Votes taken by Eirikr J. Donneville

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    Non era il tipo che fissava nella mente i volti delle persone, per la maggior parte del tempo scambiava convenevoli stentati e poi cancellava dalla propria memoria ogni tratto fisionomico. In passato, sopratutto quando viva a Londra con la sua ex estroversa e socievole, quella incapacità di memorizzare volti e nomi gli era costata non poche figure di merda.
    Ora che era tornato a Denrise poteva quantomeno godere della monotonia di volti e voci che il villaggio aveva da offrire, anche se negli ultimi anni si era arricchito di viaggiatori e facce nuove. Per quanto detestasse l’idea, purtroppo faceva parte dei tradizionalisti brontoloni che non accettavano di buon grado le novità e passavano il tempo a lamentarsi.
    Se non altro i suoi brontolii spesso si perdevano nello sciabordio del mare o nei piatti che gli preparava Andrew, e non concludeva niente di che.
    Continuava a lottare contro quella parte di se, contro il destino che il padre gli aveva confezionato, eppure ogni giorno che passava sulla terra ferma capiva sempre di più per quale ragione non fosse poi così male uscire in mare.
    Non sentiva l’esigenza di farsi nuovi amici, ritrovato il suo equilibrio con Andrew gli sembrava che la sua vita fosse già completa così, tra lui e qualche vecchia conoscenza che lo accompagnava in mare non aveva tempo per allargare la cerchia. Eppure capitava che incontrasse qualcuno e quel qualcuno gli restasse sotto pelle: era successo con quella bionda alla locanda, Rebecca, che ora considerava un’alleata e quasi un’amica, non escludeva che potesse succedere di nuovo.
    D’altra parte però escludeva anche di uscirtene con quel vento pungente, eppure eccolo lì, avvolto nella sua fidata giacca di pelle, la testa chinata per nascondere il più possibile il volto dall’aria gelida.
    Era abituato a percorrere quella stessa strada per andare verso il molo, la conosceva così bene da riconoscere la posizione di ogni radice e ogni sasso anche ad occhi chiusi e per quello era inevitabile, per lui, proseguire spedito, senza esitare.
    Si poteva dire molto di Eirikr, ma era in gesti e momenti semplici come quello che la sua vera natura veniva fuori. Solo un predone avrebbe avuto quel passo sicuro e rapido, come se conoscesse quel posto a menadito, come se fosse nato per essere lì. E proprio perchè conosceva quel posto come se le sue tasche non faticò a notare subito qualcosa di diverso: era abituato alla solitudine, a quell'ora, ma non potè evitare di captare anche il flebile suono della voce di qualcuno non troppo distante e intravedere delle dita arpionate tra le rocce del dirupo. Gli sarebbe bastato sporgersi per capire che cosa stava succedendo e prima ancora di ragionare tese il braccio e afferrò il polso del povero malcapitato, prendendosi tutto il peso e cercando di salvarlo.
    Il suo cervello processò tutto con ritardo, quando già stava agendo, che la persona che stava aiutando non era uno sconosciuto qualsiasi ma che si erano già visti prima.
    "Non mi sembra una buona idea starsene a penzoloni nel vuoto con questo freddo." buttò lì come prima battuta, istintiva, incapace di nascondere la sua sorpresa.
    Dimenticarsi del volto di Keegan sarebbe stato difficile, riuscire ricollegarlo a quel posto però a quella circostanza ancora di più. Tante persone si sarebbe potuto aspettare in una situazione come quella, ma non riusciva proprio a spiegarsi cosa ci facesse li, sospeso nel vuoto.
    Eirikr J. Donneville

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  2. .
    Se non altro una sfida era un imprevisto gradito per qualcuno che già contava di annoiarsi a morte in breve tempo e trascinare presto Andrew lontano da quel caos. Se già normalmente la sua tolleranza delle persone non era elevatissima, disagio che esprimeva spesso ci mugolii inarticolati o risposte burbere -le stesse che aveva sempre rimproverato a suo padre, per giunta-, sicuramente quel genere di festività, così allegra e così colorata, non migliorava il suo approccio.
    Non che Eirikr fosse davvero uno stronzo, aveva la sua cricca di amici con cui usciva anche spesso, e se trovava qualche interesse in comune riusciva anche ad intrattenere delle conversazioni, solo che non era il primo ad iniziarle.
    Ricordava distintamente Sigurth e la conversazione che avevano avuto, è ancora si sorprendeva di come qualcuno potesse essere così devoto, ma se non altro era difficile dimenticarlo.
    Lo avrebbe salutato con un cenno del capo, senza aspettarsi di certo un risvolto come quello, quanto piuttosto una battuta sul cappello di Andrew, quella non se la sarebbe risparmiata nemmeno lui.
    Alzò un sopracciglio di fronte a quella proposta, e per quanto potesse infischiarsene delle tradizioni di certo non era uno che rifiutava una sfida. Non riuscì comunque ad evitare di cercare lo sguardo dell'amico, cogliendone il dissenso ma scegliendo con attenzione di non dargli troppo peso.
    Non sapeva se aspettarsi apprensione da parte di Andrew, sospettava che non fosse tipo da apprezzare quel genere di festeggiamenti, ma in ogni caso non li avrebbe lasciato molto tempo di commentare, allungandogli il suo bicchiere e chiedendogli silenziosamente di reggerlo.
    “Come rifiutare, Gunnharson?”.
    Quando la voce famigliare di Becca raggiunse le sue orecchie non mancò di notarla e rivolgerle un’occhiata, sorridendo appena. “Addirittura? Che onore.” commentò con un velo di umorismo, per poi allargare il proprio sorriso quando vide l'altra iniziare una sfida a sua volta.
