[...]ed eri così bella che non ci credevo.

25 Settembre 2019

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    Lucas Jughed Jones
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Se c'era una cosa che Lucas era molto bravo a fare, era pedinare una persona.
    Quel pomeriggio voleva vedere Elisabeth. Dopo la lezione di Rune non era riuscito neanche una volta ad averla sotto mano, da sola, senza qualcun'altro attorno.
    Aveva voglia di parlarle, aveva voglia di sentire di nuovo quel contatto fisico che avevano creato in quell'aula.
    Insomma, la cercava in maniera quasi ossessiva e la cosa stava diventando quasi perseguibile per legge.
    Sapeva, dopo aver sentito parlare Erik, che quel pomeriggio avrebbero avuto una riunione, roba di Prefetti e Capiscuola che lui non capiva bene e nemmeno si sforzava a comprendere, perché non era una sua volontà.
    Aveva deciso di fare una delle sue apparizioni sceniche, migliori di quelle che aveva sempre fatto apparendo ferito in qualche zona del castello, per poi trovare la ragazza pronta a curarlo, senza nemmeno farlo a posta.
    Oggi non aveva nulla da curare, se non la mancanza della presenza della Prefetta, quindi aveva deciso di fare un po' di scena, dimostrandole quanto era convulsivamente ossessionato da lei, ma ancor peggio dal suo sorriso.

    Erano tante le foto che aveva rubato alla Prefetta degli Opali, senza che lei se ne accorgesse, ma c'era una che Lucas amava guardare e custodiva gelosamente nel suo baule. Di quella aveva deciso di svilupparne una seconda copia.
    Dopo aver preparato tutto quello che gli serviva e aver avuto la foto pronta, sul retro di questa scrisse una frase, che ogni volta che osservava quell'immagine, gli veniva in mente «...e mai nessuna foto renderà giustizia al tuo sorriso, quando esplode all'improvviso sul tuo viso...» aveva scritto in un stampatello molto maschile, firmando la fine della frase con una J.
    Lui sperava che nei suoi pensieri, la J l'avrebbe riportata subito a pensare a lui, senza ricordarsi, che tra gli studenti c'erano molti Jon, Jin e... Joshua.

    Il tutto, adesso, stava nel consegnargliela. Poteva lasciarla ad Erik, ma aveva il timore che il ragazzo se la sarebbe dimenticata, quindi andò fin davanti la porta della Sala dei Prefetti e si guardò in giro.
    Si era appostato lì per ore, attendendo che tutti uscissero, mancava solo lei. Quando anche l'ultimo di loro uscì e la porta si chiuse, Jug iniziò ad agitarsi.
    Fu in quel momento che passo un elfo, affaccendato a far su e giù per cercare di sistemare i corridoi «Ehi, pssss, amico... non è che mi faresti un favore? Potresti consegnare questo alla Prefetta che è dentro, io non posso entrare, sai com'è, non sono un Prefetto o simili. E dille che... l'attendo nella stanza delle Necessità. Elisabeth Lynch. Mi raccomando.»
    Non fece in tempo nemmeno a rispondere, l'elfo, che si trovò con quella foto animata tra le manine, pronta ad essere consegnata.

    Lucas, mentre l'elfo si prodigava a fare il lavoro sporco, corse nella stanza delle necessità.
    Adorava quella parte del castello, perché era l'unica che ascoltava i suoi veri bisogni.
    Chiuse gli occhi e iniziò ad immaginare cosa Elisabeth avrebbe dovuto trovare all'interno di quell'aula, una volta superato il portone.
    Pian piano le pareti e l'aspetto dell'aula variò. La luce scese e dalle pareti al soffitto, vennero giù delle sfere colorate, che si illuminavano lievemente, sparsi qua e là c'erano dei palloncini, che rimanevano fluttuanti, con un filo che scendeva, alla fine del quale vi era una vecchia polaroid che raffigurava delle immagini statiche: alcune erano profili e scatti rubati di Elisabeth, altri erano scatti fatti durante le sue partire, o in giardino o in biblioteca... insomma, c'era lei, raffigurata in una decina di foto, sparse per l'enorme stanza.
    Al centro di questa vi era un tavolino basso con attorno dei cuscini enormi, comodi e sparsi per la sala dei pouff.
    Quando Lucas riaprì gli occhi, c'era davvero tutto, anche la coca sul tavolino e dei panini alla nutella. Insomma, una sana merenda, che avrebbe potuto variare con le scelte della ragazza.
    Mancava solo una cosa: Elisabeth Lynch.
    Lucas non sapeva se sarebbe arrivata, ma...
    Rimase in attesa, mettendosi a leggere su di un pouff in un angolo sperduto della stanza.
    Ma poi... perché aveva fatto tutto ciò?
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    Elisabeth Lynch
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    Essere Prefetti non significava andarsene in giro tronfi, con la spilletta appuntata sul petto a togliere punti a studenti per il solo piacere di farlo e perché, scaccolarsi nel chiostro e attaccare le caccole sotto al muretto non era tra i comportamenti consoni che studenti adulti potessero paventare. Essere Prefetti non significava mantener fede al regolamento scolastico, esser d'esempio e punto di riferimento per gli altri. Esser Prefetti era una grande seccatura, come quelle riunioni infrasettimanali decisamente inutili. Il nuovo Caposcuola dei Dioptase, Broderyc Bones era così puntiglioso, da voler fare dei quadri della situazione ogni tre giorni, per accertarsi che i nuovi Prefetti avessero compreso appieno tutti i cavilli che il loro ruolo comportava. In poche parole: palle piene.
    Palle piene il doppio quando Bones le ricordò, con un abbaio, che sarebbe spettato a lei risistemare le sedie della stanza dei Prefetti e Caposcuola per quel pomeriggio. E sapeva che se non avesse impilato perfettamente le sedie, in gruppi di egual numero, ad eccezione di quelle che circondavano quella tavola rotonda, avrebbe tolto dei punti ai Black Opal. Pallone -issò per la spalliera l'ultima sedia, dirigendosi verso la pila più bassa, per farla scivolare sulle altre- gonfiato. Sbatté i palmi delle mani uno contro l'altro per togliere la polvere che, inevitabilmente, le era rimasta attaccata. Ora non le restava altro che spingere sotto al tavolo le sedie, sistemare delle pergamene pulite al centro della stessa superficie e rifornire i calamai con l'inchiostro. Questione di poco e sarebbe stata finalmente libera come i suoi colleghi che, da perfetti codardi, si erano dileguati pur di offrire un aiuto che avrebbe comunque rifiutato.
    Era intenta a controllare le piume per gettar via quelle irrimediabilmente consumate, quando una vocina non la fece sobbalzare.
    Signorina Lynch, ho una cosa qui per lei. Un Elfo Domestico con uno straccio consunto da una mano e nell'altra un rettangolo che giurò si fosse mosso sulla superficie. Aveva l'aria un po' imbarazzata e guardava ovunque tranne che lei. Con la manina un po' rachitica le porse proprio quell'oggetto curioso. Grazie, Tronky. Sul nome non poteva sbagliarsi dato che era l'Elfo che si occupava solitamente del secondo piano e per lo più si accertava che i bagni fossero sempre puliti mentre gli studenti erano chiusi nelle aule. Con le dita sull'oggetto si rese conto che fosse effettivamente un qualcosa che si muoveva continuamente, una foto magica, ad esser precisi. Ma se si voleva esser puntigliosi era lei impressa in una foto magica con un sorriso ad allargarle il volto. Lo sfondo era sfocato, rendendole impossibile riconoscere il momento in cui era stata scattata, ad eccezione della divisa e della spilla da Prefetto appuntata. Chi te l'ha data? Chiese, girando l'immagine di se sorridente -quindi era così buffa quando sorrideva?- ritrovandosi con una grafia familiare nonostante fosse scritto in stampatello. J? J come Jug? Fu il primo nome a baluginarle per la mente, ma anche l'unico ad esser sinceri. Solo il ragazzo taciturno degli Ametrini aveva passato tanto tempo ad osservarla il primo anno, registrando anche la più piccola informazione su di lei. E solo lui poteva averle rubato uno scatto del genere. Solo che... se quel sorriso con la finestrella tra gli incisivi e il naso un po' arricciato non era stato merito suo, allora di chi? Blake! Con i suoi disastri il concasato era l'unico che la facesse sorridere e spazientire al tempo stesso.
    Uno studente, signorina Lynch, uno studente viola e giallo. Tronky aveva iniziato a stritolare nervosamente lo straccio, dondolandosi sui piedi nudi. Il signorino mi ha chiesto di dirle che l'attende nella Stanza delle Necessità.
    Rigirò la foto, perdendosi in quegli occhi un po' da gatta e la fossetta che si era creata sulla guancia destra. Grazie mille, Tronky.
    Signorina... E con uno schiocco di dita si smaterializzò, lasciandola sola in quella sala vuota.
    E ora cosa diamine faccio?

    L'incertezza che accompagnò la giovane Battitrice dal secondo piano, dove aveva sistemato fino all'ultimo dettaglio, al quinto, davanti al muro che celava l'ingresso alla Stanza delle Necessità, era snervante persino per lei. Da quando il sogno onirico e la runa legata alla Piccola Arpia, Ansuz, le aveva fatto ammettere a Lucas che le piacesse la ragazza si era allontanata dal ragazzo in carne ed ossa. Non riusciva a guardarlo in volto, come avrebbe voluto, perché rivedeva sempre l'immagine di lui che baciava un'altra ragazza perché lei non era riuscita ad essere sincera con se stessa e con lui. Quello non poteva essere solo un sogno indotto dalla formula recitata insieme al runologo, quello poteva essere un futuro prossimo se avesse continuato così.
    La realtà era che, fino a quando non l'aveva visto baciare una persona che non fosse lei, la Lynch non aveva realizzato di come lui le interessasse non come Blake o Andros, ma come un qualcosa di più di un semplice amico. Solo che lei, di quelle cose, non sapeva proprio nulla. Non aveva mai baciato nessuno, non si era mai innamorata di nessuno e, soprattutto, non credeva che qualcuno potesse interessarsi a lei. Eppure quella foto che stringeva ferma davanti a quel muro spoglio le comunicava sensazioni diverse, mai provate.
    Prima o poi dovrai affrontarlo. Borbottò, puntando il piede destro verso l'esterno, parallelo al muro, iniziando la prima di quelle tre brevi passeggiate per far apparire il portone. Dev- No! Scosse il capo, con i capelli che sciolti danzarono davanti al viso occultandole per pochi secondi una vista chiara. La stanza magica funzionava solo se pensava intensamente a ciò che avrebbe voluto trovare al suo interno e non poteva affatto partire con un dovere la richiesta. Voglio vedere Jug. Funzionava anche con i nomignoli, vero? Poteva sentire il cuore accelerare ad ogni passo di quella prima breve passeggiata.
    Voglio vedere Jug. Era una sensazione o la fronte era davvero imperlata di sudore?
    Voglio vedere Jug. E quando la terza passeggiatina venne conclusa vede una porticina pian piano espandersi sul muro fino a divenire un maestoso portone. Un gruppo le salì in gola -o forse era il suo cuore- quando con la mano posata sulla maniglia non spinse per entrare al suo interno.

