Come spiegare che questa cosa, non sono io a volerla?

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    Il coprifuoco stava per arrivare, puntuale come sempre, ma ci fosse una volta che tornasse in tempo per non correre tra i corridoi dell'Accademia, cercando di non farsi scoprire da qualcuno.
    Anche quella giornata era passata in un lampo, era un fottuto lunedì, senza compiti finalmente, che aveva passato a cercare di saperne di più sulla sua famiglia e sul resto che lo circondava.
    Aveva fatto fare un permesso dal nonno per andare uscire dalle mura, ma senza dir nulla era finito di nuovo nelle strade di Knocturn Alley a cercare risposte che puntualmente non avrebbe trovato in modo alcuno.
    Ormai stava finendo in un giro che non gli piaceva affatto e il suo cognome arrivava prima di ogni altra qualsiasi cosa.
    C'era chi vedeva in lui un amico, un alleato, ma anche chi lo odiava per qualcosa che lui ancora non aveva ben chiara.
    Non si dava per vinto, seppur non tutte le sere riusciva a tornare intero da quelle scorribande.

    E questa, era una di quelle sere...
    Aveva incappato un gruppetto di ragazzetti della stessa età, che probabilmente sapevano più di lui. Non avevano belle facce e Jughead aveva deciso di non avvicinarsi più di tanto a loro.
    Peccato che loro non la pensavano così.
    Aveva sentito chiamarsi per cognome, aveva cercato di non girarsi, fino a trovarsi circondato dai quattro.
    «Cos'è Jones, fai finta di non sentire? Vuoi fare la stessa fine dei tuoi genitori?»
    Si era fermato, lo aveva guardato e non aveva detto niente.
    Il suo sguardo era freddo e distaccato, dimostrava che non volesse avere niente a che fare, aveva provato a superarli ma si era trovato a terra, pestato come un sacco di immondizia.
    Quando avevano finito, si era beccato anche qualche sputo ed un traditore, lanciato con odio.
    Ma lui non sapeva nemmeno perché.

    E poi... beh, stava facendo cazzo tardi a scuola.
    Correva ancora, nei corridoi, o meglio arrancava, con il labbro spaccato, un occhio nero e un sopracciglio sanguinante. Sicuramente aveva qualche livido anche sul corpo, ma non aveva avuto modo di vederlo. Il suo zaino nero si era rotto, una spalla era strappata e probabilmente non l'avrebbe mai aggiustata, perché non ci avrebbe nemmeno posto attenzione. Il suo giubbotto di jeans era sgualcito, mentre la maglietta bianca era strappata in più punti.
    «Cazzo, se mi scoprono sono morto... anche qui...» la sua preoccupazione era quella, per questo si guardava le spalle, con quel cappellino mal messo sul capo, a coprire in parte una chioma ribelle, con quel ciuffo fluente che cadeva sulla fronte.
    Doveva muoversi, prima che qualcuno del turno di guardia lo prendesse e lo portasse dalla preside, prima di una sana doccia.
    Il fiato mozzato in petto, gli faceva sentire dolore, dove nemmeno pensava potesse soffrirne...
    Questa volta le aveva prese per bene....
     
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    Aveva cura del suo corpo come se fosse un tempio sacro: beveva tanta acqua, mangiava per lo più proteine insieme ad ortaggi e verdure, gli spuntini regolari che faceva erano a base di frutta sgraffignata durante i banchetti in Sala Grande. Non beveva alcolici, non fumava ed i caffé e te che consumava non andavano mai al di sopra del due: il primo a colazione, il secondo al pomeriggio.
    Regole rigide che si era autoimposta ma al cui tempo stesso si ritrovava ad infrangere quando, particolarmente di domenica, si concedeva almeno un dolce al cioccolato. Solo che anche quella era una routine, come quella di effettuare almeno un giro di corsa nei territori di Hidenstone.
    Se manteneva quei ritmi e quella cura di sé era solo per centrare il suo massimo obiettivo: entrare nella squadra di Quidditch dei Black Opal.
    Si sarebbe proposta alle selezioni il prossimo anno nel ruolo che più le si addiceva: battitrice. La madre, così come le sue compagne di squadra, l'aveva messa su un manico da scopa giocattolo quando a stento gattonava. Il volo era nel suo sangue e lei l'avrebbe dimostrato.
