Fermo

Joanne&Kyle

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    Joanne Nilsson
    Densiriana | 24 anni
    Era arrabbiata. Joanne in quel momento era arrabbiata per tutto quello che gli era stato negato. A volte gli capitava davvero di pensarci, di pensare che i suoi genitori avevano sbagliato a sposare in quel modo le tradizioni di quell'isola. Lei adorava quel posto eppure, allo stesso tempo lo detestava. Avrebbe voluto viaggiare, andare in giro, avrebbe voluto essere una ragazza come tante altre e non certamente star in una fattoria, cacciare ed essere brava con le armi. Spesso e volentieri si chiedeva cosa provavano le ragazze della sua età, con un fidanzato, e le proprie amiche, di che cosa parlavano quando erano immerse nei loro aperitivi e come era vestirsi in maniera sempre diversa e shick!
    Lei, invece, indossava prevalentemente tute,anche abbastanza usate, aveva sempre l'odore di fatica addosso, le unghie corte e le mani rovinate! Ma Ehi, come diceva sempre suo padre, lei sapeva cacciare e sicuramente sapeva difendersi dai mali del mondo. Si, a volte detestava essere così dannatamente indipendente, e riuscire a sgozzare, con una tale semplicità, un coniglio vivo e saltellante. Fece un respiro profondo e per non litigare di nuovo con i suoi genitori prese il suo arco le sue frecce e decise di andare via. Semplicemente in giro per il bosco a fare quello che gli usciva meglio in quel preciso istante della sua vita, ossia tirare frecce ed un albero. Era concentrata ed era abbastanza atletica da riuscire a fare i vari esercizi di concentrazione che si era prefissata, inoltre portò con se anche la sua bacchetta, per esercitarsi ancora meglio ad incantare qualcosa. Voleva imparare nuovi incantesimi e voleva interessarsi davvero a qualcosa come l'alchimia. Sarebbe stato divertente riuscire a creare dal nulla qualcosa.
    Era li, immersa nella natura, sdraiata per terra, con gli occhi chiusi e con la testa completamente persa nel vuoto. Che palle! borbottò tra se e se dando un piccolo pugno al terreno. Aveva una coda di cavallo ed una tuta nera indosso, le sue solite scarpette da ginastica mal ridotte e l'aria sofferente, tra l'incazzato, il deluso e l'inquieto. Non ce la faceva più a vivere in quel modo, doveva seriamente trovare uno scopo nella sua vita che non era quello di pregare la dea Freya o di aiutare i suoi genitori con la fattoria. Voleva essere davvero brava in qualcosa. Cercò di far zittire i suoi pensieri nel momento stesso in cui sentì semplicemente un rumore. Forse era quello che sapeva fare più di tantissime altre cose: aveva tutti i sensi ben sviluppati specialmente l'udito. Infondo per cacciare bisognava ascoltare. Si alzò a metà busto senza far alcun rumore, prese il suo arco affianco a lei e mise semplicemente una freccia in posizione ben dritta di fronte a lei. Attese in silenzio. Sicuramente c'era qualcuno.
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    Rimbombano i passi nella foresta, schioccano rami secchi sotto gli stivali, distruggono il delicato equilibrio della natura e il suo silenzio trasformandolo in una cacofonia sgradevole portata dal vento. I miei passi disturbano il terreno, schiacciano e distruggono le piccole piante quando provo a farmi spazio in mezzo ai sentieri di montagna a malapena visibili in mezzo all’erba. E la Natura sembra combattere questa intrusione con tutte le sue forze. Mi ritrovo ad imprecare e maledire chi mi ha detto che sarebbe stato facile. Qualcosa di lontano dalla città, una piccola creatura sfuggita al controllo che minacciava di avvicinarsi troppo ai Babbani se lasciata libera di vagare incontrollata.
    Quello che non mi aspettavo era di dovermi ritrovare a correre fra rovi e rami spinosi che si sono aggrappati alle mie gambe e al petto come tanti piccoli, aguzzi artigli che hanno tracciato una nuova serie di piccoli graffi. Nemmeno ci faccio troppo caso. Ma le maledizioni per tutto il piano continuano a farsi sentire.
    La creatura guizza e si muove rapida, troppo, vola da ramo a ramo cercando un rifugio. Sfodero la bacchetta, pronuncio una formula e il legno su cui si è posata sembra diventare liquido come mercurio, le piante crescono, la corteccia si piega alla mia volontà e si avvinghia come un’onda scricchiolante sulla figura alata. Lento. Troppo. Sto cominciando a perdere colpi. Il serpente alato mi guarda per un istante con quello che sembra uno sguardo di scherno e di disprezzo prima di sguisciare oltre la gabbia che ho provato a creargli addosso. Un altro incantesimo solca l’aria, di nuovo si allontana. Maledizione.