    Atmosfera soffusa, sfere che riflettevano luci dei più svariati colori, palloncini che volteggiavano con fili che trascinavano con sé quelle che imparò a riconoscere come foto, solo che erano istantanee babbane. Afferrò il filo a lei più vicino, trascinandolo a lei per quel rettangolo di misura diversa rispetto a quella foto che stringeva ancora nella mancina e che non aveva ancora il coraggio di riporre nella borsa a tracolla. Era lei, o meglio, erano i suoi occhi spalancati. Si potevano vedere le pagliuzze versi e dorate su un campo azzurro dominante. La lasciò andare, muovendo un altro passo leggero e per afferrarne un altro: biblioteca, seduta al tavolo sotto la finestra, un libro aperto e il viso rivolto verso timidi raggi di sole. Camminava tra quei palloncini e quei ritratti di lei in ogni sua sfumatura: triste, felice, assorta, pensierosa, negativa, imbronciata, persino sarcastica e... Questa è di Hogwarts... In sella alla sua scopa, con la divisa verde svolazzante, la mazza stretta tra le mani mentre punta un Bolide. Da quanto tempo mi osserva? Non sentiva affatto l'ansia negativa di essere perseguitata da un provetto stalker, sentiva piuttosto la sorpresa che quel ragazzo l'avesse osservata per tantissimo tempo. Ma... Fu la successiva polaroid ad aprirle un intero mondo. Era la Sala Comune dei Serpeverde e lei se ne stava seduta su una poltrona di velluto verde scuro davanti al camino, sfogliando la sua copia de "Il Quidditch Attraverso i Secoli". E significava solo una cosa... che loro due erano stati Serpeverde insieme solo che lei non si era mai resa conto del ragazzo col cappello. Forse perché il cappello non l'aveva ancora indossato e non era riuscita a distinguerlo dalla massa?
    Le iridi cerulee scandagliarono la stanza trovando proprio al centro un tavolino circondato da enormi cuscini e dei pouf e su uno di quelli, trascinato nell'angolo opposto a dove si trovava lei, vi era proprio Lucas Jughead Jones, Serpeverde passato agli Ametrin, intento a leggere un libro, dandole l'impressione che non si fosse accorta di lui.
    Vorrei tanto fotografarlo... Si ritrovò a pensare. E forse quel pensiero era così forte perché accanto a lei apparve un cuscino sospeso a mezz'aria con sopra una di quelle macchinette che lasciavano quasi istantaneamente lo scatto da una fessura anteriore. Sistemato il dono di Jones all'interno della borsa, prese la macchinetta, portando l'obiettivo ad altezza dell'occhio destro, strizzando il sinistro per mettere a fuoco e poi scattare. Lo immortalò con una mano persa in quei capelli ribelli, lo sguardo perso tra quelle riga e una posizione che non le dava l'idea di essere comoda. Voleva tanto regalare anche lei un palloncino fluttuante, di un bel rosso sangue, così in contrasto con quella foto in bianco e nero che aveva scattato. E come l'aveva pensato ecco un palloncino di quel colore volteggiarle vicino con un nastro nero cui fece scivolare la polaroid.
    Accertatasi che si tenesse diede un colpo leggero a quell'agglomerato di elio e plastica, con la volontà che raggiungesse il ragazzo silenzioso, rimanendo cosciente del fatto che si sarebbe accorto finalmente di lei, interrompendo quella sorpresa che aveva preparato per lei. Un po' inquietante, come suggeriva la parte più razionale di sé, ma decisamente romantica. Si chinò per afferrare un grande cuscino e trascinarlo lentamente verso di lui. Solo quando avrebbe alzato lo sguardo alla sua ricerca avrebbe compiuto gli ultimi passi che li dividevano per andare a sedersi accanto a lui.
    Non credi che sia arrivato il momento di farne una insieme? Avrebbe chiesto sollevando quella macchinetta fotografica per mostrarla anche a lui. Era un oggetto del passato che più apprezzava rispetto ai magifonini moderni. Le dava l'idea di accortezza, gentilezza e profonda attenzione al piccolo dettaglio che non poteva esser cancellato o riprodotto in scala fino a trovare lo scatto perfetto e finto.

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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    L'attesa era ciò che agitava di più Lucas: anche quando sapeva cosa dovesse aspettare, cercava di trovare sempre un modo per ammazzare il tempo, la sua testa tuttavia, rimaneva fissa sull'oggetto della sua attesa.
    Quando poi l'oggetto in questione era Elisabeth Lynch, le cose erano ancora più difficili.
    Lucas non avrebbe saputo dare una motivazione giusta per quello che aveva organizzato, probabilmente era solo un modo per rivedere il Prefetto, per incontrarla ancora una volta? E Lucas Jughead Jones non sapeva fare le cose in maniera tradizionale, come, per esempio mandarle un messaggio.
    Prima di tutto, questo non poteva avvenire perché lui non aveva un magifonino, in secondo luogo perché credeva che fosse così impersonale digitare quattro lettere in croce, per invitare una ragazza ad uscire.
    Lui preferiva le lettere, amava fare sorprese, magari facendosi trovare dietro la porta di un'aula ad attendere la sua uscita... insomma, lui era come un cavaliere d'altri tempi.
    Chiederlo a voce, invece? Era fuori discussione! Era uno di quei modi a cui Lucas non pensava minimamente visto che ancora non era capace di formulare la richiesta in questione, senza distogliere lo sguardo da lei.

    Quindi per questo motivo, aveva deciso di fare le cose in perfetto stile Jug, totalmente anticonvenzionale, giusto per mettere i punti sulle i.
    La fotografia era il suo mondo e Elisabeth il suo soggeto preferito, tuttavia non aveva pensato a quanto potesse sembrare inquietante ed invadente, magari per la ragazza, il fatto che lui custodisse così tante fotografie che la vedevano ritratta in vari momenti della giornata, fin da Hogwarts.
    Lucas non aveva mai avuto in testa di dirle che era da molto che seguiva le sue emozioni, forse perché sapeva che per Liz, lui non esisteva nemmeno, nonostante fossero compagni di casa ad Hogwarts.
    Questa volta, invece, era diverso: lui era cresciuto e le sue avventure con l'altro sesso erano state svariate, da buon maschietto qual'era, ma voleva far capire a Lizzy quanta attenzione riponesse su di lei, forse per poterle far capire ... altro.
    Quando l'ombra di un palloncino arrivo davanti al suo naso, piazzandosi tra la sua vista e la sua lettura, Lucas alzò lo sguardo riprendendo ad alta voce la frase che stava leggendo in quel preciso istante «Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?» il suo sorriso sarcastico ed enigmatico, fu rivolto alla ragazza prima, come a voler rivolgere a lei quella domanda dalle mille sfumature; poi osservò la foto al palloncino «Hai appena violato una delle mie regole fondamentali, sai, Liz?» la osservò sedersi al suo fianco, quindi, per poi staccare la foto che la ragazza gli aveva scattato, e osservarla per un po' «Questa è la mia prima fotografia, credo... o almeno, di quelle che non sono state scattate a mia insaputa dai miei genitori, che potrebbero sfiorare il porno e la pedofilia.»

    Scrollò le spalle e mise tra le pagine del libro, quella pellicola che era venuta abbastanza bene, poi, facendo leva sul braccio, si sistemò meglio, volgendosi col busto verso l'Opale.
    La sua richiesta gli fece storcere un po' il naso, come se fosse qualcosa che aveva fischiato nelle sue orecchie, un fastidio che non era sopportabile «Non sono fotogenico, sai? Verrebbe male... e poi, potrei rompere la macchinetta, non vorrai mica rischiare?!»
    Fare una foto con lei era uno dei suoi pensieri più reconditi, quei desideri che avrebbe voluto realizzare con uno schiocco di dita. Ciò nonostante, la sua avversione nel farsi ritrarre ostacolava lo svolgimento di questa volontà.
    E ora che era lei a chiederlo, Lucas si trovava in difficoltà, non convinto se fosse una richiesta obbligata o la ragazza volesse davvero una foto insieme a lui.
    Forse più la prima ipotesi, era dettata dal cervello di Lucas.