    Tic-toc, tic-toc. Le lancette del suo orologio, portato alla sinistra, indicava come dieci fossero i giri che mancavano allo scoccare del coprifuoco. Aveva solo cinque minuti prima di riuscire a trovare l'ingresso della sua Sala Comune e dirsi al sicuro da eventuali punizioni.
    Indossava, infatti, una tuta nera, con il cappuccio alzato sul capo, ben lontana dalla divisa che avrebbe dovuto indossare in quel giorno infrasettimanale. E pensare di fare la sua corsetta settimanale, slittata al primo giorno della settimana per via di un weekend stranamente impegnativo, con indosso la gonnelina era più terrificante dei punti che avrebbero potuto sottrarle. Quelli si sarebbero potuti tranquillamente recuperare, il suo ego no.
    Aumentò il passo verso le tremule luci che illuminavano il Portone d'Ingresso, salendo a due a due i gradini per giungervi. Fu solo quando si trovò nell'enorme atrio che ebbe l'impressione di essere seguita.
    Fa' che non siano spillati, fa che non siano spillati. Ripeteva come un mantra mentre dal tascone centrale della felpa della tuta strinse le dita attorno alla bacchetta di ciliegio. Doveva solo proseguire la sua corsa, salire le infinite scale che la separavano da lì al terzo piano e sarebbe stata presto nella sua stanza.
    Invece si voltò, mentre il suo piede destro era già sul primo gradino.
    Non era un Prefetto, tanto meno un docente. Era il ragazzo silenzioso del primo anno. Per quanto sembrava il tipo da tappezzeria aveva attirato la sua attenzione con quell'aria da dannato, gli occhi vigili e l'onnipresente cappellino in testa.
    Prima che potesse decidere il suo corpo aveva già arrestato la corsa, aggrappandosi alla ringhiera di quell'enorme scalinata, con la mano libera, come se ne valesse della sua vita. Per quanto il pericolo sembrava essere scampato, almeno al momento, non riusciva a mollare la presa sulla sua bacchetta, che anzi sguainò.
    In quella frazione di secondo, ciò che aveva fatto propendere la scelta di fermarsi, era stata la vista del sangue raggrumato su metà del volto.
    Morgana! Imprecò sottovoce.
    La maglietta completamente strappata e reso meno candida del suo bianco; la giacca di jeans era sgualcita e persino il cappello sembrava aver visto giorni migliori. Così come la camminata claudicante e il suo volto che rivelavano chiaramente ciò che fosse successo: lo studente del primo anno si era immischiato in qualcosa che non doveva.
    Non sarebbe bastato un Gratta e Netta e ancora non conosceva eventuali incantesimi curativi, per cui ripose il suo catalizzatore.
    Ciò che non si aspettava era che in lei fosse in atto una diatriba: fermarsi a dargli le prime cure o proseguire il suo cammino? Il suo essere egoista nel voler proteggere se stessa era una parte di lei che non sarebbe mai riuscita del tutto ad imbavagliare. L'istinto di protezione ed il suo ego erano due lati di sé troppo importanti.
    Eppure, come esistevano le regole, c'era sempre una scappatoia che avrebbe potuto scovare nel marasma dei doveri.
    Un paio di falcate era già verso di lui. Non disse una parola. Non voleva sapere cosa fosse successo ma lasciare qualcuno in quelle condizioni da solo e per di più prossimi al coprifuoco era quanto di più terribile potesse fare. Se gliel'avrebbe permesso avrebbe sollevato il suo braccio -quello che, almeno all'apparenza, sembrava sano, nonché libero da una della spalline dello zaino- chinandosi con il busto per permettere a testa e spalle di superare quell'improvvisa barriera. L'idea era che il ragazzo si appoggiasse a lei per muovere i passi successivi.
    Skyler o la tua sala comune?
    Quel cognome indicava l'infermiere di Hidenstone che avrebbe potuto curare le ferite, e non solo quelle superficiali, ma appoggiarsi a lui avrebbe potuto rendergli le cose ancor di più complicate. Se fosse stata in quella posizione sarebbe stato impossibile per lei vedere l'orologio e di come, allo scadere del tempo, doveva già sottrarre un paio di minuti al conteggio iniziale. Il ragazzo avrebbe dovuto scegliere in fretta anche perché non aveva la più pallida idea di che casa fosse tra i giallo-viola e i verde-blu, dato che il suo sguardo era stato attirato sempre dalla protezione di quel cappellino malamente calato sul capo.
