E' negli occhi che rimarrai come se fossi l'unica al mondo.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Ametrin
    Posts
    549
    Reputation
    +223

    Status
    🗲

    Lucas Jughed Jones
    stat - sche - cron - amet
    ★ ★ ★
    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    16 Novembre 2019 - Londra Babbana - Campagna
    Erano passati sedici giorni da quella orrenda notte e Lucas ancora non credeva ai suoi, ogni mattina, ritrovandosi Elisabeth Lynch di nuovo in classe.
    Aveva passato l'inferno, il suo mese di assenza era pesato sulle sue spalle come fossero anni e anni di lontananza.
    E quando era riuscito ad averla tra le braccia, aveva notato la sua incertezza, la sua indecisione. Eppure non aveva mollato, non l'aveva lasciata un attimo sola, accompagnandola più volte a studiare, seppur lui si addormentasse sui libri, visto che la notte non riusciva a chiudere occhio.
    Poi... quella lezione di Incantesimi gli aveva dato una grande botta al petto, tanto che aveva smosso in lui sentimenti strani: gelosia? Odio? Rammarico? Panico?
    Forse un mix di tutti questi, che avevano portato il ragazzino a spingersi da lei, una sera, chiedendole di passare un weekend fuori, con lui.
    Le aveva proposto di andare con lui a Londra, le aveva parlato della casa dei nonni, costruita negli ultimi anni con i soldi di non voleva sapere nemmeno quale merce, ma pur di averlo a casa, gli avevano fatto fare una piccola dependance, alle spalle della villa, così da poter fingere di vivere da solo, nella loro stessa proprietà.
    Non la usava tanto, giusto quelle volte che tornava per le vacanze obbligate, ma quello gli sembrava un ottimo modo per dare un senso a quella casa.

    Non era a Londra città, bensì spostata verso la campagna, in un verde immenso che si stagliava tra il giallo dei campi ormai secchi.
    Durante il viaggio in treno, aveva dormito sulla spalla di Elisabeth, perché era l'unico modo per recuperare il sonno, avendola accanto e non riuscì a restare più di tanto sveglio. Era consapevole che questo non avrebbe sicuramente aiutato a cancellare le sue occhiaie, ma almeno poteva restare sveglio una volta arrivati a casa.
    Non aveva molta voglia di vedere i nonni, soprattutto il nonno, ma pur di stare un pochino da solo con Elisabeth, avrebbe lottato anche contro quella sua scarsa volontà di tornare in casa Jones.
    Quando arrivarono a Londra, presero un bus non troppo distante dalla stazione «Ehi, ti avevo detto che non era in città, ma spero che ti piaccia lo stesso...» gli disse avvicinandosi alle sue spalle, mentre la folla cercava di dividerli. Provò a cingere un fianco alla ragazza, da dietro, se glielo avesse permesso, senza premere lì dove c'era la ferita. E, poggiando le labbra sulla sua testa, le avrebbe lasciato un caldo bacio, sempre se non si fosse spostata.
    «Sei pronta a vivere un briciolo della vita di Lucas Jones?» lo disse con ironia, tirando su la spalla del suo zaino, con quel sorriso di sbieco che tanto lo caratterizzava, e quel ciuffo che veniva fuori dal solito cappellino.
    Lui non era affatto pronto a mostrargli quella parte di vita che lo assillava, ma questo significava tenerla fuori da troppo e ... lei doveva sapere. Lei doveva rendersi conto dell'inferno che c'era dietro il suo volto.
    Probabilmente sarebbe scappata, non avrebbe potuto sopportare un mezzo-babbano, lo avrebbe mandato via... ma lui aveva tentato veramente di tutto per poterle far capire quanto lei fosse importante per lui.
    Ed oggi, era un'altra piccola pietra, che veniva aggiunta a quello che era la base di tutto il loro rapporto, non ancora ben definito.
    Sul volto di Lucas era facile riconoscere ansia, nervoso e terrore. Un misto di sensazioni che stavano mangiandogli lo stomaco «Ho detto ai miei nonni di non disturbarci. Ci hanno fatto un po' di spesa, quindi ti toccherà mangiare cose cucinate da me, ti avviso... non sono certo un favoloso cuoco.» lui si sminuiva sempre, non passava un solo attimo a non farlo.

    Il viaggio da Londra alla villa non durò più di quindici minuti e fu quando scesero, che Lucas tirò un grande respiro profondo. «Da questa parte...» allungò la mano verso di lei, e se glie l'avesse data avrebbe preso una stradina di campagna dai confini ben delimitati, di brecciolina «E' la strada esterna, non mi va di passare dal cancello principale, magari dopo se avrai voglia ti porto a fare un giro per la villa. Ma non è niente di che, davvero...» sperava che Elisabeth non gli chiedesse che lavoro facesse il nonno, perché sarebbe stato difficile spiegarlo.
    Al termine di quella stradina, vi era un piccolo cancelletto di legno, ben curato, laccato di bianco. Lucas lo aprì, ficcando una mano all'interno e davanti ai loro occhi si aprì la scena sulla dependance.

    178310_3_800x600


    Lasciò in terra i suoi bagagli e su una sedia in quel giardino, le valige di Elisabeth che si era offerto di portare per tutto il viaggio «Beh, che dire... Welcome, Liz...» sorrise ancora e aprì le braccia sulla piscina che nonostante l'autunno era pulita e sembrava provvenire da essa dei vapori «Sì, l'acqua è riscaldata. Mia nonna è fissata... piscine, bagni turchi... fontane...» scrollò le spalle, come se non avesse voglia di proseguire la questione nonna, e andò dritto verso la porticina, quindi l'aprì.
    L'ambiente era arredato in maniera moderna, dove le tonalità che venivano risaltate erano il nero, il grigio e il bianco: una cucina, ambiente unico con un soggiorno con un divanetto tre posti grigio, con davanti un tavolino; guardando verso il retro della casa, vi era un piccolo giardino-veranda, con le porte a vetro, così da avere più luminosità, per il freddo era stato montato un gazebo di legno con delle luci delicate, dentro delle lanterne, spente ora che era giorno x.
    Lucas le fece fare il giro della casa, presentadogliela «Per le camere... beh, ce ne sono due, entrambe con il bagno. Una è matrimoniale, l'altra è una singola.» si toccò dietro la nuca, con fare imbarazzato e come se volesse dirle altro «Ovviamente ... te le faccio vedere, ok? Puoi-- puoi scegliere di dormire dove vuoi... io... per me sarà uguale, possiamo.. organizzarci come preferisci, capisco che... insomma, dopo notti nel dormitorio, vorrai una camera tutta tua... e.. beh chi sono io per negartelo?» rise imbarazzato, scrollando le spalle e aprendo dapprima la porta della matrimoniale x con una libreria piena zeppa di libri, na scrivania con sopra carte, penne e inchiostro e una macchina da scrivere vecchio modello, con un foglio infilato dentro. Essa era munita anche di un grande bagno. Poi la portò nella seconda camera, un po' più piccola, ma comunque accogliente, arredata esattamente come la matrimoniale, ma solo con per una sola persona e un bagno piccolo.
    Scrollò lo spalle «Credo che io ti abbia fatto vedere tutto... cosa... cosa... vuoi sistemare la tua roba in camera? Se mi dici quella che scegli ti porto dentro io, tutto», sorrise cercando di scappare da quella situazione di imbarazzo.
    Non aveva mai portato nessuno in casa dei nonni, né nella sua dependance.
    code © psiche
     
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Black Opal
    Posts
    1,200
    Reputation
    +323
    Location
    Holyhead, Galles

    Status
    🗲
    barbara_palvin_fashion_model-1920x1200



    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    La settimana stava volgendo finalmente al termine. Le era sembrata lunga, insidiosa, come se in quei sei giorni fosse successo tutto quello che sarebbe stato meglio vivere in un arco temporale più lungo, se non di anni almeno di mesi. Il lunedì era stato il giorno delle tensioni tra tre persone per cui nutriva un affetto profondo ed in misura diversa, presentando coalizioni del tutto inedite: Lucas e Blake contro Joshua. Lei avrebbe soltanto voluto andarsene e non sorbire quell'astio che sapeva essere frutto delle sue azioni. Azioni che l'avevano condotta il giovedì sera, dopo giorni di silenzi, rancori e frustrazioni, tra le braccia di Ben. Un attimo che si erano ritagliati in tutto quel caos che era la sua vita capace di farla stare bene oltre a farle comprendere qualcosa in più sul ragazzo che l'aveva stuzzicata per anni. Aveva ragionato solo con metà del suo cuore, lasciandosi andare ad istinti che non credeva di possedere. L'aveva baciata e l'aveva ricambiato; l'aveva stretta forte a sé e lei non era stata da meno. Se solo fosse stato possibile avrebbe preferito vivere quel singolo istante a lungo, senza le conseguenze che ingenuamente aveva creduto di poter mantenere sotto controllo. Quando era rientrata nel dormitorio, con la divisa ed i capelli umidi per la pioggia che li aveva colti impreparati sull'osservatorio astronomico, si era fissata allo specchio, senza però riuscire a riconoscersi. Da quando era diventata una traditrice? Seppur era vero che tra lei e Jug non era stato proferito nulla sulla tipologia di relazione che condividevano, si sentiva a disagio nel vedere quel viso arrossato, le labbra morbide per quei baci voraci e non che Evans si era preso dopo un'attesa di anni. Non era però pentimento quello che scorgeva nel riflesso del suo sguardo ceruleo, ma smarrimento con un punto di domanda che invece di dissiparsi era cresciuto ancor di più.
    Il giorno dopo, se possibile, fu ancor peggiore. Da una parte il sorriso sghembo di Joshua, con le sue parole a rimbombarle nella testa su come avrebbe scelto lei, dall'altra la vicinanza di Lucas carica di aspettative e di una proposta: un fine settimana a Londra. L'aveva chiesto il mercoledì sera e lei si era resa conto solo il venerdì a cena di come il giorno seguente avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio in solitaria con il ragazzo. Il momento di parlare a cuore aperto anche con Jones era arrivato, ma non sapeva se il ragazzino sarebbe stato comprensibile ed aperto come invece Joshua aveva dimostrato di essere.

    Un maglioncino di lana grigio perla, un paio di jeans neri strettissimi, un chiodo di pelle nero come la borsa e gli anfibi che indossava per quel viaggio che sarebbe stata una vera e propria traversata. L'aveva seguito, trascinandosi dietro un piccolo trolley scuro e rigido, dapprima su una galera dei predatori denrisiani che li aveva accompagnati ad una piccola cittadina sulla costa gallese, quasi al confine con la Scozia, e successivamente su un treno che li aveva portati nella capitale. Si era sentita irrequieta, con le mani che fredde venivano torturate, mentre fissava il panorama sfrecciare veloce da quel finestrino e la testa di Jug posata mollemente sulla sua spalla. Si sentiva sporca. Avrebbe voluto tanto parlargli sin da quando avevano messo piede sull'imbarcazione, ma aveva avuto paura di una eventuale reazione incandescente stile Blake Barnes; sul treno non erano stati da soli e neanche sul bus che dalla stazione li avrebbe portati nella casa dei nonni. Man mano che si avvicinavano alla destinazione finale sentiva l'ansia crescerle, insieme ad un forte senso di nausea. c-certo che mi piacerà! Ed un'altra fitta venne avvertita in tutto il corpo. Sarebbe stata lei a non piacergli più. E ne era ancora più convinta quando sentì le sue labbra posarsi sulla sua fronte mentre erano in piedi su quel bus extraurbano. Tu cucini? Era sempre una sorpresa quel ragazzo, così poco pieno di sé, preferendo sminuirsi che mettere in mostra tutte le sue qualità come invece era solito fare il suo migliore amico.
    Una volta scesi alla fermata prenotata dall'ametrino, la Lynch si lasciò andare ad un pesante sospiro, prima di seguirlo trascinandosi il suo trolley. Quello che aveva rimandato per tutta la giornata del viaggio, era infine arrivato. Lo seguì in silenzio, lasciando la sua mano nella sua, annuendo alle sue parole, mentre il rumore delle suole sulla brecciolina accompagnava ogni singolo passo. Ma è bellissimo! Un'espressione di stupore si dipinse sul suo viso dopo che superarono il cancelletto di legno bianco, rivelando una piscina che, in altri tempi, avrebbe guadagnato con ancora i vestiti addosso, delle sdraio e un grande ombrellone bianco ed una piccola casetta con il tetto a spiovente ricoperto di tegole. Era un posto bellissimo, immerso nella natura e che avrebbe apprezzato ancor di più se il suo umore fosse stato diverso. Oh, non ho portato il costume... Sussurrò imbarazzata quando l'altro le rivelò che non fosse una piscina del tutto comune. Lo seguì in quello che si rivelò un piccolo tour di una depandance grande, dotata di tutti i comfort per viverci in due. Tutto era curato nei minimi dettagli e la Lynch non poté che dirsi stupita. Amava il contrasto del bianco con lo scuro del legno e dovette ammettere che la zona più bella di quella piccola villetta era la camera da letto con un panorama da far invidia ogni qual volta si sarebbero aperti gli occhi. Per quanto apprezzasse tutto, sentiva un lieve disagio in quella scelta che avrebbe dovuto compiere, una scelta che avrebbe avuto delle ricadute pesanti su tutto. Io... recuperiamo i bagagli prima, okay? Uscì per prima da quella camera singola, tornando nel giardino principale per prendere il suo bagaglio e dirigersi verso la camera matrimoniale, avrebbe seguito anche lì, per quel fine settimana il suo istinto.
    Avrebbe posato quel trolley in un angolo, in modo tale da non intralciare il passaggio, dirigendosi poi verso quel letto sedendosi sulla sporgenza di legno che fungeva come base a quel materasso terribilmente comodo. Avrebbe voluto tanto rimandare, affrontare solo alla fine di quella che aveva tutta l'aria di essere una fuga romantica, ma lei non era così. Lei voleva dirgli la verità, perché se lo meritava, perché sapeva che quello che sarebbe successo quel sabato avrebbe cambiato la sua vita per sempre, in un modo o nell'altro. Dobbiamo parlare.