    «Spero che Tronky sia stato gentile ed educato, nel portarti la foto con cui ti invitavo qui...» sorrise, sollevando un angolo, il destro per la precisione, delle labbra «Avevo sentito della vostra riunione e non sono riuscito a beccarti prima.» bugia, l'aveva seguita fin lì e non aveva avuto il coraggio di invitarla, quindi aveva optato per qualcosa di molto più subdolo, come far fare l'invito a qualcun'altro «Tutto bene tra i capi junior?» non riusciva bene a sopportare quei ruoli gerarchici che c'erano in Accademia.
    Ma il motivo di quella domanda, era quello di evitare a pieno la sua richiesta di fotografarsi insieme, cercando di distrarre la ragazza su qualche altra tematica, che avrebbe occupato il loro conversare.
    Mentre la guardava, sorrideva, poi cercò di avvicinare una mano al lato del suo volto per passare dietro l'orecchio una ciocca dei suoi capelli, se gliel'avesse permesso, per poi ritrassi accorgendosi di quel che aveva fatto involontariamente.
    Perché erano lì, nessuno lo sapeva...
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    Per giorni si era tenuta a debita distanza dal ragazzo degli Ametrin, accumulando scuse su scuse come i troppi impegni dettati dal ruolo che ricopriva, lo studio e il Quidditch che aveva ormai rioccupato una parte importante di quelle ventiquattro ore quotidiane. E se le restava qualche stralcio di tempo si nascondeva in qualche angolo del castello per non essere beccata dal ragazzo col cappello. Quei piccoli comportamenti però sembrarono non scalfire la volontà di quel ragazzo nel passare del tempo con lei, anche qualche battito di ciglia, dato che si premurò di farle recapitare una foto magica e un appuntamento. Perché chiederle di raggiungerlo il prima possibile nella Stanza delle Necessità rientrava in quella categoria, no? Con ansia aveva camminato davanti quella parete vuota, implorando quell'antica magia nel condurla da Jones, con stupore aveva camminato tra quei ritratti di se legati a palloncini svolazzanti, con soddisfazione riuscì a rubargli uno scatto che ritenne perfetto per lei, poco avvezza a quella settima arte. Per pochi secondi si perse su quel profilo che aveva imparato ad apprezzare nel corso del tempo, spingendolo poi verso di lui, attirando finalmente la sua attenzione, dando prova di come avesse risposto sì a quell'invito pervenutole dall'elfo. Si godette ogni singola reazione del giallo viola, cibandosi della sorpresa di vedere un palloncino verso di se... ed era disappunto quello?
    Il silenzio venne interrotto da una frase del ragazzo, mentre osservava quell'istantanea che per una volta aveva rubato lei a lui. Una frase che le suonava stranamente familiare, ma che con tutta probabilità poteva esser solo nella scelta di alcuni vocaboli vicini piuttosto che lontani. Cosa stai leggendo? Domandò mentre si avvicinava a lui, trascinandosi dietro quella seduta che aveva scelto, che avrebbe dato un visivo dislivello tra i due quando si sarebbe lasciata cadere su di esso. Un grande cuscino morbido che lasciò vicino alla parete in modo tale da poter usare quella superficie fatta di pietra grezza come spalliera. Una scelta dettata dalla comodità rispetto al pouf che Lucas aveva scelto per sé. Il disappunto che aveva scorto per un attimo sul suo viso tornò, mentre quel palloncino se ne stava fisso nella sua sospensione, tanto che la foto rimase ferma davanti a lui fino a quando non la staccò da quel filo per osservarla meglio. Si sentì un po' punta nel vivo oltre a farle credere che il ragazzo stesse adottando la tecnica del "bue che da del cornuto all'asino". Allora tu, con le tue di foto, sei stato recidivo! Io odio essere fotografata, eppure tu l'hai fatto. Il tono era accusatorio, mentre il suo corpo era troppo impegnato a trovare una posizione comoda, con il sedere che affondava in quel cuscino e le gambe che optarono per essere messe nella posizione dell'indiana per darle una maggiore stabilità. E l'hai fatto così tante volte che hai più foto tu rispetto a quelle contenute nell'album di famiglia. Sempre se ne esisteva uno. Sì voltò, andando alla ricerca del suo sguardo, sollevando un indice che puntò contro. Sai che potrei denunciarti per stalking? Quell'ultima frase però le uscì più morbida di come avrebbe voluto, forse perché l'intensità con cui alla fine maneggiava quella polaroid sembrava come se stesse accarezzando una parte di sé. Pedofilia?! Di cosa stai parlando, esattamente? Una parte di lei era convinta che la stesse prendendo in giro e se fosse stato Barnes ad essere di fronte a lei non l'avrebbe mai creduta una cosa del genere, ma da Jughead poteva aspettarsi di tutto. E poteva farlo perché quel ragazzo era così imperscrutabile da divenire quasi imprevedibile in ogni sua mossa. Così come nel vederlo inserire la foto che tanto avrebbe voluto tenere tra le sue mani nelle pagine di quel libro un po' consunto. Un segnalibro. Di solito lei usava cose di valore per tener segno dei pochi libri che leggeva. Una foto, un bigliettino, anche solo un aforisma scritto di suo pugno e trovato in qualche pagina sfogliata a caso. Era divisa, perché da una parte il fatto che avesse deciso di conservarlo e tenerlo per sé significava che in qualche modo volesse qualcosa di suo, ma dall'altra anche lei voleva almeno un ricordo di lui. Lui che non si rendeva conto di essere perfetto, almeno ai suoi occhi. Scocciata prese con rabbia la borsa che aveva posato al lato esterno del suo corpo, rovistando fino a trovare la foto/invito che aveva fatto scivolare dentro poco prima. Naso troppo alla francese, labbra superiori sottili, finestrella tra i denti e borse sotto agli occhi. Anche io non sono fotogenica e mi sorprende che la tua di macchinetta sia ancora viva dopo tutti questi anni. Perché quelle istantanee erano scatti rubati non di mesi, ma di almeno buona parte della sua carriera scolastica. Il verde dei Serpeverde primeggiava quasi quanto il nero e il rosso dei Black Opal in quelle foto. Per cui... non rompere. Prese la macchinetta, alzandosi velocemente da terra e pensando di voler un tre piede dove posarla per impostare la stessa in un autoscatto.
    Tronky è stato un elfo-postino perfetto, non ha detto un'informazione di più. Rispose, armeggiando con quell'aggeggio che poco riusciva a comprendere. Dovresti smetterla di leggere il diario segreto di Foster, Jug. La privacy è una cosa importante, non solo una parola bellissima. Lo rimbrottò, scuotendo un po' il marchingegno, visto che la rotellina per cambiare la funzione sembrava non voler muoversi di un millimetro. Tutto uguale, come sempre... ronde, punti e punizioni. Rogne e basta. Con l'unghia dell'indice destro cercava di far leva sull'ingranaggio, ma nulla, quella macchinetta non sarebbe stata utile al suo scopo e oltre a renderla ridicola agli occhi del moro, la stava facendo solo innervosire.
    Inspirò, posandola sul treppiede; inspirò, cercando di combattere la voglia irrefrenabile di calciare quell'asta.
    Però poi un'idea ancor più malsana le balenò nella mente. Avete presente quelle macchinette babbani infernali dove si entrava, si mettevano dei gettoni e si scattavano una serie di foto? Per lo più gli sciocchi la usavano per documenti e curricula, mentre lei voleva una di quelle che stampava almeno cinque foto diverse, una sotto l'altra, e perché no, magari con la possibilità di stamparne un doppione, così da non doverla dividere a metà o litigare con l'altro per averla.
    Il suo pensiero era così forte che i palloncini finirono per asserragliarsi vicino alla porta da dove era entrata e, a poca distanza dai tavolini, comparve una struttura bianca con strisce colorate ed una tendina che avrebbero dovuto scostare, rivelando una seduta ed uno schermo dove guardare il proprio riflesso. Ottimo! Poi si girò verso di lui, allungando una mano sperando che l'accettasse. Magari due esseri imperfetti riusciranno a fare qualcosa di perfetto. Sperava davvero che lui accettasse quell'offerta e che la seguisse verso quella struttura, con lei pronta a scostare la tenda.
    Se l'avesse seguita però si sarebbero trovati davanti ad un enorme problema: ehm, come ci entriamo lì dentro? Sollevato il sipario lo spazio all'interno della cabina era omologata per una sola persona e lei si trovava nell'orrenda situazione di dover risolvere il tutto. Far sedere il ragazzo sullo sgabello e lei per terra o viceversa? Entrambi in piedi avrebbero finito con il picchiare duramente la testa sul tettuccio, oltre a deformare la loro immagine e fare una foto a testa le sembrava pressoché stupido. Suggerimenti?

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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Lucas non credeva davvero che la ragazza fosse venuta lì per l’invito che gli aveva fatto. Continuava a credere che il suo modo di fare l’avrebbe infastidita, ma lui non poteva fare a meno di vederla anche solo per quei pochi attimi che stava riuscendo a rubarle.
    Il sorriso con cui la osservava era leggero e a tratti insicuro, come se a mostrarsi troppo felice della sua presenza avrebbe mostrato il fianco ad un nemico inesistente.
    La lasciò accomodare come meglio credeva, cercando di non ridere per la sua goffa difficoltà a trovare la posizione giusta, quindi cercò di essere pronto solamente a risollevarla se fosse caduta. Erano da soli, forse fino a quel momento non era mai successo, e adesso? Cosa si doveva fare? Insomma, lui era rimasto più volte solo con una ragazza ma non aveva lo stesso peso di Elisabeth Lynch. La Prefetta era per lui qualcosa di effimero che non sarebbe riuscito mai ad avvicinare ed averla così, a pochi metri da lui bastava per renderlo soddisfatto, così tanto da potersene tornare in sala comune senza nient’altro da dire.
    Si mostrò quasi stupito dalla sua domanda, quindi guardò il libro che aveva tra le mani e volse in sua direzione la copertina con il titolo.
    «Romeo e Giulietta. Una delle storie d’amore che più preferisco. Mai letto?» – il suo tono era interessato e curioso, così come il suo sguardo che cercava in Liz uno stralcio di espressione per poter cogliere cosa realmente stesse pensando di quel loro incontro. Tuttavia l’attenzione sul libro si perse nello stesso istante in cui Lucas incrociò lo sguardo dell’Opale. Non voleva rimanere a guardare quel ghiaccio che le illuminava gli occhi, ma era più forte di lui. Distolse lo sguardo, imbarazzato e nervoso, aggiustandosi distrattamente il cappellino «Sai, loro si amavano alla follia, ma le loro famiglie erano contrarie alla loro storia e... beh, sai cosa?» aveva ripreso a parlare del suo libro, proprio per non sembrare troppo incantato ad osservarla, quindi doveva parlare e distogliere l'attenzione dal suo viso «Tieni, è giusto che tu scopra da sola cosa è successo, no?» le fece un occhiolino, quindi, avanzando verso di lei il testo, con dentro la foto che lo raffigurava, senza pensarci due volte.