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    Senza accorgersene, mentre stava camminando, una figura incappucciata faceva i suoi stessi passi davanti a lei.
    Il primo pensiero di Lucas fu che quei teppistelli lo avessero seguito anche lì, cercando di non dare nell'occhio, ma approfittandosene dello scarso controllo tra un andirivieni e l'altro.
    La seconda ipotesi era che un prefetto o un caposcuola, stessero girando per il castello, alla ricerca di chi come lui stava infrangendo il coprifuoco e, questa, era l'ipotesi peggiore di quella di prima.
    La prima idea era facilmente aggirabile, in quanto lui sarebbe stata una povera vittima di un prossimo pestaggio, mentre il coprifuoco scampato, non sarebbe potuto essere coperto da nulla.

    Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, di vedere chi fosse la persona davanti a sé, nel frangente esatto in cui, la stessa si voltò in sua direzione.
    La prima cosa che notò fu la bacchetta.
    Lucas roteò gli occhi al cielo «Ci risiamo...» pensò, prima di continuare ad esaminare la figura, fino ad arrivare al suo volto.
    «Merlino!» un sussurro, sgranando gli occhi.
    Era quella ragazzina degli Opali, I anno, stessa classe. Quella che spesso Jughead si era trovato ad osservare di sfuggita. Beh, sicuramente attirava l'attenzione.
    Quasi in contemporanea, se si fossero sentiti, si sarebbero trovati ad imprecare insieme, sovrapponendo le loro voci.
    Lei era, per Lucas, quel tipo di ragazza che con uno come lui davanti, avrebbe chiaramente rincarato la dose. Non gli sembrava poi così dolce, anzi, piuttosto snob, con la puzza sotto il naso.
    Seppur avesse un sorriso bellissimo, degli occhi che chiedevano di essere guardati e quel nasino dalla linea sottile, che Jughead aveva studiato più di una volta, all'ombra dei libri, tra una lezione e l'altra... insomma, quando poteva...
    E lui, adesso, sicuramente non era presentabile.
    Non che lo fosse mai stato, sia chiaro, ma oggi ancor di più. Il sapore del sangue, ferroso, gli impregnava le labbra, la maglietta era diventata un campo da guerra per gatti infuriati... insomma, se a lezione non era riuscito ad attirare la sua attenzione, figurarsi ora.

    Ed invece, qualcosa accade, magicamente.
    In due falcate la ragazza era su di lui, sentì il suo braccio cingere la sua schiena e Lucas abbozzò un sorriso dolciastro, quasi sarcastico, lasciandosi aiutare almeno a salire quelle scale.
    «Oh, il mio principe azzurro... ora sì che il mio testosterone è sceso sotto i piedi...» sbuffò una mezza risata, con un movimento di dolore, che gli ricordò il labbro spaccato quanto potesse tirare.
    Al sentire le due ipotesi, Lucas si fermò all'istante, sgrando gli occhi, uno mezzo livido «Dimmi che hai un'altra alternativa, perché non mi sembra il caso di andare da nessuna delle due parti, sai?» era un misto tra l'impanicato e l'isterica, la sua risposta.
    Skyler avrebbe chiamato qualche superiore, in Sala Comune avrebbe trovato sicuro qualcuno a cui dare spiegazioni, non poteva andare a nessuna delle due mete. Senza contare, che non avrebbe potuto mica rivelare ad un Opal, dove si trovasse la sua Sala Comune.
    «Senti, guarda, davvero... non ti cacciare nei guai per aiutarmi, non è proprio il caso.»
    Il suo sorriso, seppur ammaccato, era dolce e gentile, pulito da qualsivoglia malizia, mentre volgeva lo sguardo alla ragazza degli Opali.
    Mentre cercava di barcollare meno possibile, per camminare, con l'aiuto della ragazza, ancora il sarcastico sorriso si fece strada sul volto sbarbato «Cosa ci fa Elisabeth Lynch fuori, a pochi attimi dallo scadere del coprifuoco, lontano dal calduccio della sua sala comune?» aveva appena svelato una carta, non accorgendosene, tra un dolore e l'altro, aveva appena confessato alla ragazza di sapere esattamente chi fosse lei. Un po' come quando trovi un personaggio famoso e non vuoi dar a vedere che lo conosci, no?