    Attese che il ragazzo occupasse il posto al suo fianco, posando un ginocchio aperto sul talamo e bloccandolo per la caviglia con il ginocchio della gamba sinistra. Promettimi che mi lascerai parlare... Avrebbe cercato le sue mani, mentre il suo viso diventava sempre più una maschera di dolore. Non voleva ferirlo. Non voleva che quel sorriso sul volto venisse meno per colpa sua. Non voleva tutto quello. Eppure, lo aveva fatto...
    Decise di iniziare dal principio, così come aveva fatto con Evans. Il giorno che... il giorno che mi hanno rapita, prima di venire da te ero andata in biblioteca per studiare. Deglutì, cercando di non perdere un filo logico e cronologico di tutti quegli eventi che l'avevano segnata in brevissimo tempo. Ehm... lì c'era Joshua. Fu strano pronunciare quel nome per intero, quando per lei -e solo per lei- era ormai Ben. Gli piaccio, da anni... Lo sputò fuori, abbassando lo sguardo e concentrandolo su quelle mani unite, sempre se lui non le avesse sottratte. Io credevo che fosse un altro dei suoi stupidi scherzi, ma... quando mi ha trovato, nella foresta, io... Prese tempo, con un sospiro, mentre sentiva gli occhi inumidirsi. Ho capito che fosse vero. E quel pensiero si era rafforzato a lezione dell'Ivanova, quando aveva riunito il biennio, con Josh che era esploso nel rinfacciarle di Lucas, lo stesso ragazzo che ora non aveva il coraggio di guardare in faccia. Aveva paura di trovarvi delusione, rammarico e trovarlo spezzato, un po' come era lei in quel momento. L'altra sera... Un singhiozzo sfuggi dalle sue labbra. Dannazione, perché era così difficile? Con Josh era stato semplice, perché con lui no? Perché si sentiva la peggior cacca fumante del mondo? Forse era meglio smetterla tergiversare ed andare dritta al punto. Con l'ultimo briciolo di coraggio che aveva avrebbe risollevato lo sguardo alla ricerca del suo. L'ho baciato. Tecnicamente aveva solo ricambiato lo slancio dell'ametrino, ma al momento dirlo sembrava solo una grande e palese presa per il culo. Se non avesse voluto baciarlo non l'avrebbe fatto, ma una parte di lei l'aveva desiderato ardentemente. Io non so se sia possibile, se si sia mai verificato, io non so nulla di tutto questo... ma so solo che io ci tengo a te, così come tengo a lui. Chiuse per un attimo la sua finestra sul mondo, cercando di trovare una stabilità di voce che veniva sempre meno. Io... mi sento divisa a metà, Jug. In una metà perfetta. Sentiva freddo, tanto freddo, nonostante il peso dei vestiti che ancora la coprivano. Io voglio te... Ormai le lacrime scorrevano senza freno sulle sue guance ancora scarnite. Ma voglio anche lui. E... nessuno dei due merita tutto questo. Richiamò le ginocchia al busto, abbracciandole con quelle braccia stanche di tutta quell'ansia e quel logorio che da ore -se non giorni- si portava dietro. Sono una persona orribile. Tirò su col naso, passando una manica sulle sue guance umide. Ed io... io non ti merito. Ma il solo pensiero di non averlo più accanto, la struggeva. Si sarebbe meritata il suo odio, soprattutto quello più profondo. Ormai lo sapeva.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Ametrin
    Posts
    549
    Reputation
    +223

    Status
    🗲

    Lucas Jughed Jones
    stat - sche - cron - amet
    ★ ★ ★
    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Era sempre tutto così complicato, c'era sempre qualcosa che non andava bene nella sua vita e lui lo sapeva, era cresciuto con la consapevolezza che addosso avesse una maledizione, probabilmente lanciata dallo stesso nonno che premeva ogni mese per poterlo richiamare a sé, nella vita che Jug voleva lasciare alle spalle, liberandosi di quella tradizione che perseguitava il suo cognome.
    Era per questo che aveva deciso di proseguire gli studi, per quanto non gli piacesse frequentare lezioni e perdere tempo per preparare compiti e cose del genere. Tuttavia aveva inseguito quella strada, anche solo per liberarsi dalle catene di quella vita che non gli piaceva, che gli aveva portato via entrambi i genitori.

    Non vedeva i suoi nonni da quasi un anno e mezzo, da quando aveva iniziato l'Accademia ad Hidenstone.
    «Potresti studiare qui. Potrei pagare tutti gli insegnanti che vuoi, ma nel frattempo potresti essere d'aiuto anche gli affari di casa. I soldi non mancano, Lucas.» era la frase che puntualmente gli arrivava tramite le uniche lettere che riceveva. Lettere che puntualmente venivano bruciate nel camino della Sala Comune.
    La nonna, povera donna, era un po' come la sua mamma: seguiva l'uomo che amava, non aveva un carattere forte da potersi opporre a lui, ma almeno lei evitava di fargli sempre queste storie, cercando almeno di sapere come stesse.
    Forse era per questo che aveva ancora un minimo di risentimento nel tornare in quelle mura.
    Questa volta, però, era stato diverso. Aveva chiesto a Liz di andare lì per un weekend ed sarebbero stati due giorni perfetti, per Jug, seppur nella proprietà di quello che riteneva essere l'artefice della morte dei suoi genitori.

    Lo sguardo di Jug, che si posava ogni attimo su Liz, brillava: la guardava come se fosse un sogno effimero, come se dopo circa sette anni, finalmente sentisse di avere un posto nel mondo, un motivo per cui valeva la pena lottare. Tirò un respiro profondo. Aveva chiesto che non venissero disturbati e la nonna aveva acconsentito a tenere fuori dalla zona della dependance, l'uomo tanto temuto. Tuttavia, Jug sentiva una stretta allo stomaco e tanta ansia. Forse era dovuto al fatto che per la prima volta aveva portato qualcuna nel suo mondo, qualcuna che sarebbe potuta scappare, lasciandogli un vuoto dentro che nessuno avrebbe potuto colmare.
    Alla sua domanda, rispose con un sorriso sghembo, quello che lo caratterizzava e sollevò gli occhi al cielo «Diciamo che non è una delle pratiche migliori che so svolgere, in casa. A volte ho anche dato fuoco a delle semplici cotolette. Ma... prometto che mi impegnerò, Liz.» le sorrise, mentre cercò di passarle il dorso della sua mano sulla guancia, in maniera leggera e delicata, come se avesse paura di romperla.
    «Posso portarlo io?» chiese, allungando la mano verso il suo trolley. Alla fine non era un gran peso, quidni se glielo avesse concesso, si sarebbe trascinato il bagaglio fino alla destinazione. Sentiva il contatto con la sua mano, respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. Sì, quell'aria aveva proprio un sapore diverso con Elisabeth Lynch accanto. Ma questo, Lucas, ancora non riusciva a dirlo.
    Sorrise soddisfatto al commento di stupore, quindi aggrottò la fronte «Oh, se vuoi farti il bagno possiamo trovare un modo. Dovrei... dovrei avere qualche costume che fa per te.» ... calò lo sguardo sulla piscina. Effettivamente c'erano, quelli della sua mamma, che potevano calzare anche su Elisabeth, ma sicuramente la questione "genitori" non sarebbe stata toccata in quel week-end in cui Lucas aveva deciso che Liz avrebbe dovuto solamente stare bene. E se voleva fare un bagno, le avrebbe dato anche il costume che le mancava.
    Quando il tour terminò nelle stanze, quel lieve imbarazzo nel chiederle che stanza preferisse, venne accentuato dal recuperare i bagagli. «Dannazione, adesso avrà pensato che io voglia a tutti i costi dormire con lei. Non ... non sono stato chiaro forse, dovrò scusarmi...» il tempo di voltarsi e Liz aveva già intrapreso la sua strada, per recuperare i bagagli. Lucas la guardò, quasi nascondendo sotto i baffi una piccola risata. Era piacevole guardare come lei avesse già preso possesso di quegli spazi, a Lucas non dava fastidio, era quasi compiaciuto.
    Talmente tanto compiaciuto, che quando lei tornò, dirigendosi nella stanza matrimoniale, Lucas la seguì, dimenticandosi di non aver preso i suoi bagagli. Rimase sulla porta, appoggiato allo stipite attraverso la spalla destra, mentre la gamba gemella veniva piegata e la punta del piede poggiato sul pavimento.
    La osservò sedersi, con un sorriso dolce e ironico, allo stesso tempo «A quanto pare hai scel---» la sua frase lo interruppe.
    Così come fermò anche il battito del suo cuore, per un breve istante. Improvvisamente, il sorriso di Lucas si spense, le iridi glaciali la osservavano, ma in realtà cercavano una via di fuga. «E' per la questione del letto... dimmi che è per la questione del letto...» continuava a ripetersi, mentre il calore del corpo pareva abbandonarlo pian piano, iniziando a sentire le mani gelate.
    Le gambe parevano quasi addormentate, mentre si mosse in quella stessa direzione, cercando di sedersi sulla stessa linea di Elisabeth, ma lasciandole abbastanza spazio da non sentire troppo la pressione della sua presenza «Liz, guarda che se è per---» ancora una volta lo interruppe, il ghiaccio calò a guardare le mani della ragazza che afferravano le sue. Le avrebbe sentite gelide, come due pezzi di ghiaccio. Il cuore gli batteva all'impazzata e aveva delle pessime sensazioni addosso.
    Annuii alle sue parole.
    Era un bravo ascoltatore, d'altronde, doveva solo cercare di arginare tutte quelle emozioni che stava provando. La sua espressione era una maschera di ansia, di rigidità. Sentiva i nervi di ogni parte del suo corpo tirare.
    Ascoltò ogni singola parola. Al sentire il nome di Joshua, la mascella si irrigidì e non poco. I denti gli facevano male per quanto stava stringendo. Ogni parola di Liz era una pugnalata che scavava in profondità.
    Quando gli rivelò di averlo baciato, qualcosa dentro di Lucas si ruppe, gli occhi si sgranarono e si svuotarono di qualsivoglia emozione. Sentì solo un ronzio nelle orecchie, un fischio, che ovattava tutto il resto.

