Jessica Veronica Whitemore
Black Opal | 17 anni | II anno
Quella situazione era a dir poco assurda. Per lei era davvero difficile pensare che una ragazza apparentemente forte come Lilith Clarke, potesse crollare in quel modo. La prima volta che si erano viste, a luglio, le era sembrata quasi invincibile, incapace di provare sentimenti devastanti come quello che stava provando. Era evidente che ci fosse qualcosa di davvero grave sotto, ma Jessica non aveva la minima intenzione di indagare, di pressare la ragazza già fin troppo fragile. Non voleva rivangare ancora di più quelli che sicuramente sarebbero stati ricordi indelebili. Certo, era curiosa, voleva sapere cosa turbasse la riccia per poterla aiutare meglio, ma al contempo voleva che si distraesse, che pensasse ad altro. Fortunatamente ora erano sedute, lontane da quelle forbici che avrebbero potuto porre fine alla vita di una giovane ragazza che non aveva fatto nulla di male per meritarselo. Jessica non avrebbe mai permesso che le accadesse qualcosa. Era vero. Non erano mai state amiche, però... solo per questo doveva lasciarla abbandonata a sé stessa? Non esisteva.
Era congelata. Il prossimo passo sarebbe stato prenderle una coperta. Ma non poteva certo andare in cerca di una coperta e lasciarla lì; dio solo sa cosa avrebbe potuto fare, una volta sola. Aveva guardato accuratamente che non vi fossero altri oggetti contundenti come le forbici, ma nella disperazione qualsiasi cosa sarebbe potuta diventare una potenziale arma... e Jess non voleva assolutamente che ciò accadesse. La guardò, addolcendo ulteriormente il suo sorriso. Sshh non scusarti sussurrò, senza smettere di accarezzarle il dorso della mano. E mentre la guardava, così, inerme, non poté far a meno di sentire montare la rabbia. Chi aveva osato ridurre una ragazza in quel modo? Qualunque cosa fosse successa, doveva essere stato terribile oltre ad ogni sua immaginazione. Sapeva solo che c'entrava il rapimento, ma non sapeva cosa fosse successo durante esso. Ma una cosa era certa: era tutta colpa di Naga. Quella strega aveva fatto soffrire fin troppe persone, tutti loro ci erano andati di mezzo. Non poteva accettare una cosa del genere, soprattutto non con il suo carattere. Non gliene fregava nulla di ciò che diceva Blake, se Naga fosse tornata, sarebbe scesa a combatterla ancora. Non sarebbe rimasta a guardare i suoi amici che rischiavano la vita. Anche la sua mano era gelida, constatò quando la afferrò delicatamente un'altra volta, riprendendo ad accarezzarle il dorso. Annuì alla sua richiesta. Sì, qualcosa di caldo sarebbe stato perfetto. Magari un té o una cioccolata ed una bella coperta. Fu stupita quando fu Lilith stessa a ricercare il contatto con lei nuovamente, ma Jessica non rifiutò e, anzi, le strinse di più la mano. Sempre senza farle male, ma cercando di infonderle un po' di calore. Va bene, ho un'idea disse, decisa, prima che le successive parole della dioptase la facessero fermare. Si stava per alzare e condurre la ragazza in un luogo particolare: la Stanza delle Necessità. Ma quella domanda la fece esitare. Perché la stava aiutando, voleva sapere. Tornò a puntare il suo sguardo scuro su quello di lei.
Cercò di pensare velocemente alla risposta. Non ci deve essere per forza un motivo, Lil proclamò, a voce bassa. L'aveva chiamata "Lil" quasi senza accorgersene, come se fossero amiche da tempo. Ma in quel momento che importanza aveva? Come dicevo prima, non siamo partite col piede giusto. Ricordi? Mi hai lanciato un bicchiere d'acqua! esclamò, ridacchiando e sperando che il ricordo la facesse sorridere almeno un po'. Ma non per questo vedendo una ragazza che sta male, io mi tiro indietro. Sei la ragazza del mio migliore amico, sei una mia compagna di scuola, stai male... insomma, puoi scegliere il motivo che preferisci, ma lo sto facendo soprattutto perché odio vederti così, odio che tu stia soffrendo qui da sola senza nessuno, odio chiunque abbia causato tutto questo... e vorrei che, adesso, provassimo ad essere amiche. Forse il suo discorso non aveva troppo senso, ma sperava che Lilith capisse ugualmente cosa voleva dire. Adesso, però, vieni con me. Le strinse nuovamente la mano e si alzò. Se lei l'avesse seguita senza mollare la sua mano, l'avrebbe condotta lungo quegli ampi corridoi, poi su per le scale fino ad arrivare a quel muro apparentemente normale che era, in realtà, l'ingresso della Stanza. Si fermò e chiuse gli occhi, cercando di visualizzare ciò che voleva. Dopo qualche secondo li riaprì e spinse quelle porte che erano apparse davanti a loro. Camminò all'interno della stanza che si era creata, sempre tenendo la mano alla riccia (se lei l'avesse seguita). Si sarebbero ritrovate in una stanza non troppo grande, circa delle dimensioni dei loro dormitori. Al centro, spiccava un enorme camino di mattoni con un fuoco che scoppiettava allegro, pronto a riscaldare chiunque vi si sedesse vicino. Davanti al caminetto vi erano due poltrone ed un divano con tre cuscini e una enorme coperta. Le pareti erano di una tonalità di azzurro molto calda e accogliente; per finire vi era un basso tavolino con posati sopra dei fazzoletti e due thermos: uno di cioccolata calda e l'altro di tè caldo. Avrebbe condotto Lilith verso il divano, facendola sedere. Avrebbe poi preso la coperta, avvolgendogliela attorno alle spalle. Poi avrebbe versato una tazza di cioccolata e una di té in modo che la dioptase scegliesse ciò che voleva, infine si sarebbe seduta su una poltrona. Allora, cosa ti va di fare? chiese, tranquillamente e senza perdere il suo sorriso rassicurante.