    Edited by Lucas Jones - 28/8/2019, 17:58
     
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    Perché non aveva resistito all'impulso di voltarsi a guardare? Perché non era riuscita ad iniziare a salire la prima delle tante rampe di scale che l'avrebbero portata nella confortevole Sala Comune? E soprattutto perché diavolo aveva fatto dei passi verso il ragazzo col cappello e cercato di sollevare quel braccio per passarselo sulle spalle e aiutarlo ad assumere una posizione eretta? Erano quesiti a cui non avrebbe saputo come rispondere a mente lucida. Una mente che in quel momento era impegnata ad avere a che fare con il sarcasmo del ragazzo usato come pungiball. Principessina, chiudi il becco o ti mollo qui. Ribatté, acida, tentando di non esercitare troppa pressione sul fianco, perché con tutta probabilità non avrebbe avuto una sorta migliore di quel labbro spaccato e della maglia strappata. Con il movimento del suo corpo cercò di guidare il corpo dell'Ametrino nel fare un passo verso la scalinata, cercando di non dar retta al peso che le scaricava addosso. Un solo passo per fermarsi e chiedere effettivamente quale fosse la giusta direzione da prendere. Due opzioni che però sembrarono non allettare il ragazzo da parete. Un'alternativa che non costasse loro fatica e sottrazione di punti poteva effettivamente esserci: lo stanzino delle scope. Non era troppo lontano da dove si trovavano e rispetto ai bagni femminili, siti al secondo piano, era più facile da raggiungere e più difficile da essere trovati. Forse.
    D'accordo. Ma dovremmo essere più veloci. Non che dovessero correre o trascinarlo lungo il pavimento -questa opzione la preferiva di gran lunga, rispetto alla prima- ma un passo più rapido sì. Non voleva rischiare di essere beccata e perdere degli stupidi punti. Non voleva essere esclusa ancor di più dai suoi compagni di casata.
    La decina di centimetri che li separava in altezza facevano una grande differenza per quell'incedere incerto e la ragazzina si sentiva sempre lo sguardo dell'altro su di sé, come se cercasse di guardarle nella testa, alla ricerca della motivazione per cui lei, studentessa taciturna e solitaria, avesse deciso di aiutare proprio uno come lui, rischiando una punizione perché il coprifuoco era ormai scattato. Non spendere energie inutili... -si prese un attimo, per prendere un lungo respiro e smettere di digrignare i denti- a parlare... pensa a camminare. Poteva avere sicuramente un po' più di tatto con quel ragazzo già ferito fisicamente e chissà quanto avesse sofferto già la sua autostima nel non riuscire a ripararsi da quei colpi andati a segno, ma non essere sé stessa era un qualcosa di inconcepibile per lei. Erano a meno di dieci passi da quella meta che aveva scelto per essere al sicuro. Solo dieci passi e sarebbero stati in quello stanzino buio e puzzolente.
    Dai, manca poco. Provava a rincuorarsi l'opalina, cercando di concentrarsi su quella porticina e sul respiro ritmato ad ogni passo.
    Doveva solo fare gli ultimi due passi e avrebbe potuto sfilarsi da quell'abbraccio con il coetaneo ed aprire quella porta. Doveva solo allungare la mano e ce l'avrebbero fatta. Doveva solo...
    Sa chi sono! Sentire il suo nome pronunciato dalla sua voce fu un colpo. Era stato attento, sicuramente a lezione, quando qualche docente l'appellava. O forse aveva indagato su di lei. O forse... Sarebbe stato meglio muoversi. Si sfilò dal ragazzo, aiutandolo a posarsi momentaneamente sulla parete ruvida per abbassare quella maniglia e tirare la porta verso di sé.
    Veloce, entra. Lo invitò, sperando che ce la facesse a compiere quella piccola distanza. Appena entri, sulla destra, c'è una cassapanca. Siediti lì. Avrebbe atteso che la superasse con le dita già posate sulla maniglia interna di quella porta, pronta a chiudersela dietro. L'oscurità li avrebbe avvolti, per poco. Perché sapeva che lì, alla sinistra dell'ingresso ci fossero una serie di candele ed una scatola di fiammiferi. E se lo sapeva era perché era stata lei a nasconderli lì. Si lasciò guidare dal senso del tatto, tastando la solida roccia, superando un paio di manici di scopa e dirigendosi verso quella piccola cassettiera. Le dita partirono dall'altro contando le fessure tra un cassetto e l'altro. Quando arrivò al quarto lo tirò per la maniglia sentendo il classico rumore dei cilindri di cera rotolare. Ne prese uno, fermandolo in un portacandela e ricercò anche il parallelepipedo con i fiammiferi. Spinse il lato più corto verso l'interno facendovi scorrere quel piccolo contenitore verso l'altro. Prese un fiammifero e lo grattò sulla superficie ruvida. Solo al terzo tentativo uscì una fiamma traballante che si apprestò ad avvicinare allo stoppino. Prese la base di quel portacandela e si girò in direzione del ragazzo, di cui però faticava a ricordare il nome.