    Il sogno si infranse, diventando quasi un incubo dove si sentiva intrappolato. Le mani gelide cercarono di sfuggire alla presa della ragazza, stringendosi a pugno, mentre impercettibilmente, il suo corpo si fece indietro.
    Gli occhi non riuscivano a risalire al volto di Elisabeth, li sentiva bruciare, probabilmente erano diventati liquidi, perché era la stessa sensazione che aveva provato quando aveva saputo della morte dei suoi genitori. «Che ti aspettavi, Jones. Era un sogno troppo bello, per poter essere vero. Adesso ti risveglierai e ti ritroverai nella stanza della tua sala comune. Solo. Come è giusto che un Jones stia...» era come sentire la parte cattiva di se stesso, che stava cercando di dimostrargli che aveva avuto sempre ragione.
    Una come la Lynch non poteva dedicarsi a lui, doveva scegliere di meglio, doveva spiccare e per volare in alto non poteva farlo con accanto uno come Lucas.
    Quel discorso proseguiva e ogni sua parola era una frustata alle spalle, al petto, alla faccia.
    Cercò di sollevare lo sguardo, notando come le sue guance fossero rigate da lacrime. Lui cercò di trattenerle ancora, nonostante stessero riempiendo l'occhio.
    Tento di allungare una mano, tremava, ma ci provò lo stesso, per cercare di asciugarle qualche poco di lacrime, con il dorso dell'indice, passando le dita fredde sulla sua pelle delicata.
    Era un modo silente di dirle di non piangere.
    Però, non era un consiglio che per lui sarebbe durato tanto.
    Quel "Io voglio te..." risuonò come una speranza, come se potesse ancora vederci un barlume di luce, ma poi proseguirono.
    Quando terminò di parlare, Lucas non disse nulla.
    Cercò di far leva su quelle poche forze che le gambe ancora avevano per andare verso il bagno.
    Chiuse la porta alle sue spalle e aprì il rubinetto del lavandino.
    Vi si poggiò con entrambe le mani e guardò al suo interno, stringendovi il bordo.
    Le lacrime caddero verso il basso, mentre la rabbia che aveva verso se stesso per essere uscito allo scoperto era troppa. Se lui non avesse fatto quel passo, se lui non avesse esternato i suoi sentimenti, a quest'ora Elisabeth avrebbe vissuto meglio, accanto a Joshua.
    Strinse gli occhi e l'immagine che la sua mente costruì, fu quella di un bacio. Un bacio tra Liz e Evans. Un bacio che avveniva davanti ai suoi stessi occhi, che non riusciva a cancellarsi e che si faceva sempre più insistente.
    L'istinto di Jug prese il sopravvento e per rompere quell'immagine, sentì il suo braccio scagliarsi con un pugno contro il muro di fronte.
    Un pugno ben assestato, ma pur sempre contro un muro.
    Il dolore lo sentì, ma non era quello che faceva più male.
    Si sciacquò la mano, sotto l'acqua fredda e poi il volto, cercando di togliere quelle righe dal suo volto ormai diventato rosso. Gli occhi erano leggermente gonfi per le lacrime versate, ma cercò di non darlo a vedere, nascondendo anche la mano graffiata e dolorante nella tasca del pantalone.
    Doveva tornare da Elisabeth...

    Lo fece.
    Non riusciva a guardarla in volto, voleva che non lo trovasse a piangere per lei.
    Tirò un respiro profondo «N-non è colpa tua Liz...» la voce gli si strozzò in gola, quindi cercò di schiarirla. Rimase in piedi, cercando di non infastidirla con la sua presenza troppo vicino. Si sentiva di troppo, adesso, sentiva di esser morto dentro. Era colpa sua che Liz stesse piangendo «E' colpa mia. Se... se... non fossi uscito allo scoperto, tu adesso... » mandò un boccone giù a vuoto.
    «A lui, piaci da anni...» sbuffò sarcastico, scuotendo la testa, come se quella scusa fosse stata riciclata, come se lei si fosse dimenticata di quando le aveva confessato che era dal primo anno di Hogwarts che ... Respirò profondamente, sentendo ancora una volta gli occhi pungere. «... io non sapevo di poterti creare tutti questi problemi, non era mia intenzione, Liz... Scusa se ti ho chiesto di venire qui, con me. Scusa se ti ho rubato il tuo primo bacio... forse avresti voluto darlo a lui... e sarebbe stato anche giusto così... chi sono io per meritare Elisabeth Lynch...» sentì una lacrima scendere calda sulla sua guancia, quindi scostò lo sguardo di lato, calandolo ancora «... io sono solo un Jones. Lo so. E da Jones non posso meritare una come te...» strinse la mano in tasca, mentre il volto si contorse dal dolore «... quando mi sono innamorato di te, Liz... sapevo che sarei dovuto rimanere nell'ombra, ero consapevole che la mia presenza intorno a te, avrebbe portato solo guai per la tua vita... ho resistito cinque anni ad Hogwarts. Qui... non ci sono riuscito, mi sono illuso che potessi renderti migliore qualcosa, invece no, ti ho solo complicato tutto... e ... mi dispiace per questo.» cercò di muovere passi decisi dal lato opposto del letto, sedendosi sul materasso, dando le spalle alla ragazza, un modo per nascondere quelle lacrime che man mano che parlava scendevano.

    Tutto ciò che amiamo è libero, effimero e variabile. Facciamo fatica a lasciare andare quello a cui ci aggrappiamo, quando amiamo.

    «Amare... significa essere pronti a lasciare andare...» un sussurro che gli faceva male, sempre di più, come se fossero lame infuocate che venivano spinte lentamente dentro il suo petto «... ed ... ed io...» si morse l'interno della guancia, stringendo ancora di più il pugno che doleva, e anche gli occhi «... io ti amo, Elisabeth Lynch...» lo aveva detto e per quanto fosse il momento peggiore, sentì la catena che aveva intorno al cuore, rompersi come se si fosse sollevato da un peso troppo pesante, si sentiva più leggero, ora che aveva dato un nome a quel sentimento. Non aveva immaginato che il suo primo ti amo potesse essere così, doloroso, tra le lacrime e in procinto di essere l'ultimo «Sono io a non meritarti... lui può darti sicuramente di meglio... Io non posso offrirti altro che questo e sere in cui dovresti ricucire le mie ferite, tamponare i miei lividi... lui no. Lui può darti sorrisi, può darti qualsiasi cosa tu voglia...» più parlava, più sentiva pezzi di sé sfaldarsi sempre più velocemente «N-non... non sentirai più il peso di avermi intorno e... spero che tu possa perdonarmi per avertelo fatto sentire fino ad ora, mettendoti in questa situazione ... ritornerò nell'ombra, senza darti fastidio e ... non farò niente che possa essere per te nociva... voglio solo... voglio solo sapere che tu stia bene, voglio saperti felice... voglio che il tuo sorriso illumini il tuo viso... e se per farlo devi stare accanto ad un altro... » l'amaro scese giù, quando ingoiò, non voleva nemmeno pensare a lei vicino ad un altro, era troppo deleterio... «... mi spiace ... Liz...»
    code © psiche
     
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Black Opal
    Posts
    1,200
    Reputation
    +323
    Location
    Holyhead, Galles

    Status
    🗲
    barbara_palvin_fashion_model-1920x1200



    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    Aveva sempre guardato dall'alto in basso quelle ragazzine che si struggevano per il belloccio di turno, arrivando persino a deriderle, facendone il verso, nella sua mente. Tante erano state le volte che si era ripromessa di non diventare mai come loro eppure, in quel periodo della sua vita, poteva essere eletta reginetta delle questioni amorose dubbiose. Che poi, amore... cos'era davvero l'amore? E lei lo provava? Lo sentiva per qualcuno? O la sua era solo una grandissima infatuazione?

    Era stata un fascio di nervi per tutta la durata del viaggio, sentendosi a disagio per la vicinanza di Jones, per come lui la guardava come se fosse un miracolo che si ripeteva ogni giorno, quando in realtà, poi col tempo, sarebbe diventata solo il suo incubo peggiore. Allora farai esplodere direttamente la cucina. Devo forse metter sotto chiave i coltelli? E quella battuta, che aveva risollevato gli angoli delle sue labbra in realtà celavano anche la preoccupazione -seppur lontanissima, quasi remota- che potesse farla a fettine dopo che gli avrebbe rivelato il motivo del suo essere un po' scostante negli ultimi giorni.
    Jug, ringraziando a Morgana ho ancora le braccia, posso portarla anche io. Dannazione, lei non era una principessa da trarre in salvo e da salvaguardare con i guanti. E pensava che il moro che camminava al suo fianco avesse compreso come lei fosse comunque una ragazza indipendente, che era scesa a patti con la realtà quando era stata liberata, ma che poteva pur ricominciare da sé, persino portare un trolley con ben quattro rotelle. Lo so che vuoi essere gentile... Aveva arrestato il passo per permettergli di guardarla in viso. E se vedo che non ce la faccio te lo lascerò volentieri dopo. Ma almeno fammi provare. Uno sbuffo, un po' risentito. E poi non sei mica un muletto. Gli fece un piccolo occhiolino prima di rimettersi in marcia, fino a giungere al vialetto che li aveva condotti alla depandance, lì dove lui passava la maggior parte delle sue giornate quando non era a scuola. Era facile immaginarlo sotto l'ombrellone, steso su una sdraio a leggere qualche tragedia shakespeariana, e magari, quando il sole non era troppo forte o il caldo decisamente insopportabile era facile vederselo seduto a bordo piscina con i piedi a mollo. Piscina che ebbe modo di far emergere la sua mancanza di outfit appropriato, anche perché mai avrebbe pensato di indossare un costume a novembre. Hai forse vari costumi di taglie diverse per tutte quelle che porti qui? Lo disse sorridente, con gli occhi privi di qualsiasi traccia di gelosia. Non l'aveva mai visto con un'altra ragazza all'infuori di sé e della riccia della visione. E poi... non credeva che potesse arrogarsi il diritto di essere gelosa quando lei aveva fatto peggio.

    Peggio, come quando gli aveva chiesto di parlare una volta che aveva portato i bagli nella stanza matrimoniale, andando a sedersi su quel letto troppo grande anche per due persone. Fermò qualsiasi suo intervento, con il terrore di non riuscire più ad affrontare quel peso che si portava ormai da due giorni. Sentì le sue mani fredde, in così grande contrasto con le sue calde e un po' sudaticce. E poi, poi parlò.
    Lo vide irrigidirsi al nome di Evans, con quella mascella che divenne ancor più evidente. Lo vide spegnersi ad ogni parola, con l'ultimo segno di vita di quello sguardo sgranato che andò affievolendosi quando ammise di aver baciato labbra che non fossero le sue, insieme a quelle mani che abbandonarono le sue, per stringersi a pugno. Quella mancanza fu terribile, andando a realizzare quello che era un incubo che l'aveva accompagnata per tutto il viaggio: lui non la voleva più. Le parole ora facevano molta più fatica ad uscire, complici non solo quelle lacrime che avevano preso a rigare le sue guance ma anche quelle parole che potevano essere balsamo e frustata insieme. Un po' come quelle dita fredde che trovarono via libera per incontrare le sue guance umide, preoccupandosi ancora una volta di lei prima che di lui. Dannazione! Voleva entrambi e non meritava nessuno. Sarebbe mai riuscita a venirne a capo?
    Quella tortura finì e aspettava davvero che da un momento all'altro il ragazzo esplodesse in tutta la sua rabbia, magari appellandola con nomi e categorie non proprio carine. Invece tutto quello che fece fu alzarsi e in silenzio dirigersi verso il bagno in camera che le aveva mostrato poco prima. Si lasciò andare su quel materasso, cercando la posizione fetale per mantenere quel piccolo calore che il suo corpo ormai andava perdendo.
    É colpa mia, solo e soltanto mia. Gli occhi spenti di Jughead la tormentarono, mentre le sue palpebre si ostinavano nel rimanere chiuse, in un atto di autolesionismo puro. Un gesto però che era lontano da quello fisico che compì il ragazzo giallo-viola. Si alzò di scatto, avvertendo un rumore sordo e forte provenire dal bagno. JUG! Urlò quel nome, avvicinandosi alla porta che li divideva sentendo l'acqua scorrere. Posò una mano sulla maniglia ma lui fu più lesto nell'aprire quel battente che li divideva, infilando una mano in una tasca del pantalone. Ma per quanto fu lesto non le sfuggirono dei graffi sul dorso e vicino le nocche. Fammi vedere la mano! Il tono le uscì imperioso, come quando rimproverava gli studenti che trovava nei corridoi durante l'ora del coprifuoco. Un tono che non ammetteva repliche, soprattutto perché la sua mano si sarebbe posata sul polso dell'arto incriminato, invitandolo a mostrargliela. Qualora il ragazzo gliel'avrebbe permesso avrebbe recuperato la sua bacchetta di ciliegio e castato un emplastrum che andasse a coprire quei brutti graffi che si era procurato solo per colpa sua.
    Aveva sperato proprio che quel senso di colpa si alleggerisse nel momento in cui avrebbe messo al corrente Jones del fatto di trovarsi all'interno di un triangolo, anche se forse era meglio equiparare quella situazione complicata ad una N. Agli estremi opposti di quella lettera dell'alfabeto vi erano Lucas e Jesse -quest'ultimo interesse non solo fisico per Josh- e quella linea che univa i segmenti, facendo incontrare quelle linee parallele erano lei e Ben.
    Quante persone dovranno soffrire ancora per colpa mia?

