta alla sua domanda, anche se lei non le aveva detto niente di Mark e Cameron e tutto il resto per non farlo preoccupare temeva che prima o poi qualcuno glielo avrebbe riferito. Immaginava che fosse d’obbligo che un adulto venisse informato di quel che era successo, sospettava che i suoi docenti lo avrebbero fatto prima o poi ed era ovvio che quell’adulto fosse Charles.
    Cercò comunque di non affrettare le cose, accennò un leggero sorriso. “Lo so, non preoccuparti…spero che vada tutto bene al lavoro.” ammise con dolcezza per poi seguire il suo sguardo, ora puntato sul mare. Comprendeva il suo disagio e gli lasciò il tempo necessario per elaborare i suoi pensieri prima di dargli voce. Immaginava un epilogo del genere, supponeva che avrebbero parlato di quello ma quando lo disse ad alta voce le sembrò comunque un colpo al cuore.
    Le faceva ancora male parlare di tutto quello ad alta voce, ogni volta le sembrava ancora più reale e infondo in quel caso sapeva anche di star deludendo suo fratello. Aveva cercato di essere forte, di non cedere e non parlargliene per non dargli altri pensieri, voleva tenerlo fuori da quella storia per una volta, aveva già visto fin troppo, ma chiaramente non ci era riuscita. Non provò rancore verso Daniele, sapeva che stava solo facendo il suo lavoro e che aveva solo detto a Charles quel che era giusto sapesse. Certo, non sapeva che i due fossero amici ma forse aveva anche senso, il Docente le sembrava qualcuno che Charles avrebbe potuto davvero apprezzare.
    Sospirò piano e si strinse le mani in grembo, giocherellando con un pezzetto della stoffa dei suoi pantaloni senza sapere bene da dove cominciare. Sapeva che Charles non la stava accusando ma non mancò di sentirsi con le spalle al muro, ovviamente costretta a parlare di qualcosa che la metteva a disagio, sapendo di non poter sfuggire. Non riuscì a trovare niente da dire nella breve pausa che Charles lasciò tra il suo discorso e la proposta di mangiare qualcosa e alla fine si limitò ad annuire brevemente e alzarsi, anche se non aveva per niente fame. Ovviamente si sentiva in colpa, aveva sempre contato su Charles e ci contava ancora parecchio ma la sua scelta voleva essere la più matura e adulta possibile: era chiaro che avesse almeno in parte fallito.


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    Era davvero stanco, non si era ancora ripreso del tutto da due notti prima, né dall'incontro con Daniele, anche se quello gli aveva regalato, più che altro, stanchezza mentale. Venire a conoscenza di tutte quelle informazioni, gli aveva fatto male. Se Mark era riuscito ad avvicinarsi a lei ancora una volta, significava che lui non l'aveva protetta a dovere e si biasimava ogni giorno, per quello.
    Ma quando la vide, con quei suoi capelli biondi, quei suoi occhi meravigliosi e il suo sorriso, gran parte della stanchezza, defluì dal suo corpo permettendogli di concentrarsi su quell'angelo biondo che gli era apparso davanti poc'anzi. Si passò una mano tra i capelli, prima di stringerla in un abbraccio. Gli era mancato, tutto quello. Da settimane, ormai, desiderava stringere nuovamente la sorellina. Sentire la sua lieve stretta, lo faceva stare bene, così come la sua testa contro il petto. Adesso era al sicuro, doveva rimediare ai propri errori e difenderla, senza più fallire. Dentro Mia convivevano una fragilità e una forza fuori dal comune ed era uno dei particolari che Charles adorava della biondina. Il suo saper essere così dolce, misto a quella sua determinazione, soprattutto -purtroppo- quando decideva di tenersi una sofferenza per sé, come la cosa di Mark. Dopo le parole di lei, lasciò che un leggero silenzio calasse su di loro, esprimendo con i gesti tutto ciò che non riusciva ad esprimere a parole. Era un ragazzo ben poco sentimentale, quello era certo, ma quando si trattava di Mia, cercava sempre di dare il meglio di sé. Ora siamo insieme disse solo, accarezzandole piano i capelli, prima di sciogliere quell'abbraccio ed invitarla a sedersi sulla panchina. Non aveva davvero voglia di affrontare quel discorso, eppure sapeva che sarebbe stato inevitabile, oltre al fatto che voleva capire di più e mettere la parola fine a tutto quello.
