A volte bisogna saper chiedere aiuto

Cam&Lance

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    Cameron Cohen | Dioptase

    Non so cosa sia esattamente successo, ma so cosa vuol dire vedere le persone che ami soffrire e renderti conto che è anche colpa tua. Se mai vorrai parlarne, la mia porta per te sarà sempre aperta.
    Lancelot



    Quel biglietto era abbandonato sulla scrivania di Cameron ormai da interminabili minuti. Lo aveva ritrovato abbandonato in un cassetto cercando un libro. Ed ora eccolo lì, aperto e inerme ad aspettare una sua decisione. Una decisione che non sarebbe stata facile per nulla. Il castano non era un ragazzo che accettava aiuto tanto facilmente e di questo probabilmente se ne erano accorti tutti, professori compresi. Eppure... quando aveva letto quelle poche righe, era rimasto segretamente colpito. Non si aspettava che qualcuno tendesse una mano verso di lui per aiutarlo, sicuramente non dopo il suo atteggiamento scontroso, irascibile e a tratti maleducato. Eppure il giorno della gita, quando lo aveva letto, mai avrebbe pensato di accettare quell'aiuto e quindi aveva dimenticato il foglietto in giro da qualche parte per la camera, ritrovandolo per pura casualità solo settimane dopo la fatidica avventura. Strinse i pugni, distogliendo lo sguardo da quel piccolo lembo di carta, dandosi dello stupido per essersi esposto così tanto in un maledetto tema e per averlo consegnato senza battere ciglio, quasi fosse una cosa perfettamente normale. Ma non lo era, non per lui. Cameron che da sempre covava un odio profondo per i docenti, considerando loro stessi responsabili della morte di Arya, sebbene effettivamente non fosse così. La colpa era stata attribuita ad uno solo di loro ed egli giaceva già ad Azkaban a marcire, ma gli altri professori avrebbero dovuto accorgersi che qualcosa non andava, ma così non era stato. E dunque Cam si era convinto che ogni docente presente sulla faccia della terra fosse in parte colpevole. Un pensiero idiota e ingiusto? Senza ombra di dubbio, ma nessuno, senza passarci, avrebbe mai capito il grande dolore che aveva dilaniato il cuore di Cohen quella tragica notte.
    Il suo sguardo nocciola tornò a concentrarsi sulle poche frasi presenti su quel bigliettino, decidendosi sul da farsi. Prima non ci sarebbe mai andato, poco ma sicuro, ma dopo gli ultimi avvenimenti Cameron sentiva di aver bisogno di parlare con qualcuno. Sebbene non lo avrebbe mai ammesso, specifichiamo. Aveva scoperto cos'aveva fatto ad Hogwarts quello che credeva il suo migliore amico, nei confronti di Mia e ancora peggio era stata la scoperta del fatto che ci avesse riprovato anni dopo in un maledettissimo corridoio. La consapevolezza di non essere stato là a proteggerla, lo distruggeva... sebbene non avrebbe mai potuto. In quel periodo nemmeno aveva realizzato pienamente i suoi sentimenti per la ragazzina che, comunque, apparivano abbastanza confusi anche in quel momento. E la cosa triste era che proprio quel Barnes aveva dovuto dirgli ciò che stava succedendo perché lui era troppo impegnato per accorgersene. Ma più di tutto lo feriva la consapevolezza che Mia lo odiasse... anche se non poteva biasimarla, visto che Cameron se l'era perfettamente cercata, con quella stupida scommessa fatta all'inizio dell'anno.
    Si alzò dal letto, dove fino a poco prima vi era stato seduto a gambe incrociate, e si diresse verso l'armadio, prendendo un paio di jeans neri ed una t-shirt blu, giusto per non andare in giro per la scuola e soprattutto da un professore, a petto nudo e in pantaloncini. Sì perché aveva deciso che ci sarebbe andato, pur rimanendo sulla difensiva. Come al solito.
    A passo lento si diresse verso il bagno, guardando allo specchio il suo riflesso. Il viso era pallido e si intravedevano ancora le ombre dei lividi di poco tempo prima, ma per il resto sembrava quasi in perfetta forma. Si sistemò il ciuffo ribelle e improvvisò un sorriso sghembo, prima di uscire, dirigersi alla scrivania, prendere il biglietto e lasciare prima il dormitorio e poi la sala comune. Appallottolò il bigliettino, mettendolo in una delle tasche dei pantaloni, poi si diresse deciso verso l'ufficio di Lancelot Olwen. Non sapeva esattamente come avrebbe potuto esordire, ma un modo lo avrebbe trovato. Un'altra cosa che lo aveva colpito, erano state proprio le parole riportate in bella calligrafia. Sapeva davvero cosa significasse veder soffrire le persone amate e sentirsi responsabili? O lo aveva detto solo per fargli abbassare la guardia? Lo avrebbe scoperto solamente una volta varcata la soglia. Si fermò alla porta poco a sinistra dell'aula. Esitò. Per un attimo ebbe l'impulso di girarsi e tornare da dov'era venuto, ma ormai era là... con un profondo sospiro, alzò il pugno, tenendolo sospeso in aria prima di far scontrare le nocche con il materiale duro che componeva la porta. Non fu un bussare leggero, ma più un battere di chi ha bisogno disperato di aiuto, sebbene non se ne renda ancora conto.
    Cameron si annunciò, cercando di ritrovare la tranquillità. Non mi faccia pentire di essere qui pregò, sempre a voce alta non preoccupandosi se lui potesse sentirlo o meno.
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    Edited by Cameron Cohen - 2/5/2020, 00:59
     
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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    "Elaine, calmati, per l'amor del cielo!"
    Era una vera fortuna che le pareti dello studio del runista fossero insonorizzate con la magia, perché in quel momento Elaine Olwen, rossissima gemella del più noto docente, stava generando un casino tale da svegliare anche i morti, al punto da costringere, a tratti, il biondo a tapparsi le orecchi e strizzare gli occhi.
    'Diamine!' sospirò lui, abbassando pesantemente il volume, nel mentre la gemella non la smetteva di sbraitare, costringendo il ragazzo a guardarsi intorno, quasi si sentisse in imbarazzo, per lei, per sé, per il mondo 'Diamine... la finirà?' pensò lui, allentando il colletto della sua camicia azzurra.