    Quando lei si concentrò sulla foto, Lucas capì che non avrebbe trovato una via di fuga facilmente, quindi doveva cercare di attirare l'attenzione con altro.
    Ma quelle parole lo spiazzarono, facendogli sgranare gli occhi celesti, prima di guardare i palloncini in giro per la stanza delle necessità «Hai ragione, Liz...» avanzò quella frase, come se la stesse facendo camminare in punta di piedi, quindi si sporse ad avvicinare una foto della ragazza in sella alla scopa, con quella divisa verde, soffiò una risata «Ricordo questa partita, sei stata favolosa, la sola che in sella a quella scopa, sembrava non aver paura di volare. Primo anno, giusto? La prima partita di Quidditch del Torneo. Tassorosso - Serpeverde, faceva un freddo pazzesco...» quindi con un dito spinse via il palloncino, pensando intensamente di avvicinarne un altro, che lentamente arrivò a loro «Terzo anno, ancora Hogwarts. Qui avevi deciso di passare tutto il giorno in biblioteca e... beh, ti sei addormentata sul libro di Erbologia...» gliela passò, delicatamente, mentre la foto roteava appesa a quel filo «... in quell'occasione ho pensato di chiederti se volessi una mano, ma io ero una schiappa anche a quei tempi con lo studio. Oppure se volessi che ti riaccompagnassi in Sala Comune, sai, eravamo nella stessa casata. Ma non lo feci...»
    Nonostante stesse parlando di cose passate, il tono non era malinconico, era spenzierato, come se avesse rivissuto quelle scene all'infinito, tanto da non provare più malinconia, ma piacere nel rivedere quelle immagini stampate su carta.

    Quando preannunciò una possibile denuncia per stalking, Lucas sollevò un sopracciglio, con fare ironico «Beh, lo ammetto, potrei anche rischiare questa denuncia, tuttavia se sei ancora qui, non mi ritieni una minaccia, o sbaglio?» la guardò con sarcasmo, come se avesse lanciato un amo, voleva vedere se Elisabeth avesse abboccato, o avrebbe lasciato galleggiare il tutto, fino a perdersi nel mare aperto.
    Sussultò quando la parola pedofilia tornò indietro «Oh, dai, ho sempre pensato che quando quelle foto venissero fatte vedere a parenti ed amici, che commentavano positivamente le mie nudità, fossero tutti un ammasso di pedofili, insomma, di gente che ha questa malsana attrazione sessuale verso i minori, no?» glielo spiegò con una semplicità disarmante, senza peli sulla lingua, senza giudicare il fatto che la parola pedofilia potesse non essere un vocabolo non conosciuto dall'Opale.
    Nel momento in cui la foto invito fu cacciata fuori, Lucas rimase perplesso dalla cosa, ma venne subito a galla il motivo per cui la volesse esaminare.
    Si mise comodo, piegando la gamba sotto il sedere e voltandosi verso di lei, con un braccio che si poggiava sulla parte alta del pouff, mentre l'ascoltava con attenzione minuziosa.
    «Hai ragione, non sei fotogenica, ma sei perfetta proprio per questo, perché riesco ad immortalare ogni tua espressione. Anche se dal vivo rendi sicuramente meglio, non ti fanno giustizia le pellicole...» il labbro si sollevò nell'angolo sinistro, per un ghigno leggero, quindi tentò nuovamente di riprendere parola «E tutto quello che hai elencato, sono i motivi per cui continuo a fotografare il tuo viso, disegnato egregiamente...»
    Stava azzardando tanto, questo pomeriggio, l'Ametrino. Probabilmente aveva deciso di fare un passo avanti? Di interrompere quel continuo susseguirsi di stalkeraggi nascosti dietro un angolo e di mettere nero su bianco quello che aveva da dire alla Lynch da anni?
    Probabile, ma lei non sembrava voler mollare con la storia della fotografia.
    La vide armeggiare con il treppiede, senza intromettersi nella loro relazione complicata e molto strana, cercando di nascondere una risatina con un colpo di tosse, mentre ascoltava le sue parole «Non è colpa mia se Erik lascia tutto in bella vista, poi voglio sapere sempre dove si trova, perché se combina guai so dove andarlo a recuperare, no?» ovviamente il suo era puro sarcasmo, non interessava molto a Jug dove fosse Erik in questo momento, ma se poteva sapere dov'era Liz, beh...

    Aveva quasi deciso di aiutarla, quando la mente di Elisabeth elaborò qualcosa che Lucas non credeva nemmeno potesse far apparire.
    Sgranò gli occhi e guardò la macchinetta istantanea babbana di ultima generazione (?), poi con lo stesso sguardo, si rivolse a Liz «Quindi sei davvero decisa a ---» la sua frase venne interrotta subito da quello che la ragazza disse.
    Jug, ormai, era in piedi, davanti a lei, quindi aveva già accorciato le distanze, ma quelle parole gli fecero fare un passo indietro, calando lo sguardo di lato, mentre si toccava la nuca, leggermente coperta dal cappellino solito.
    Passarono lunghi attimi di silenzio, dove Jug capì che nonostante Lizzy non lo avesse calcolato per anni, era sempre un passo avanti a lui «Immagino di doverti accontentare, quindi... magari... magari hai ragione tu» abbozzò un sorriso, non forzato ma sicuramente a disagio e intimidito.
    Si avviò con lei verso la macchinetta e alla sua domanda la guardò esterefatto «Non credevi fosse così piccola? Non l'hai mai usata?» lui era per metà babbano e questo lo agevolava in molte cose, come l'utilizzo di quei marchingegni.
    Fece un passo verso l'interno, quindi si voltò da lei e allungò una mano per afferrarla e portarla delicatamente a lui.
    Se gliel'avesse concesso, avrebbe tentato di farla posizionare tra le sue gambe, dopo essersi seduto «Scegli: puoi sederti sulla mia gamba destra o su quella sinistra» e se lo avesse fatto, non si sarebbe voltato a guardare il suo volto, perché troppo vicino a quello del ragazzo.
    Quindi cercò di spiegare il funzionamento della macchinetta «Se impostiamo questa modalità, possiamo scattare una striscia di quattro foto, tutte diverse tra loro, quindi dovremmo impegnarci nel fare le quattro pose più buffe possibili. Pronta? Guarda che conta fino a quattro e poi scatta!» quindi fece partire il conto alla rovescia e avrebbe cercato di gonfiare le guance per fare la prima faccia buffa dello scatto.
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    Se solo avesse saputo come andasse a finire la tragedia shakesperiana la Lynch si sarebbe tenuta a debita distanza da quel libro, anche perché le paranoie e le pippe avrebbero dilagato allegramente nella sua mente contorta. Mai. Confermò, occhieggiando la copertina che aveva chiuso con uno scatto e con essa la foto che aveva scattato lui e che tanto voleva tenere con sé. Magari ben nascosta sotto il cuscino e non sul comodino, anche perché altrimenti si sarebbe dovuta rimangiare quella serie di no che le erano usciti in cabina quando Tess aveva insinuato che gli piacesse l'Ametrin. Era perspicace la giallo-viola, dato che con un mese di anticipo aveva compreso la cosa. Che fosse evidente o lei era dotata di qualche potere legilimens? Sperava solo di non essere una di quelle ragazzette con gli occhi a cuoricino, il cuore a mille e una bava perenne a penderle dalle labbra. Voleva davvero tanto esser diversa da loro, distinguersi, ma forse alla fine era davvero una persona comune. Cosa...? Ripeté come un pappagallo, mentre già si vedeva nei panni di quella Giulietta innamorata follemente dal suo Romeo-Lucas, ma con un elemento diverso: sua madre, la sua famiglia, non si sarebbe mai opposta, anche perché farlo avrebbe significato scendere nell'ipocrisia e la Cacciatrice era tutto tranne che ipocrita, ai suoi occhi. Dici sul serio? Gli occhi si sgranarono, con le dita che saggiavano quel libro che aveva afferrato senza pensarci una volta di più, anche perché, senza sforzo alcuno, era riuscita a riprendersi quella foto senza dover fare la figura della mammoletta.
    Elisabeth Lynch era tutto tranne che una diciassettenne innamorata!
    Anche perché lei l'amore non sapeva neanche cosa fosse, dato che non aveva mai avuto un esempio a cui ispirarsi se non in qualche libro, prendendolo come fortemente astratto e fasullo, lontano anni luce da quello che era il mondo reale.
    Reale almeno quanto la mania di Jones di rubarle foto. Ma vederlo un po' spiazzata alle sue parole, le fece stringere un po' il cuore. Era stranamente pronta a scusarsi, ma Jug l'anticipò, dandole ragione e iniziando uno strano giochino, che avrebbero potuto chiamare: "ricordi quando...". Perché il ragazzino sembrava ricordarsi di ogni istante della sua vita, come fosse stato lui a viverla, ricordandosi ogni singola sfumatura del suo comportamento in ogni singolo scatto che la ritraeva. Pioveva e tuonava da far paura. Tutti credevano che, essendo così piccola, avrei finito con il cadere dalla scopa, invece hanno capito subito di che pasta fossi fatta. Vincemmo 340 a 70 quella partita e ho mandato un Tassorosso in infermeria con il mio Bolide. Ridacchiò, al ricordo del suo debutto ufficiale. Con la scusa di veder meglio quelle foto che appellava silenziosamente, si avvicinò al ragazzo, socchiudendo di tanto in tanto gli occhi, lasciandosi avvolgere dal profumo del ragazzo. D'altronde era un tema sui Fagioli Soporiferi. Sono stata coerente, no? Era strano riconoscere come, sottoposta allo stimolo giusto, riuscisse a pescare dalla sua memoria frammenti di quotidianità che credeva aver perso per sempre. Oh... potevi farlo, sai? Non hai idea di quante volte mi sia persa. Ammise, accoccolandosi su se stessa, trovando piacevole quel viaggio nel suo peccato, rammaricandosi del fatto che non potesse ricambiare quelle piccole attenzioni che lui aveva ormai da sette anni. Ma c'era tempo e modo per recuperare, vero? Il destino non li avrebbe divisi beffardamente come Romeo e Giulietta, giusto?