    E così sai qual è il mio nome... e le mie abitudini... sussurrava, cercando di far il minor rumore possibile, mentre si avvicinava a lui con quella fiammella traballante. Ma io non so il tuo. Avrebbe posato la candela su un ripiano più alto, alla destra di quel corpo martoriato, per poter avere una visuale più nitida del suo volto. Era davvero messo male. E aveva paura sulla restante parte del corpo. Proprio sicuro di non volere che chiami Mave? Lei non sapeva nulla di come si curasse qualcuno e lì non aveva acqua per poter almeno eliminare le tracce di quel sangue raggrumato. Forse sarebbero stato meglio portarlo nei bagni. O forse avrebbe potuto cercare di convincere l'infermiere a curarlo senza però denunciarlo a docenti e spillati. Stava solo a lui scegliere cosa fare. Ancora una volta.

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    Lucas Jughed Jones
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    La dura vita di un Jones.
    Nessuno può capirla fin quando non prova ad essere nei suoi panni almeno per un paio di ore. E, credetemi, non vorreste tornarci mai più a vivere quei brevi istanti.
    Lucas era ormai abituato a gestire la scuola e le sue innumerevoli risse da solo, per quanto sarebbe stato divertente essere in maggioranza numerica per poter dare una bella lezione a qualcuno.
    Tuttavia, era contrario anche nel coinvolgere qualcuno esterno alla sua causa.
    E questo valeva anche per i coprifuoco e i salvataggi. Lynch, invece, sembrava essere inciampata in questo piccolo dramma adolescenziale, senza una vera via di fuga, al momento.
    In verità il modo per scappare c'era, avrebbe potuto lasciarlo lì e ritornare nella sua sicura stanza, senza che né uno, né l'altro subissero eventuali punizioni se trovati fuori orario, lontano dalle loro stanze.
    Però, la piccola Opale, sembrava essere di parere contrario, tanto da rischiare una bella sanzione per rimettere in piedi quella pezza di ametrino con cui nemmeno aveva scambiato troppo tempo insieme.
    Lucas cercava di fare l'uomo maturo e di fare qualche battutina, ma dopo le botte, anche il ridere per quella battuta che fece la ragazza, creava dolore «Agli ordini, capo.» disse con quel sorriso beffardo che lo caratterizzava.
    Quando il braccio della ragazza lo cinse, Lucas sentì un brivido che nascose perfettamente con un'espressione di dolore prima di lasciare che lei lo tirasse su in maniera tale da non pesarle troppo.
    L'acidità di Elisabeth Lynch aveva sempre fatto desistere Lucas dall'avvicinarsi troppo, per paura di essere schiantato, eppure a lezione aveva sempre passato le ore a studiarla, ogni suo movimento, ogni suo gesto incondizionato. Era come se la conoscesse da una vita, in fin dei conti.

    Le due opzioni proposte dalla ragazza sembravano scontrarsi tra loro, ma Lucas scelse il male minore: affidarsi alla ragazza.
    Era ovvio che ci sarebbe stato il rischio di finire dritto in infermeria, per lo più denunciato dall'infermiere, già si vedeva a spiegare cosa fosse successo, di come non aveva mosso un dito per difendersi, tutto questo davanti alla Lynch. No, era senza dubbio la scelta più sbagliata.
    Lucas annuiì semplicemente, quando sentì di nuovo la voce dell'Opalina, perchè i pensieri che lo stavano affollando, erano molto più forti del suo sarcasmo.
    Andare più veloci non era sicuramente facile, ma Jughed ce la mise tutta per non essere un peso morto, sul corpo di una donna che, per quanto atletica, avrebbe potuto risentire del peso maschile del ragazzino.

    L'Opale cercò di zittirlo di nuovo, Lucas tirò un respiro profondo «Quasi credo... che ti stia sul cazzo... la mia voce, Lynch...» disse poi, svuotando i polmoni in una risata smorzata e affannata.