    Non fu ovviamente così semplice: Elaine tra gli Olwen era la più dispotica ed iraconda e il suo tono di voce, allorché allarmato, non conosceva pietà per i suoi sensibili timpani 'Dimentico sempre quanto sia antimelodica' pensò lui, convinto che sua madre - o lui - non avrebbero mai gridato a quel modo, in quella maniera.
    Aveva chiamato come soleva fare spesso (tre volte la settimana) la sorella, e l'aveva trovata scossa, preoccupata, allarmata, per quanto concerneva l'emergenza epidemiologica che stava attanagliando il mondo: nello specifico era preoccupata per sé, ma soprattutto per i genitori: a suo dire la Gra Bretagna era una zona calda e anche la regina e il re babbani erano stati contagiati.
    Quando lui aveva provato a chiederle da quando sapesse della regina Elisabetta e cascasse nelle fake news, lei diede letteralmente di matto, conducendoli in quella particolare e sfortunata situazione 'Aiuto!'
    Rimase ad ascoltarla urlare per parecchio, tentando di balbettare qui e là qualcosa senza un vero risultato, poi vennero delle parole magiche "Tu gai come vuoi, tanto in quella dannata isola manco i virus ci arrivano, ma io mi porto papà e mamma in Francia!" dopodiché il silenzio, e la schermata della chat di skype, siccome lei aveva chiuso anche la telefonata, non potendosi limitare al solo discorso.
    "Oh, Elaine..." sospirò lui, scotendo la testa e provando poi a mandarle qualche messaggino, senza alcun risultato.
    Stava vagliando di chiamarla quando alla porta bussarono "Sì, prego, avanti!" non era stato bussato con la consueta cortesia: vi era un'urgenza in quel gesto che lo costrinse in piedi, andando ad aprire la porta personalmente, trovandosi davanti Cameron, il quale, in effetti, annunciò anche con la consueta amabilità, che fece storcere la bocca al ragazzo.
    "Oh beh, vogliamo scoprirlo insieme, Cameron?" chiese lui, facendosi di lato e facendo entrare il ragazzo, chiudendo poi la porta nel mentre contemplava il ragazzo 'Chissà cosa vorrà mai...'
    Ricordava ovviamente del bigliettino, ma erano passate settimane e lui aveva appena discusso con la sorella, il che lo rendeva ancora in subbuglio. Si sistemò i capelli, aggirò il ragazzo e la scrivania e prese posto "Siediti pure, posso offrirti del tè?" chiese lui, rimanendo poi, di fatto in attesa che l'altro introducesse il tema del giorno, troppo stanco per mettersi a dedurre in autonomia ed andar per tentativi.
     
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    Cameron Cohen | Dioptase
    Ma che ci faceva là? Era sempre in tempo per tornare indietro e rifugiarsi nel suo dormitorio a fare qualsiasi altra cosa piuttosto che stare là... tipo incolparsi ancora per ore ed ore della morte di sua sorella e di come non avesse fatto assolutamente un cazzo per salvarla, di come avesse semplicemente guardato mentre annegava, con gli occhi nocciola completamente sgranati e il corpo impietrito. Ma no, non poteva farlo... quella sera, quand'era stato convocato da Daniele, aveva capito che forse -forse, eh- non era del tutto colpa sua, che è stato un evento al di fuori del suo controllo. Beh, ad ogni modo non avrebbe più avuto occasione di cambiare idea e andarsene, visto che la voce del docente gli diede il permesso di entrare. Si concesse un ultimo e teatrale sospiro, prima di stringere la mano attorno alla maniglia e fare per spalancarla, ma il docente lo precedette, aprendo prima che Cameron potesse fare alcun gesto. Alzò gli occhi sul biondo, scrutandolo per qualche secondo e non facendo nessun cenno di voler entrare nella stanza. Ma non poteva stare là impalato per sempre, soprattutto perché non aveva nessuna voglia che qualcuno lo vedesse mentre andava da un docente, non voleva sembrare uno stupido ragazzino debole, come considerava chiunque chiedesse l'aiuto di un docente.
    Quindi sì, la sua mente era in forte contrasto. Da un lato, voleva andarsene e lasciar perdere, considerando stupido rivolgersi al professore, ma dall'altro aveva un disperato bisogno di sapere. Voleva sapere se davvero lui lo capisse, se avesse visto morire qualcuno davanti ai suoi occhi, se dopo gli sembrava che nulla potesse più avere senso, che la vita non avrebbe mai più potuto sorridergli. Aveva un'impellente urgenza di saperlo, anche se non ne era consapevole nemmeno Cameron stesso. Ma... la morte di sua sorella, il ricordo, lo stava lentamente logorando dall'interno, portandolo ogni giorno ad essere sempre più l'ombra di se stesso, l'ombra del ragazzo solare, vivace ed iperattivo che era per i primi anni ad Hogwarts. Camminò a passo strascicato quando l'uomo si spostò per farlo entrare... e si guardò intorno in quell'ufficio dalla forma oblunga. Una mano andò a spostare il suo ciuffo con eleganza dal lato destro della testa, mentre gli occhi castani si soffermavano su ogni più piccolo dettaglio.
    Su suo invito, si sedette, ma alla sua domanda scosse la testa. Aveva lo stomaco chiuso, non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenere qualcosa dentro, quindi preferiva non mangiare né bere. Era un maledetto fascio di nervi. Continuava a muoversi sulla poltrona, chiedendosi perché si trovasse lì. No. Fu la sua risposta iniziale. Fredda, lapidaria, quasi scocciata. Ma poi cercò di addolcire il tono, in fin dei conti Olwen lo aveva accolto nel suo studio nonostante tutti i danni che faceva -e non solo in senso fisico- e quindi qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto comportarsi meglio. No, la ringrazio aggiunse, quasi violentandosi per aver ringraziato qualcuno.
    Sì, allora... verrò subito al dunque iniziò, anche se nemmeno lui sapeva con esattezza cosa dire. Lei qui e tirò fuori il bigliettino, posandolo sulla scrivania e stendendolo con un rapido gesto delle mani. Ha scritto che sa cosa vuol dire vedere una persona che ami soffrire e colpevolizzarsi per quello. È vero? chiese dunque, senza mezzi termini. Guardò il biondo non solo più con il classico disprezzo, ma anche con una luce diversa negli occhi. Quasi speranzosa. Sotto sotto, Cameron voleva solo sentirsi capito veramente.