    Immaginava che l'idea di Sigurth potesse essere quella di un duello vecchio stampo, si tolse la giacca di pelle con una mossa agile, tendendo anche quella ad Andrew, questa volta sforzandosi di dedicargli un sorriso sghembo per alleggerire l'atmosfera. "Fai il tifo per me" si assicurò, senza aspettare troppo prima di tornare a guardare Sigurth, distendendo la schiena per darsi un tono e scricchiolandosi appena il collo. "Come vuoi procedere?" avrebbe quindi domandato, aspettando che fosse l'altro a dettare le regole e fare la prima mossa, fosse anche solo per trarre maggior soddisfazione quando avrebbe vinto. Non moriva dalla voglia di vincere un combattimento, il suo interesse per il totem non era così elevato, ma in quel momento bramava molto di più l'adrenalina, la voglia di sentirsi vivo, anche solo qualche vago brivido di pericolo lungo la schiena.
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    Accetta la sfida da parte di Sigurth Gunnarsson .
    Parla con Andrew Barber e Rebecca Wagner.
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    Se anche la sua mente era rimasta offuscata per un po', più guardava l'altro e più riusciva a ritenersi fortunato. Non era ancora capace di dire se quel genere di realizzazione fosse qualcosa che provava spesso, o una novità, ma di sicuro non era da tutti avere un amico simile, e ora riusciva ad apprezzare la profondità del loro rapporto forse ancora più di prima. Poco importava che la sua capacità di concentrazione gli sembrasse ancora limitata, sentiva sotto pelle quanto il loro legame fosse solido e sicuro, non aveva nemmeno più bisogno di porsi troppe domande in merito, dopo aver dormito sotto quel tetto ed essersi sentito così protetto di fronte alle attenzioni dell'altro, c'era ben poco altro rimasto da mettere in dubbio.
    Il fatto era che tra loro le cose erano sempre state così, o nero o bianco, e Andrew era una parte così importante della sua vita che anche in condizioni estreme come quelle della sera prima era rimasto il primo pensiero, l'unica dal quale potesse pensare di chiedere aiuto.
    In quel momento avrebbe comunque voluto sentirsi molto più utile, cercare di confortarlo in modo più consistente di fronte a qualcosa che, senza ombra di dubbio, lo stava facendo vacillare. Non aveva ancora tutti gli strumenti necessari per supportarlo a dovere, ma gli bastava guardarlo negli occhi per sapere che chiunque avesse osato ferirlo ne avrebbe pagato le conseguenze con gli interessi. E non gli serviva nemmeno chissà quanta lucidità per sapere che non era "di parte" ma aveva ragione e basta. Alzò gli occhi al cielo, scuotendo piano la testa. "Stronzate. Chiunque abbia intenzione di farti soffrire o non ti cerca per anni è un coglione." mugugnò senza giri di parole, faticando a trattenersi di fronte all'ipotesi che qualcuno potesse davvero pensare di ferire una persona come Andrew.
    Non potè evitare di sentire un'ondata di calore partire dallo stomaco e invadergli tutto il petto, arrivando fino alla punta delle orecchie, abbastanza intensa da convincerlo ad abbassare il viso e mangiare un pezzo di pancake per non guardare l'altro negli occhi. Era indubbiamente piacevole sentirsi così importanti, ma non era solo quello: non aveva intenzione di andarsene, aveva sentito la mancanza dell'altro con ogni sua cellula anche se ancora faticava a quantificare certe emozioni. "Non intendo scoprirlo." borbottò alla fine, alzando appena la testa per lanciargli un mezzo sorrisetto carico però di tutte quelle emozioni che non era mai stato bravo ad esprimere.
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    Quella stanza stava rilassando i suoi nervi più di quanto gli piacesse ammettere. Aveva passato l'ultimo periodo della sua vita teso, sempre con la guardia alzata, e ora gli sembrava innaturale lasciarsi andare, abbassare la guardia, permettersi di prendere una pausa. Era difficile rimanere teso e attento con quel profumo, quel calore e la presenza così confortante del ragazzo che aveva di fronte. Avrebbe preferito chiudersi nel suo mutismo forse, godersi il momento per qualche istante in più, aggrapparsi a quella situazione con le unghie e con i denti prima che qualcuno gliela strappasse di dosso. Aveva ancora paura che tutto quello fosse un sogno, pronto a dissolversi da un secondo all'altro, ma forse preferiva non pensarci troppo.
    Non era sicuro di essere nella condizione migliore per supportare Andrew e i suoi dubbi esistenziali ma quando si trattava del suo migliore amico Eirikr non avrebbe ammesso eccezioni: poco importava quello che stava passando, era disposto a ignorare i suoi problemi e le sue preoccupazioni pur di aiutarlo. Lo avevano sempre fatto, si erano sempre sacrificati l'uno per l'altro, anche se Eirikr era meno altruista del biondo, non avrebbe mai messo da parte i propri bisogni per qualcuno che non fosse lui.
    Andrew era sempre stata la sua eccezione: era l'unico ragazzino a cui si fosse mai legato negli anni di scuola, aveva avuto altri amici ma nessuno di davvero rilevante, nessuno per cui si fosse sforzato più del minimo indispensabile. Non per niente non aveva mantenuto quasi nessun rapporto, dopo il diploma, e anche quando viveva a Londra non aveva coltivato mai nuovi legami.