    Oh sì, il lavoro tutto bene! Molte scartoffie e molta molta noia, per ora... non che speri che succeda qualcosa di brutto, per carità, ma ogni tanto un po' di azione non guasta mai! commentò, sincero, dedicando un sorriso alla sorellina. Era vero, non aveva molto da fare di pratico a lavoro, ma le scartoffie e le banalità erano largamente sufficienti per tenerlo in ufficio più di quanto avrebbe voluto.
    Ma era ora di parlare di cose serie, ragion per cui dovette iniziare quel discorso tanto doloroso per entrambi. Ma decise che, davanti a del cibo, tutto poteva essere affrontato. Prima di alzarsi, vide che la sorella aveva con sé qualcosa e inarcò un sopracciglio, con un mezzo sorriso. Cos'hai lì? Le chiese, finalmente alzandosi e dirigendosi verso la locanda del porto. Sapeva che non si mangiasse proprio in modo eccelso, ma non gli interessava un ristorante stellato, in quel momento. Solo una buona birra e un pasto caldo, qualsiasi fosse la sua natura.
    Una volta varcata la soglia, si guardò in giro. Non era mai stato in quella Taverna ma gli avevano detto che presentasse lunghi tavoli sui quali era obbligatorio consumare il proprio pasto accanto a sconosciuti, solo che quel giorno avevano bisogno di un po' di privacy. Fortunatamente, non c'era quasi nessuno, se non qualche avventore sparso qua e là, quindi si diresse ad un capo del lungo tavolo di legno e si sedette, sperando e aspettando che Mia prendesse posto di fronte a lui. Dopodiché, prima di aprir bocca, aspettò che venissero a servirlo e ordinò un semplice piatto di pesce ed una birra e aspettò che la sorella ordinasse, se voleva qualcosa, o che comunque il cameriere se ne andasse.
    Una volta ottenuto ciò, iniziò a pungolare il cibo nel suo piatto, prima di puntare le iridi chiare su quelle altrettanto chiare della sorellina. Da dove cominciamo? si chiese a voce alta, con un mezzo sorriso.
    Poi, però, attaccò lui stesso il discorso. Ti conosco molto bene Mia, so che non vorresti parlarmene, ma non posso essere ancora all'oscuro della faccenda, spero tu riesca a capirmi iniziò, senza sapere davvero come proseguire. Non era un ragazzo che si lanciava spesso in quel genere di discorsi, ma ogni tanto toccava anche a lui. Quindi... parti da dove vuoi, usa le parole che vuoi e descrivi i fatti come vuoi... ma voglio sapere esattamente cos'è successo e come. Fece una piccola pausa. Sei mia sorella Mia, ti amo e sei la persona più importante, per me. Ti devo proteggere e voglio saperti al sicuro Concluse, guardandola a tratti speranzoso.
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    Conosceva abbastanza Charles da sapere quanto il senso di colpa avrebbe potuto perseguitarlo da lì in poi. Era normale, per un po’ erano stati solo loro due, il ragazzo si era occupato di lei quando era appena una bambina e i signori Nott la trattavano con cattiveria, l’aveva sempre protetta, aveva cercato di farla sentire al sicuro e immaginava che cosa tutta quella storia rappresentasse per lui. Mark aveva agito in posti dove Charles non era presente, dove non avrebbe potuto proteggerla o difenderla in caso qualcosa fosse andato male, era normale che si sentisse in colpa per non aver impedito quel che era successo ma era anche ovvio che non avrebbe potuto fare di meglio. Era stata anche lei a scegliere di tenerlo fuori da quella storia, sapendo bene che anche coinvolgerlo non avrebbe migliorato le cose: se anche gliene avesse parlato, che cosa avrebbe mai ottenuto? Non voleva farlo preoccupare nulla, non volevo dargli altri pensieri ed era stata sicura fino all’ultimo di riuscire a cavarsela in qualche modo. A conti fatti la situazione si era davvero risolta senza bisogno che Charles intervenisse, ma non era sicura di aver limitato i danni quanto avrebbe voluto.
    Poteva solo immaginare che cosa si provasse a sapere tutto quanto da uno sconosciuto, riconosceva il proprio errore di valutazione nel non avergli parlato personalmente della questione ma pensava di poter avere più tempo per elaborare la cosa e poi affrontarla con lui, sperava di potergliene parlare con calma magari di persona. Daniele non aveva sbagliato di certo, comprendeva che la sua posizione di professore lo aveva anche in parte obbligato a dirgli tutto anche se avrebbe voluto saperne qualcosa, avrebbe voluto essere pronta. Sarebbe mai successo? Non ne era sicura.