    Non lo so perché ho scritto quel che ho scritto nel tema, se devo essere onesto. Ma vedendo quell'opera mi è venuto automatico e le parole sono uscite come un fiume in piena, riversandosi su quel banalissimo foglio. Mia sorella è morta, professore. Davanti ai miei occhi. Disse, di getto, senza nemmeno rifletterci. Forse si era drogato prima di presentarsi dall'uomo, ma ormai quel che era fatto, era fatto. Lei può capirmi? Può capire quello che ho passato e che sto passando? È tutta colpa mia se è morta, sa? questo lo disse con una mezza risata. Ma no, non era una risata divertita, tendeva più che altro all'isteria. Certo, parlando con Daniele aveva capito che forse avrebbe dovuto elaborare il lutto, dopo tutti quegli anni, e andare avanti, ma tra le parole e i fatti... beh, non era così semplice.
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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    Si era chiesto a lungo cosa avesse inteso Cameron con quelle parole, buttate lì un po' a caso su un tema. Si era chiesto se fossero vere, se spiegassero qualcosa di lui o se fossero solo fandonie o esagerazioni. Non ne aveva idea, ma in risposta a lui aveva dovuto aprirsi a sua volta, esporsi.
    Era rimasto concentrato a lungo su quel problema, arrovellandovisi fin troppo, ma pian piano aveva allentato la tensione, si era rilassato fino a far diventare quello che era stato un tarlo un pensiero lontano nel tempo e dal cuore. Era stato a quel punto che Cameron era ripiombato nella sua vita, con la stessa indifferenza con cui lo aveva fatto in Francia.
    Aprì la porta e se lo trovò davanti, guardingo, un po' come sempre, con il biondo che non sapeva neanche cosa davvero fosse venuto a fare. Lo fece entrare, cercò di metterlo comodo, ma questi si mostrò sempre ostile, anche se molto meno del suo solito (cosa che Lance notò immediatamente) arrivando persino a combattere la sua natura strafottente e ringraziare 'Oh Merlino, se continua così farà nevicare' pensò lui, resistendo alla tentazione di alzare un sopracciglio e facendo invece un cenno del capo, mettendosi comodo ed attendendo che l'altro spiegasse il perché della sua venuta.
    L'oggetto della discussione - era il caso di dirlo - era proprio il loro scambio epistolare, al che Lancelot si schiarì la voce, percependo dentro di sé un moto di paura, sollievo e piacere: era contento che Cameron volesse parlarne, e non avesse mentito, ma, al contempo, sapeva bene come sarebbe stato un terreno scivoloso, sul quale lui stesso avrebbe rischiato di cadere, visto che lo toccava, comunque, da vicino.
    Fissò il suo biglietto e lasciò che l'altro parlasse. Osservò la sua stessa grafia per alcuni istanti, cercando forse il coraggio per rispondere "Sì, è così." ammise infine, decidendo di fidarsi del ragazzo e sperando vivamente di non doversene pentire, del resto aveva fatto cose del genere anche con Blake Barnes, ma la situazione era completamente diverso, anzi, lui era completamente diverso 'Blake è goffamente incapace di gestire sé stesso e le cose attorno a lui e capire come comportarsi, ma lui... beh, è tutt'altra pasta' e non lo stava dicendo in senso positivo, per quanto se ne vergognò quasi subito 'E' comunque qui... devo ascoltarlo'
    Lo doveva a Cameron in quanto suo studente, ma lo doveva forse ancora di più a quello sguardo così umano, così giovane, che gli rivolse in seguito alla sua domanda, uno sguardo che celava una disperazione talmente tanto profonda che persino un prevenuto come lui si sarebbe dovuto arrendere ed aprire.
    Fu seduto quando seppe cosa fosse avvenuto al giovane Cohen, e ciò fu un bene, visto che se così non fosse stato sarebbe certamente stramazzato a terra 'Sua... sorella?!' al solo immaginare lo strazio, Lancelot sbiancò, visibilmente, in volto, ma anche sulle labbra, quasi si fosse trasmutato in un morto. Agghiacciato lo ascoltò, non riuscendo neanche a formulare qualche frase di cordoglio, inizialmente, vedendo quel giovane aprirsi e raccontare un pezzo terrificante della sua vita, per poi riderne amaramente.
    "Mi dispiace, Cameron..." affermò lui con un soffio di fiato, osservandolo con la morte nel cuore, non sapendo bene che dire o che fare.
    Socchiuse gli occhi, posando i gomiti sul tavolo, quasi volesse pregare "Sono cresciuto con mia sorella gemella e nostro cugino. Con loro ho diviso le stanze dei dormitori, così come tutta la mia vita: ai tempi, ai miei 14 anni, non avevo un singolo ricordo senza di loro" cosa si poteva dire ad un ragazzo che aveva visto morire sua sorella davanti ai propri occhi? Quali scuse, quali spiegazioni si potevano mai chiedere? Lance non lo reputava possibile, quindi decise di non far domande, di non dire cose inutili, ma rispondere a quanto chiestogli "Durante un rito di halloween tenuto da dei maghi neri, mio cugino è stato posseduto da un fantasma di un mago oscuro, che lentamente ha iniziato a corromperlo... senza che io notassi nulla... senza che io potessi farci nulla"
    Aveva dato la colpa ad Eilidh per quel cambiamento, ebbro di gelosia non aveva neanche notato come i cambiamenti fossero molti e sparsi, cosa di cui non si era mai davvero perdonato, non tanto per l'età - troppo giovane per certe sottigliezze - ma per il tipo di rapporto: lo avrebbe dovuto sentire, e basta! "Quando abbiamo scoperto cosa stesse succedendo, lui ormai era stato corrotto e si è opposto all'esorcismo. Ho dovuto ingannarlo, tradirlo e legarlo e poi portarlo da un uomo... un uomo che non conoscevo... e pregare che le sue parole fossero vere... che non ci stesse ingannando, perché se mi fossi sbagliato... lui sarebbe morto o, peggio, sarebbe stato perduto"
    Strizzò gli occhi nel mentre le sue mani, al solo ricordo, iniziarono a tremare "Fortunatamente... fortunatamente quell'uomo non mentì e il dolorosissimo rituale a cui lo sottoposi lo salvò dallo spirito malvagio, ma... ma le sue urla, il suo sguardo colmo di sorpresa e dolore per essere stato tradito... ma anche i suoi gemiti la notte perché la cicatrice gli faceva male... affollano ancora a distanza di anni i miei incubi... senza sosta... senza che ci possa fare qualcosa, se non chiamarlo... e assicurarmi che stia bene"
    Le sue mani pian piano si palcarono e lui con un sospiro sollevò la fronte, tornando a guardare l'altro con uno sguardo lucido "Non so cosa sia successo a tua sorella, ma sì... so cosa vuol dire sapere che una tua scelta può mandare in frantumi la parte più preziosa della tua vita. E so cosa vuol dire sopportarne il peso... e come questi inevitabilmente ci schiacci... alcuni momenti di più... altri... di meno"
    Aveva parlato tanto, come al solito, ma a quel punto tacque.