    L'ironia provò a risollevare quel momentaneo momento di amarezza, con Jones che sembrava viaggiare sulla sua stessa lunghezza d'onda, seguendola a ruota in quel delirio, tanto da sollevare entrambe le mani e lasciarsi sfuggire un'unica parola. Touche! Era stata punta nel vivo e non poteva affatto smentire il tutto, finendo con il risultare falsa.
    L'atmosfera sembrava non risentirne continuando a stuzzicarsi e ridacchiare con la spensieratezza tipica della loro età. Che mente contorta che hai! Più della mia... Lo rimbeccò, dopo aver riso di gusto a quella sua spiegazione. Ed io che credevo che semplicemente amassero mettere in imbarazzo fino alla fine dei giorni. Che poi andiamo, chi non ha mai avuto una foto che avrebbe voluto far esplodere e disintegrare, ma che per quanto si provasse a far sparire riemergeva sempre una copia?
    Una scusa che sembrava usare per non esser fotografato il ragazzo, adducendo persino la possibilità di far esplodere la macchinetta perché si riteneva poco bello, finendola con il farla sbottare ed elencare solo una parte dei difetti del suo volto. Recuperò quella foto, spingendogliela sotto al naso, in attesa di qualsiasi cosa volesse ribattere e lui... beh lui la sorprese ancor una volta, dandole ragione, aggiungendo però che la trovava un soggetto attraente per le sue foto proprio perché diversa. Rimase impalata come una stoccafisso, con le parole che si erano smarrite chissà dove e l'imbarazzo che sembrava fagocitarla. Doveva fare qualcosa per distogliere l'attenzione da sé e quell'affermazione e lo trovò nella possibilità di fare una foto con lui, proprio con la macchinetta fotografica che era comparsa dopo pochi minuti dal suo ingresso nella stanza, peccato però che non sapesse farla funzionare e cercava di tergiversare rimproverando il ragazzo di esser molesto con i suoi compagni di camera. La prossima volta inventa qualche altra scusa più credibile... per questa volta, lascio correre. Gli fece l'occhiolino, per poi maledire quell'aggeggio infernale. Per fortuna la sua volontà era più decisa della sua rabbia dato che una cabina si palesò nella stanza, una di quelle più o meno vecchie nelle funzioni e nel modello, ma nuova di zecca nei materiali. Era fiammeggiante nella sua bellezza -e pericolosità- e dello stesso avviso parve anche lui dato che la guardò come shockato e con lei che diede una mazzata finale con una frase non da poco. Lucas Jughead Jones si trasformò in un gambero, un passo avanti e tre indietro, non solo figurativamente ma letteralmente. Lo guardò nella sua titubanza, tanto da abbassare la mano che gli offriva e guardarlo con curiosità e un pizzico di risentimento. Forse aveva osato troppo, forse era meglio lasciar perdere, forse era meglio pensare di farla sparire quella cabina fotografica. Se non vuoi non sei costretto. Ribatté un po' troppo piccata, nonostante il sorriso sincero del ragazzo. Non voleva che l'altro si sentisse costretto a far qualcosa di controvoglia. Eppure lui la seguì, anche nel suo scoprirsi sorpresa sulle dimensioni dell'interno, decisamente più piccolo rispetto all'aspetto esterno. Mai, l'ho sempre vista... e voluta usare, ma... no, mai provata. Ammise il suo essere ignorante in materia, indecisa su come entrare e trovare una posizione poco compromettente lì dentro. Questa volta fu lui ad afferrarla, avvicinandola a lui che se ne stava seduto sullo sgabello, elencandogli le due possibili scelte. Si lasciò cadere sulla gamba più vicina, cercando subito la coscia libera per riacquistare l'equilibrio, cercando al tempo stesso di contrarre i muscoli per pesare il meno possibile sulla sua gamba sinistra. E ora? Non riusciva a guardarlo, piuttosto si perse a leggere le mille mila scritte sulle etichette che circondavano quello schermo ancora spento. Credo che questa dovremmo chiuderla. Con la mancina tirò verso di sé la tenda spessa blu, cercando di sbattere il gomito contro le pareti metalliche. Okay, quattro pose buffe, posso farcela. Poteva, vero? Non era solo la sua impressione che quelle pareti sembravano spingerla ancor di più verso Jug? Non erano mai stati così vicini e non poter vedere le sue espressioni la logorava interamente, anche perché quando l'altro armeggiava con i pulsanti riusciva a vedere solo un vago riflesso in quello schermo. Morgana! Esclamò vedendo il suo viso perfettamente inquadrato insieme a quello del moro, con sopra un countdown che partiva da quattro. Aveva poco tempo per scegliere la prima faccia buffa, ma le venne spontaneo seguire le guance gonfiate di Lucas e ricambiare con un occhio chiuso nel classico occhiolino e la bocca aperta per una linguaccia. Era abbastanza buffa, con i capelli un po' sconvolti, ma che ricadevano morbidi sulla divisa. Dici che sarà stata buffa abbastanza? E ora? Avrebbe chiesto dopo il classico click di foto appena scattata. Vediamo... Il braccio più vicino a lui si sollevò, con la mano alla ricerca prima del mento -facendo attenzione a non sfiorarlo- e con le dita pronte a stringere le sue guance e a modellare le labbra in quelle che richiamavano un pesce pagliaccio. Dì snasino-snasino. Ordinò, proprio quando mancavano due secondi al click.

    Forse quel gesto era davvero troppo e timorosa, reclinò indietro il busto, cercando di trovare il suo sguardo, come a sincerarsi che tutto fosse okay e che non se la fosse presa per il suo essere stata troppo fisica. Tutto oka- Si interruppe, senza però voltarsi verso l'obiettivo, ma rimanendo a fissare le sue iridi chiare in quelle di Jug, se lui avesse ricambiato lo sguardo iniziale. Aveva rovinato con tutta probabilità quelle prime loro foto insieme e come al solito, ogni cosa che toccava era solo colpa sua.

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato" | Scheda | Stat.
    by Lance
     
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    C'erano poche cose di cui Lucas era geloso, forse due probabilmente. E queste erano entrambe in quella stanza, al momento. Una di loro erano i libri. Non aveva la forza di concedere i libri a nessuno dei suoi colleghi di casa o ai suoi nonni, viveva perennemente con il timore che potessero rovinarsi o venir persi, strappati, gettati; per tale motivo non tendeva a prestare niente di tutto ciò alle persone che conosceva, seppur fossero fidati o nello stesso raggio d'azione.
    Eppure, Elisabeth Lynch aveva quel qualcosa in più da far fare a Jug quel passo avanti che consisteva nel donare un suo libro.
    Vedere i suoi occhi illuminarsi alla vista della copertina e della sua cessione, aveva fatto perdere qualche battito di troppo all'Ametrino, che non vedeva più nel libro un oggetto di cui essere geloso, perché aveva spostato la sua gelosia su quegli occhi celesti che stavano riempiendo quella giornata «Dico sul serio, anzi... è tuo, con la foto che hai scattato in allegato» sbuffò una risata smorzata e ironica.
    Era strano da dire, ma pur non avendo una vera relazione con la ragazza, Lucas provava una gelosia che era fuori dal normale. Lo portava ad impazzire, probabilmente perché teneva tutto dentro e non riusciva ancora a dire alla Lynch, che dopo sette anni, ancora aveva un'ossessione vera e propria per lei.

    Quando ripresero le storie di quel passato ormai andato, Lucas la guardava riempirsi di quelle parole che erano piccole diapositive della sua vita.
    Annuiva alle sue parole, con quel sorriso beffardo, che voleva dirle "certo, lo so, eri perfetta anche ad Hogwarts."
    Invece, rimase in silenzio, sentendo quel climax di quella telecronaca che saliva «Oh dai Liz! Come posso dimenticarmi? Lynch scende sulla fascia, intercetta il bolide, si cala sulla sua scopa, cadrà la nuova cacciatrice dei Serpeverde? Prende una velocità sensazionale e BOOM! Il bolide vola ma... ehi! Cosa accade?!» si interruppe in quella simulazione di telecronaca, riprendendo alcune frasi di quello che venne detto su di lei durante quell'incontro «Come si chiamava? Victor? Naso rotto alla sua prima partita. Non è più salito sulla scopa, nemmeno per sbaglio. Sei stata una bomba, Liz!» il suono dolce di quelle tre lettere smorzava sempre il tono del ragazzo, come se fosse una melodia su cui rallentare, anche ripetuto per una decina di volte. Un suono che non si sarebbe stancato di sentire mai, così come non aveva fatto per quei lunghi sette anni.
    «Non mi è mai piaciuto il Quidditch, ma quando ci sei tu in campo... non posso non venire a tifare per te.» lo ammise, guardando fisso gli occhi della ragazzina.

    Rise al riferimento al compito, quindi scosse la testa «Ancora non ho capito come facesti a prendere E. Hai un segreto? Studi per osmosi? Poggi la testa sui libri, chiudi gli occhi e votaccione al compito del giorno dopo. Quando lo faccio io, a stento riesco a svegliarmi per venire a lezione...» era vero, dai, e lei lo sapeva bene per tutte le volte che era entrato in ritardo.
    Scosse la testa una sola volta, calando lo sguardo in perfetto disagio «Beh, ormai...» effettivamente, adesso piangersi addosso per non essersi avvicinato a lei prima, non valeva la pena, visto che era già una cosa su cui rimurginava parecchio.
    Ora aveva il tempo per recuperare, vero? Insomma, erano più grandi e lui aveva sicuramente più faccia tosta da tenere le redini di quella situazione, giusto? No. Ma ci si provava, così come stava facendo questo pomeriggio.