    E poi quella lenta cottura a puntino riprese. Jug le rivolse la parola, ma non il suo sguardo, né tanto meno la sua vicinanza fisica. Erano in piedi, nel bel mezzo di quella stanza, fissandosi la punta delle scarpe. Almeno lei. Perché quando se ne uscì con una grande boiata lei non poté trattenersi dall'interromperlo ed inondarlo con il suo sguardo arrabbiato. Colpa tua un corno, Jug. Per favore non addossarti colpe che tu non hai! Ma il ragazzino continuò su quella via che aveva intrapreso, solo che decise di dargli lo stesso rispetto che lui aveva avuto con lei nell'ascoltarla prima di lasciarsi andare a quel mutismo iniziale. Andò a sedersi nuovamente su quel letto, abbracciando le sue gambe per resistere all'impulso di voler stringersi a lui, asciugargli le lacrime e intimargli di smetterla di dire solo grandi stronzate. Perché diversamente non potevano essere classificate. Hai finito? No perché secondo me lì dentro hai sbattuto anche la testa! Non voleva davvero dare il peggio di sé, usando la sua lingua serpentesca, ma quel discorso l'aveva accesa. Se tu non fossi uscito allo scoperto io ora forse starei ancora a chiedermi chi è il ragazzo con il berretto. Lasciò andare la presa dalle ginocchia, dandosi un piccolo slancio per permettere ai suoi piedi di riguadagnare il pavimento. Se tu non ti fossi appropriato del mio primo bacio sarei stata comunque io a dartelo. Aveva allungato la schiena, sollevando il collo e puntellandosi sui gomiti per sorreggerlo. Sono io che non ti merito, Jug, non il contrario... perché tu... Si alzò vedendo come stesse andando dall'altro lato del letto per andare a sedersi lontana da lei. Non demorse. Andò a posizionarsi proprio in piedi davanti a lui, anche se avrebbe continuato a tenere basso il suo viso. Tu sei perfetto, Jug! Sono io ad essere difettata fin dalla nascita. Si chinò in quella posizione da squat, sorreggendosi al bordo del letto per non cadere. Da quando abbiamo iniziato a parlarci mi hai migliorato tantissimo, hai migliorato le mie giornate più buie, quindi per favore, smettila di credere di aver rovinato tutto. E a volerla dire tutta non era neanche colpa di Joshua. Lui era stato semplicemente sincero con lei, rivelandole di essere davvero interessato e quando lei, in quello stupido gioco che aveva finito solo con il complicare il tutto, aveva sondato il terreno per capire se con lei lui sarebbe stato solo suo alla sua risposta affermativa si era sentita sollevata. Chiuse gli occhi. Ancora una volta si maledì per il fatto che si sentisse divisa in una perfetta metà. Così come Jug era stato presente nei suoi pensieri quando era con il suo compagno di stanza, anche lì, lontana mille miglia, il pensiero dell'opalina non poté che volare all'accademia. Strinse i pugni, odiandosi maledettamente per esser capace di creare solo danni senza nessun risultato concreto. Si lasciò cadere sul pavimento duro, inclinando il capo ed osservando come da lì il viso di Jug fosse nelle sue stesse condizioni. Lui pensava ad un weekend romantico ed io gli ho appena detto che mi piace anche un altro. Allungò le gambe che finirono sotto la rete di quel letto da dove il ragazzo non riusciva ancora a fissarla. Quel che fece fu sussurrare, con la sua voce spezzata, una verità che lei aveva intuito, una verità che Joshua le aveva rimarcato, ma che non era e non sarebbe mai stato come sentirselo dire. Io ti amo, Elisabeth Lynch. E lei? Lei poteva dire lo stesso? Una fitta allo stomaco le fece comprendere che no, farlo avrebbe significato mentire e questo Lucas non se lo meritava neanche un po'.

    Ora basta, Jug, basta! Si rimise in piedi il tempo necessario per scivolare accanto a lui, sfilando malamente gli anfibi che crollarono con un tonfo sul pavimento. Si mise in ginocchio su quel letto, spintonandolo per la spalla destra per farlo voltare e poi passare una mano sotto il suo mento per indurlo ad alzare il viso su di lui. Le lacrime non erano sintomo di debolezza, ma di umanità e nasconderle non sarebbe servito a niente, perché l'avrebbe trovato bellissimo anche se con gli occhi resi gonfi dal pianto. Tu non ci ritorni in quella fottutissima ombra. Tu non sparirai mai dalla mia vita, perché io ti vorrò sempre al mio fianco, anche se non come avresti voluto. Cercò il contatto con le sue iridi chiare, roteando velocemente le sue. Io lo so che ti ho ferito. Lo so che ti fa tanto male qui. Portò la sua mano all'altezza del cuore, senza mai interrompere quel contatto visivo, qualora lui l'avesse accettato. Anche per me non è facile. Potevo mentirti, potevo venire qui e fingere che tutto andasse bene, mentre in realtà una parte di me avrebbe continuato a pensare a l'altro. Lasciò che il sedere incontrasse i suoi polpacci, sedendovi sopra, mentre l'altra mano che non era sul petto avrebbe finito con l'accarezzare il volto del ragazzo. Lo so che quello che sto per dirti farà ancora più male, ma... aiutami a capire Jug. Avrebbe avvicinato il viso al suo, con pochi millimetri a dividerli. Aiutami a capire chi voglio davvero. Sapeva che stava chiedendo una cosa impossibile a quel ragazzo fortemente provato, ma l'opalina si era fatta una piccola promessa: non avrebbe mai vissuto con i se e con i ma. Se voleva prendere la scelta giusta avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per farlo. Sempre mettendo le cose in chiaro prima. Avrebbe però capito se il ragazzo avrebbe voluto sottrarsi a quella che effettivamente era una vera e propria follia.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Ametrin
    Posts
    549
    Reputation
    +223

    Status
    🗲

    Lucas Jughed Jones
    stat - sche - cron - amet
    ★ ★ ★
    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    L'amore non è come nei film o nei libri, l'amore fa male, ferisce. Distrugge. Poi ricrea per poter avere altro da mandare giù. E questo, Lucas lo stava vivendo sulla sua stessa pelle. Ne aveva lette di storie d'amore, non tutte a lieto fine, ma mai aveva pensato di trovarsi lui stesso protagonista di ciò che i suoi libri raccontavano.
    E no, non era assolutamente una sensazione piacevole.

    Il viaggio non era stato dei migliori, ma quando Jug vide quel mezzo sorriso disegnato sul volto di Liz, probabilmente pensò a quanto fosse normale essere nervosi in una circostanza del genere. Scosse il capo, fingendosi esasperato «I coltelli sono l'ultimo problema, credimi. Che poi, hai mai sentito parlare della cucina flambé?» rise, ironizzando lui stesso quanto fosse negato per l'economia domestica. Eppure quel breve quadro di vita quotidiana, sapeva troppo di buono per interromperlo con aspettative maggiori sulla sua capacità di preparare un cibo commestibile.
    Allargò le braccia, con quel suo sorrisetto sghembo «Come desideri, Liz. Chi sono io per non farti dimostrare che donnina forte sei?» rise leggermente, ricambiando quell'occhiolino con uno altrettanto divertito e complice.
    Sì, gli piaceva troppo passare del tempo con lei.
    Quella sensazione di tranquillità e serenità che lo stava avvolgendo, andava a braccetto con il calore che quegli occhi gli donavano ogni volta che incrociava il suo sguardo.
    Corrugò la fronte alla sua domanda, quindi collegò i costumi alle ragazze e... beh, gliela servì su un piatto d'argento «In realtà non sono io a chieder loro di lasciarmeli, ma ... si sentono in dovere di ringraziarmi per... l'ospitalità, ecco.» sollevò un sopracciglio, sarcastico ma allo stesso tempo lasciando intendere tutto e niente. Quell'angolo delle labbra si sollevò ancora una volta, quasi con naturalezza.
    Per fortuna era stato facile svirgolare dalla situazione ti racconto di mamma riuscendo a trovare un giusto equilibrio tra il detto e non detto.

    Il resto, fu tutto in discesa. Una discesa rapida verso l'inferno, lì dove spesso ce lo mandavano più di una volta. In quel girone dove lui non voleva finire, dove la verità non era quella che lui stava assorbendo come una spugna, pronto a stritolarsi in un bagno, pur di non farla ritorcere contro la ragazza per cui aveva completamente perso la testa.
    Ogni parola di Liz, era come se venisse incisa a fuoco sulla sua pelle, come se con la punta rovente di un coltello, lei stesse intagliando la sua carne, per far sì che si ricordasse ogni singola parola.
    Eppure, non riusciva ad odiarla, non riusciva a non volerla stringere a sé. Non lo stava facendo, perché allora? La confusione che lui aveva creato in Liz era tale che un abbraccio avrebbe potuto farla crollare ancora di più, e lui le aveva fatto una promessa: le avrebbe fatto vivere solo momenti belli, solo sorrisi ... lui non voleva essere la causa di quelle lacrime.
    E non riusciva a parlare, nemmeno tra le pause che lei lasciò, come a voler far aleggiare nell'aria quelle parole, affinchè impregnassero anche i muri stessi.
    Quando cercò rifugio nel bagno, guardò la sua immagine riflessa allo specchio un paio di volte «Dannazione, come cazzo poteva essere vero! Me ne sarei dovuto rendere conto prima...» il suo volto era distrutto, come se fosse stato preso a schiaffi più volte e i suoi occhi riportavano l'evidente gonfiore di lacrime che non avrebbe dovuto versare, anche solo per non distruggere ancora di più la ragazza che aveva dall'altro lato della porta.
    Dopo quel pugno, non si sentì assolutamente meglio. Eppure parve che avesse scaricato, almeno in parte, quella rabbia.
    Quando sentì il suono di quella voce chiamarlo, quel soprannome che solo lei aveva la capacità di farlo risultare più dolce del dovuto, il suo cuore cadde in frantumi ancora di più. Una polvere trasparente, come un cristallo, era così che lo immaginava, mentre si sgretolava.
    Aprendo la porta, sussultò trovandosi la ragazzina davanti, cercò di spostare lo sguardo altrove, indurendo la mascella per inibire quel pizzichio che gli faceva il palato, mentre tratteneva le lacrime «Non è niente, Elisabeth...» un sussurro, mentre cercava di ricacciare al meglio la mano in tasca.
    Sentì le sue dita arpionargli il polso, fece per scostarsi ma fu un gesto che il suo corpo non volle completare. Con la coda dell'occhio cercò il suo volto, trovandolo preoccupato. Un'altra pugnalata «Dai, Liz, per favore. Mi hai raccolto in condizioni peggiori, questo non è niente.» la voce gli tremava, come se fosse sempre più difficile tentare di rimanere immune. Quelle dita non lo mollavano e si ritrovò costretto a tirar fuori la mano, non voltò lo sguardo e solo quando la ragazzina fece quel che voleva. Della sua mano gli interessava poco, Liz doveva saperlo.

    Venne il suo turno di parlare, arrivò al punto di voler esplodere, scagliando un altro pugno alla parete vicino, ma si limitò a stringere le dita di quella già ferita, ricordandone il dolore lancinante. Lucas non sollevò lo sguardo, sentendo il suo arrabbiato spingersi contro di lui. Non voleva ritrovare i suoi occhi, non adesso... Le sue parole non fecero altro che caricare ancor di più la tristezza del ragazzo.
    Ogni volta che lei lo interrompeva, Lucas si zittiva, lasciando che la sua voce gli riempisse la testa, ma senza smuoversi minimamente dal discorso che aveva intrapreso.
    Sarebbe stata lei a dargli il suo primo bacio? Era vero? O forse lo avrebbe dato a quello che sembrava la sua brutta copia allegra, nonché compagno di stanza?
    Anche il cambiare posto, non sembrò funzionare: Liz non mollò la presa, lo seguì e potè vedere la punta delle sue scarpe. Stava parlando ancora lei, stava parlando e stava cercando di fingere di raccogliere i suoi pezzi.
    Sbuffò una risata sarcastica, sentendosi appellare come perfetto, quindi lasci che lei terminasse, nonostante quelle parole che ancora facevano palpitare il suo cuore, sembravano essere vere.
    Come poteva averla migliorata, come poteva essere perfetto per lei...
    Quando il voltò di Liz si affacciò nella sua visuale, lui cercò di deviare lo sguardo, voltandosi verso sinistra. Non voleva che lo guardasse così, non voleva.
    «Smettila Liz, non sono perfetto...» sussurrò quando la ragazza finalmente gli lasciò spazio «Se a quest'ora non ci fossi stato, sarebbe stato tutto molto semplice, così come l'era stato ad Hogwarts, quando nemmeno ti eri accorta della mia costante presenza.»