    Osservò l'altro e in silenzio, con mani ancora tremolanti, si verso una tazza di tè: ne aveva decisamente bisogno, in assenza di whisky incendiario.
     
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    Cameron Cohen | Dioptase
    La gita a Parigi. Era stata proprio quella a dare, senza nemmeno volerlo, l'input per quell'incontro. Cameron era stato inconsapevolmente travolto dalla bellezza di quelle opere, in primis. Non aveva mai visto un luogo come il Louvre e segretamente era grato ai docenti per aver scelto quella come destinazione, sebbene non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. E quindi gli era venuto così naturale parlare di sua sorella, anche se bisognava comunque leggere tra le righe per capire cosa fosse successo. Cameron aveva rimosso ciò che aveva scritto in quel momento, forse per proteggersi, ma credeva di ricordarsi di aver solo parlato di "sofferenza" e non di "morte", perché quello era un argomento troppo grande e difficile da affrontare, per uno come lui. Non per la morte in sé, ma proprio per il fatto che avesse ghermito una delle persone che più amava al mondo e in così giovane età. Ma non era stato certo questo museo a fargli decidere di andare da Lance. Ciò che gli è rimasto nel cuore, è tutto ciò accaduto dopo. Non si aspettava un salto indietro nel tempo al periodo degli antichi egizi, non si sarebbe mai aspettato di poter avere in corpo un tale livello di paura; ma non per l'esperienza iniziale, bensì per come si era conclusa. Solo l'idea di poter essere schiavo a vita, aveva scosso il castano nel profondo, portandolo a provare un terrore cieco e in qualche modo gli aveva fatto capire quanto la vita, gli attimi di essa, fossero effimeri. Magari il collegamento non è immediato, ma per lui è stato così. Ed è su questi pensieri che si è arrovellato per settimane, cercando di capire che cosa fosse giusto fare. Mesi prima era stato anche dal prof Salvatore e gli aveva fatto capire molte cose, certo, ma lui aveva bisogno di parlare anche con qualcuno che capisse cosa volesse dire veder soffrire qualcuno caro e non poter far altro che darsi la colpa.
    Quando il docente gli confermò che sì, era così, lo sguardo del giovane si fece più attento, più vigile. Stava cercando di capire, nella sua diffidenza, se l'uomo lo stesse assecondando per pietà, per toglierselo di mezzo o se fosse serio. Ma voleva fargli capire che stava cercando anche lui di fare un passo avanti. Si stava davvero sforzando di tendere una mano per farsi aiutare.
    Una volta raccontato di sua sorella, Cam stette attento ad ogni minima movenza del docente, ad ogni sua minima espressione facciale. Non sempre servivano parole per capire come stesse qualcuno e Olwen sembrava sconvolto da ciò che gli aveva raccontato. Certo, non ne aveva la certezza assoluta ma si reputava abbastanza bravo ad osservare i dettagli, quando si impegnava.
    Non si preoccupi, sono passati diversi anni replicò, cercando di mostrarsi il più forte possibile nonostante ogni volta che lo raccontava, era come se un pugnale tremendamente affilato, gli si piantasse con cattiveria nel cuore, facendolo morire senza un grido.
    Si stupì alquanto quando il docente decise di ricambiare quella fiducia e raccontargli un qualcosa che doveva averlo segnato nel profondo.
    Ad ogni parola di Lancelot, Cam si sentiva sempre peggio. Stava provando, verso il biondo, qualcosa di simile... all'empatia, forse? Suo cugino era vivo, d'accordo, ma ciò che aveva subito era stato comunque di un'incredibile crudeltà e forse era stato anche peggio della morte. Una vocina nella sua mente, gli disse di fare qualcosa, qualsiasi cosa... ma il ragazzo era come pietrificato, davanti a quel racconto. Quando ebbe finito, da parte di Cam seguì un minuto abbondante di silenzio, prima che ritrovasse la voce.
    Strinse i pugni, poi aprì la bocca per parlare. La capisco sussurrò Capisco come ci si sente continuò, distogliendo lo sguardo da quello di lui. Lei però... ha fatto la cosa giusta, così facendo è riuscito a salvare suo cugino e... non credo sia una cosa da tutti. È stato coraggioso Voleva essere un complimento? Una rassicurazione? Forse entrambi, ma alla maniera di Cameron. Si stava davvero sforzando, ma non poteva certo cambiare dalla sera alla mattina quello che era stato il suo modo di essere per diciott'anni. Mia sorella si era innamorata di un professore scosse la testa al ricordo, lasciando che il ciuffo gli ricadesse sugli occhi, coprendo in parte quanto fossero lucidi. Già allora io dovevo fare qualcosa. La sua foce era ferma e calma, terribilmente ferma e calma, quasi quei ricordi non gli appartenessero e lui li avesse solo presi in prestito. Ma comunque sembrava andare tutto bene, finché... ecco un primo tentennamento. Non mi ricordo per quale motivo, ma mi sono alzato e sì, ho violato il coprifuoco. Ma non è importante, questo. Girando un angolo, ho sentito una voce fin troppo familiare, pregare qualcuno affinché la aiutasse e.. sbirciando ho visto mia sorella. Ascoltando la conversazione, ho capito che era rimasta incinta di questo professore e lui proprio non né voleva sapere. Né voleva saperne di rovinarsi la carriera, quindi ha fatto una cosa orribile... ora, al contrario di prima, la voce faticava a restare ferma. I ricordi risalivano a galla in modo violento e inaspettato, quasi bruciando come un marchio rovente sulla pelle e sotto di essa. Ha usato la maledizione Imperio su di lei e ha fatto sì che si suicidasse nel lago. Un gemito di dolore, quasi come se fosse restato lui sott'acqua per minuti interminabili. E io ho assistito ad ogni cosa. Ma non sono intervenuto. Si piegò in avanti, posando le braccia sulle cosce, cercando di non cedere ulteriormente al dolore. E quindi è annegata. Non riesco ad immaginare il suo terrore, l'acqua che le entrava nei polmoni fino a farli bruciare alla disperata ricerca di ossigeno... ma forse non ha fatto in tempo ad avere paura, forse la maledizione ha annullato tutto il resto. Fece una pausa carica di dolore. Secondo lei... ha sofferto? chiese alla fine, tormentandosi le mani.