    E come lei conosceva lui, lui conosceva lei meglio di chiunque altro e per questo mentirgli era piuttosto difficile, per non dire impossibile. Non che a Mia le bugie piacessero, non era tipo da dirne in generale ma anche meno riusciva a farlo quando si trattava di Charles. Era comunque felice di essere lì, anche se non sapeva come affrontare tutto quello, anche se aveva paura di ferire Charles o farlo sentire ancora peggio, era ovviamente sollevata all’idea di essere assieme a lui, quando accadeva le sembrava che tutti i problemi diventassero più piccoli e molto più leggeri.
    Sorrise quando le parlò del suo lavoro, un argomento neutrale che le piaceva affrontare perché sapeva quanto piacesse a Charles. Era stata orgogliosa di lui fin da quando era entrato a far parte del Ministero e lo avrebbe ascoltato per ora mentre descriveva ogni singola causa che doveva sbrigare, ma sapeva che non erano lì per quello.
    Quando le fece quella domanda gli mostrò meglio la scatola che aveva portato con sé e che conteneva i dolci, inclinando appena la testa. “Dei muffin! So che ti piacciono i miei dolci di solito, ho pensato di portartene un po’…” ammise con un altro leggero sorriso salvo poi avviarsi con lui poco dopo.
    Lo seguì quindi verso la locanda, consapevole che in realtà un posto sarebbe valso l’altro in quel momento, non avrebbe fatto molta differenza. Era abbastanza preoccupata da non avere nemmeno fame, eppure non voleva di certo farlo sentire a disagio o imporgli chissà quale altro posto, si sarebbe sentita a disagio in ogni caso. Una volta arrivati alla locanda fu comunque sollevata nel constatare che non c’era molta gente all’interno e prese posto davanti a lui lungo la tavolata, per poi ordinare una semplice insalata e dell’acqua. Non voleva comunque che Charles si preoccupasse anche per il suo appetito e sperava almeno di riuscire a mettere qualcosa nello stomaco.
    Sospirò piano e quando Charles cominciò a parlare lo ascoltò in silenzio, consapevole che quel momento sarebbe arrivato comunque prima o poi. Lo capiva? Certo, lei a parti invertite avrebbe fatto probabilmente lo stesso e infondo aveva usato anche un certo tatto, sapeva bene che lo stava facendo anche per lei, per proteggerla. Si schiarì quindi la gola e abbassa appena lo sguardo. “Lo so e…mi dispiace non avertene parlato ma è successo tutto così in fretta che non ho nemmeno fatto in tempo a pensare a come dirtelo.” ammise piano ed era in gran parte la verità. Si tormentò una ciocca di capelli prima per poi proseguire, dopo una breve pausa. “Non è successo niente di nuovo, Mark mi si è avvicinato troppo e Jessica, una mia compagna di scuola, lo ha fermato. Era già accaduto, lo sai, e ogni tanto gli piaceva tormentarmi con qualche battutina ma fino a quel momento non si era avvicinato più di tanto. Speravo che fosse finita lì ma lei lo ha minacciato e… lui per tutta risposta, qualche giorno dopo, ha cercato di molestare anche lei. Non ci è riuscito ma poi ne ha parlato con Blake… Blake Barnes, un altro mio caro amico, lui è un tipo un po’ impulsivo e insomma alla fine lo sono venute a sapere parecchie persone, inclusi i professori.” provò ad essere più concisa ma precisa possibile, per tagliare la testa al toro e non tirare tutta quella faccenda troppo per le lunghe.