    Ecco, Eirikr era particolarmente bravo ad annullarsi per le persone che amava, avevo fatto così con la sua ex e non era andata a finire bene. Non si soffermò comunque ad analizzare quella realizzazione, troppo concentrato nel cercare di arginare quella cascata di dubbi e domande.
    Sospirò piano, mantenendo la sua proverbiale compostezza, scuotendo la testa con naturalezza e convinzione. "Nessuno può davvero rifiutarti Andrew, se lo pensi davvero sei un'idiota." disse come prima cosa, e se anche la sua mente era nebbiosa quella rimaneva una sicurezza. "Se vuoi conoscerli o no questa è una tua decisione, nessuno può obbligarti. I dubbi... sono legittimi, ma prima di uscire da quella porta e andare a cercarti sappi che non smetterò magicamente di considerarli stronzi. Se sono là fuori e non ti hanno mai trovato non ti prometto di perdonarli." aggiunse subito dopo, accennando un mezzo sorriso che non sapeva nemmeno lui a che cosa potesse servire.
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    La nebbia che gli abbracciava il cervello non si era ancora dissipata del tutto, eppure gli stavano permettendo almeno di respirare e ragionare con un filo di lucidità in più, Le attenzioni di Andrew, dall'altra parte, minacciavano di oscurare tutto il resto, era molto più difficile pensare e ragionare con le narici piene dell'odore di pancakes e gli occhi dell'altro addosso, tutti i suoi sensi proiettati verso Eirikr, che si sentiva improvvisamente troppo piccolo e fragile per quel genere di analisi.
    Le cose tra loro erano sempre state così, Andrew era quello che si preoccupava per ogni volta, che esprimere il suo affetto con gesti plateali, mentre Eirikr si chiudeva nel suo scorbutico silenzio e ricambiava in modi ben più subdoli e meno evidenti, per quanto avesse sempre provato per l'altro un legame profondo, quasi indescrivibile. Anche dopo quel che aveva passato la forza del loro legame non sembrava sfumata, e con essa nemmeno il senso di colpa che lo aveva sempre contraddistinto: ogni volta non poteva fare a meno di sentire di non fare abbastanza per l'altro, che invece non si tirava mai indietro quando si trattava di prendersi cura di lui o viziarlo.
    Dopotutto come poteva evitare di sentirsi così? Solo la sera prima si era trascinato lì senza nemmeno ricordarsi di lui,e ora che le scene del suo arrivo cominciavano a ritornargli alla mente non poteva non provare una profonda vergogna. Riconosceva di non averlo mai davvero dimenticato, di essere stato solo troppo stanco e provato per essere presente a sè stesso, ma Andrew meritrava comunque molto di meglio.
    Sospirò piano, abbassando lo sguardo sul proprio piatto abbondante, cercando poi di posarlo su qualsiasi altro dettaglio della stanza, un po' per riprenderci famigliarità, un po' per distrarsi da un gesto che gli continuava a sembrare fin troppo, rivolto a lui sopratutto. Provò quindi a concentrarsi su qualcosa di più neutro, finendo comunque per posare lo sguardo sulla figura dell'altro, il bordo della placchetta di metallo che portava sempre al collo che brillava appena alla luce che filtrava dalla finestra. Gli sembrò che la propria, identica, all'improvviso pesasse un po' di più sul petto, costringendolo a cercare di riempire quel silenzio in qualche modo, proprio lui che nel silenzio ci viveva più che volentieri.
    " In effetti credo di aver già notato qualcosa di nuovo..." rispose, forse più per cortesia che per altro: una parte di lui ancora dubitava delle proprie percezioni e della sua memoria, e al contempo non riusciva davvero a concentrarsi su qualcosa come l'arredamento al momento. D'altra parte non poteva ignorare il sottinteso di quelle parole: era lui ad averlo fatto attendere, ad averlo costretto a riempire il suo tempo per non farsi dilaniare dal dispiacere. Ecco, in quel momento ricordava fin troppo bene come diventasse Andrew quando era preoccupato e forse avrebbe preferito non pensarci.
    Il suggerimento dell'altro riuscì a sollevarlo almeno un minimo, togliendolo dall'obbligo di affrontare subito qualcosa che non aveva ancora elaborato del tutto, ma non riuscì a fare molto di più che accennare un flebile sorriso e annuire piano, comunque non molto convinto di riuscire a non pensarci.
    Come se Andrew sapesse bene dove stessero andando a parare i suoi pensieri, come se conoscesse già bene quel vuoto e i nuovi demoni che si portava dietro, pensò bene di sganciare una bomba dall'impatto abbastanza importante da catturare del tutto la su attenzione, portandolo ad alzare la testa e incrociare il suo sguardo. Non gli serviva tutta la sua lucidità per sapere quanto per Andrew le sue radici sconosciute fossero state, in passato, fonte di dubbi e di incertezze, e sapere che aveva trovato una risposta proprio adesso lo caricò di entusiasmo e preoccupazione. In un istante tornò il ragazzino burbero di sedici anni che consigliava al suo migliore amico di "tenersi lontano da certe verità di merda, che sono sempre una delusione": il sapore dolceamaro del rimorso lo invase come la prima volta, insieme alla consapevolezza -arrivata col tempo- di aver sempre e solo cercato di proteggerlo. "E cosa hai scoperto quindi?" domandò con tatto, cercando di tastare il terreno.
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  6. .