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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    Lo sguardo di Cameron era pesante su di lui, forse perché diverso dal solito: generalmente il ragazzo non prestava davvero attenzione a niente e a nessuno, vittima della sua stessa indiffirenza, tuttavia quel giorno tutto era diverso e Lancelot, che ormai un po' di ragazzi li aveva conosciuti, sapeva cosa volesse dire 'Mi sta pesando' comprese 'Sta decidendo se sono figo... o sono un vecchio rimba come gli altri' probabilmente non sarebbero esattamente state quelle le parole del dioptasio, ma il significato, fondamentalmente era quello, sicché, facendosi coraggio, il ragazzo si lasciò mettere alla prova, sperando di essere all'altezza.
    'Non posso essere chi non sono... ma farò il possibile, Cameron' anche lui era lì tutto per l'altro, ora più che mai, del resto il ragazzo stava lanciando verso di lui un ponte e stava a lui non farlo crollare nel vuoto, non solo per il proprio ego, ma anche e soprattutto per il discente: Cameron era fondamentalmente solo e lui credeva che l'avere una figura di riferimento potesse essere non solo importante, ma persino cruciale.
    La prova era in effetti parecchio scottante e passava per la condivisione di un segreto tanto doloroso da generare nel biondi eco a distanza di anni ed anni 'Cameron' gli si strinse il cuore a vederlo rompersi dal dolore, piegarsi, perdere quell'aria strafottente che aveva costantemente ed ammettere come fossero passati anni e il dolore fosse ormai scemato "Certi dolori non ci abbandonano mai... e se io ancora sogno quello che è successo a me, dubito che per te possa essere diverso" pigolò lui, commettendo il fatale errore di confondere il proprio dolore con quello dell'altro, per quanto fosse molto funzionale per entrare in empatia, specialmente con uno poco avvezzo ad aprirsi come il primino.
    Lui aveva cercato di mettersi nelle sue scarpe, e Cameron provò a fare lo stesso, cercando persino di giustificarlo ed indurlo al perdono, come se ciò fosse possibile, indipendentemente che a dirlo fosse un ragazzino. Al solo pensarci, Lance sentì un modo di rabbia, che nascose posando il naso sopra le mani e quindi coprendo la bocca "Con le persone che ami ha davvero importanza avere ragione?" disse lui, tirando poi, dolorosamente, dritta la testa "Se avessi sbagliato nel fidarmi di quella persona, o se il rito non fosse andato bene comunque... l'ultima cosa che mio cugino avrebbe ricordato era che colui che era sempre stato al suo fianco - io - lo avevo tradito. E l'ultima cosa che io avrei ricordato di lui sarebbero stati i suoi occhi devastati dal tradimento al punto da non potersi nemmeno arrabbiare... e credimi Cameron, non me ne sarebbe fottuto niente di aver ragione o torto. Anzi, penso che mi sarei odiato per tutta la vita per non esser stato con lui e... e non lo so..."
    Non era tipico di Lancelot accendersi, ma in quell'occasione successe, al punto dal tingere di rosso il suo volto e far brillare il suo sguardo con quella fiamma che era tipica dei grifondoro e che così poco si vedeva in lui. Durò poco, comunque, ed infatti ben presto si schiarì la gola, distogliendo lo sguardo "Perdona la terminologia colorita" pigolò lui, chiaramente imbarazzato, riportando lo sguardo al giovane solo quando questi raccontò nel dettaglio cosa fosse successo, cosa che, in effetti, fece sbiancare ben presto il biondo.
    "Avevo... letto qualcosa" ammise ad un certo punto, senza interrompere la narrazione dell'altro, ma al contempo incapace di rimanere ancora in silenzio, forse per il martellante dolore che gli stava sfondando il petto e che lo obbligava, almeno, a dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di far sentire l'altro che lui c'era, che quello che era successo non era caduta dell'indifferenza cosmica.
    Era una storia tragica, tale per cui persino uno spavaldo come Cameron accusava, distrutto dal senso di colpa, ma anche da altri tristi sentimenti e dubbi. Vedendolo lì, davanti a lui, Lance non poteva che provare un'infinita pena, non stringendosi al ragazzo solo perché sapeva di non averne alcun diritto, soprattutto al netto della loro confidenza. Distolse lo sguardo, rifletté sulla sua domanda, sulla quale, in effetti, aveva un certo controllo, invece. Chiuse gli occhi, poi annuì "L'Imperio viene descritta come una magia che annulla la volontà... nei racconti di Barty Crouch, che raccontava ad Harry Potter come si fosse liberato della maledizione, parlava di un nero che progressivamente si schiariva e ogni tanto permetteva al suo essere di emergere..." spiegò lui, con voce calma, gentile, quasi monotona "Quindi... credo di no Cameron. Penso che..." ed un singhiozzò lo tradì, costringendolo a strizzare gli occhi "Penso che in questa tragedia... in questa... orribile tragedia... penso che almeno questo le sia stato risparmiato"
    Prese fiato, un paio di volte, ma aprendo la bocca, si rese conto di non saper parlare se non scoppiando a piangere, quindi tacque, osservando l'altro, non sapendo bene cosa dire o cosa fare, se non star lì e provare, almeno, a non piangere in faccia ad un suo studente 'Maledetto me e la mia sensibilità! Maledetto me!' e insultarsi, ma quello era funzionale: meglio la rabbia al pianto, in fondo, no?
