Qualcuno poteva dire che, dopo anni al Ministero, a lavorare con le creature bisognava farci l’abitudine. Questo non toglie il fatto che quando un Occamy decide di volerti rovinare la giornata, ogni giorno passato fra le mura sotterranee del palazzo di Londra potesse davvero aiutare. Mentre, a terra, tengo sott’occhio la freccia e la ragazza con l’arco che sembra pronta a scoccarla e piantarmi il proiettile in mezzo alla fronte, allo stesso tempo provo delicatamente a liberarmi della creatura. O quantomeno di allontanare le piccole affilate zanne dalla mia faccia. Un rivolo di sangue ha preso a scorrere dal lato della fronte e sta inzuppando la camicia, ogni volta che il piccolo serpente alato strattona l’orecchio, un altro fiotto vermiglio si mescola alla polvere e al sudore.
«Ahia-e molla… In realtà- scusa un attimo, ti dispiacerebbe darmi una mano? Giuro che se non ti togli… no, non sto parlando con te, scusa»
Le dita vanno delicatamente al muso dell’animale, cercando di forzare le piccole fauci aperte mentre con l’altra mano tengo fermo il corpo sinuoso e dalle scaglie luminescenti. Non doveva andare in questo modo. Avrei dovuto creare una gabbia più piccola così che potesse rintanarsi all’interno e aggiustasse le sue dimensioni così da non poter essere un problema (sia per me che per il trasporto). E invece mi ritrovo qui, in mezzo ai boschi, su un’isola dai confini incerti e con una piccola creatura che continua a divincolarsi e cercare di liberarsi di me.
«Non devo catturarlo -ahia, grazie, visto che potevi lasciare la presa senza problemi? Non voglio farti del male ma devi stare tranquillo ok?»
Rivolgo maggiore attenzione alla creatura che alla ragazza, mentre lentamente mi metto prima in ginocchio e poi provo a rialzarmi in piedi. Non così facile quando entrambe le mani sono bloccate e un serpente continua a sguisciare e scivolare via, con le ali che sbattono e si muovono ovunque. Senza lasciarlo mai davvero, ficco una mano in tasca e prendo una manciata di esche da un pacco accartocciato là dentro.
«Su! Hai fame? Visto? Non voglio farti del male-ahia-»
Si avventa, la creatura, contro le mie dita, di nuovo spillando sangue, di nuovo piantando le zanne aguzze nella carne nel tentativo di afferrare bocconi di cibo dalla mia stretta. Scatta in avanti, come un serpente, come la sua natura suggerirebbe, ancora incapace di fidarsi del tutto. Non posso che dargli ragione: nemmeno io mi fiderei di un gigante che mi sta stringendo fra la sua stretta e continua a borbottare in una lingua che non comprendo.
Sollevo lo sguardo sulla ragazza, uno sguardo mesto e carico di scuse.
«Non- spero di non essere entrato in una zona protetta. O di averti disturbato»
Abbasso lo sguardo però quando la domanda arriva. Di nuovo, un’immagine si fa largo nella mente. Un’altra scoccata dolorosa. Quasi come se quella freccia l’avesse davvero scagliata, anche senza rendersene conto. Lascio che l’Occamy continui a prendere, di tanto in tanto, qualcosa da mangiare dalle mie dita però.
«Rose era… è…»
Mi domando come potermi riferire a lei a questo punto. Una parte di me vorrebbe continuare a pensare che sia parte della mia vita. Una speranza rimane, solitaria, un minuscolo punto di luce. Una stella in un cielo senza altri astri che brillino. Il resto di me vorrebbe solo accettare che ci sono cose che non possono cambiare davvero, e che una volta lasciate, dovrebbero rimanere nel passato per sempre.
«Una persona che faceva parte della mia vita. Non più. Scusa. Pensavo… Lascia perdere»
Risollevo appena lo sguardo, comincio a riflettere sul fatto che la ragazza ha ancora fra le mani l’arco, sebbene non lo abbia più puntato contro di me. Mi domando cosa ci volesse fare, perché di tutti i modi per difendersi, abbia scelto proprio quello. E, soprattutto, se non volesse davvero usarlo contro di me. La bacchetta è a terra, il legno abbandonato in mezzo all’erba e ai sassi e al terriccio, ma per il momento la ignoro, concentrato sul tenere il più possibile fermo e tranquillo l’animale che continua ad attorcigliarsi intorno alle mie dita e ad arruffare le piume con fare stizzito.
«Spero quello non lo volessi usare contro di lui. O me. »
Una sorta di domanda, più una affermazione che nasconde il mio vero interrogativo: cosa ci fa, una ragazza come lei, in mezzo ad un bosco con un arco?