    Erano spensierati e sorridenti, una cosa che Lucas aveva sempre sognato durante gli anni nei Serpeverde. Adesso si stava realizzando, eppure lui sentiva che non bastava, sentiva che mancava qualcosa, senza riuscire a capire cosa.
    Si distrasse un attimo dal discorso sulle foto, come se avesse la necessità di cercare la risposta a quella mancanza, ma non la trovò.
    Rise debolmente alla sua frase, mentre lo sguardo venne calato verso il basso.
    «Che cos'è questa strana sensazione, merda! Ho Elisabeth Lynch qui e non riesco a togliermi di dosso l'idea che non sia quello che mi basti... perchè...»
    La sua concentrazione iniziò a scarseggiare, mentre la ragazzina armeggiava con quella macchinetta che lui avrebbe potuto smontare e rimontare molto facilmente «Non sono bravo con le scuse, lo sai...» le fece un occhiolino, sperando che il riferimento a tutte le volte che aveva perso l'orario del coprifuoco, non aveva mai una scusa veramente credibile.

    L'apparizione di quella macchinetta istantanea vecchio stile, aveva scombussolato il tutto, senza davvero che Lucas se ne rendesse conto.
    Elisabeth Lynch era sempre un passo in avanti, ogni volta che Jug cercava di sorprenderla, lei faceva peggio di quel che poteva provare a fare l'Ametrino.
    Alla sua frase, Jug sgranò gli occhi e scrollò il capo «Cosa? No, cosa dici... è che... non pensavo per te fosse così importante fare una foto con me...» ammise senza pensarci su due volte.
    Alla fine, quello per la passione nel rubargli scatti era proprio lui, non lei, gli stava rubando il ruolo.
    Finalmente, entrambi, avevano deciso di entrare in quella cabina.
    Quando Elisabeth chiuse la tendina, Lucas annuì, ma le sue guance si fecero rosse e un po' calde.
    Sembrava quasi che lo spazio, già piccolo, si stesse stringendo attorno a loro ancora di più, giocando brutti scherzi all'Ametrino, che sentiva il cuore battere con un ritmo un po' più forte. «Certo che puoi farcela!» alla fine era lei che aveva messo entrambi in quella situazione, non poteva tirarsi indietro.
    Il braccio corrispondente alla gamba su cui era seduta Liz, scivolò sulla schiena di quest'ultima, impercetibilmente, quasi d'istinto, per star più comodo.
    «Che c'è? Ti avevo avvisato che non ero uno spettacolo!» disse successivamente alla sua esclamazione, con un tono ironico e un sorriso strafottente che nascondeva quel velo di preoccupazione e agitazione che stava prendendo piede in Lucas.
    Anche la ragazza gonfiò le guance e per Lucas, vederla in quella smorfia, fu un'altra scoperta. Era bella, ai suoi occhi, anche con quelle stupide facce «Sono certo che puoi fare di meglio, riproviamoci!» la esortò.
    E la ragazzina non se lo fece ripetere due volte, tanto che Lucas si ritrovò con una faccia schiacciata dalle guance e due labbra sporgenti da pesce lesso, più che pagliaccio e «Snasino, snasino?» non voleva ripeterlo, davvero! La sua era più una domanda sconcertata da quello che la ragazza gli aveva chiesto.
    Quando finalmente le sue guance furono libere, iniziò a ridere a crepapelle, reggendo la ragazza per non farla cadere dalla sua gamba «Ancora una, dai!» erano alla terza foto e quasi Lucas ci aveva fatto l'abitudine a quegli scatti, dimenticandosi del fatto che odiava rivedersi stampato su di una pellicola. Probabilmente essendoci Elisabeth, accanto a lui, tutto era più semplice e naturale, ma l'ex Serpeverde non se ne stava rendendo conto. Allungò la mano verso le sue di guance, quindi e le premette allo stesso modo, con delicatezza, sporgendosi verso di lei, con il mento un po' alzato «Ora dillo tu!» e premette il tasto del conto alla rovescia, facendolo partire.
    Nel mentre, gli occhi glaciali di Jug si posarono sulle sue labbra, raccolte in quella spinta delle guance.
    Ingoiò a vuoto un paio di volte.
    Le iridi passavano dai suoi occhi alle sue labbra.
    Mancava una foto.
    Tutti i suoni attorno a loro vennero ovattati, dalle orecchie di Lucas. Non riusciva a staccare lo sguardo da quei boccioli imperfetti che tanto lo chiamavano.
    Risalì, con gli occhi, dalle labbra al suo sguardo, mentre lentamente provò ad avvicinarsi a lei, sempre di più.
    Cercò, se glielo avesse permesso, di far scivolare la mano con cui aveva tenuto le sue guance, sulla sua pelle, come piuma che aveva timore di rompere quel tessuto al solo passaggio.
    Ancora ingoiò.
    Provò ad accorciare vertiginosamente le distanze, quindi, ancora di più, sentendo il suono del suo respiro silenzioso, gli occhi non vennero mollati nemmeno per un secondo.
    La gamba libera venne portata in sua direzione, mentre la mano che le si era poggiata sulla schiena, si fece più presente, quasi a volerle indicare che lui era lì e che non l'avrebbe lasciata scappare, questa volta. Alle loro spalle c'era subito la parete, che sembrava essersi stretta per aiutare la giusta causa.
    «Manca una sola... foto...» le sussurrò quasi sulle labbra, mentre il ghiaccio era sceso a guardarle di nuovo, rapidamente, prima di tornare nello specchio d'acqua che aveva incastonato nel volto «Facciamo qualcosa di perfetto...» riprese quella frase che lei stessa aveva proposto poco prima, quindi, mentre tentò di strappare anche quei pochi millimetri rimasti e cercò di poggiare delicatamente le sue labbra su quelle dell'Opale, provando ad imprimere quel calore con dolcezza, senza dimenticare di quanto desiderasse proprio quel momento, da sette anni.
    Socchiuse gli occhi e lasciò che il momento lo trasportasse, sentendo il battito in gola, mentre non voleva distanziare le labbra della ragazza dalle sue.
    Una mano, andò a cercare il grosso tasto verde del conto alla rovescia e se Elisabeth non lo avesse picchiato, facendogli fare la stessa fine del Tassorosso, la pellicola avrebbe immortalato quel bacio e, anche dopo lo scatto, Jug non avrebbe interrotto quel contatto, per altri secondi interminabili.
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    Incredula, stringeva quella copertina rigida tra le mani, senza effettuare troppa pressione, con la paura di rovinarlo prima del previsto. Da quel che aveva capito di lui i libri erano il suo primo amore e vedergliene affidato uno fece sobbalzare il petto della giovane strega, fino a farlo battere freneticamente. Da quelle parole sembrava che glielo stesse regalando, compreso l'unica foto che era riuscita a scattargli. La sorpresa venne resa palese sul suo viso. Prometto che appena lo finirò te li restituirò. Saranno come nuovi, promesso! Magari non sarebbe stato nei giorni successivi, calcolando un tempo realistico di un paio di mesi prima di finire quella tragedia non troppo lunga, ma gli impegni erano decisamente tanti e talvolta infiniti per una giornata di ventiquattro ore. Una volta messo al sicuro il bottino fortunello -neanche avesse vinto alla magiclotteria- la Lynch si perse nelle spiegazioni di Jones ad ogni foto che le aveva scattato negli ultimi anni. Ridacchiò nel sentire una piccola cronaca di una delle tante partite hogwartsiane. Un po' le mancava il campo da quidditch con gli spalti coperti dagli stendardi delle quattro casate, così come le mancava il verde smeraldo della sua divisa da battitrice. Oh, andiamo! Sì, era imbarazzata ed un po' inquietata dalla memoria ferrea dell'ex Serpeverde, tanto da lasciarsi sfuggire una tosse nervosa. Ma da quanto mi osservi... Alternava lo sguardo dal suo viso alle sue mani affusolate. E perché io non me ne sono accorta solo ora? Si portò lesta le dita a coprire la bocca. Dannazione, se l'era davvero fatto sfuggire? Sperò solo che l'altro non se ne rendesse conto, cercando di rimediare subito al ricordo di Victor. L'ho fatto solo per il suo bene. L'ho risparmiato a tanti anni di bullismo gratuito. Dovrebbe ringraziarmi non solo per quello, ma anche per avergli sistemato quel suo brutto nasone! Il che era vero. Victor Drumbass aveva uno di quei nasi combo letali: aquilino più gobba, pieno di punti neri e decisamente urticante. E poi il suo udito registrò qualcos'altro di davvero interessante: possibile che il ragazzo cercasse di metterla più su un letto di spine che di rose? Quindi alla prossima partita Ametrin-Black Opal tiferai per noi? Sorrise sorniona, avvicinandosi di poco al suo viso, per non perdersi nessuna reazione. O per me? Un atto un po' egoista il suo mentre lui poteva davvero venir meno alla lealtà per i colori che indossava?

    Persino i suoi voti si ricordava? Quel ragazzo era davvero un stalker! Guarda, me lo chiedo anche io. Per me qualcuno avrà messo nel mio succo di zucca della Felix Felicis, altrimenti non me lo spiego! Ribatté a quel votacchione che aveva preso sui fagioli soporiferi, che pero... era stata davvero fortuna liquida o solo una voluminosa quanto gigantesca botta di culo?! Ai posteri l'ardua sentenza.
    Il tempo sembrava trascorrere tra nuove foto, aneddoti, risate, battutine e frecciatine. Doveva ammettere che si trovava davvero bene con il giallo-viola, riuscendo a metterla a suo agio nonostante fossero completamente da soli, facendo svanire persino quella piccola ansia che l'aveva attanagliata alla vista di così tante foto sue. Lei nel frattempo era bloccata nel combattere con quella macchinetta babbana, alla ricerca della modalità autoscatto, prendendo in giro il ragazzetto sulle patetiche scuse che inventava ogni giorno, soprattutto per salvarsi dopo il coprifuoco. Divertente poi che l'unica volta che l'aveva violato era stato solo per lui. Lo so... come quella volta che mi hai costretta ad improvvisarmi medimaga. Il chiaro riferimento era al giorno che avevano iniziato a parlare davvero, a passare più tempo insieme, senza però ridurre il tempo che passavano, guardandosi sottecchi ogniqualvolta il tempo glielo permetteva, più per una piacevole abitudine che per vera e propria necessità. Sembrava come se le desse il potere di poter controllare tutto, in un certo senso, anche se in fondo il controllo l'aveva perso proprio quella sera di diversi mesi prima.