     
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    Cameron Cohen | Dioptase
    Si stava lentamente abituando all'idea di aver lasciato scoperta una sua parte vulnerabile e di essersi affidato a non uno, ma ben due professori per provare anche solo a metterci una pezza. Forse parlare era davvero la soluzione migliore e Cameron doveva seriamente abituarsi a quell'idea. Non poteva risolvere i propri conflitti interni tirando pugni a destra e manca, credendo di riuscire a darsi pace, in questo modo. E sentire la storia del docente, forse lo avrebbe aiutato a mettersi un minimo l'anima in pace. Non era l'unico che stava e aveva sofferto, doveva capirlo come doveva capire che ogni singola persona aveva la propria storia, i propri demoni contro cui combattere... e lui non era l'unico a dover affrontare quotidianamente qualcosa più grande di lui. Doveva parlare a qualcuno della sorella, esternare il suo dolore e sperare che qualcuno lo potesse capire e così aveva deciso di fare anche con il professor Olwen, dopo un'attenta analisi degli eventi e di quel singolo bigliettino che gli aveva lasciato a fine gita.
    Lo soppesò un po' con lo sguardo, cercando di leggergli dentro -anche se era impossibile, almeno per lui- e capire se di Lancelot Olwen si poteva fidare, oppure se era meglio troncare la conversazione sul nascere, strappare il bigliettino e andarsene dimenticando l'accaduto.
    Alla fine, comunque, l'uomo resse al confronto e lo superò, ottenendo la silenziosa e segretissima approvazione di Cameron. Non che valesse poi molto, però era già qualcosa.
    Dopo aver finito il suo racconto così doloroso, si chiuse in se stesso per qualche attimo, cercando le parole giuste per continuare, o cercando la giusta scusa per andarsene in camera e piangere in un angolino, dipendeva dai punti di vista. Ma alla fine, si decise a proferir nuovamente parola.
    No asserì, confermando le parole del docente. Non c'è notte che io non la sogni, che io non sogni il suo sorriso, prima che diventi completamente inespressivo... fece una pausa, rendendosi conto che con quella confessione, si era davvero spinto molto più in là di quanto pensava di potersi permettere. Non sapeva se il docente lo potesse capire veramente, ma ci sperava davvero con tutto il cuore. Anche se mai lo avrebbe mai ammesso. Ma a volte... prese un grosso respiro, prima di continuare. Sogno di riuscirci. Di tuffarmi e di salvarla. Sogno lei sull'erba che ride... una doloroissima stretta al petto gli tolse il fiato, zittendolo immediatamente, quasi come se fosse ancora quella sera nella torre con Jesse, quando il suo calcio lo aveva colpito in pieno. Solo che questa volta, nessuno lo aveva toccato.
    Poi un qualcosa lo spinse a provare a dare un mero conforto al docente, anche se sapeva quanto fosse stato un intervento inutile e forse persino dannoso. Ma per Cameron Cohen era già stato un passo da gigante aprirsi in quel modo, non poteva essere contemporaneamente una degna spalla su cui piangere senza fare qualche tipo di danno. No, non conta affatto fu costretto ad ammettere, inclinando la testa di lato e chiudendo gli occhi, rivivendo quel dolore quasi fosse nella sua pelle. Rimase molto stupito, comunque, dal dono e dalle parole del docente, tanto da rivolgere nuovamente lo sguardo verso di lui, guardandolo con estrema comprensione.
    Non si preoccupi, la capisco tentò, con una scrollata di spalle. Quello che ha detto è vero. A che pro avere ragione, se poi la persona che ami, non c'è più? commentò, con una leggera nota di asprezza. L'importante, per lei, suppongo sia stato riavere suo cugino sano e salvo, nonostante gli strascichi che si è portato dietro e che si porterà dietro. E l'importante, per me, sarebbe stato poter abbracciare Arya almeno un'ultima volta. La sua voce, man mano che procedeva nella frase, subì una brusca caduta di tono, fino a ridursi quasi al silenzio sulle ultime sillabe. Mi fa piacere che... deglutì ...suo cugino ora stia bene. Fece un'altra piccola pausa. E mi scusi. Quel suo scusarsi aveva un sapore quasi amaro, strano e allo stesso tempo confortante per il giovane, se uscito dalle proprie labbra.
    Ripercorrere passo passo la morte di sua sorella, anche in un semplice racconto, era come ricevere molteplici pugnalate dritte al cuore, colpi mortali che stavano minando la sua sanità uno dopo l'altro. E poi quella domanda. Gli premeva così tanto accertarsi che nei suoi ultimi istanti di vita, la sua sorellina non avesse provato niente. Voleva che almeno... fosse morta senza provare dolore. La risposta del docente gli concesse un fisico sollievo a cui seguì un lungo sospiro di sollievo. La ringrazio... per me... è importante sapere che perlomeno, per lei, sia stata una cosa indolore. Non se lo meritava. Ma non perse di notare il singhiozzo dell'uomo, quindi per un po' non aggiunse altro, come aspettando rispettosamente che lui si riprendesse. Certo che "rispetto" e "Cam" erano sempre state due rette parallele, tuttavia quella scuola lo stava cambiando fin nel profondo del suo cuore in una maniera che nemmeno lui si sarebbe mai aspettato. Vuole un bicchiere d'acqua? chiese alla fine, non sapendo cosa dire o fare. Cameron con gli anni aveva imparato a nascondere il suo dolore dietro un muro di cemento armato, di schermare la sua sensibilità e lasciare che essa non venisse mai più fuori, ma capiva perfettamente che non per tutti poteva essere così. Ma comunque non gli venne in mente altro per dare un tacito aiuto ad un docente che, dal canto suo, gli stava dando così tanto.
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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    Scommettere su qualcuno come Cameron Cohen era forse più suicida che scommettere su Blake Barnes... il che era tutto dire!
    Lancelot però appunto era stato forgiato nel fuoco di mille Blake e soprattutto aveva conosciuto il dolore lancinante di vedere qualcuno di caro rischiare la vita, sicché, nonostante tutto, decise di esporsi, di provarci, dicendosi che alla peggio avrebbe fatto la figura del cretino e avrebbe riaperto vecchie cicatrici, ma se così non fosse stato quel giorno sarebbe potuto essere a dir poco speciale.