    Il tonfo degli anfibi lo fece voltare di scatto, credendo che la ragazza si fosse fatta male in un qualche modo, fu in quell'istante che ritornò a guardarla, a ricordarsi quanto fosse bella ai suoi occhi e quanto gli mancasse guardare il suo volto. Chinò di nuovo lo sguardo, non poteva continuare, non poteva desiderarla come se questo non complicasse ancora la sua situazione.
    Si sentì spintonare, una, due , cinque volte... si voltò, portando la schiena indietro, cercando almeno un minimo l'appoggio del muro, così da non starle troppo attaccato, rubandole l'aria che già le aveva rubato. Poi quelle dita sul suo viso, su quella mascella che si era indurita, ma che sotto quel tocco sembrò mollare la presa.
    Gli occhi azzurri di Jug erano liquidi, gonfi, la guardavano e più si poggiavano su di lei, più c'era il desiderio di riprendere quelle labbra.
    Io ti vorrò sempre al mio fianco, anche se non come avresti voluto. quella frase lo finì di distruggere, lo buttò completamente nel baratro vuoto che aveva sotto i suoi stessi piedi. Gli occhi si allargarono ancora di più, svuotandosi di qualsivoglia emozione. Sentiva il tocco delle sue dita, era caldo rispetto al suo corpo «Basta ti prego...» cercò delicatamente di afferrare la sua mano, o meglio, il suo polso, senza farle male.
    «Credi davvero che io possa reggere di vederti accanto a qualcun altro?!» il suo tono divenne un ringhio, mentre gli occhi glaciali la fissavano «Vuoi sapere chi è il ragazzo con il berretto?! Vuoi davvero sapere chi cazzo è, Liz?!» la voce gli tremava, un misto tra la disperazione, la rabbia e la paura «Figlio unico dell'unico Jones. Famiglia che deteniene una fama in tutta Londra per i loro loschi affari tra la droga e non so quante altre cose. Questa è il regalo di un nonno che vuole comprare il mio silenzio e la mia fedeltà, per continuare il suo lavoro e quello di mio padre. Lavoro che mi ha portato via entrambi i genitori, mia madre compresa che amava il suo uomo, fino ad andare incontro alla morte con lui.» le lacrime scendevano, adesso non se ne stava nemmeno più preoccupando «E poi ci sono io, in mezzo a tutto questo casino, che cercavo di tirarmi su da questa merda. E credevo di esserci riuscito, credevo che una come te avesse potuto davvero vedere che dentro di me c'era qualcosa di buono, ma continuavo a ripetermi che eri troppo bella per starmi accanto, che non meritavi gli sguardi della gente quando giravi con me, la loro disapprovazione.» strinse i pugni, senza distanziarsi dalla ragazza, non questa volta «Gli anni di Hogwarts sono stati un inferno, il mezzosangue orfano. Favoloso. Tu eri l'unica luce che vedevo e...» si sporse verso il comodino, aprendolo e cacciandovi fuori una scatola. Dentro, se Liz l'avesse aperta, avrebbe trovato lettere che raccontavano di lei e di quante volte avrebbe voluto dichiararsi, alcune erano anche prove di dichiarazioni, mai spedite. Poi c'erano dei ciondoli: un cuore di legno con su incise una L e una E. Lucas le diede la scatola «Ecco cosa ho collezionato per sette fottuti anni, lettere in cui provavo a dirti quello che provavo, per poi nasconderle dentro un cassetto. Quel ciondolo... avevo pensato di regalartelo a San Valentino del terzo anno, ma non ebbi il coraggio.» col mento indicò quei cimeli «Sono tue adesso, tanto non valgono più nulla, tanto non servono a niente e a me fanno solo male. Così come mi distruggerebbe vederti girare accanto a quello che dovrebbe essere anche il mio compagno di stanza.» altra risata sarcastica smorzata dal polso che andò ad asciugare le lacrime «Lo so che stai pensando a lui, mentre sei con me! E questa cosa non mi fa male, di più. Ma cosa posso farci? Io non sono abbastanza per te, posso offrirti solo una misera parte di quello che potrebbe offrirti lui, potrei darti solo il mio amore, ma non basterebbe perché tu sei speciale Liz...» distolse lo sguardo dalla ragazza, non voleva continuare a guardarla, perché il suo istinto diceva di stringerla, di baciarla...
    «Io non ti chiederò di scegliere, Liz... ma non chiedermi di accettare di vederti accanto a lui... non posso farlo, perché quando per la prima volta ho incontrato il tuo sorriso, io ti ho scelto fra tante. Tu mi hai avuto prima ancora di avermi realmente conosciuto, Elisabeth Lynch... il mio cuore... la mia mente... la mia anima... ti appartengono... da sempre...» chinò lo sguardo, adesso, interrompendo quel suo monologo che sembrava non avere fine.

    La sentì poggiarsi sui suoi stessi piedi, lui respirava lentamente, cercando di mantenere la lucidità. Se ne sarebbe andata, adesso? L'aveva persa? Il solo pensiero gli stringeva lo stomaco in una morsa letale, ma quando i suo viso si avvicinò, il respiro di Jug venne a mancare, gli occhi glaciali si incastrarono nei suoi, così vicini. Il cuore era in gola... le sue parole erano un soffio d'aria tiepida. «S-smettila Liz... p-peggioreremo solo le---... » lo sguardo scivolò su quelle labbra.
    Le mani di Lucas scivolarono verso di lei, tentando di andarla a prendere per i fianchi. Se glielo avesse permesso, delicatamente l'avrebbe portata a sé, senza ancora imprimere quelle labbra sulle sue. Se non avesse opposto resistenza, Lucas avrebbe cercato, dopo essersi poggiato allo schienale, di attirare sulle sue gambe la ragazza, prendendola in braccio «Liz...» un sussurro sulle sue carnose, come quella prima volta.
    Le mani di Lucas, se glielo avesse permesso, sarebbero scivolate sulla sua schiena, premendo verso di sé, come a volerla ancora più vicino «Fanculo tutti, Lynch... devono ammazzarmi per toglierti da me...» un sussurro leggero che avrebbe fatto a millimetri dalle sue labbra, prima di prendere quello inferiore tra le sue e morderlo leggermente, «Ancora non lo hai capito?...» il fiato si fece breve, smorzato «... io ti appartengo, Liz... e non ti divido con nessuno...» prima di tentare di sigillare quelle labbra imprimendosi con un bacio che avrebbe portato pressione delicatamente, mentre le braccia cercavano di avvolgerla e la lingua disegnava il contorno di quei boccioli...
    code © psiche
     
    .
  6.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Black Opal
    Posts
    1,200
    Reputation
    +323
    Location
    Holyhead, Galles

    Status
    🗲
    barbara_palvin_fashion_model-1920x1200



    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    Non aveva molti esempi di come dovesse essere l'amore. I suoi nonni materni erano morti quando lei era ancora in fasce; sua madre era una giovane donna single, ancora nel fiore dei suoi anni e senza un compagno fisso al suo fianco e suo padre era ancora un grandissimo punto interrogativo a cui doveva ancora trovare la risposta. Quell'assenza di punti di riferimento si era resa lampante nel momento in cui era entrata in contatto con quella parte della vita per cui tutti smaniavano, finendo con il ritrovarsi frutto dell'attenzione di due ragazzi che presentavano vari punti in comune, come il tempo che avevano trascorso nel celare l'interesse nei suoi confronti.
    E se i due avevano pazientato tanto per dichiararsi, la Lynch fu celere nel mettere l'uno al corrente dell'esistenza dell'altro. Certo, avrebbe preferito che fossero ragazzi di case diverse, ma il destino beffardo aveva indicato per lei due ragazzi che condividevano la stanza ogni singolo giorno passato nella scuola. Era assurdo che alle sue orecchie non fosse giunta alcuna notizia di risse nei dormitori Ametrin, ma forse, dopo la bomba che aveva appena sganciato su Lucas, aveva il terrore che l'astio fuori uscito in minima parte durante la lezione di Incantesimi sarebbe infine esploso una volta che avrebbero fatto ritorno ad Hidenstone.

    Lucas si era rifugiato nel bagno e lei era rimasta su quel letto, raggomitolata su un fianco, con i sensi di colpa a farla da padrone. Si sarebbe aspettata rabbia, occhi dardeggianti e l'odio a trasudare dai suoi pori copiosamente, invece il ragazzo aveva preferito allontanarsi da lei chiudendosi in un silenzio che era anche peggio di tutto quello che avrebbe potuto urlarle contro. Il rumore sordo l'aveva scossa, inducendola ad alzarsi e raggiungere quella porta che li divideva, vedendo emergere Jones che dire distrutto era poco. Non fu solo il suo viso sfatto, gli occhi grandi ed arrossati, ancora umidi e quella mano che provò a nasconderle velocemente. Ma non le erano sfuggiti quei graffi, segni di un incontro con quello che era il muro. Almeno non è lo specchio. E non era solo per gli eventuali frammenti che lei non sarebbe riuscita a togliere del tutto, ma anche e soprattutto per i successivi sette anni di sfiga. Come se la situazione non fosse già troppo pesante di suo. Se lei aveva ordinato lui di tirar fuori la mano, l'altro cercò di liquidarla usando il suo nome per intero. Fu una stilettata. Raramente era stato pronunciato quel nome, adottando nell'immediato un diminutivo tutto suo, formato da sole tre lettere che le ricordavano sempre una carezza delicata. Ingoiò il boccone amaro e non demorse, afferrando quella mano e sfilandola da quella tasca troppo stretta. Smettila. Lo sapeva che l'aveva raccolto in condizioni peggiori. Come poteva dimenticare quel viso tumefatto, il lento zoppicare del ragazzo dopo che era rientrata da una corsa serale? Era stato quello che li aveva avvicinati, rivelando un lato da crocerossina che non pensava neanche di avere.

    Curò quella mano, come aveva fatto con le ferite fisiche del suo passato, mentre per quelle dell'animo aveva paura di non avere il giusto incantesimo per alleviarle. Quelle ferite erano ancor più sanguinanti e se ne rese conto con l'asprezza con cui lui finalmente cercò di rivelare il tumulto che si portava dentro. Lui si sentiva inadatto per lei, con lui unico colpevole a non meritarsi quell'opalina che sembrava in balia di uno tsunami contrastante di emozioni. Per essere pignoli i sentimenti erano gli stessi, il problema era racchiuso nel fatto che li provasse per due persone diverse. Abbandonò quel lato del letto per raggiungere lui e starsene in piedi, a disagio, ad ascoltare quei sussurri e imprecazioni dette a mezza bocca. Non aveva neanche più la forza di negare fermamente ogni singola sillaba pronunciata dal londinese, troppo spaventata alla sola idea che il ragazzo tornasse nel suo mondo lasciandola da sola. Sì, sapeva di essere egoista nel chiedergli di rimanere nella sua vita qualora la loro frequentazione venisse interrotta, ma non riusciva davvero a vedersi priva di quel fotografo bravo nell'immortalare ogni suo pensiero, ogni sua titubanza, ogni sua piccola vittoria. E poi il suo cuore venne stretto quando sentì quelle due paroline che aveva letto nelle pagine di qualche libro, inflazionato nelle serie tv adolescenziali e poco, davvero tanto poco, nella vita di tutti i giorni. Non si sentiva di meritare tutto quell'amore incondizionato, alimentato in anni ed anni di sguardi e di istantanee. Lei non meritava nulla di tutto quello che Lucas Jughead Jones provasse per lei.