    Mancavano pochi metri, già sentiva nelle narici l'odore di umido di quel posto angusto.
    Eseguì quello che disse la ragazza, non aveva molta scelta, quindi dopo essersi poggiato sulla parete e aver avuto il passaggio libero per entrare, Jughed avrebbe allungato la mano verso destra, tastando a vuoto nel buio, cercando la cassa dove si sarebbe dovuto sedere.
    Una volta trovato, si lasciò scivolare, cercando di poggiare la schiena allo scaffale che aveva dietro e portando la mano destra a toccare il fianco sinistro, all'altezza delle ultime costole.
    Chiuse gli occhi, sospirando leggermente e riprendendo fiato.
    Il buio li avvolse, fin quando la miccia del fiammifero non accese delle candele.
    Fu in quel momento che Lucas aprì un solo occhio, quindi sollevò un angolo delle labbra, il sinistro, in un sorriso sarcastico «Wow, a lume di candela... quasi quasi potrebbe prendere una piega romantica questo salvataggio...» affannava un po' le parole e con l'occhio aperto guardava la ragazza.
    Come fece notare la splendida, Lucas non si era presentato.
    Si spinse leggermente in avanti, con un po' di sforzo misto a dolore, quindi riaprì le iridi azzurre «Ovvio che non lo sai, sono sempre almeno tre file dietro di te a lezione, arrivo tardi ed esco per primo quando la lezione termina... come puoi conoscermi, Lynch?» il suo volto, adesso, era serio.
    Lucas sapeva di non risaltare molto all'occhio della gente, ma non tangeva più di tanto al ragazzo, in quanto meno dava nell'occhio, meglio stava «Lucas... o puoi chiamarmi anche Jughed... quello che ti piace di più» evitò il cognome, non voleva finire pestato anche da lei, nell'eventualità che il suo essere un Jones fosse qualcosa di estremamente orribile ai suoi occhi.
    Preferiva rimanere solo Lucas o Jughed per lei.
    Inoltre, il suo secondo nome non era facile a presentarlo subito, tanto che nessuno lo appellava con quello.
    Quando Lizzy propose di nuovo di chiamare Mave, Lucas la guardò affranto «Per favore, Liz, non chiedermelo più... la risposta sarà sempre no... però se proprio non vuoi tornare in stanza e lasciarmi qui... » indicò lo zaino che si erano portati dietro «...dovrebbe esserci una bottiglietta d'acqua e una canottiera bianca... se me li passi, provo a togliermi questo schifo dal viso...»
    Sorrise, provando a fare lo spavaldo «Tranquilla non ti farò sporcare con il mio sangue... ti ho già messo abbastanza nei guai oggi...» si poggiò ancora con la schiena allo scaffale e chiuse gli occhi, ancora sorridente.
    code © psiche
     
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    Una persona normale, con una spiccata empatia, si sarebbe preoccupata delle condizioni di quel ragazzo che sembrava esser uscito da una rissa.
    Una persona normale, con una curiosità irrefrenabile, avrebbe inondato l'ametrino con innumerevoli domande: dov'eri? cosa è successo? perché sembri stato investito da centauri rabbiosi?
    Una persona normale, con un po' di sale in zucca, avrebbe finto di non ascoltare le rimostranze su possibili richiami e l'avrebbe portato da un infermiere per rassicurarsi che non ci fosse nulla di rotto.
    Ecco, Elisabeth Lynch era tutto tranne che una persona normale. Aveva messo a tacere l'indole del giusto, del rispetto delle regole, solo per aiutare il ragazzo col cappello a raggiungere un posto sicuro e togliere via quel sangue di troppo. Non sapeva neanche perché l'avesse fatto davvero, del perché lo trascinasse per l'intero piano terra. Una cosa però la sapeva ed era rimasta fedele all'immagine di sé: essere morbida come... esser colpiti nel posteriore dalle corna di un Graphorn. E per questo lo zittì, senza troppe cerimonie, cercando di concentrarsi sullo sforzo che i suoi muscoli erano stati chiamati a compiere, al respiro da calibrare e a cercare di non sprecare energie inutili, come sbuffare in pieno viso di Jones. O forse mi stai interamente sulle Pluffe... Un pensiero il suo che sapeva essere ben lontano dalla realtà dei fatti. Tra un'imprecazione e un gemito di dolore erano finalmente riusciti a raggiungere quell'anfratto umido, regno del Custode, dove aveva presto lasciato la presa sul corpo del ragazzo. Il suo corpo tornò a distendersi, riabituandosi all'assenza di quel peso che per pochi minuti l'aveva affaticata. Ma fu come una strana mancanza, quando si erano separati. Non si perse comunque d'animo, apprestandosi a cercare candele e fiammiferi per illuminare quanto bastava quella stanza puzzolente.