    Lancelot posò una mano sul suo petto, sul pettorale destro per essere precisi, ove, sotto ai vestiti, si trovava una Eiwaz tatuata, a ricordargli, a vita, cosa fosse accaduto quel giorno. Fu come tornare ad allora, anche se ora, da adulto, col senno di poi, faceva comunque meno male 'Ma non meno paura'
    Lanciò uno sguardo al pc, pensando ad Elaine, alle sue fobie, alle sue ansie e si chiese ancora una volta se tutto derivasse da quella terribile notte, poi tornò a Cameron, ai suoi incubi e ai suoi sogni 'Cos'è peggio per te, Cameron, rivivere quella atroce notte o svegliarti al mattino credendo che non sia mai accaduta e tornare alla triste realtà?' lui, a distanza di anni, non lo aveva davvero capito, come invece aveva capito quanto a poco servisse avere in certi frangenti ragione.
    Cameron si aprì come le gambe di Jessica un libro, stabilendo per lui quella che più che essere empatia era proprio simpatia (soffrire assieme). Lance non cadde nella stessa trappola - avendo ben altra esperienza - e semplicemente annuì all'altro, cercando di mostrarsi provato, ma forte, per ispirargli fiducia, nel docente, certo, ma anche proprio in sé stesso: se lui era lì, integro e felice, perché non poteva, un giorno, esserlo anche lui?
    Dare speranza era importante, e lui vi provò quel pomeriggio, aprendosi anche ad un piccolo sorriso "Nessuno se lo merita, Cameron" chiarì lui "Ma purtroppo la vita va come deve andare e le vie del destino sono infinite. Quello che possiamo fare è accettarlo e... provare ad andare avanti"
    Avrebbe voluto dire trarne il positivo, ma cosa poteva esserci di positivo nel vedere la propria sorella morire? Francamente, lui, da fratello gemello di qualcuno, rabbrividiva al solo pensiero.
    Sospirò, terrorizzato da quel pensiero, levando lo sguardo sull'altro quando questi, a disagio, gli chiese se volesse qualcosa. Nel suo studio. Lancelot rise, dolcemente, e scosse la testa, intravedendo dietro quell'uscita assurda un goffo tentativo di essere gentile "Io sono a posto. Tu, piuttosto... cosa posso fare per te, Cameron?" chiese lui, tornando gentilmente serio "Non posso far svanire ciò che senti, e sinceramente non credo neanche di volerlo, in quanto comunque riflette il grande amore che avevi per lei... ma, sei qui e io ora so cosa ti tormenta. Non sei più solo in questo"
    Non sapeva cosa potessero fare, non ne aveva la minima idea, ma lui c'era, e ci sarebbe stato, per lui.
     
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    Cameron Cohen | Dioptase
    Non era sicuro che sarebbe riuscito a stare ancora molto tempo là dentro senza scoppiare. Stava riuscendo -e pure male- ad essere forte, ad affrontare tutto a muso duro, ma stava cedendo... man mano che i discorsi defluivano dalle sue labbra, che prendevano corpo. Ma chi sarebbe riuscito a parlare di una sorella morte in un modo così orribile, a cuor leggero e con il sorriso sulle labbra? Nemmeno qualcuno che si mostrava tanto invincibile come Cameron. Non si sarebbe mai immaginato, ad inizio anno, lui che andava nello studio di ben due professori a raccontare ciò che era successo. Faceva male. Faceva sempre così dannatamente male! Anche se ogni volta di più, Cameron riusciva ad assumere una sorta di freddo distacco come se stesse raccontando la vita di qualcun altro e non una tragedia che aveva toccato personalmente il castano.
    Forse condividere quella triste vicenda con qualcuno che potesse capirlo, era fondamentale per la sua crescita e per fargli capire che non era solo, sebbene si ostinasse a pensarlo. Ma non era, poi, la verità? Non era sicuro di avere amici, oltre a Mia che ora, in tutta probabilità, lo odiava. Quindi sì, forse era davvero solo. Riuscì a stento a ricambiare il sorriso dell'uomo, mentre la sua mente era annebbiata da foschi pensieri. Quei pensieri che non avrebbe mai augurato a nessuno, nemmeno a Mark. Conosceva la sua famiglia ed... erano così diversi da lui. Nessuno di loro -se non l'ex dioptase stesso- si meritava di fare quella fine.
    Si lasciò scappare un lieve sospiro, serrando subito dopo le labbra in una linea sottile, trovandosi di nuovo ad annuire mestamente.
    Non è facile andare avanti ammise, il tono di voce spezzato per il dolore che gli si annidava nel petto ormai da anni. Non quando con lei ho condiviso tutto, non quando lei era la mia unica ancora di salvezza contro un padre sempre più violento. Scosse le spalle, quasi non gli importasse. Mi ha insegnato a fare gli origami aggiunse, di getto, quasi dimentico che fosse una confessione estremamente intima. Quando provo qualche emozione negativa, mi basta farli e pensare a lei per calmarmi, la maggior parte delle volte. Stava dicendo fin troppo per uno come lui, ma se c'era una cosa che aveva imparato negli ultimi mesi, era quanto a volte fosse estremamente vitale tendere una mano e sperare che qualcuno la afferri e lui ci stava provando con tutto il suo impegno.
    Comunque poi disse una cosa abbastanza stupida. Gli aveva davvero chiesto se volesse un bicchiere d'acqua, che se avesse voluto lo avrebbe potuto prendere in qualsiasi momento? Ma anche quello faceva parte dell'impegno che paventava, sebbene non fosse stato un tentativo molto riuscito. Ma ci stava provando. Davvero. Inoltre, sentendo quella risata, provò qualcosa di strano. Quasi simile a sollievo per avergli tolto almeno per un secondo, quell'espressione triste dal volto. Forse era una gran cazzata, ma sentiva quasi di averlo aiutato. Almeno in minima parte. Non rispose direttamente alla sua domanda, limitandosi per qualche minuto a stare in silenzio, passandosi le lunghe dita nei capelli, sistemandosi distrattamente il ciuffo più che per distrazione che per vera necessità.
    Perché? chiese dopo, spezzando quel silenzio. Perché mi ha lasciato quel bigliettino? Quella curiosità si era affacciata all'improvviso nella sua mente, un po' come un fulmine a ciel sereno. So ciò che ho scritto nel tema, ma cosa l'ha spinta veramente ad aprirsi così tanto proprio con me? sottolineò quel "me" con il tono, lasciando intendere diverse cose. Cameron non si era mai considerato come il preferito di un prof, né di essere degno di tanta fiducia, soprattutto per via del suo carattere. Intrecciò le dita sopra le cosce e piegò lievemente la schiena, aspettando una risposta a quella domanda a bruciapelo.