    Forse avrebbe dovuto insistere, ma nel momento in cui l'altro gli concesse davvero un attimo di pausa non riuscì ad opporre alcuna resistenza e si arrese all'istante. Non spiaccicò più nemmeno mezza parola per un po', come se aprire bocca gli costasse ormai troppa fatica, e si trascinò lentamente fuori dalla vasca, dentro dei vestiti puliti e poi in cucina. Non ebbe cuore di dire ad Andrew che aveva lo stomaco chiuso, la testa che pulsava e che la fame era l'ultimo dei suoi problemi, piuttosto si sforzò di mandare giù qualcosa e fargli un mezzo sorriso di gratitudine. Poteva immaginare quanto fastidio gli stesse causando, o quanta rabbia potesse provare nell'occuaprsi di qualcuno che non riusciva nemmeno a dargli delle risposte, ma dopo essersi sforzato di mangiare più di un solo boccone non riuscì a fare di più. Alla fine si alzò da tavola, limitandosi ad un "Grazie, lo finisco domani." strascicato, mentre cercava di trovare un posto dove dormire. Dal momento che Andrew sembrò accaparrarsi del divano non gli rimase altro che la camera da letto, che la sua mente trovò famigliare e assieme sbagliata.
    Cercò di pensare il meno possibile, di lasciarsi cadere sul materasso e provare a riposare, anche se era quasi troppo stanco per prendere sonno. Impiegò parecchio a convincersi a non analizzare ogni minimo suono nel silenzio, a non cercare di dare un senso ad ogni ombra nella semi-oscurità, ma alla fine riuscì a chiudere gli occhi solo quando sentì la presenza di Andrew nella sua stessa stanza. Il suo ultimo ricordo era il respiro dell'altro più vicino, e poi riaprì gli occhi con il sole in faccia, i raggi caldi che trapelavano dalle finestre che gli scaldavano il viso e gli uccellini che cinguettavano rumorosamente fuori. Non era stato quello a svegliarlo, piuttosto un incubo che lo aveva riportato alla realtà, il cuore accelerato ma le labbra serrate per non farsi scappare nemmeno un gemito. Si prese qualche istante per rallentare il respiro quando si rese conto di essere ancora in un ambiente sicuro, libero di muoversi - e di scappare, se necessario- in un ambiente famigliare.
    Le poche ore di sonno che si era guadagnato gli avevano regalato un po' di quella tanto sperata lucidità e cominciò se non altro a rendersi conto che era a casa sua, nella propria stanza, anche se non avrebbe saputo dire come ci fosse arrivato. "Andy?" gracchiò piano, con voce roca, mettendosi a sedere sul letto per cercare l'altro con lo sguardo. Era abbastanza sicuro che non fosse così lontano, sapeva di avere parecchie domande arretrate a cui rispondere, ma per il momento tutto ciò che voleva era vederlo, ora che era più presente a se stesso, assicurarsi che stesse bene, che in quei mesi non gli fosse successo niente. Gli Dei solo sapevano quanto si fosse preoccupato per lui, quanta paura avesse avuto di perderlo, ora che era da solo, alla mercè dei suoi aguzzini o .peggio ancora. sulle sue tracce.
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    Sospettava di non essere nelle condizioni migliori per intrattenere una conversazione del genere, ma in quel momento non sapeva come declinare il tutto o spiegare all'altro che non era abbastanza lucido da riuscire a fare dei ragionamenti così complessi. No, era abbastanza sicuro che fosse impossibile vedere quel ragazzo come incapace di difendere qualcuno, se si sentiva così protetto al suo fianco era perchè sapeva che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Non aveva dubbi, nonostante la sua confusione, che l'altro avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, gli bastava vedere come lo stava trattando per intuire che non lo avrebbe lasciato da solo per sua scelta.
    Non si aspettava una reazione del genere, sussultò quando la spugna venne lanciata in acqua, facendogli finire alcune gocce di docciaschiuma negli occhi. Non si lamentò per quello, più che altro venne spaventato dal suo modo di fare e si ritrovò a seguirlo con lo sguardo per la stanza, gli occhi sgranati, la schiena di nuovo tesa e la spalla che protestava leggermente.
    Cercò di non sembrare troppo spaventato, sospettava che non gli avrebbe fatto piacere, ma non poteva dirsi spiazzato da quel gesto così imprevedibile, sopratutto per uno che fino a qualche istante prima si era mostrato così pacato.
    Il suo sorrisetto lo inquietò ancora di più, mandandogli un brivido lungo la schiena che si sforzò con tutto sè stesso di ignorare. "Non... non ci stavo nemmeno pensando, non è questo il punto. Non ho scelto niente di tutto questo, non avevo modo di avvertirti..." provò a spiegare per poi passarsi una mano tra i capelli, finendo per bagnarli e insaponarli senza volerlo. "Sono comunque tornato qui e... davvero vorrei spiegarti di più, ma non credo di essere in grado di farlo adesso." concluse alla fine, concedendosi di rivolgergli uno sguardo provato e stanco, abbattuto, per poi scuotere la testa alla sua proposta mentre cercava di alzarsi, nonostante la vasca scivolosa e il poco equilibrio non fossero buoni alleati.
    "Non... non è necessario, posso andare sul divano, io... ho solo bisogno di silenzio." finì per bofonchiare, a corto di fiato, cercando di raggruppare le ultime energie che aveva per evitare un conflitto che non avrebbe saputo affrontare e al contempo provare a rimettere insieme i pensieri per potergli davvero dare qualcosa di più concreto il giorno dopo.
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  8. .
    Non aveva avuto modo di interagire con troppe persone interessate alla sua salute, nell'ultimo periodo, ma si rendeva conto da solo, senza nemmeno bisogno di sforzarsi, di quanto fosse strano spiegare a qualcuno perchè non si ricordasse di lui. Non era una di quelle cose che potevi buttare lì, e di certo non poteva affrontare quel discorso senza spiegargli anche quello che era successo nell'ultimo periodo, qualcosa che non ci teneva particolarmente a rinvangare, non subito almeno.