    Taci. Non c'è niente di romantico qui. Ribatté piccata, più perché era abituata ad avere la risposta pronta e non perché pensasse davvero quello che aveva appena detto. Andiamo, lo studente del primo anno era decisamente carino e lei ne doveva prendere atto. E poi, il gioco di luci ed ombre della fiamma della candela, rendeva i tratti pestati del ragazzo più regolari, decisamente interessanti.
    Non sempre siedi dietro di me. Ad astronomia arrivi sempre tra i primi e cerchi sempre di essere nelle prime file. Lo riprese, ammettendo di contro come in effetti lei l'avesse osservato fino a quel momento, cercando di non farsi beccare. E c'era riuscita. Solo che per quanto attenta non era riuscita a captare davvero il nome del ragazzo o perché troppo distratta durante l'appello o perché impegnata nel revisionare i compiti del giorno. Jug andrà bene. Sorrise, avvicinandosi al suo viso per studiarne le ferite e chiedere se davvero non volesse che andasse a chiamare il sexy infermiere.
    Liz? Di diminutivi ne aveva sentiti tanti, ma mai quello. I più usavano chiamarla Lisa o Lily, qualche volta anche Beth con suo sommo orrore e disgusto. Ma mai, mai Liz. E per qualche strana ragione non lo corresse. Le piaceva il suono di quelle tre lettere pronunciate da lui.
    Sta' un po' zitto, Jug. Lo rimbeccò, ancora una volta quella sera, chinandosi per prendere lo zaino, aprirlo e cercare quanto l'altro avesse richiesto. Solo che non passò lui nulla, anzi, si rialzò, andando verso l'enorme schedario alla ricerca di panni di stoffa puliti. Erano di quelli in puro cotone, perché solo con quelli, a quanto sembrava, le vetrate dell'Accademia riuscivano a brillare. Al custode non mancheranno! Esclamò, sottovoce, tirandone una mezza dozzina e dirigendosi di nuovo verso il ragazzo. Non brucerà perché non c'è alcol, ma potresti comunque provare fastidio. Lo informò, aprendo la bottiglietta dell'acqua posandovi una delle pezze pulite che aveva trovato e finendo con il rovesciarla per bagnarla un po'. Posò una mano sotto il mento del ragazzo decidendo di iniziare dal sopracciglio sanguinante, con il liquido viscoso che si era andato un po' a seccarsi sulla palpebra. Cercò di strofinare delicatamente, provando a focalizzarsi su quell'insieme di peli che andavano a comporre l'arcata sopraccigliare. Credo che per i prossimi giorni sarà un po' gonfio... Si avvicinò ancor di più, assottigliando lo sguardo, mentre strofinava le ultime tracce di sangue. E sembra che... non hai bisogno di dittamo. Era quello che si usava per cicatrizzare le ferite? Sollevò le spalle, a rispondere a quella domanda inconscia. Ripiegò la stoffa ormai inutilizzabile e la posò vicino alla mano di Lucas.
    Per quanto riguardava il labbro, invece, era tutto più difficile. La ferita era più grande e il sangue aveva già riempito più di una pezza. Ma non demorse. Concentrata tamponò una nuova pezza umida, aiutandosi nel tendere il viso verso di lei per aumentare la pressione del suo gesto sul labbro inferiore. Non voglio farti male... però dimmi se te ne faccio.
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Jug osservava la ragazza, con un sorriso nascosto sul volto tumefatto.
    Liz Lynch.
    La cotta eterna di Lucas dal momento che aveva messo piede in quell'Accademia, quel sorriso che esplode all'improvviso, accendendo quello strano brillore degli occhi cerulei della ragazzina degli Opali.