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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    Non era facile andare avanti. Lancelot conosceva piuttosto bene il significato di quelle parole, per quanto non si permettesse di paragonarsi all'altro ragazzo 'Io sono stato molto più fortunato'
    Dirselo lo faceva sentire strano, e gli faceva provare tanta pena per Cameron, soprattutto: aveva passato l'adolescenza a maledire quella notte e le sue sfortune e ora, da adulto, trovarsi a realtà tremendamente peggiori lo faceva sentire terribilmente sporco 'Alla fine, piagnucolavo e basta...' che poi era anche vero, per quanto fosse comunque giustificabile, e soprattutto fosse inutile parlare del passato.
    Il dioptase questo lusso non se lo poteva permettere: il passato era troppo recente, troppo bello e troppo doloroso. Inclinò un piccolo sorriso, gentile, dolce, e riprese a sorseggiare il proprio tè, lasciando aleggiare però sempre la stessa domanda: cosa se ne potevano fare di quella consapevolezza 'Ok, ho sofferto, tu stai soffrendo... ma ora che lo sappiamo cosa cambia?' la cosa che più lo spaventava, si rese conto, era propri il fatto che non cambiasse nulla, che Cameron tornasse ad essere la solita spina nel fianco e lui rimanesse lì, a provar pena per lui, non sapendo bene cosa farci a quel punto 'Così... che senso avrebbe avuto?'
    Molte cose non avevano un senso, ma Lance era quel genere di uomo che amava trovarne, e più d'uno se necessario. Forse anche Cameron ne aveva bisogno, o almeno glielo chiese. Lance lo osservò e posò la propria tazza, riflettendo sulle sue osservazioni, sulla sua domanda, anche sul modo in cui parlava di sé stesso.
    "Perché sei una persona... anzi, un mio studente, un ragazzo" rifletté lui, quasi, ad alta voce, carezzando la tazza e tenendo per alcuni istanti lo sguardo basso "Tutti ti abbiamo notato, Cameron, tutti abbiamo visto la tua rabbia, il tuo bisogno di distinguerti, anche a costo di essere fastidioso e farti del male. Persono in Egitto hai dovuto metterti di traverso, al punto di rovinarti la vita" ammise lui, folgorandolo anche un poco: forse quello era un rimprovero.
    "Per molti miei colleghi sei solo un problema, ma io sentivo il bisogno di capirti, di andare oltre e quando ho letto quel tema mi sono detto... o mi sta fregando, o... o finalmente ho capito" ammise lui con un piccolo accenno di sorriso "Mi chiedi perché, ma la verità è che forse io dovrei chiederti l'esatto opposto: perché mai non avrei mai dovuto cercarti?"
    Lasciò in sospeso la domanda, tamburellando sulla tazza con le dita, almeno finché non se ne accorse e le ritirò "Siamo gli adulti di questa scuola e tu avevi fatto un gesto di estremo coraggio. E io, da grifondoro, non potevo che tenderti la mano, credere in te" concluse lui, non sapendo bene cosa dire o cosa fare, del resto, la situazione era ormai chiarita e solo il tempo avrebbe potuto dire cosa ne sarebbe davvero stato di quel giorno.
     
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    Cameron Cohen | Dioptase
    Era andata. Era riuscito a raccontare al professor Olwen, tutto ciò che riguardava la sorella perduta senza scoppiare a piangere come un bambino... ed era già un buon risultato, visto l'immenso dolore che gli procurava anche solo l'atto di pronunciare il suo nome. Tuttavia, era ora che smettesse di chiudersi a riccio e respingere chiunque provasse a tendergli una mano... e quindi si era sforzato di aprirsi con un suo insegnante, ma ciò che gli aveva veramente dato la spinta decisiva, era il fatto che l'uomo avesse confidato proprio a lui una cosa altrettanto dolorosa che gli era capitata. Quello, Cam, non se lo aspettava di certo... ma, in cuor suo, era stato felice che in lui gli si fosse stata riposta quella fiducia, sapendo com'era fatto. Certo, non lo avrebbe mai ammesso ma anche quel gesto che forse per molti sarebbe potuto sembrare insignificante e scontato, per il castano significava tantissimo, significava non essere abbandonato a se stesso, significava non avere addosso il disprezzo di tutti... avrebbe voluto ringraziarlo davvero, ma non era ancora sicuro di essere pronto per un grande passo del genere, per dire grazie. Ma non grazie per una cosa superflua, bensì per qualcosa di profondo ed importante.
    Alla sua frase, si grattò la nuca quasi a disagio, rimembrando il casino che aveva combinato solo perché Giada voleva essere coerente per distinguersi, per essere diverso dagli altri... anche se il risultato era stato pessimo, era finito schiavo per l'intera sua vita. Per fortuna che era solo un sogno, Cameron non avrebbe retto quella vita nemmeno per mezza giornata.
    Ammetto di non aver ponderato con cura le mie decisioni... iniziò, pensieroso. Ma credo che lo rifarei, col senno di poi. Concluse, stringendosi nelle spalle. Non poteva cambiare quello che era e gli avvenimenti passati avevano contribuito a forgiarlo e renderlo ciò che era ora. Non sempre ne andava fiero -quasi mai, a dire il vero- ma era Cameron Cohen, non avrebbe mai rinnegato ciò che era stato e ciò che era in quel momento, anche a costo di fare altri mille sbagli.
    Le sue successive parole, non lo ferirono o colpirono più di tanto, a dire il vero... non lo sorprendeva il fatto di essersi reso insopportabile agli occhi di molti.
    Con un sospiro, si soffermò sull'ultima parte di quella frase, su quella domanda alla quale stava cercando di dare una risposta. Perché... non sono in molti ad interessarsi, ecco. Fu quindi la sua risposta secca, con gli occhi che vagavano per ogni angolo della stanza senza mai fermarsi su un punto preciso.
    Di questo, io... la ringrazio decise di dire. Per lui, era più difficile di qualsiasi altra cosa e la considerava una parola importante che non diceva spesso -forse mai- e della quale, chiunque avrebbe dovuto fare tesoro.
    Successivamente, si alzò, cercando di metter su un sorriso sghembo, prima di indietreggiare. Io... credo di dover andare. Grazie per avermi ascoltato. Ancora quella parola. Arrivederci. Concluse, dirigendosi alla porta e chiudendola alle proprie spalle.
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