    Aveva bisogno di tempo, almeno di mettere a tacere la maggior parte dei suoi pensieri, anche solo per qualche ora.
    Avrebbe voluto opporre resistenza, c'era qualcosa di imbarazzante nell'essere un adulto e lasciarsi lavare in quel modo, ma dopo aver lottato per qualche istante si arrese con un mezzo sbuffo, senza protestare più di tanto, anche perchè non aveva alcuna scelta. C'era poco che potesse fare in quel momento, finì quindi per osservare il soffitto o le mani di Andrew, rilassandosi appena sotto di lui e tornando fermo, l'unico modo che aveva per provare a zittire i suoi muscoli doloranti.
    Non si era nemmeno reso conto di quanto fosse stanco fino a che non si era fermato, e nell'acqua calda, in un ambiente così silenzioso, rischiò davvero di addormentarsi, tanto da sussultare appena e aprire gli occhi di scatto quando l'altro rispose alle sue parole. Non si era quasi accorto di aver parlato, ma gli dispiaceva davvero e non era alla ricerca di scuse, solo che non sapeva da dove altro avrebbe potuto cominciare a parlare e gli sembrava la prima cosa vera che potesse dire.
    Non si stava riferendo solo a quello che stavano facendo, non gli dispiaceva solo perchè si stava occupando di lui in modo imbarazzante, ma anche perchè aveva poco da offrirgli se non quelle due parole in croce e pensieri confusi. Sospirò piano, concentrandosi sulla voce dell'altro e sforzandosi di non perdere una parola, anche se la sua concentrazione peccava sotto molti punti di vista.
    SI voltò a guardarlo, perchè sentiva che certi discorsi non si potevano fare senza nemmeno guardarsi in faccia, e corrucciò appena le sopracciglia cercando di confermare o smentire quelle parole, anche se il suo istinto gli suggeriva che fosse davvero così. Non del tutto, era abbastanza certo che anche l'altro a suo modo lo avesse protetto o non si sarebbe sentito a suo agio.
    "Non credo... avresti potuto salvarmi...E' meglio così, tu eri qui... non ti avrei voluto là in mezzo..." provò a spiegare, parlando con calma e mantenendo una voce abbastanza bassa per non sentire anche la gola, ancora ruvida, protestare. Sospirò piano, provando ad elaborare un concetto più elaborato di quello. "Non... mi riferivo a questo. Mi dispiace... credo di essere stanco... so che sono al sicuro... e mi fido... è solo... tutto molto confuso." provò a spiegare, abbassando questa volta lo sguardo e fissandosi le mani per qualche istante, incapace di trovare qualcos'altro di neutro da guardare senza sembrare un idiota. Che cos'altro avrebbe potuto fare? Non aveva alternativa se non aspettare e l'ultima cosa di cui aveva bisogno sospettava essere calma e pace, almeno per un po'.
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    I suoi ricordi e i suoi pensieri erano ancora lì, da qualche parte, di questo era certo, solo che risultavano difficili da afferrare, e tutti i concetti che pensava di poter elaborare scemavano prima di prendere una vera e propria forma. Se era arrivato lì era perchè ricordava, perchè una parte di lui sapeva che avrebbe trovato rifugio in quel posto e che qualcuno lo avrebbe aspettato, solo che in quel frangente i nomi, le situazioni specifiche, le ragioni continuavano a sfuggirgli.
    Si sentiva nel posto giusto, per lo meno, e nonostante il cuore accelerò il suo passo in un primo momento e la sua mente si sforzò di tenerlo comunque sveglio e attivo, alla fine la sua rigidità cedette in fretta il passo ad una certa arrendevolezza. Grugnì comunque quando l'altro lo trascinò in piedi, portandolo dentro in un appartamento fin troppo ordinato, che la sua mente riconobbe ma solo in parte. C'era qualcosa di famigliare lì dentro, tanto da accentuare quella punta di calore alla bocca dello stomaco, eppure al contempo c'erano una luce e un odore che non riconosceva del tutto.
    Non aveva abbastanza energie per occuparsi anche di quei dubbi, però, era già che riuscisse a rimanere sveglio e non aveva tempo per distrarsi con quelle domande senza risposta. Annaspò al suo fianco, incrociando il suo sguardo quando cominciò a spiegargli chi fosse. Andrew... il nome se non altro suonava famigliare, non sembrava sollecitare nessuna reazione negativa e non avendo altro che il suo istinto a cui appigliarsi non poteva che accontentarsi di quella sensazione e farsela bastare.
    Si irrigidì solo quando l'altro fece scomparire i suoi vestiti, sentì la pelle tendersi e leggeri brividi corrergli lungo la schiena. Sgranò gli occhi, suo malgrado, all'improvviso molto più attento ai movimenti dell'altro. Sapeva di non poterlo contrastare sul serio, non in quelle condizioni, e una vocina nella sua testa continuava a suggerirgli di fidarsi quindi non potè fare altro che lasciarsi trascinare in vasca.
    Suo malgrado esalò un mezzo sospiro di sollievo quando l'acqua calda cominciò a sciogliere i suoi nervi tesi e per qualche istante riuscì solo a socchiudere gli occhi e godersi quella sensazione così piacevole, dopo fin troppo tempo di freddo penetrante e umido abbracciato alle ossa. Non poteva comunque permettersi di rimanere immobile, a godersi l'acqua calda, troppo a lungo o sarebbe sembrato un'idiota, così alla fine si tese per recuperare la spugna, mugolando quando la sua spalla destra protestò al movimento. Non si arrese comunque, riuscendo ad afferrare la spugna e provando a passarsela addosso, seppur con movimenti rigidi e arricciando il naso.