    La caccia riprende, a tratti una corsa in mezzo ai boschi per cercare di guadagnare terreno, in parte provo a muovermi in mezzo ai rami secchi con la poca grazia che riesco a racimolare. Gli stivali, sporchi di fango e d’erba, spezzano un ramo. I pantaloni militari si incastrano in mezzo agli alberi. Poco importa che la camicia che indosso sia del colore del fuoco: ogni volta che mi muovo, l’Occamy si volta verso di me. Un gigante in un negozio di sfere di cristallo, impossibile da non notare.
    Ma si sta allontanando dagli alberi, dal nucleo dei boschi dove poteva sfruttare la copertura delle fronde degli alberi e i tronchi a suo vantaggio, dalle radici e dai rami e dai rovi che hanno reso avanzare all’interno e seguirlo un inferno in terra. Ed è in quel momento che decido di agire. Di nuovo muovo la bacchetta, di nuovo bagliori di energia dorata fanno esplodere la corteccia degli alberi, dita legnose si fanno avanti per intrappolarlo. Evita il primo, il secondo, guizza in avanti, e a quel punto lascio perdere la bacchetta e ogni possibile e complicato incantesimo, mi butto anche io contro di lui, mani aperte, incurante del terreno sempre più vicino.
    «Preso»
    Mi lascio sfuggire a fine di quella piccola scivolata sull’erba. Digrigno i denti, stringendo al petto il piccolo, almeno per adesso, serpente dalle piume del colore delle viole e dalle scaglie che riflettono la luce che filtra dalle fronde degli alberi in un caleidoscopio di blu e turchesi e lascio un sospiro di dolore e di sollievo. Lui non è felice, continua a dimenarsi nella mia stretta e prova a mordermi per liberarsi.
    «Giuro che non ce l’ho con te… Ahia! E piantala. Per cinque minuti puoi rimanere-»
    Non finisco la frase, smetto di rimproverare il serpente dal becco d’uccello che continua a tenere le zanne attaccate al mio orecchio e che continua a scuotere la testa come se volesse staccarmelo. Perché di colpo mi rendo conto che qualcosa di più pericoloso di un serpente piumato troppo cresciuto, si trova di fronte a me. Gli occhi mettono a fuoco la punta della freccia, poi la figura dell’arco e infine quella della ragazza che lo tiene in mano. Familiare. Troppo. Da riportare alla mente tutti quei ricordi che invece dovrebbero rimanere ben sepolti in un passato di cui non faccio più parte.
    «Rose? »
    È la prima cosa che mi viene da dire, prima di rendermi conto dell’errore. Familiare, forse, ma diversa. Troppo adulta, troppo donna per essere davvero Rose. Ma comunque abbastanza da rendere gli occhi lucidi, non solo per il fastidio della creatura che sta cercando di staccarmi un orecchio a morsi.
     
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    Joanne Nilsson
    Densiriana | 24 anni
    Non si poteva stare più in pace neanche nei boschi? Cavolo, oramai quell'isola, da quando avevano aperto Hidesntone era diventata un porto di mare, con troppe persone e sopratutto troppe persone di altri posti che non facevano altro che NON rispettare le loro tradizioni ed abitudini. Possibile che tutto quello doveva succedere proprio mentre lei aveva deciso di rilassarsi? Quando vide quell'uomo con quella creatura in mano tese ancora meglio la freccia nell'arco e poi aspettò che lui si rendesse conto di lei e sgranò gli occhi quando lui disse quel nome. Ed adesso chi diavolo era Rose? Ci mise almeno un 2 minuti pieni ed intensi prima di abbassare l'arma da davanti all'uomo e concentrarsi sulla creaturina che aveva tra le braccia. Perchè mai devi catturarla? Chiese poi quasi indignata. Si, Joanne era molto connessa con la natura e tutto quello che l'abitava, credeva molto nella magia verde e forse era anche la sua passione! Ovviamente era difficile studiare da sola cose così complesse e complicate, ma infondo non aveva alternativa, non era diplomata figurarsi se poteva chiedere di iscriversi ad Hidenstone, quando alla sua età i ragazzi si prendevano la specialistica. Ecco un altro motivo per il quale lei era profondamente arrabbiata. Odiava sentirsi inferiore o di meno a qualcuno e sapere che un qualsiasi ragazzino londinese o di qualsiasi altra parte del mondo poteva studiare solamente perchè era ricco, la facevano sentire davvero, ma davvero frustrata. Posò l'arco per terra e rimise la freccia nella feretra e poi si portò le ginocchia verso il petto. La curiosità era donna e Joanne aveva capito che quel tizio non era pericoloso. Da cosa lo aveva percepito? Dal fatto che aveva un serpente alato tra le braccia, e gli occhi lucidi dopo aver pronunciato quel nome. Chi è Rose? Forse era saggio tenere per se stessa il suo nome? Si, era possibile, infondo i densieriani non spiccavano per fiducia verso il prossimo quindi decise che forse si sarebbe presentata a lui solamente dopo essere certa che non fosse realmente pericoloso o comunque dopo che lui si sarebbe presentato a lei. E cosa ci fai qui con un serpente alato? Perchè non puoi lasciarlo libero? Chiese ancora desiderando di avere quell'animaletto intorno. Avrebbe veramente voluto un animale da compagnia, ma no, non poteva permettersi neanche quello.