    E poi semplicemente non resse più. Lo raggiunse sul materasso, iniziando a spintonarlo almeno una dozzina di volte sempre con la stessa mano e sempre sulla stessa spalla divenendo fastidiosa ed insistente, ma voleva essere guardata, non perché un ninnolo da ammirare, ma perché credeva che solo con lo sguardo avrebbe potuto contribuire a sottolineare quella paura di non averlo più nella sua vita. E finalmente quegli occhi martoriati vennero alla luce: spenti, tristi, privi di ogni minima traccia di vitalità che fino a dieci minuti prima li avevano caratterizzati. Quel tono duro e forte, così simile ad un ringhio di una bestia ferita la fecero indietreggiare. Ebbe paura, paura di tutte quelle conseguenze che i capricci del suo cuore stavano portando a galla, paura che il ragazzo amante delle risse finisse con il perdere il controllo anche con lei. Una sensazione che non abbandonò le sue membra, allertate e pronte a correre via da lui. Stupida! Se lo ripeté varie volte, mentre lentamente tornava a rilassarsi mentre lui vuotava il sacco su quel cognome che tanto aveva odiato e per cui ora ne comprendeva il motivo. Dannazione, Jones, tu non sei né tuo padre, né tuo nonno ed io non ho fatto nulla, ma letteralmente nulla, per renderti così diverso da loro. Sei tu, da solo, ad essere andato avanti dimostrando a sé stesso, prima che agli altri, che il cognome non significa proprio nulla e che i figli possono essere diversi dai propri genitori. Evitò volutamente, ancora una volta, di rispondere a quella visione distorta che lui aveva di lei. Lei che non era bella, lei che era comune a tante le altre così piena di difetti e lontana dall'essere vicina dalla perfezione. Lei era una persona con dei contenuti, sperava, e sentirsi giudicata solo per il suo aspetto fisico le dava fastidio. Per tutti i fulmini, lei se aveva un culo sodo era perché si spaccava di allenamenti prima ancora di iniziare a camminare!
    Lo vide sporgersi verso il comodino e tirar fuori una piccola scatola che poi le venne passata. Ancora foto? Le venne spontanea quella domanda, ma quando sollevò il coperchio trovò solo la sua grafia su quelle che erano pergamene, fogli di carta e addirittura carta da lettere. Ma sopra quella pila vi erano un cuore di legno con incise le loro iniziali. Il suo sguardo confuso si alzò sul volto dell'ametrino. Non avrebbe mai messo una collana del genere, ma dovette ammettere che era il significato che c'era dietro ad essere più bello. Io l'unico pensiero fisso che avevo al terzo anno era di vincere la coppa di Quidditch a tutti i costi! Priorità diverse le loro, come aveva già compreso quando nella Stanza delle Necessità aveva appeso a dei palloncini ad elio gli scatti rubati in tutti quegli anni. Chissà cosa conservava nell'armadio: un cartonato in scala di 1:1?
    Nonostante le sue rimostranze il ragazzo continuava a sminuirsi, elevando Joshua come il ragazzo perfetto per lei anche se non comprendeva su quali basi effettivamente stesse affermando ciò. Non le erano mai sembrati grandi amici, per cui era forse ironia quella che tempestava le sue parole condite da risate apertamente sarcastiche. Eppure non credeva che nell'affermare di esser stata scelta da tantissimo tempo non sembrava rientrare in quella tipologia. Lui le assicurava il pacchetto completo, affidandosi a lei in toto senza esser diviso come lo era anche Josh per via di Jesse. Poteva buttarsi in quella relazione ad occhi chiusi, poteva persino camminare sui carboni ardenti ed uscirne illesa, ma era davvero Lucas Jones che voleva?

    Non le restava che scoprirlo ed era arrivata persino a chiedere lui di aiutarla a comprendere meglio, avvicinando il suo viso al suo per essere vista in tutta quella sua confusione. Smettila, Liz. Due parole che la fecero indietreggiare impercettibilmente, sentendosi -giustamente- rifiutata. E poi sentì le sue mani sui suoi fianchi smagriti, mentre la invogliava a posarsi su di lui che se ne stava con la schiena posata sulla tastiera di quel letto troppo grande per due sciocchi ragazzini in balia degli eventi. La baciò, mentre sentiva quelle stesse mani spingerla ancor di più verso di lui, finendogli con il sedergli sulle gambe come... Ben! Anche l'altro ametrino l'aveva avvicinata a sé mentre si perdevano in un bacio tutt'altro che casto. Non va bene, non va bene, non va bene. Le lacrime tornarono a far visita a quegli occhi chiusi, senza però riuscire a sfuggire da quelle palpebre sigillate, ma che indussero la ragazza a staccarsi da quelle labbra mentre lui invocava il suo nome, per poi lasciarsi andare ad una irruenza che finalmente diedero all'opalina quello che lei aveva sempre visto in lui: possesso, irruenza, voglia. Quelle parole erano così in contrasto con i suoi dissidi interiori. Lui che affermava quello che lei aveva chiesto a Joshua, con il ragazzo dagli occhi del colore del fumo ad annuire a quella tacita richiesta.
    Le sue labbra però risposero a quella richiesta impellente del ragazzo col cappello e lei decise di lasciarsi andare, anche con lui, solo che l'avrebbe fatto a modo suo. Sarebbe scivolata di lato, con la testa che sprofondò su mille cuscini, attirandolo su di sé per quella felpa scura. Lo baciò, approfondendo quel gioco di lingue che lui le aveva insegnato e che aveva perfezionato -in un certo senso- con l'altro Ametrino. Le mani scivolarono sul suo collo, infilandosi in quel piccolo spazio tra i capelli e quel perenne berretto. Non ci pensò due volte nello sfilarglielo e lanciarlo in un punto imprecisato della stanza e permettere alle sue dita di immergersi in tutto quel corvino. Le gambe, che aveva allargato per permettergli di sistemarsi comodamente, vennero serrate intorno ai suoi fianchi, mentre la destra iniziò a giocherellare con l'elastico di quella felpa proprio sul suo fondoschiena, premendoselo per un po' ancora di più addosso. Lo mordeva, appropriandosi di quel labbro inferiore, cercando di scacciare l'immagine del viso di Evans e la sensazione che i loro baci le avevano procurato. In quel momento erano solo lui e lei e quei problemi potevano tranquillamente andarsi a fare un giro, almeno per un po'.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Ametrin
    Posts
    549
    Reputation
    +223

    Status
    🗲

    Lucas Jughed Jones
    stat - sche - cron - amet
    ★ ★ ★
    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Perché stava diventando tutto così difficile? Perché non poteva avere una vita normale? Voleva solamente passare un perfetto weekend in sua compagnia, confidarle quanto gli fosse mancata e dirle cosa provava, in una maniera decisamente diversa, magari non piangendo come un cazzo di coglione.
    Era il suo primo ti amo. L'unico che avrebbe voluto urlare ai quattro venti, il solo che aveva realmente un significato per lui.
    Probabilmente, nonostante non ci credesse di poter interessare alla ragazza, non immaginava che quello sarebbe stato il modo in cui sarebbero andate le cose. Avrebbe quasi più preferito sentirsi dire che lui non fosse il tipo per lei, ma non che tra di loro c'era un altro.
    Il bagno lo aveva aiutato solo a scaricare la tensione in quel pugno, non aveva fatto altro. Non poteva fare altro, in realtà.
    Non sapeva come prendere questa questione, non aveva idea di come sarebbero andati quei due giorni, forse era il caso di tornare ad Hidenstone? Almeno lei sarebbe potuta correre tra le braccia di Evans.
    Quando uscì da quel bagno, trovarsi davanti Liz, fu un colpo duro. Quasi quanto quello che aveva cercato di attutire alle sue precedenti parole.
    Le dita di Elisabeth, così come il suo sguardo, erano determinate a volerlo curare. Quando sentì la mano venir sfilata dal jeans, il suo volto si contrasse in un'espressione di dolore «Cazzo, attenta...» fu un sussurro, mentre d'istinto ritrasse la mano, per poi cedergliela delicatamente. Il dolore era troppo, la botta che aveva dato era stata forte.
    Smetterla? Di fare cosa? A quel comando, la guardò di sottecchi, con la coda dell'occhio, la mascella si indurì, ma non disse nulla. Non le urlò contro che a smetterla sarebbe dovuta essere lei, finirla di sfiorarlo, di dargli quelle attenzioni, di non fregarsene del male che provava, ma di correre via da lui.

    Averla lì davanti, mentre lui continuava a darsi contro, lei gli urlava di finirla... era tutto così disastroso. Come tutto quello che fino ad oggi era capitato nella sua vita.
    Aveva sognato di poter riscattare una vita migliore, una vita accanto alla Lynch, ma questo non era esattamente ciò che il destino voleva per lui.
    Sentiva quelle spinte sulla spalla, non finivano più. Erano energiche come se volesse realmente essere guardata.
    Strinse gli occhi, il ragazzino.
    Al solo pensiero che il loro era diventato un triangolo, sentiva la testa esplodergli, la faccia di Joshua era un costante incubo quando batteva gli occhi, immaginarli mentre si baciavano, mentre la sua lingua intrecciava quella dell'altro ametrino.
    Scosse il capo, sentendo un conato di vomito, che cercò di mandare via.
    I pugni sulla spalla continuavano e Lucas riaprì gli occhi, soffocando il ringhio che aveva dentro. La vide indietreggiarsi, quindi scostò di nuovo lo sguardo che le aveva concesso. Era una bestia? L'aveva fatta spaventare? Stava andando sempre peggio.
    Si morse forte l'interno della guancia, come a voler cercare di tornare alla calma apparente. Non avrebbe sfiorato Elisabeth nemmeno con una piuma, ma adesso la stava spaventando.
    Il momento delle confessioni, sembrava essere arrivato troppo presto, aveva rigettato tutto quello che poteva, quasi senza prender fiato.
    Quando si sentì chiamare per cognome, quasi ebbe un brivido d'orrore «Non chiamarmi così, Liz!!» uno sbuffo di paura e disperazione, un sentimento che voleva celare ogni volta che sentiva quelle lettere comporre la sua dinastia «Ah sì? Allora sai cosa c'è? E' tutta una fottuta merda! Non sto riuscendo ad essere diverso da loro, non sto spiccando il volo scrollandomi di dosso il petrolio che mi ha donato il mio cognome. Essere diverso? Faccio a botte con il mondo intero, non studio e cerco la rissa anche durante le lezioni. Guarda un po', non sembro così diverso da loro!» il sarcasmo e il tono alto della sua voce, erano esplosi, così come le sue braccia che si erano allargate a indicarsi, inclinando il capo «Sono un mostro, Liz. E non posso essere migliore. Sai cosa pensavo, mentre tu non c'eri? Che dovevo trovarti a tutti i costi, che volevo rivedere il tuo sorriso, sentire la tua voce ancora una volta chiamarmi. Ma se non fossi riuscito a riaverti, avrei ceduto. Avrei concesso a mio nonno quello che voleva. Ma se ti avessi ritrovata, beh... ti avrei confessato il mio amore, per la prima volta. Il... mio primo ti amo...» il tono divenne più basso, mentre una mano andava a cercare la nuca, per grattarsi «Poi quella nebbia ha fatto arrivare prima quel fottuto coglione di Evans. Perchè sì, io mi sono buttato alla cieca, per venirti a cercare, ma ... è arrivato prima lui. L'odio che ho provato per lui è qualcosa che ancora non riesco a dissipare, ma adesso... adesso che so ... di voi...» ancora i denti digrignarono.
    Non continuò quella frase, perché non aveva voglia di riaprire quella parentesi.
    Non voleva più sentire il nome di Joshua in quell'istante.