    "Mi dispiace..." sussurrò dopo un po', in parte perchè il silenzio stava diventando assordante e in parte perchè non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Come poteva cominciare da qualche parte quando la sua mente non era nemmeno lucida? Sospettava avesse più senso riordinare i propri pensieri, prima, e poi cominciare a costruire un discorso di scuse vere e proprie, piuttosto che mettere assieme qualcosa di sconnesso e improvvisato, ma poteva davvero starsene lì con le mani in mano a godere di quelle attenzioni senza dire nulla? Non gli sembrava né giusto né davvero possibile.
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    Non si era reso conto di quanto fosse davvero stanco fino a che non aveva toccato il suolo e tutta la stanchezza accumulata gli era caduta addosso. All'improvviso gli sembrava impossibile riuscire a camminare anche solo per un altro passo, o anche solo respirare regolarmente o ragionare. La vista gli si era appannata parecchio tempo prima, tutto quello che lo circondava aveva cominciato ad avere ben poco senso e non sapendo a che cosa appigliarsi finì per provare a chiudere gli occhi, ignorare quella vocina nella sua testa e concedersi un attimo di pace.
    Quel posto era silenzioso, questo era indubbio: isolato, lontano dal caos e dall'odore salino del mare che ormai cominciava a dargli la testa. Ora che l'aria che respirava non era del tutto satura di salsedine gli sembrava di riuscire a recuperare, granello dopo granello, un po' della sua lucidità. Sarebbe stato un processo lento, poteva già dirlo, ed era abbastanza sicuro che fosse colpa: ad un certo punto doveva aver trovato l'interruttore per spegnere ogni cosa, cervello ed emozioni comprese, abbastanza da non provare più nulla, ora però non sapeva come ripristinare il tutto. Non era nemmeno sicuro di rivolerle indietro, certe sensazioni, si ritrovò a pensare che l'incosapevolezza non fosse poi qualcosa di così negativo in certe circostanze.
    Avrebbe pagato per qualche ora di sonno anche lì, sotto quel porticato, qualcosa dentro di lui gli suggeriva che lì non avrebbe corso troppi rischi, almeno per il momento. Eppure quando pensava di potersi lasciare andare, o almeno provarci, cominciò a sentire dei passi e una voce fin troppo vicina, portandolo a tendersi all'istante, improvvisamente di nuovo vigile.
    Non riuscì comunque ad alzarsi, scoprì di non averne più le forze, e si ritrovò ad imprecare a mezza voce, cercando la bacchetta -rovinata anche lei- nella tasca interna della giacca, senza avere troppo successo. Si sarebbe ritenuto spacciato se solo gli occhi del ragazzo che gli stava di fronte non avessero brillato di quella che sembrava...preoccupazione? Lo osservò corrucciando appena le sopracciglia, confuso, e provando un famigliare calore alla bocca dello stomaco: lo conosceva, in quel momento riconosceva a malapena il proprio nome ma lui e quel ragazzo si conoscevano. Poteva fidarsi? Forse, di certo non ebbe scelta quando l'altro lo trascinò dentro di peso, portandolo a gemere piano per il dolore mentre cercava di opporre resistenza senza troppi risultati.
    Anche solo quella breve strada lo portò ad ansimare, una volta raggiunto il divano, mentre cercava di riprendere fiato e mettere a fuoco l'ambiente circostante, per individuare eventuali pericoli.
    "Certo, come se sapessi come difendersi ora... non sai nemmeno dove sia la tua bacchetta", "Noi...ci conosciamo vero...?" domandò con voce roca e gracchiante, segno che non aveva parlato troppo di recente.
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    In tutta la sua vita si era sempre lamentato di Denrise, della capacità soprannaturale di quel posto di tenere i suoi abitanti ancorati a sè, del fatto che nessuno riuscisse mai ad andarsene per davvero e ora gli sembrava quasi di non conoscerlo nemmeno, quell'ammasso di case, barche e tanfo di salsedine che aveva sempre disprezzato.
    Avrebbe voluto sentirsi sollevato a quella vista, o anche solo sentirsi dilaniato dalla sconfitta di essere ritornato lì ancora una volta ma al verità e che quando riuscì a mettere a fuoco le grotte famigliari sulla spiaggia non provò niente, se non un vuoto freddo e insondabile che gli provocò l'ennesimo conato di vomito.
    Non aveva nemmeno idea di come ci fosse finito, in quel posto e in quelle condizioni, era abbastanza certo di non essere nella sua migliore forma fisica, di non essere in grado di nuotare o anche solo camminare per lunghe distanze, ed era sicuro di provare dolore a muscoli e ossa che non sapeva nemmeno di possedere.
    Non aveva idea neanche del motivo per cui fosse finito lì, se doveva essere onesto: gli ultimi mesi erano stati infernali - Mesi? Settimane? Per lui erano durati anni interi in ogni caso-, ne aveva ricordi fumosi, per lo più ricordava dolore, paura, ansia e un senso profondo di mancanza che non sapeva collocare. Se avesse dovuto dargli un nome avrebbe affermato, pur vacillando, che era stato il suo istinto a trascinarlo a Denrise, una vocina nel fondo della sua testa che gli ripeteva in maniera assillante che solo lì avrebbe trovato la pace e da nessuna altra parte.