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    May
    Qualcuno poteva dire che, dopo anni al Ministero, a lavorare con le creature bisognava farci l’abitudine. Questo non toglie il fatto che quando un Occamy decide di volerti rovinare la giornata, ogni giorno passato fra le mura sotterranee del palazzo di Londra potesse davvero aiutare. Mentre, a terra, tengo sott’occhio la freccia e la ragazza con l’arco che sembra pronta a scoccarla e piantarmi il proiettile in mezzo alla fronte, allo stesso tempo provo delicatamente a liberarmi della creatura. O quantomeno di allontanare le piccole affilate zanne dalla mia faccia. Un rivolo di sangue ha preso a scorrere dal lato della fronte e sta inzuppando la camicia, ogni volta che il piccolo serpente alato strattona l’orecchio, un altro fiotto vermiglio si mescola alla polvere e al sudore.
    «Ahia-e molla… In realtà- scusa un attimo, ti dispiacerebbe darmi una mano? Giuro che se non ti togli… no, non sto parlando con te, scusa»
    Le dita vanno delicatamente al muso dell’animale, cercando di forzare le piccole fauci aperte mentre con l’altra mano tengo fermo il corpo sinuoso e dalle scaglie luminescenti. Non doveva andare in questo modo. Avrei dovuto creare una gabbia più piccola così che potesse rintanarsi all’interno e aggiustasse le sue dimensioni così da non poter essere un problema (sia per me che per il trasporto). E invece mi ritrovo qui, in mezzo ai boschi, su un’isola dai confini incerti e con una piccola creatura che continua a divincolarsi e cercare di liberarsi di me.
    «Non devo catturarlo -ahia, grazie, visto che potevi lasciare la presa senza problemi? Non voglio farti del male ma devi stare tranquillo ok?»
    Rivolgo maggiore attenzione alla creatura che alla ragazza, mentre lentamente mi metto prima in ginocchio e poi provo a rialzarmi in piedi. Non così facile quando entrambe le mani sono bloccate e un serpente continua a sguisciare e scivolare via, con le ali che sbattono e si muovono ovunque. Senza lasciarlo mai davvero, ficco una mano in tasca e prendo una manciata di esche da un pacco accartocciato là dentro.
    «Su! Hai fame? Visto? Non voglio farti del male-ahia-»
    Si avventa, la creatura, contro le mie dita, di nuovo spillando sangue, di nuovo piantando le zanne aguzze nella carne nel tentativo di afferrare bocconi di cibo dalla mia stretta. Scatta in avanti, come un serpente, come la sua natura suggerirebbe, ancora incapace di fidarsi del tutto. Non posso che dargli ragione: nemmeno io mi fiderei di un gigante che mi sta stringendo fra la sua stretta e continua a borbottare in una lingua che non comprendo.
    Sollevo lo sguardo sulla ragazza, uno sguardo mesto e carico di scuse.
    «Non- spero di non essere entrato in una zona protetta. O di averti disturbato»
    Abbasso lo sguardo però quando la domanda arriva. Di nuovo, un’immagine si fa largo nella mente. Un’altra scoccata dolorosa. Quasi come se quella freccia l’avesse davvero scagliata, anche senza rendersene conto. Lascio che l’Occamy continui a prendere, di tanto in tanto, qualcosa da mangiare dalle mie dita però.
    «Rose era… è…»
    Mi domando come potermi riferire a lei a questo punto. Una parte di me vorrebbe continuare a pensare che sia parte della mia vita. Una speranza rimane, solitaria, un minuscolo punto di luce. Una stella in un cielo senza altri astri che brillino. Il resto di me vorrebbe solo accettare che ci sono cose che non possono cambiare davvero, e che una volta lasciate, dovrebbero rimanere nel passato per sempre.