    La stanza aveva dato nuovamente dimostrazione del suo essere magica, presentando ciò che la mente aveva sempre voluto: una cabina per fototessere. Per un attimo la volontà di avere più di una foto con il diretto interessato venne meno, perché lui sembrava davvero restio nel concedersi all'obiettivo, preferendo passare il suo tempo dall'altro lato del mondo.
    Ci sono cose che hanno molta più importanza di quel che credi. Ribatté al pensiero che lui aveva su di lei e sulla voglia di avere un quadratino che li avrebbe uniti per sempre, in un certo senso. Che poi una foto insieme non era forse la scusa più banale per essere il più vicini possibile?
    E alla fine diedero il via a quegli scatti, con la Lynch che si fece più audace nel secondo scatto inducendo la povera cavia a ripetere le sue parole. Quanto diamine poteva essere di una bellezza disarmante persino dicendo snasino snasino? Non poté che ridere, mostrando la schiera di denti e dando vita a quella fossetta sulla guancia sinistra. Una risata che venne ampliata dalla sua, nonostante si fosse voltata indietro per sincerarsi che non si fosse offeso. Ecco, quello fu un errore madornale, perché per la terza foto il ragazzo la ricambiò con la sua stessa moneta in quella che era la versione magica di cioppi-cioppi. E si sa che chi di snasisno-snasino ferisce, di snasino-snasino perisce. Si ritrovò a modellare le labbra e le corde vocali, con le labbra che sembravano due canotti spiaggiati piuttosto che labbra di un pesciolino rosso.
    Vi è un luccichio divertito nei suoi occhi, lo stesso che trova in quelli di Jughead, anche se lo vede farsi improvvisamente serio e sempre più vicino, un po' come quella mano che divenne più concreta sulla sua schiena. Lo sente più vicino grazie anche al calore del suo fiato che accarezza le sue labbra. Non è mai stata così vicina ad un ragazzo, ma nonostante tutto sapeva a cosa sarebbe andata incontro qualora non si fosse tirata indietro. Era inesperta, mica scema.
    Il problema però cadeva proprio lì. Non sapeva cosa fare, come muoversi, quanta pressione eventualmente mettere e soprattutto quanto fredda o calda sarebbe stata la sua saliva e quando screpolate le sue labbra? E se aveva ancora la fiatella e il ragazzo le avesse sboccato la cena della vigilia addosso? Iniziò a sudare freddo, rimanendo comunque granitica su quelle gambe che fungevano da sedia. E se avessero sbagliato tutto? E se lui si sentiva in dovere di baciarlo solo perché lei aveva insistito tanto per quelle foto e se... Facciamo qualcosa di perfetto. Ehi, quella era la sua frase! Possibile che lui l'avesse rispedita al mittente in un momento così delicato, rigirandole la frittata. Fatto era che non le lasciò scampo né modo per capire cosa stesse effettivamente accadendo perché... beh, le sue labbra vennero premute sulle sue. Le lasciò modellare alle sue, chiudendo gli occhi, lentamente, senza strizzarli. Rimasero così per secondi interminabili e poi... poi decise di buttare all'aria tutte le paturnie e muovere le labbra sulle sue, effettuando diversi tipi di pressione, come se volesse farle schiudere.
    Ma così com'era iniziato quel timido contatto di labbra, nonché il suo primo fottutissimo bacio, terminò. Era in imbarazzo ancor di più ora, non sapeva cosa fare, cosa dire. E se non gli fosse piaciuto? E se avesse sbagliato qualcosa, e se...
    Quello era il mio primo bacio! Mormorò, slegandosi dalla sua presa, cercando di alzarsi e finendo con lo sbattere contro il tettuccio della cabina, appigliarsi alla tenda, rompendola, per non ricadere su di lui e guadagnando davvero l'uscita da quel bugigattolo. Dannazione, aveva dato il suo primo bacio e con essa anche una colossale figura di merda screanziata. Ma che diamine! Si poteva essere così sfigati? Ma che poi tutta lei perfettina, giocatrice e fissata con lo sport che finiva con l'inciampare tra i suoi stessi piedi? Era quasi arrivata ai cuscini dove aveva lasciato la borsa e il libro, con tutta l'intenzione di prenderla e sparire il più lontano possibile... ma... fece marcia indietro e tornò dall'Ametrino. É che non so come si bacia, non l'ho mai fatto neanche per gioco con le mie cugine -anche perché non ne ho- e quindi è normale che non sappia come funzioni... Levò quelle iridi chiare cercando le sue, iniziando a mordicchiarsi il labbro inferiore, cercando di trovare qualcosa da dire, qualsiasi cosa di senso compiuto, ecco. Qualcosa che l'avrebbe magari preservata da prossime figure di merda. Insegnami...

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    Lucas Jughed Jones
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Osservarla mentre stringeva quel libro, fu una delle immagini più belle che Lucas avrebbe voluto immortalare sulla sua pellicola. Ma non lo fece, perché? Cercò di godersela a pieno, per poterla stampare a fuoco nella sua testa, recuperarla chiudendo gli occhi e poterla portare sempre con sé, cosa che con le foto non poteva fare. Concedere a lei un libro, era stato come darle un pezzo di sé, per poter essere sempre con lei, per poterle dormire accanto, essere guardato mentre leggeva quelle righe. Voleva pensare che quello potesse essere uno dei pochi momenti in cui Elisabeth Lynch pensasse ad uno come Lucas Jones. Uno degli unici momenti che la vedevano impegnata a chiedersi perché lui le aveva donato quelle pagine.
    Sorrise, il suo solito sbuffo di sarcasmo «E' tuo. Non lo voglio indietro.» lo indicò con il capo, quel libro che era stretto tra quelle dita affusolate «E' il mio drammaturgo preferito e poi... quel libro lo so a memoria.» e non mentiva, lo sapeva davvero a memoria, lo aveva letto e riletto ogni anno. Almeno due volte all'anno era tra le sue mani, nonostante sembrasse nuovo di zecca.
    Ed era uno dei libri che la mamma gli aveva regalato per un compleanno. Ma questo, Elisabeth non doveva saperlo, almeno non per il momento, o non avrebbe mai accettato quel regalo che lui le stava facendo con tanto desiderio.

    Quando la sentì ridacchiare per la sua immitazione della cronaca della partita, Lucas si beò osservandola con la coda dell'occhio. Perché era così bella, ancora se lo chiedeva. Non commentò ulteriormente, lasciando correre quei ricordi che lui aveva ben impressi nella mente, quegli anni che aveva passato nell'ombra, con il solo coraggio di scattarle delle foto. Ma quando commentò il tutto, facendogli quella domanda, Lucas sgranò gli occhi e mandò giù il boccone amaro di quella considerazione. Subito la ragazzina cercò di rimediare e lui gliene fu grato, anche se le parole che disse dopo non richiamarono tantissimo la sua attenzione. Le sentì, tutte, una per una. Non perdeva nemmmeno un suono di quella voce che gli faceva da colonna sonora da anni, ormai, ma quella domanda ancora risuonava nella sua testa. «Dicono che al primo anno, Victor si fosse schiantato contro un gargoille, quindi gli si era gobbato il naso, però si.. glielo hai aggiustato e...» guardò per un attimo qualche foto che andava e veniva, avanti e indietro attaccata a quei palloncini. Non aveva il coraggio di tornare con le sue iridi chiare a guardare Liz «Non avevo il coraggio.» il tono era basso e si schiarì la voce con un colpo di tosse nervoso «Insomma, eri la più popolare della scuola, la più bella direi...» un sorriso, l'angolo delle labbra si incrinò in quella sua emblematica parentesi, nel ricordo di quanto fosse bella già ai tempi «... non avresti mai guardato uno come Lucas Jughed Jones. E quindi... ho collezionato tutto questo... mi accontentavo, diciamo.» solo in quel momento si riuscì a voltare verso di lei, strappandole un occhiolino rapido, cercando di smorzare un po' l'aria che aveva creato.
    Fu grato che l'attenzione sul Quidditch venne riportata poco dopo, quando quella domanda fece scoppiare a ridere Jug «Beh, la risposta l'avrai su quegli spalti, non posso mica uscire così tanto allo scoperto, Liz...» tornò a parlarle, ad inclinare il tono su quel soprannome che tanto gli piaceva, che rendeva quel volto ancora più delicato.
    Era chiaro che non avrebbe tifato per alcuna casata di quella scuola, ma per lei avrebbe dato via anche le sue corde vocali per tifare e far si che il suo tifo le desse la forza necessaria. E se lei gli avesse chiesto di essere lì, sugli spalti, per guardarla vincere, lui lo avrebbe fatto sicuramente, senza batter ciglio.

    Era chiaro che Jug avesse un arsenale di ricordi che riguardavano lei, che l'avesse seguita o meno, lui sapeva anche quante volte al giorno mangiava e questo sembrava essere quasi inquietante, ma a lui questo non interessava. Voleva mostrargli qualcosa, l'aveva chiamata lì per dirle parole che ancora non riusciva a cacciare.
    Rise ancora alle sue battute sul compito, senza accorgersi che il tempo stesse passando con leggerezza, senza che loro se ne stessero accorgendo. E questo gli piaceva, perché avrebbe dato tutto quello che aveva di più prezioso, per poter avere più tempo per vederla sorridere, stupirsi, arrabbiarsi... ogni microespressione di Elisabeth, era energia pura per Lucas. Sembrava che il ragazzo vivesse di quegli occhi, di quello sguardo che celava tanto non detto.
    Eccola, adesso, che era lei a ricordare qualcosa di lui. Lucas sollevò il suo ghigno beffardo, mentre gli occhi seguivano la vonfomrazione di quel sorriso «Sei stata quasi più brava di Mave, sai?» la canzonò un attimino, per poi scivolare al suo fianco, mentre armeggiava quella macchinetta. Quel giorno Lucas lo ricordava benissimo, tuttavia non credeva fermamente che lei lo avesse impresso nella sua mente «Ora che ci penso... quel giorno mi hai stupito, Liz...» si piazzò davanti a lei, fregandosene della difficoltò che stava provando con quell'attrezzo (era troppo bella anche quando non sapeva dove mettere le mani) «... hai notato che arrivo prima a tutte le lezioni di Astronomia. Non è che, in fondo, non sono l'unico attento all'altro?» il tono calò vertiginosamente, mentre con ironia cercò di punzecchiarla un pochino.