    Quando Elisabeth gli chiese di aiutarla a capire, Lucas non sapeva esattamente cosa volesse intendere, cosa lui avrebbe voluto fare.
    Più di quello che già non stava facendo, l'Ametrino si ritrovava con un mucchio d'aria in mano. Oltre che il cuore in mille pezzi.
    Quando la vide indietreggerare al suo smettila, liz, Lucas cercò di afferrarle un polso, con delicatezza, quindi fece cenno di non allontanarsi. Un cenno silente col capo. Le mani, da lì, scivolarono ai fianchi, per afferrarla e lei sembrò non sottrarsi.
    Il glaciale di Lucas era fisso negli occhi della Prefetta.
    Sentì la sua incertezza, sentì il suo staccarsi.
    Lucas lasciò la presa dai suoi finachi, quasi sconfortato, chinò lo sguardo «Scusa...»
    Quando tentò di avvicinarsi ancora, lei rispose a quel bacio, sentì le sue labbra schiudersi e ricercare il calore della lingua, che andò a rispondere alla gemella. Poi ancora il freddo di quel distacco.
    Jug non ne poteva più, stava impazzendo, sentiva ad ogni suo distacco il vuoto che portava con sé, ed era sempre più grande.
    Doveva allontanarsi da quel letto.
    Quando scivolò sul fianco, Jug quasi credette che era quello che lei voleva: un vai via, detto in maniera silente. E si stava voltando, lo stava facendo davvero, fino a quando non sentì le sue dita affusolate, stringergli la felpa.
    Gli occhi di Lucas si allargarono in un'espressione di stupore, quindi quasi inerme, si fece trascinare su di lei, posando una mano accanto alla sua spalla, per calibrare bene il peso che avrebbe lasciato andare piano, per non pesarle addosso. La guardò, ancora sollevato sul braccio. Era stupenda, in mezzo ai quei cuscini, con i capelli ribelli che facevano da aureola a quel viso angelico.
    Lucas sorrise appena, dolce seppur malinconico. La mano con cui non si reggeva ne cercò di accarezzarne la pelle, piano, con il dorso «Non sono solo i tuoi occhi a farmi impazzire, Liz...» un sussurro lieve, mentre non rompeva quel contatto visivo che si faceva sempre più audace «... ma quello che dicono, quando ti guardo.»
    E poi arrivarono le sue labbra, la testa di Lucas scivolò verso il basso, verso la sua, suggellando quel silenzio, mentre respirava il suo ossigeno, quasi ritrovandosi rigenerato. Quelle lingue si incrociarono, dapprima fu un incontro gentile, poi - quando le sue mani scivolarono sulla nuca del ragazzo - lui si fece più presente, più passionale, vorticandola ancora di più.
    Non gli interessava se gli avesse tolto il berretto. Lei poteva. Si staccò a seguito di quel gesto, sorrise ancora «Sei l'unica a cui l'ho permesso...», un sopracciglio si sollevò, ritornando a baciare con desiderio quelle labbra, mordendole appena l'inferiore. Il capello per lui era una sicurezza, un qualcosa che secondo qualche strana idea, potesse difenderlo. E lei lo aveva tolto, aveva distrutto tutto quello che poteva essere uno scudo, per il povero Jug. Era totalmente nudo, nelle sue mani, seppur con abiti a dividere i loro corpi.
    Sentì le sue gambe stringerlo, tirò un respiro profondo, riempiendo le narici del suo profumo. Il sangue ribolliva, sentiva il suo cuore battere all'impazzata e il suo corpo desiderarla sempre più ardentemente. La sentì tirarlo a sé, ancora di più, Lucas cedette, poggiando il corpo completamente al suo, senza però pesarle indosso. Più lei stringeva, più quei baci si facevano presenti. Così come la voglia che stava cercando di controllare.
    Avrebbe fatto aderire le sue parti intime, in mezzo alle sue gambe, senza opporsi a quella pressione che lei faceva, fregandosene se potesse scoprire che effetto gli facesse.
    Al suo morso, sbuffò una risata divertita, mentre sottrasse il calore delle carnose, per spostarsi lentamente sulla sua guancia.
    Ne scostò i capelli, con la mano destra, scoprendo lembi di pelle che avrebbe tentato di esplorare con la bocca, imprimendole caldi baci su quelle frazioni nude, fino ad arrivare vicino al suo orecchio e concedere alle labbra di baciare la carne, appena intorno al lobo, sul collo, poi piano avrebbe tentato, se lei non lo avesse fermato, di accarezzare con la lingua quella parte di collo che andava dall'orecchio alla curvatura, verso la spalla, per poi tornare a ripercorrere lo stesso tragitto con le labbra.
    Piano.
    Lento.
    Delicato.
    La mano che aveva liberato la pelle dalle ciocche, continuava a mantenere nuda quella parte, mentre proseguiva con quell'accurata ispezione fatta dalla sua bocca.
    Come una piuma che passava su e giù su ogni centimetro di quella zona.
    Arrivato all'orecchio, avrebbe lasciato un dispettoso morso sul lobo, adagio, senza farle male, delicato «Se non mi vuoi, fermami ora... Liz. Mandami via...» un dolce respiro al suo orecchio, prima di morderlo appena ancora una volta, sul lobo.
    La mano sinistra, intanto, aveva intrapreso a carezzare a fior di pelle il suo fianco, seguendo la forma del suo corpo, fino ad arrivare alla coscia, dove prese a disegnare ghirigori astratti.
    Non sarebbe andato oltre, non senza un suo consenso. Per lui, potevano rimanere anche così, a baciarsi per ore...
    code © psiche
     
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Black Opal
    Posts
    1,200
    Reputation
    +323
    Location
    Holyhead, Galles

    Status
    🗲
    barbara_palvin_fashion_model-1920x1200



    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    Si pentì forse di averlo chiamato per cognome? Assolutamente no. Il cognome era sì importante, ma come aveva già espresso a voce non significava per forza dover rispettare le tradizioni di famiglia. Di diverso avviso però sembrava essere Jug, che affermava di come si sentisse intrappolato da quelle cinque lettere.E sembrava auto-alimentare quell'alibi per ogni azione sconsiderata che faceva. Non studiare, cercare le risse, aizzare compagni erano tutti comportamenti che lei mal volentieri sopportava. E allora perché diavolo era con lui, sul suo letto, a Londra? Cosa aveva visto esattamente in quello sguardo indagatore, nei suoi silenzi prolungati? Perché non era scappata a gambe levate dalla Stanza delle Necessità quando l'aveva vista tappezzata di sue fotografie? Poteva essere un serial killer e lei ci si era buttata a braccia aperte. Ma Jughead Jones non erano solo risse, pugni e sangue. Jug era stato vicino a lei, sorreggendola quando aveva finito con il rivelare il suo essere senza padre, priva di un qualcosa che non avrebbe mai potuto provare. Jug era stato con lei, al San Mungo, per essere curata dopo quella notte. Ma già lì, qualcosa era cambiato. Era tutto cambiato dal giorno in cui era stata rapita. Certo che le cose o capitano tutte insieme o vivi solo periodi di grande magra.
    L'ametrino esplose, continuando ad affermare come egli fosse un mostro, rivelandole che avrebbe ceduto al suo lato oscuro perché qualora fosse morta lui non avrebbe più avuto un motivo per continuare a vivere e a sperare. Sperare come ancora faceva in quel momento, continuando a parlarle e a non allontanarsi da lei. E lo vide soffrire quando comprese ciò che le sue, di parole, gli avessero fatto: sapere di lei e di Joshua era un dolore immane per lui. Ma cosa avrebbe dovuto fare lei di grazia? Mentire? No, le bugie avevano bisogno di una buona memoria e per quanto lei l'avesse non voleva prendere in giro per prima se stessa.
    Era innegabile ciò che la legava ad Evans, così come anche quello che aveva con Jug. C'era una frase che la tormentava da un paio di giorni: ragazza, non lasciare che due uomini si innamorino di te, non è il genere di cose che finisce bene. E miseriaccia se quella massima non era vera! Lucas era stato molto chiaro con lei: l'amava, la voleva solo per sé e, qualora non fosse stato scelto, l'avrebbe perso, perché per lui era impossibile vederla con un altro. E Joshua... lui le aveva promesso che qualunque cosa fosse successa tra loro, lui non si sarebbe più allontanato da lei, anche se quello avrebbe significato essere solo amici.
    Due Ametrin, un Grifondoro ed un Serpeverde, e il cuore di un'Opalina che non riusciva più a capire cosa fare.

    Doveva capire e, come solo una diciottenne in preda agli ormoni potesse fare, cercò di farlo attraverso la fisicità, lasciandosi baciare da Jug che l'aveva attratta a sé, stringendola in un bacio. Un bacio che le ricordò qualcun altro e che non le permise di poter viversi appieno quelle lingue che si erano reincontrate. Si staccò, perché tutto le sembrava sbagliato. Non così. Non poteva vedere il viso di Joshua sovrapporsi a quello di Lucas. Scivolò di lato, portandoselo addosso facendo leva su quella felpa, mentre lui cercava di non pesarle sorreggendosi sulle braccia. E cosa dicono ora i miei occhi? Una domanda che si tenne per sé, distogliendo la sua di attenzione con un bacio più profondo degli altri, mettendolo a tacere, sperando che quello bastasse per farlo passare oltre. Il suo bacio divenne irruento, sconnesso, con le mani che si apprestarono a far allontanare quel cappello così simile alla coperta di Linus. Sorrise di rimando, a quella affermazione, ritornando a curare quelle labbra che lui aveva precedentemente mordicchiato, avvicinandoselo ancora di più. Cedette, sentì tutto il suo peso sopra di lei, con i loro corpi che iniziavano a comprendere come meglio incastrarsi. Un calore che era capace di renderle tutto liquido, privandola della concezione di spazio e di tempo, con il suo corpo che sembrava comprendere da solo quale fosse il passo successivo da fare. Un passo dettato dall'istinto, come quelle mani che indussero il bacino dell'altro a scontrarsi con il suo. Sgranò gli occhi. Era il suo effetto su di lui a creare quella che era un'erezione? O era la rabbia? Da qualche parte aveva letto che anche quello potesse essere un fattore per avere un durello. Solo che non ricordava se lo avesse letto in un testo scientifico o sulla posta del cuore del Settimanale delle Streghe, versione teen?
    Gli morse quel labbro rendendolo ancora più rosso. Sentì una piccola risata sulle sue stesse labbra, lasciandole solo per indirizzarsi sulla guancia, mentre le mani, bollenti, spostavano i suoi capelli dal collo. Un brivido le corse lungo la schiena quando sentì il percorso di baci che dal collo andava verso l'orecchio per poi scendere giù, verso la spalla lasciata nuda dal tendere delle mani di Lucas sulla sua maglia. Istintivamente si mosse, spingendosi verso di lui, lasciandosi sfuggire un gemito quando i denti dell'ametrino si appropriarono, seppur dolcemente, del suo lobo. Le sue mani erano finita chissà come sotto la felpa del ragazzo, tastando la sua pelle calda di quella schiena fin troppo magra.
    Parole si infransero sul suo orecchio. Parole che ebbero il potere di raggelarla, piuttosto che di accenderla ancora di più. Sgranò gli occhi, tirandosi indietro talmente veloce da sbattere violentemente la schiena contro la tastiera del letto. Ouch! Si ricoprì, cercando di fissare gli occhi ovunque tranne che su di lui. Io... io non posso, Jug. Avrebbe cercato di svicolare dal peso di lui, provando a guadagnare la fine del letto per rialzarsi. Ho sempre pensato che la mia prima volta sarebbe stata con la persona che amo... Non riusciva a guardarlo, non voleva neanche che lui la toccasse minimamente. Perché quello che stava per dire sarebbe stato probabilmente ancor più doloroso per lui, perché qui non poteva svicolare come aveva fatto al suo ti amo un po' rabbioso. Ed io... ora, non credo che sia la cosa più giusta da fare... I piedi, una volta infilati velocemente gli anfibi, si sarebbero mossi in direzione della porta, lì dove aveva lasciato quel trolley preparato per quel weekend che doveva essere una fuga per il ragazzo, ma che in realtà si stava rivelando l'inferno sceso in terra. Scusami Jug, ma non so se anche io ti amo.
    Quel trolley però lì le fece comprendere come non sarebbe stato giusto prender tutte le sue cose e andare via. In fondo era stata lei a chiedergli di aiutarla a comprendere, solo che non credeva in quel senso, ecco. Sulla soglia della porta, si sarebbe voltata, dopo essersi sfilata il giubbino per appenderlo sulla staffa di quella valigia con ruote, e cercando di sorridere gli propose la prima cosa che le passò per la mente. Credi che potrei vedere le tue doti in cucina? Ho una certa fame.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
    .
  9.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Ametrin
    Posts
    549
    Reputation
    +223

    Status
    🗲

    Lucas Jughed Jones
    stat - sche - cron - amet
    ★ ★ ★
    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Il suono di quella voce che lo chiamava per cognome continuava a ronzargli in testa, come una martellante trivella. Strinse gli occhi e portò le mani alle tempie, con un'espressione dolorante, non solo per quel fastidio, ma anche per la mano che non sembrava voler smettere di fargli sentire quanto fosse stato cretino a sbattere quel pugno sul muro.
    Il fatto che lei non parlasse, poi, era ancora più frustante di tutto il resto. Forse non quanto quella visione che aveva di lei e Joshua che si baciavano, ma lo era.
    I lunghi periodi di silenzio, non erano mai stati così deleteri per Jug, mentre adesso aveva capito quanto rumore potesse fare il silenzio. E non gli piaceva assolutamente.
    Quando i suoi genitori erano morti si era rifugiato nel silenzio, avevano cercato a tutti i costi di farlo parlare, ma nemmeno i buoni psicologi c'erano riusciti. Solo i suoi fogli, le sue penne e le sue foto erano il modo in cui lui riusciva a comunicare, ma tutti gli erano andati contro.
    Sollevò le iridi di ghiaccio su Elisabeth, trovandola in silenzio. «Liz, mi dispiace. Non volevo esplodere così... giuro che non lo farò più...» chiese scusa alla prefetta, senza realmente guardarla, distolse lo sguardo, puntandolo verso il pavimento. Non andava bene, non stava andando nulla bene. La sua maledizione era reale e lui aveva preso a calci quella realtà, deridendola, cercando di esorcizzarla. Non ci era riuscito, ed ora, il destino, gli stava facendo pagare tutte le pernacchie che Jug gli aveva fatto, cercando di dimostrargli chi comandasse. Gli stava togliendo la sola cosa bella che lui avesse.
    Cosa avrebbe dovuto fare per recuperare quel silenzio? «Ti prego, Liz... Dimmi qualcosa, mandami a fanculo, ma per favore, non ammazzarmi ancora di più con questo tuo silenzio.» si era aperto e lei lo stava chiudendo fuori, senza realmente cercare di capirlo.
    Mandò giù quel boccone, amaro come mai nella vita aveva assaggiato qualcosa del genere.