    «Sai cosa mi ... stupisce di te, Lynch? Tu non chiedi, come se non ti fosse dato sapere, tu esegui quello che ti senti di pancia di fare, ma non domandi...» iniziò il ragazzo, prima che potesse iniziare a medicarlo, mentre ancora la osservava affannarsi a cercare quel che le serviva «Questa è una qualità che a me manca, devo ammettere. Ma ti ammiro. Se non ti viene detto è perché non devi saperlo, quindi non vale la pena chiedere, giusto? E poi, chi dice che ti interessi veramente quello che gli altri hanno da dirti? Magari è noioso e dovrai fingerti interessata alla situazione. Ma tu... tu non fingi mai, vero Liz?»
    La guardava ancora, con quel sorrisetto beffardo, quindi, mentre ritornò in silenzio vedendola attraversare la stanza e arrivare davanti a lui.
    Niente di romantico, già «Suvvia Lynch, sono già ferito, non trattarmi male... sarebbe una ferita che non potresti curare, se non accettando un mio invito ad uscire, sappilo...» ci stava provando? In maniera implicita le aveva chiesto di uscire? Certo... ma certo anche che non se ne fosse minimamente accorto, tanto che calò lo sguardo dopo aver riflettuto su quello che aveva appena detto.

    Quando sentì parlare delle sue abitudini, Jug allargò gli occhi e la bocca scivolò verso il basso «Ed io che avevo sempre creduto che fossi il solo a stalkerizzarti, sai? Ed invece vedo che questa relazione complicata è ricambiata, Liz.» non aveva avuto niente da ridire sul suo nomignolo nuovo, quindi continuò a chiamarla così, involontariamente, addolcendo sempre la pronuncia su quelle tre lettere.

    Quando gli fu vicina, Jug rimase in silenzio, quasi trattenendo il fiato. Non era mai riuscito ad avvicinarsi così tanto a lei, nel giro dell'anno accademico ed ora stava succedendo all'improvviso. E lui non era preparato alle cose improvvise.
    Quasi si ritrasse appena irrigidendosi, per poi rilassarsi appena.
    Rimase in silenzio per il restante delle cure.
    Cosa gli succedeva? Dai aveva osservato la ragazzina da lontano per l'intero anno scolastico, adesso cosa non andava bene?
    Strinse i denti, sentendo del dolore provenire dai punti che toccava.
    Quando passò alle labbra, lo sguardo di Lucas non riusciva ad incrociare quello di Liz. Si fece avvicinare, diminuendo quelle distanze.
    Poi all'improvviso le prese il polso, di scatto, senza farle male e lo sguardo salì ai suoi occhi «Senti Liz...» stava sussurrando, quasi come se avesse il timore di interrompere quella vicinanza con le parole «... va bene così, ok? Torniamo in stanza... si è fatto tardi...» cosa?
    Ok, ora penserete che sia un idiota. Beh, lo è. Tuttavia la dolcezza che mise in quelle parole e nel suo sorriso verso la ragazza, nonché nel toccarle il polso per fermarla, cercavano di dare l'impressione a Liz che tutto andasse bene e che poteva fermarsi così.
    La verità la sapeva solo Lucas: il suo cuore batteva all'impazzata, voleva baciarla, stringerla e - chissà - magari tenerla con sé tutta la notte. E la cosa non andava bene, doveva interrompere quella vicinanza, doveva scappare, per paura? Per ormoni impazziti? Per timore di un errore? Non lo sapeva, l'unica certezza era che quello che finora lo aveva spinto a diventare ossessionato da Elisabeth Lynch, adesso aveva un nome, che Lucas non voleva pronunciare.
    Non lasciava ancora il suo polso, provò ad accompagnarlo delicatamente verso il basso, sollevandosi davanti a lei. I loro respiri si incrociarono, i loro sguardi erano vicini «... dico sul serio, Liz... va bene così... ti accompagno a metà strada, così sono sicuro che non ti becchino...» ancora quel sorriso delicato, un sorriso che non spesso si vedeva sul suo volto. Incerto, sollevò l'altro braccio. A metà strada si arrestò come se ci stesse pensando... poi tento di accarezzarle la guancia, prima di ritrarsi e far cadere la mano.
    Il polso, invece, non voleva lasciarlo, a quanto pareva «Grazie per l'aiuto... ti prometto che domani andrò da Mave per farmi aggiustare meglio... andiamo a dormire, ok?»
    E avrebbe atteso lei, prima di uscire dalla stanza. E, non avrebbe accettato un no sull'accompagnare la ragazza. Voleva farlo e lo avrebbe fatto anche di nascosto a lei.
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