    «Una persona che faceva parte della mia vita. Non più. Scusa. Pensavo… Lascia perdere»
    Risollevo appena lo sguardo, comincio a riflettere sul fatto che la ragazza ha ancora fra le mani l’arco, sebbene non lo abbia più puntato contro di me. Mi domando cosa ci volesse fare, perché di tutti i modi per difendersi, abbia scelto proprio quello. E, soprattutto, se non volesse davvero usarlo contro di me. La bacchetta è a terra, il legno abbandonato in mezzo all’erba e ai sassi e al terriccio, ma per il momento la ignoro, concentrato sul tenere il più possibile fermo e tranquillo l’animale che continua ad attorcigliarsi intorno alle mie dita e ad arruffare le piume con fare stizzito.
    «Spero quello non lo volessi usare contro di lui. O me. »
    Una sorta di domanda, più una affermazione che nasconde il mio vero interrogativo: cosa ci fa, una ragazza come lei, in mezzo ad un bosco con un arco?
     
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    Joanne Nilsson
    Densiriana | 24 anni
    Era strano quell'omo e sicuramente non era di denrise. Alla fine a Denrise si conoscevano tutti, almeno quelli che erano nati e vissuti da sempre li e che, come lei, non avevano nessuna voglia di vivre in un altro posto. In verità lei avrebbe voluto viaggiare e vedere altre isole, aletre grotte, altri boschi ed un altro oceano, ma non avrebbe mai considerato casa nessun altro posto se non quell'isola. Era veramente una sensazione strana e comunque Joanne era una densieriana belle e buona e quindi rimase li ad osservare i movimenti maldestri di quell'uomo e quelli decisi del serpente alato. Cercò di aiutare la persona di fronte a se? Assolutamente non ne aveva intenzione come non aveva intenzione di preoccuparsi del sangue che scorreva di tanto in tanto da per tutto mentre l'Occamy con il suo becco faceva sentire la sua presenza e la sua voglia di libertà. Alzò il sopracciglio a quello strano dialogo e scosse il capo per dissentire varie volte. Si sa che sono delle creature schive e che non gli piace essere avvicinate ne tanto meno controllate.Si può sapere cosa ci fai con un Occamy in mano, con quel fare maldestro e sopratutto a Denrise? Era piuttosto indispettita non solo perchè era chiaro che quell'animale non volesse stare con lui, ma anche perchè era uno straniero e come tale non aveva nessuna intenzione di farlo girovagare per la sua isola ancora per molto. A stento cercava di sopportare quei dannatissimi moccisi dell'accademia che facevano solo chiasso e rompevano solamente le scatole per il bosco dalla mattina alla sera, adesso era diventato il luogo turistico per eccellenza dei londinesi? Che palle. Alzò gli occhi al cielo e poi decise di stendersi di nuovo, esattamente come stava prima prima di sbuffare sonoramente. Tornò seduta portandosi le ginocchia verso il petto e poi alzò un sopracciglio. Come ti chiami? Chiese curiosa osservandolo. Era un uomo da un'aspetto gradevole, aveva delle spalle possenti, un fisico niente male. Ma sembrava che il suo animo non rispecchiasse proprio il suo fisico, ed infatti quando l'uomo parlò di quella Rose, Joanne fece un piccolo ghignetto. Era la tua fidanzata ed è morta? Beh, era chiaro che da brava densiriana, neanche bene istruita, la sua grazia e delicatezza era stata donata generosamente ad un'altra ragazza. Non gli voleva far del male, era solamente molto curiosa. Poi ridacchiò per la sua domanda. Non farei mai del male ad una creatura tanto bella. Per quanto riguarda te, il male che riesco a farti è proporzionale a quello che vuoi fare tu a me. Quindi se non rompi le scatole a me, io non farò niente a me. Inoltre... dovresti considerare di prendere davvero qualcosa di chiuso, se no l'Occamy ti scapperò di nuovo! Aggiunse poi scuotendo il capo. Aveva letto di quella creatura in uno dei suoi libri e ne era veramente affascinata. lo aveva visto in quel momento per la prima volta dal vivo e il suo sguardo, ogni volta che si posava su quelle piume che sembravano essere così soffici, era tra il meravigliato, il timoroso e l'affascianto. Finalmente si decise ad alzarsi. Posso? Chiese avvicinandosi a quella che doveva essere una gabietta media. Magari aveva l'occasione di toccarlo e non solo di guardare una sua immagine su di un libro.
    RevelioGDR
     
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4 replies since 22/4/2020, 21:12   77 views
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