    Si trascinò quindi su dalla spiaggia, spostandosi lentamente verso il villaggio, evitando accuratamente di incrociare qualunque passante, una parte di lui che lo metteva in guardia nei confronti di chiunque potesse anche solo vederlo, come se il mondo intero fosse una minaccia.
    Era stanco, provato da innumerevoli notti insonni, tutt'altro che lucido e forse in quel momento non sarebbe stato nemmeno capace di dire come si chiamasse o dove fosse stato. Stava seguendo l'istinto, l'abitudine forse, qualunque parte di lui capace di guidare i suoi piedi ad inseguire una strada che, almeno una parte di lui, pareva conoscere a memoria.
    Annaspò diverse volte lungo la strada, in parte immaginava che non fosse normale ma che cosa poteva mai esserlo in quel momento? I suoi vestiti erano abbastanza consumati e sporchi che era impossibile pensare che fosse stato in un viaggio di piacere, e a completare il quadro i capelli disastrati e la pelle segnata dalla fatica, da diverse ferite e dal mix di sole e sale di certo non gli stavano regalando un aspetto piacevole. A dire il vero era consapevole anche lui che se qualcuno lo avesse intravisto in quel momento probabilmente lo avrebbe allontanato o avrebbe dato l'allarme, eppure quella consapevolezza non riuscì a fermarlo dal collassare contro una porta dall'odore confortante, portando il suo corpo a rilassarsi contro il legno duro e provato dal sole come se ne avesse tutto il diritto.
    " Idiota. Se ti trovano ti fanno a pezzi. Cosa cazzo ci fai qui a riposarti?! Non è un posto sicuro. Missione abortita. Trova un rifugio." provò a ripetersi ma il suo corpo sembrava elemosinare un momento di pace, un secondo per riprendere il respiro e contegno prima di ripartire. Un secondo solo sarebbe bastato, ripeteva in loop il suo stesso corpo, e lui non aveva più le forze per ribattere.
    Si concesse di appoggiare la testa contro lo stipite e ansimare piano, socchiudendo gli occhi pur senza mai abbassare la guardia, i capelli che gli ricevano disordinati sulla fronte, più lunghi di quanto ricordasse di averli mai portati.
    "Fanculo" imprecò a mezza voce al nulla, cercando comunque di fare meno rumore possibile.
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    parlato - pensato- ascoltato
    Eirikr si sentiva confuso per l'ottanta per cento del tempo, non era una novità. La confusione lo aveva fatto da padrone da quando aveva memoria, si sentiva da sempre fuori luogo ovunque si trovasse, e se per qualche anno a Durmstrang e a Parigi si era quasi illuso di aver trovato la sua strada, ora era sicuro che non fosse stato così. Ricordava momenti in cui aveva visto tutto con chiarezza, li ricordava con una certa nostalgia e ora si rendeva conto di quanto quella fosse stata una situazione idilliaca, anche se al tempo non se ne era nemmeno reso conto.
    Quel posto, la sua atmosfera, l'odore di alcool intriso nel legno scuro del bancone, tutto sembrava essere un'ottima distrazione, una scusa eccezionale per riuscire ad allontanarsi dalla sua stessa mente e concentrarsi su qualcosa di diverso. Ne aveva bisogno, sopratutto dopo l'ultimo periodo, da quando ogni angolo della sua casa e della sua vita sembrava sapere di Andrew in modo quasi soffocante. Aveva vissuto senza di lui per anni, nonostante la mancanza e il vuoto che aveva lasciato dietro di sè se ne era fatto una ragione, aveva accettato quella distanza suo malgrado e aveva permesso che diventasse routine, e ora che era tornato si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere senza di lui per così tanto tempo. Andrew era una presenza totalizzante, cambiava ogni cosa, lui stesso si sentiva diverso da quando era tornato nella sua vita e sospettava che non fosse solo perchè vivevano a stretto contatto, ventiquattro ore su ventiquattro.
    Alle volte si chiedeva se non sarebbe stato meglio rimanere separati, se sarebbe cambiato qualcosa se Andrew non fosse mai tornato, con tutti i casini che si portava dietro per altro. Non aveva alcun senso, Eirikr era certo di essere lui quello che portava sempre guai e incertezza, quello che sconvolgeva ogni equilibrio, e ancora gli tremavano le mani quando pensava a quello che aveva vissuto nelle ore in cui era convinto che Andrew fosse morto o qualcuno lo avesse rapito. Londra gli piaceva un po' meno da quando era stato lì, l'ultima volta, per salvare il culo da quell'idiota del suo migliore amico.
    Quel posto sembrava stato concepito per chiunque volesse annegare nell'alcool i propri problemi: trascurato, con pochissima luce per non ferire gli occhi sensibili delle persone alticcie, silenzioso e abbastanza oscuro da sembrare il posto perfetto per qualche traffico illegale. E anche il posto perfetto per lui, per allontanare un po' la sua coscienza -che si era risvegliata solo di recente e che non tollerava già più -, ancora di più perchè quella vocina assomigliava fin troppo a quella di Andy e quest'ultimo avrebbe detestato un posto del genere. Gli sembrava quasi di sentirlo mentre cercava di trascinarlo altrove, convincendolo che posti come quello non portavano niente di buono. In quel preciso istante se lo augurava quasi, era stato troppo "pulito" e tranquillo nell'ultimo periodo, aveva bisogno di una scossa di adrenalina.