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    Era piuttosto sicuro che, un giorno o l'altro, sarebbe morto a causa di quegli adolescenti e tutti i loro problemi. Erano fin troppo impulsivi, non ragionavano su tutte le variabili del caso e facevano cose estremamente stupide. Ma lui, in quel momento, stava pensando da auror adulto ed esperto e che aveva frequentato l'Accademia dove aveva imparato a sviscerare ogni problema e guardarlo con occhio critico, oltre che a saper individuare in un secondo tutte le soluzioni in situazioni di difficoltà e quella caratteristica di certo non la possedevano degli adolescenti che si buttavano alla cieca in mezzo a della nebbia, senza pensare che avrebbe potuto essere di qualsiasi natura, persino acida. E non poteva pretendere che, una ragazzina di sedici anni, soprattutto una come Mia, corresse a confidarsi col fratello in merito ad un abuso subito da ragazzina. Si passò una mano tra i capelli. Quando era successo il primo fatto, quattro anni prima, vivevano ancora dai Nott ed era comprensibile che la bionda non avesse voluto farne parola con nessuno. Se solo fosse arrivata alle orecchie dei genitori, una cosa del genere, dio solo sapeva che tipo di punizione avrebbero inflitto alla piccola, attribuendole la colpa. Ma ora i Nott non potevano più nuocerle in alcun modo, c'era lui e non avrebbe mai alzato un dito su di lei in maniera violenta, nemmeno se costretto. Ormai Mia era la sua vita, avrebbe fatto di tutto per proteggerla e gli faceva male che non fosse andata da lui, anche se ne comprendeva le ragioni. In qualche modo, credeva di aver fallito, di non essere stato un bravo fratello maggiore e di non averle ispirato la giusta fiducia. E si sarebbe impegnato per migliorare quell'aspetto.
    Sorrise alle sue parole, annuendo riconoscente. Oh sì, adoro i tuoi dolci, sorellina esclamò, scompigliandole leggermente i capelli. L'aveva sempre trovata un'ottima pasticcera, i suoi biscotti, i suoi muffin e tutto quello che concerneva quell'ambito, le riusciva davvero bene.
    Non vedo l'ora di mangiarli! Ammise, sincero, prima che si avviassero a quella locanda. Fortunatamente non era piena, anzi non c'era quasi nessuno e avrebbero avuto un po' di tranquillità per poter parlare dell'argomento che più di tutti gli premeva. Quindi, dopo che entrambi ebbero ordinato, si rilassò lievemente. Non era sicuro di avere molta fame, ma riteneva il cibo un'ottima distrazione. Ad ogni modo, iniziò a parlare solo quando a lui fu servito il pesce e la birra e a lei l'acqua e l'insalata. Cercò di essere chiaro e di non usare troppi giri di parole, perché non sarebbe stato da lui. Voleva arrivare dritto al punto seppur usando la giusta empatia per non metterla più a disagio di quello che già sicuramente era. Quando finalmente si decise a parlare, Charles ascoltò in silenzio ponderando ogni singola parola, cercando di simulare una calma che non sentiva sua, ma non voleva mostrare alla bionda, quanto fosse turbato per la questione. Annuì nuovamente. Capisco Mia. Iniziò, sospirando. Non ti biasimo per non avermene parlato, forse è colpa mia che non sono stato abbastanza presente a causa del lavoro. Non stava cercando di fare la vittima, in qualche modo, ma era davvero dispiaciuto per ciò che stava accadendo e Mia era la persona che meno di tutte si meritava ciò che le era successo, non dopo la vita difficile che aveva dovuto affrontare. Jessica Whitemore e Blake Barnes. Ripeté quei nomi, sapendo che ad entrambi doveva molto. Daniele me ne ha parlato, ieri, sì... sono davvero felice che tu abbia trovato degli amici così. Fece una pausa, staccando un pezzo di pesce e portandoselo alla bocca, pensando a come proseguire. Appunto non era un tipo troppo smielato, difficilmente riusciva a dire certe cose. Potresti invitarli a casa qualche volta, no? domandò, come sicuramente sapeva avrebbe fatto la vera madre di Mia. Conosceva quella donna fin dalla tenera età.
    Non abbiamo una reggia ma ce la caviamo, che dici? Si morse il labbro, leggermente nervoso. E poi puoi preparargli qualche dolce ridacchiò lui, lasciando cadere per un secondo il discorso economico. In qualità di auror, guadagnava piuttosto bene, ma non aveva intenzione di rimarcarlo, anche perché quel Barnes era piuttosto ricco, a quanto sapeva. Ma tornò al discorso principale. Sono davvero grato a Daniele per avermene parlato e in generale al corpo docenti per aver agito non appena saputa la vicenda. Adesso, sebbene Mark non sia dove merita di essere -ovvero ad Azkaban- a scuola non potrà più darti fastidio, né a te né alle altre ragazze, mentre qui a casa ci sono io, se solo osa avvicinarsi... lasciò la frase in sospeso, prendendo un altro boccone. Mia sapeva di che cos'era capace, soprattutto durante il periodo di Luna piena.