    Il desiderio di Elisabeth di avere quelle foto con lui, sembrò essere talmente forte che in tutta risposta, la Stanza le diede il materiale giusto. Lucas tirò un respiro profondo, rassegnato all'idea di dovergliela concedere. Ma poi arrivarono quelle parole, come una pugnalata in pieno petto. Lucas la guardò sbalordito, per un breve istante, cercando di non perdere quella maschera di leggerezza che nascondeva l'ansia di respirare per così tanto tempo la sua stessa aria. Scosse il capo, soffocando una risata «Vorrà dire che quando vorrai una foto con me, adesso, saprò che sarà importante e te la concederò senza storie.» aveva ceduto, sollevando le spalle con leggerezza. Aveva fatto in modo che Elisabeth ottenesse quello che voleva, quando lo desiderava. Questo era mollare la spugna? No. Aveva imparato che ogni rapporto sociale era fatto di un dare e di un avere. Lei aveva concesso i suoi sorrisi, la sua voce, i suoi occhi e lui non le aveva ancora regalato niente di quello che poteva donarle, che già era poco. Quindi la foto non sarebbe stata per niente un peso per lui, se davvero fosse stata così importante «Ti insegnerò anche ad usare la macchinetta... la mia... » cosa?
    Era davvero cotto. Lo aveva capito da un po', ma non aveva mai avuto la possibilità di rendersene conto materialmente. Stava concendendo a lei spazio nella sua stessa zona di comfort: prima il libro, poi la fotografia. Dove voleva arrivare?

    Quando entrarono nella macchinetta istantanea, che i babbani usavano spesso, le dimensioni fecero in modo e maniera che fossero più vicini. Il cuore di Lucas balzava ad ogni contatto con lei, ma era felice. Il suo sorriso era diverso, non trattenuto, libero di esprimersi e di sentirsi finalmente vivo, come se fosse una bombola di ossigeno.
    Quelle espressioni buffe fecero cadere quelle barriere che li avevano visti incerti verso l'altro. Quello snasino-snasino che aveva gonfiato le labbra della ragazza, fece incantare Lucas su queste, prima di scoppiare a ridere in faccia a Liz «Sei fottutamente adorabile, Lynch! Ne voglio una tutta per me dove mi dici snasino-snasino, ti prego!» ed era sincero mentre la guardava negli occhi, che rispecchiavano il colore dei suoi, forse più acceso. O era una sua impressione?
    Eppure, quella macchinetta non li aveva solo resi divertiti da tutto quello scattare espressioni buffe, che sarebbero rimaste loro per sempre; aveva fatto in modo anche di dare a Lucas l'occasione di capire cosa fosse quello che gli mancava. Di tagliare finalmente via quella barriera che aveva paura di varcare.
    L'incertezza di quel gesto svanì a mano a mano che mangiava la distanza tra le loro labbra, la titubanza di lei fu quasi disarmante, ma non sembrò un motivo per farlo fermare. Non lo stava fermando, non stava respingendo quel suo avvicinarsi, lui non lo avrebbe fatto. Non questa volta.
    Quella frase incornicò le labbra di lui che si premettero su quelle della ragazza, in maniera morbida, delicata, senza essere invadente, come se avesse paura di romperle. Sentiva la pelle calda di quelle di Liz che aderiva a quelle di Lucas. Respirava il profumo della sua pelle, socchiudendo gli occhi come mai aveva fatto in vita sua. Ogni fottuto bacio dato a storielle di passaggio, non era mai stato così delicatamente caldo e dolce. Non aveva mai avuto paura di spaventare qualcuna, visto che spesso nemmeno ricordava il nome di chi fosse la sfortunata del momento, dei bassi borghi londinesi. Ma Elisabeth Lynch fu diversa.
    Quel bacio aveva il sapore di qualcosa mai saggiato da Lucas, era quello che desiderava, quella pressione leggera e calda, sembrava aver colmato quello di cui sentiva la mancanza in precedenza. Voleva che non finisse mai, voleva che quel bacio ormai immortalato sulla pellicola istantanea, potesse essere rivissuto sempre in ogni attimo della giornata.

    Ma tutte le cose belle finiscono, non è vero? E quando il contatto terminò, non lasciò solo il freddo di quella pelle che lo aveva abbandonato. Lucas riaprì gli occhi e vide l'imbarazzo sul volto di Liz «Io non-» le sue parole arrestarono la frase, così come il suo scappare via. Non la trattenne, sentendosi come se avesse rovinato la sua prima volta, il suo primo bacio. Forse non era il principe azzurro a cui avrebbe voluto concedere le sue labbra la prima volta. Aveva sbagliato e ora era tutto andato... «Attent-» fece per riprenderla, ma lei era scappata fuori da quella macchinetta.
    «Merda.» sussurrò tra i denti, mentre dava un pugno allo sgabello imbottito di quella macchinetta, dalla quale ancora non usciva. L'aveva fatta scappare, l'aveva spaventata e allontanata per sempre. Era la sua solita maledizione.
    Doveva fermarla? Non farla uscire da quella stanza piena di sue foto, che mostravano la sua ossessione per lei? L'aveva spaventata non solo come uno stalker, ma anche come uno stupratore.
    Non avrebbe potuto più vederla sorridergli, non avrebbe più potuto osservare i suoi occhi nascondersi dal guardarlo...
    «Sono un coglione. Un fottuto coglione. No. Non può andarsene così, merda. Devo scusarmi.» ancora un pugno, questa volta alla parete metallica dell'aggeggio, che ormai aveva stampato dalla boccuccia esterna le foto, dove oltre alle loro facce buffe, aveva immortalato il loro primo bacio. Il primo bacio di Elisabeth. Il primo bacio di Jug e Liz.
    Fece per uscire, un passo fuori da quella macchinetta e quasi non si scontrò con il tornado del Quidditch.
    Era tornata indietro?
    Jug sussultò trovandosela davanti, sgranando gli occhi per quel piccolo spavento che si era preso, non aspettandosi che lei tornasse da lui, che l'aveva appena molestata in una macchinetta di fotografie istantanee. Schiuse le labbra per scusarsi, ma ancora una volta lei fu un temporale di parole.
    Lucas aggrottò la fronte, soprattutto alla questione cugine, trattenendo una piccola risata, che però non fece per non smorzare quello sfogo.
    Quando sollevò gli occhi verso di lui, si sarebbe potuta trovare le iridi chiare del ragazzo, quel sorriso beffardo che le aveva dedicato.
    Poi quell'ultima parola.
    «Insegnami...»
    Risuonò come il suono del flauto magico. Le labbra di Lucas si schiusero leggermente dallo stupore. Non si aspettava quella risposta.
    Quella richiesta era piovuta come un fulmine su di lui e lo aveva pietrificato.
    Mandò giù a vuoto il boccone, mentre il sorriso si addolciva.
    Ne aveva provate di labbra e ora che quelle di Liz avevano sfiorato le sue, aveva capito perché non gli era mai andato bene niente.
    Il capo di Lucas si chinò a guardarla, data la leggera differenza d'altezza.
    La mano destra si sollevò verso il suo mento e se glielo avesse permesso, indice e pollice l'avrebbero sollevato verso di lui, così da tenerla ferma a guardare i suoi occhi «Elisabeth Lynch.» disse il suo nome e cognome in maniera così solenne che quasi pareva le stesse proponendo qualcosa di ministeriale «Adesso l'ho capito.» parlava lentamente, in sussurri che erano solo loro, perché voleva che la sua voce e le sue parole rimanessero impresse nella sua testa per sempre «Sono stato solo un coglione a non dirtelo prima, a cercare nelle altre quello che sapevo avrei trovato in te, fin dai tempi di Hogwarts.» ancora quel ghignò leggero, mentre le iridi di ghiaccio non lasciavano le sue e le dita rimanevano morbide su quel volto, prima di aprirsi e scivolare sulla sua guancia e spostarle una ciocca di capelli morbidi «Non c'è sorriso che io voglia vedere che non sia il tuo. Non ci sono occhi che io non voglia osservare, che non appartengono a te. Non ci sono labbra che io non voglia baciare, che non abbiano il tuo sapore.» sembrava stesse recitando la poesia d'amore più sentita del mondo, il suo cuore batteva all'impazzata, ma la sensazione di tenerla fra le mani ancora, perché era tornata indietro, non faceva altro che dargli la forza di proseguire.
    Si chinò, inclinando un po' la testa verso destra, quindi, mentre cercava di rompere ancora quelle distanze che vi erano. Con lentezza, gli occhi non la mollarono «Ti insegnerò tutto quello che vuoi... e non pensare a quanto tempo ci vorrà per imparare, perché ti concederò tutto il tempo di cui avrai bisogno per farlo...» ancora una volta tentò di avvicinarsi alle sue labbra, cercando di sfiorarle appena, ma senza chiudere quel bacio. «Sei stupenda, Liz...» ancora una ciocca venne sfiorata dalle sue dita «...chiudi gli occhi...» la mano libera cercò quella della ragazza, per tentare di incrociare le dita con le sue «...non pensare a niente, se non a me e te... a noi... e lasciati andare. Ci sarò io a tenerti per mano... » quindi se lo avesse permesso, le sue labbra si sarebbero poggiate nuovamente su quelle di lei, questa volta un po' più decise, rimanendo sempre delicato e dolce, ma facendogli sentire che lui l'avrebbe guidata.
    E lo avrebbe fatto anche se lei avesse voluto schiudere quei boccioli, l'avrebbe accompagnata lentamente in quel movimento.
    code © psiche
     
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