    Quando il contatto di quel bacio finì, gli occhi di Lucas non volevano riaprirsi su quella realtà che non gli piaceva «Per favore... per una volta, puoi pensare solo a me e te...?» era una supplica, un tono basso, quasi spezzato, con quella lacrima dispettosa che scese sulla guancia calda.
    Le sue labbra, quasi in risposta a quella supplica, ritornarono a baciarlo. Era confuso, adesso anche lui non capiva che cosa volesse Elisabeth e lui stava facendo esattamente quello che lei gli aveva chiesto: provando a farle capire.
    Quando la vide sorrise, il suo cuore si fermò all'improvviso, quasi come se si fosse acceso il sole davanti a suoi occhi. L'angolo delle labbra di Jug si sollevò, in uno sghembo sorriso dolciastro, che non aveva niente a che vedere con i soliti.
    Cadde in mezzo alle sue gambe e quasi non poteva credere cosa stesse succedendo.
    Erano state tante le volte in cui per motivi che non avrebbe voluto rivelare, aveva dovuto fare sesso con qualcuna, ma non era mai successo di avere un'erezione così velocemente e così facilmente, solo per un paio di baci.
    Cosa gli stava facendo Elisabeth Lynch?
    Lucas sperò che la ragazzina non se ne accorgesse, come se fosse una cosa vergognosa che lui non voleva far scorpire, quindi cercò di concentrarsi sulle sue labbra e sulla sua pelle, le carezze sul suo corpo, come se la stesse conoscendo attraverso il tatto. Era quello che desiderava di più, così come voleva che quel bacio non finisse mai, che quel letto facesse loro da culla per l'intero week-end, anche solo a rimanere abbracciati, sentendo l'odore della sua pelle e del suo balsamo per capelli.
    Sentì il suo gemito e cercò di rimanere concentrato sulla sua pelle, provando a limitare i danni che quella ragazza stava facendo alle sue parti basse. Poi il suo tocco sulla pelle lo fece sussultare, facendogli trattenere il fiato per un attimo, prima di riprendere con delicatezza ad ammorbidire la sua pelle con quei baci caldi.
    Aveva smesso di pensare alla sua erezione, perché tutto quello che adesso contava, era lei. Non voleva altro che farle capire quanto tutto fosse perfetto quando lei era lì con lui.
    Ma quando le sue parole arrivarono a Liz, questa non ebbe una giusta reazione, non quella che Lucas si sarebbe aspettato.
    Non capiva come, ma Liz lo stava mandando via. O meglio, si stava sfilando da sotto di lui, dove lei lo aveva voluto.
    Gli occhi di Lucas si sgranarono, erano diventati troppo grandi, non poteva crederci.
    Aveva scelto, quindi? «Attent---» fece per allungare un braccio verso la sua testa, ma lo ritrasse subito, come se fosse spaventato dal toccarla. Ancora una volta.
    «I-io... non so cosa tu... Liz... io non...» si spostò di fretta e furia, scendendo dal letto e lasciandola libera di fare quello che volesse, si voltò di spalle, cercando di nascondere il fatto che stesse spingendo verso il basso con le mani, per calmare quello che si era alzato.
    «Non... non mi è mai successo... io... scusa... non sarei ...» era imbarazzato, oltre che distrutto, amareggiato e triste.
    Si voltò con gli occhi gonfi verso Liz, con ancora qualche rimasuglio ormonale verso il basso «Liz! Ma come cazzo ti viene, non ti avrei mai spinta a... cioé... mi sono sentito in colpa per averti tolto il primo bacio, ti ho chiesto scusa per questo, credi che io possa mai aver pensato di... ma ... Liz...» il suo sguardo era spezzato, come se in quel momento avesse sentito romperesi anche altro «Tu... non... non ti fidi... non ti fidi di me...» abbassò la voce, che si perse in gola, mentre lo sguardo glaciale, sgranato, guardava il pavimento. Non era una domanda, era un'amara affermazione che lo aveva svuotato completamente di tutto. Aveva sentito il ghiaccio coprirgli il cuore.
    Sollevò lo sguardo solo quando la vide voltarsi di spalle e avvicinarsi al trolley. «Se ne sta andando... lo sta per fare... sono un emerito coglione...» andò verso il cappellino, si calò per raccoglierlo. L'unica difesa che gli fosse rimasta. Lo prese e lo strinse tra le mani, infilandoselo nuovamente.
    Poi la sua voce ruppe quel silenzio mortale. Sgranò ancora una volta gli occhi, che poi vennero chinati «S-sì... certo... se vuoi... se vuoi darti una sistemata, puoi farlo. In bagno c'è tutto il necessario... I-io... inizio a preparare qualcosa. Vuoi qualcosa in particolare?»
    Senza incrociare il suo sguardo, le passò accanto, sfilando per quella porta, quasi sfuggendo a quella sensazione di distruzione. Non sarebbe mai più rientrato nella sua stanza con la stessa voglia di prima.
    Rimase un attimo fermo, quindi senza voltarsi «Ah, Liz... nel cassetto, avevo lasciato un mangianastri... c'è una canzone che ho chiesto ad un mio amico di registrare... ho scritto io il testo, ma ... sono stonatissimo.» un sorriso triste che lei non avrebbe visto, per poi imboccare il corridoio e andare verso la cucina.
    code © psiche
     
    .
  10.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Black Opal
    Posts
    1,200
    Reputation
    +323
    Location
    Holyhead, Galles

    Status
    🗲
    barbara_palvin_fashion_model-1920x1200



    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    C'è sempre un prima ed un dopo, così come c'è sempre la quiete dopo la tempesta, anche se, non sempre è così. Quel frangente della sua vita era pieno di piogge, tornado, persino uragani, con lei nelle vesti di una Madre Natura un po' incazzosa. Aveva scoperchiato il vaso di Pandora, rivelando tante soffrenze che avevano portato a galla ulteriori difficoltà, disadattamenti e disagi che non credeva possibile. Quella piccola goccia si era espansa in un effetto decentrico, dove dal topic principale della sua rivelazione si era arrivati all'odio e all'esplosione di quel ragazzo per tutte le ingiustizie che la vita gli aveva presentato. Era rimasta in silenzio davanti a quel groviglio di rabbia, non sapendo trovare parole adatte, parole che erano solite essere sulla punta della sua lingua ma che in quel momento proprio non erano riuscite a risalirle dal suo io più profondo. Aveva persino scosso la testa, facendo spallucce quando lui si scusò per la foga che aveva usato per riversare tutto quell'accumulo di roba, quando in realtà, una parte di lei, era profondamente spaventata, perché conosceva quel lato combattivo di Lucas, con i suoi numerosi tagli, cicatrici e ferite che persino lei stessa si era ritrovata a curare. E se non avesse saputo trattenere la sua rabbia con lei? Chiuse gli occhi, cercando di non pensare all'immagine di lei tumefatta. Un'immagine che forse non si sarebbe mai realizzata ma che contribuì ad accrescere il suo silenzio, oltre che la frustrazione. Cosa vuoi che ti dica? Io fino a due minuti fa ti ho chiesto di smetterla di darti del coglione.

    Ci fu un rovesciamento delle parti, con le parole messe in un angolo per dar spazio ad una fisicità che li aveva visti poco protagonisti. Non c'era stato poi molto tempo per quelle lezioni, neanche dopo quando era ritornata a scuola vista la situazione che si era venuta a creare. Credeva che con un bacio più profondo degli altri, con gli ormoni e il desiderio fisico a guidarla avrebbe potuto mettere a tacere l'immagine e il ricordo dei baci di un altro ametrino. Un'immagine che cozzava fortemente anche con la richiesta di Lucas di pensare solo e soltanto a lui. Non si premurò di rispondergli, perché in cuor suo aveva già deciso di adottare quella tecnica, provando a scollegare la mente e far reagire solo la sua voglia. Una voglia di perdersi in un limbo erotico, che coinvolse anche il ragazzo vista l'erezione che gli premeva sui pantaloni, lasciando che Liz arrivasse persino a ribaltare le posizioni per avere di più, sentire di più, fino a quando quella magia non venne interrotta da una frase di Jones che l'aveva risvegliata. Si staccò da quel bacio, provando ad allontanarsi da lui con uno scatto, finendo solo con il farsi male, nonostante il tentativo di avvisarla del pericolo. L'unico pericolo che però aveva recepito l'opalina era un attacco alla sua verginità, portandola a ripetere un'unica frase amara che fece balbettare anche lui mentre si allontanava da quel letto, dandole le spalle. Non riusciva a comprendere cosa non fosse mai successo: non era mai stato così con una ragazza? Eppure non le aveva dato l'impressione di essere uno sprovveduto come lei. Lei che non sapeva neanche come approcciarsi anche alla più semplice toccatina e che procedeva per tentativi ed errori. Lei che rivelò quel patto che aveva fatto con se stessa quando aveva compreso il significato della parola sesso. Eh-? Era davvero basso quel suono che a stento era riuscita a sentirlo lei. Lui si sentiva in colpa per qualcosa che aveva preso senza chiedere il permesso. L'aveva già perdonato, quando aveva deciso di tornare indietro e chiedergli di insegnarle a farlo.
    Non mi fido più di me... Rispose in un tono basso, mentre il suo corpo era già vicino a quella valigia che riuscì in qualche modo a bloccarla da quella volontà di andar via da lì, da quella situazione pesante, da perfetta codarda. Non riuscì, fermandosi e lasciando scivolare la sua giacca per poi chiedergli di cucinare qualcosa per lei. Un modo un po' maldestro per chiudere tutta quella storia, ma che alla fine si rivelò il modo più giusto per provare ad andare avanti almeno per un po', ma dubitando che riuscisse a coprire l'intera durata del weekend. Uova strapazzate e bacon croccante? Non tutti sono in grado di prepararle. Sarebbe stata pronta a seguirlo in cucina ma lui le indicò ancora una volta quel cassetto da dove aveva tirato fuori una scatola di lettere per lei in diversi anni, affermando come avrebbe trovato un vecchio walkmen giallo con un paio di cuffiette. Lì avrebbe trovato una canzone, una canzone scritta da lui e persino cantata con la sua voce roca. Oh... okay. Disse a quella schiena che si era fermata, ripercorrendo poi quei passi solo perché sapeva che il disagio sarebbe cresciuto con il finire nella stessa stanza.

    Play, pausa, rewind. Play, pausa, rewind. Dannazione, non solo è dell'anteguerra, ma è pure rotto! Imprecò, quando per l'ennesima volta, dalle cuffiette che aveva indossato sentiva le parole frammentate che puntualmente stoppava fino a quando non riuscì ad ascoltare il giro di chitarra che dava inizio a quella canzone. Una canzone con un testo semplice, ma dalle parole forti e chiare. Una canzone che non parlava solo di lui, ma anche di lei. Lo sguardo ricadde su quelle lettere impilate e mai spedite, così come le numerose foto che aveva di lei, per finire quella canzone. Erano tutte dimostrazioni d'amore che qualunque ragazza al mondo avrebbe voluto, ma lei? Lei alla fine si era avvicinata a lui perché spinta dalla curiosità di chi si celasse sotto il cappellino che lo proteggeva, provando una forte attrazione, un interesse ed un piacergli che aveva anche appreso grazie al sogno onirico del professor Olwen. Ma quel sogno riguardava l'ammettere come le piacesse quel ragazzino e non che lo amasse. Piacere e amare erano però due cose completamente agli antipodi. E loro due sembravano viaggiare su due lunghezze d'onda diverse. Sei qui per capire, sei rimasta per capire... Sussurrò, passando i polpastrelli su quelle lettere che forse non avrebbe mai letto. Aveva paura di trovare in quelle parole un'immagine di sé fortemente idealizzata, così come quelle foto perfette che le aveva scattato e collezionato come fossero figurine. Ma finirai con il fargli altro male. Prese tutto, persino quella scatola, per rimetterla al posto che spettava, rimettendosi in piedi per andare verso quella cucina bianca che tanto le aveva mostrato con orgoglio. Ho ascoltato quella canzone e... Avrebbe iniziato, posando ai piedi di quel bancone il trolley che aveva portato fino a lì, posandovi sopra il giubbino di pelle. Il rimanere sarebbe stato messo nuovamente in dubbio: non si sentiva a proprio agio con quel fine settimana londinese, ma se andava via avrebbe finito con lo straziare definitivamente il ragazzo. Se fosse rimasta, invece, sarebbe stata lei ad uscirne con le ossa rotte. Ormai, la -poca- spensieratezza di quel weekend era sparita e una persona schietta come lei avrebbe fatto meglio a battere in ritirata. Io... io non posso restare qui, Jug. Voglio pensarci un po'... da sola.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
    .
9 replies since 21/11/2019, 18:00   212 views
  Share  
.
UP