    A proposito Mia, adesso guadagno piuttosto bene e... stavo pensando di comprare una casa tutta per noi, tu che ne dici? Aggiunse, di punto in bianco. Se lei si fosse mostrata contraria, avrebbe lasciato perdere. Ci teneva da morire alla sua opinione
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    Per un periodo abbastanza lungo di tempo erano stati solo loro due, Mia e Charles contro il mondo, era difficile biasimarlo per essere diventato un fratello protettivo e responsabile. Quando vivevano dai Nott il ragazzo era stato l’unico ad occuparsi di Mia, aveva continuato a farlo anche quando erano scappati e non aveva mai davvero smesso, era chiaro come non potesse farlo nemmeno adesso che erano lontani. Mia, dal canto suo, era cresciuta e aveva provato a diventare sempre più autonoma, a dare meno pensieri al fratello, ad arrangiarsi e dimostrargli ogni giorno quanto valesse la sua fiducia, ma le sembrava di essere brava solo a fallire nell’ultimo periodo. Più provava ad essere matura per la sua età, a fare la cosa giusta, più finiva nei guai, e più cercava di migliorare, più le cose parevano incasinarsi e complicarsi anche ben oltre ogni aspettativa.
    Aveva cercato di evitare Mark, di allontanarsi da lui, e il ragazzo era tornato nella sua vita per via traverse, con la scommessa con Cameron e tutto il resto. Ecco, Cohen era un argomento che non aveva alcuna intenzione di trattare col fratello e che si augurava ampiamente lui non conoscesse: sospettava che la sua reazione non sarebbe stata troppo diversa rispetto a quella di Blake e che non avrebbe apprezzato le buone intenzioni di Cameron quanto lei. Non c’era ragione di farglielo odiare prima ancora che lo conoscesse, avrebbero potuto presentarsi più avanti, fare conoscenza, magari instaurare un rapporto decente senza che ci fosse bisogno di conoscere proprio ogni cosa.
    Non che volesse avere segreti con Charles, ma sapeva quanto la vita del ragazzo fosse complessa, anche e soprattutto vicino alla luna piena, e quanto avesse anche altro a cui pensare: stava solo cercando di semplificare le cose, di eliminare dettagli superflui che avrebbero solamente complicato tutto.
    Infondo, già la storia di Mark era difficile da spiegare, era certa che non avrebbe saputo argomentare nel modo migliore il rapporto con Cam, i nuovi sviluppi e come stavano affrontando le cose ultimamente. Meglio lasciare quella conversazione per momenti più tranquilli, questo era certo. Scosse piano il capo alle parole del fratello, cercando di frenare i suoi sensi di colpa. “Non è colpa tua Charles, tu ci sei sempre stato. Ho scelto di non dirtelo perché non volevo causarti nuovi pensieri.” provò a spiegargli paziente, anche se non era sicura che quelle parole potessero davvero risolvere qualcosa.
    Sorrise dolcemente alla sua proposta, di certo casa loro non era granchè a confronto della Villa di Blake, e sospettava che anche Jessica vivesse in una specie di reggia –non sarebbe riuscita ad immaginarsela in una casa popolare o qualcosa del genere, vista la sua naturale eleganza- eppure le avrebbe fatto piacere mostrargli dove viveva, magari presentargli meglio anche Charles. “Beh mi sembra un’ottima idea, entrambi apprezzano i miei dolci. Anche se Blake sa fare dei muffins squisiti.” replicò quindi con entusiasmo, più rilassata di poco prima.
    Sospirò più alla minaccia non troppo velata del fratello e allungò una mano ad accarezzare la sua, cominciando poi poco dopo a spiluccare la propria insalata. “Non si avvicinerà nemmeno qui, Charles, non è necessario. Sono abbastanza sicura che per un po’ non avrà voglia di importunare nessuno.” provò a rincuorarlo, cercando al contempo di sollevare anche se stessa e le proprie paure, in qualche modo.
    Si fece di nuovo attenta quando cominciò a parlare di cambiare casa, lei non ci aveva mai pensato. Certo, non vivevano in un castello, ma infondo quella era stata la sistemazione migliore che erano riusciti a trovare durante la fuga, e si era affezionata a quel posto. Certo, d’altro canto forse una nuova casa avrebbe potuto anche essere un ulteriore passo avanti per loro due, un simbolo della loro totale libertà. Gli sorrise dolcemente, dopo qualche istante di confusione e sorpresa. “Penso che sarebbe perfetto.” ammise lasciando che solo la felicità la invadesse, almeno per qualche istante.



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