    Si sistemò quindi al bancone, ordinando una birra giusto per cominciare e ricevendo solo un mugugno di assenso come risposta: meglio così, non aveva così tanta voglia di fare conversazione con un barista torvo e losco, non era giornata per fingere interesse. Non gli dispiaceva nemmeno troppo l'idea di starsene appollaiato lì, in attesa di ingerire abbastanza alcool da raggiungere quel livello di confusione che si auspicava.
    Si stava beando in quel silenzio quasi surreale, così piacevole da permettergli anche di ignorare le occhiate che sentiva infrangersi contro la schiena, quando un'ombra al limite del suo campo visivo barcollò abbastanza vicino a lui da costringerlo a voltarsi, per poi corrucciare le sopracciglia non appena riuscì a mettere a fuoco la figura di Charles, inclinando leggermente la testa, sorpreso.
    Conosceva quella strana teoria dei sette sosia, una stronzata naive alla quale non aveva mai creduto ma che era abbastanza sicuro un certo biondino approvasse con una notevole convinzione. In quel preciso istante vacillò anche lui però, gli occhi che scandagliavano un viso che sembrava quasi il suo, in modo inquietante. Tra il suo aspetto e quell'incarceramus lanciato, agli occhi di Eirikr, senza alcuna ragione in modo piuttosto tranquillo lo misero all'erta, seppur attirandolo verso l'altro piuttosto che respingerlo, reazione ben più sensata.
    Aspettò qualche istante, studiando la situazione salvo poi allungare la mano e stringere la sua. "Eirikr." replicò solo, continuando a osservarlo con attenzione. "Hai intenzione di ammanettare anche me per aver respirato la tua stessa aria?"



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    parlato - pensato- ascoltato
    Sapeva bene di non avere alcun motivo per sentirsi in colpa, non aveva ragione per dispiacersi di un rifiuto, era solo stranito di aver davvero fatto una cosa del genere. Non che fosse uno che cercava compagnia femminile ogni sera, quello no, ma si era abituato ai modi di fare degli uomini di mare, a non rifiutare mai le attenzioni di una ragazza quando ne aveva l'opportunità perchè di certo su una nave non avrebbe avuto troppe occasioni simili.
    Rebecca era di certo di bell'aspetto e aveva una affabile, sapeva di avere parecchi assi nella manica ed era ben consapevole di come utilizzarli, di quello era certo, e sulla carta non avrebbe esitato a dire come sarebbe finita quella serata, e allora perchè l'aveva appena rifiutata?
    Accennò un vago sorriso per tutta risposta, pregno di scuse silenziose per poi scuotere appena la testa. "Sono certo ci siano parecchie cose che tu sai fare molto bene." replicò istintivamente, salvo poi desiderare che si aprisse una crepa nel pavimento e lo inghiottisse seduta stante: lui che spronava le persone?! Doveva esserci una qualche droga nella birra che gli aveva servito. O semplicemente Rebecca assomigliava troppo a qualcuno e gli sembrava di avvertire un certo feeling, che di sessuale non aveva niente ma che sembrava più che altro una inspiegabile ed istintiva intesa.
    La osservò mentre si sedeva sul letto con una certa naturalezza, chiedendosi distrattamente quante volte fosse stata lì, quanto bene conoscesse quella stanze, come si sentisse davvero tra quelle mura. Non era empatia, era più che altro curiosità da parte di qualcuno che si sentiva spesso in gabbia anche a casa propria, figurarsi immaginarsi confinato in un posto dove doveva ricoprire un ruolo come quello di Becca. No, essere pagato per stare intimità con qualcuno non era proprio parte della sua natura.
    Si lasciò cadere su una vecchia poltrona di pelle presente nella stanza, sospirando profondamente e scuotendo piano la testa, i capelli che si scompigliarono leggermente mentre buttava lì un sorriso mesto. "Sono nato qui, Denrisiano fino al midollo." affermò con una certa malinconia, non certo fiero di ammettere quella condizione. "Tu invece? Da dove vieni?" domandò subito dopo, quasi per passare oltre una spiegazione che non era intenzionato a dare, cercando di focalizzare l'attenzione sull'altra. Era abbastanza sicuro che non potesse essere denrisiana, perchè lavorare lì se veniva dall'isola? Sospettava non fosse un grande sacrificio per tutti, ma non era sicuro che un membro qualunque del villaggio avrebbe accettato di ricoprire un ruolo simile, almeno nessuno dei denrisiani che conosceva lui lo avrebbe fatto.


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    parlato - pensato- ascoltato
    Mentre saliva le scale dietro alla ragazza si ritrovò a pensare a tutto tranne che a quello che avrebbero potuto fare assieme. Piuttosto si ritrovò a sentire la fastidiosa voce di Andy ad un orecchio che gli suggeriva quanto non avrebbe dovuto approfittarsene ma piuttosto assicurarsi che la ragazza stesse davvero bene, che non si sentisse obbligata a fare niente solo perchè l'aveva aiutata. Si passò una mano sul volto, cercando di scacciare la spiacevole sensazione di aver maturato una coscienza impossibile da ignorare nelle ultime settimane. Da quando si faceva così tanti problemi?!
    Certo, non era un idiota come il tipo di sotto che aveva preso a cazzotti, non era uno che se ne approfittava di gente indifesa, ma Rebecca non sembrava affatto indifesa, e in una situazione normale sapeva molto bene che non si sarebbe fatto così tante domande. Forse non era semplicemente serata, in effetti era passato un po' dall'ultima volta che era stato con qualcuna e si era abituato a quella solitudine, a quella "calma piatta", e non voleva nemmeno domandarsi perchè quella fase fosse cominciata quando un certo biondino era piombato nella sua vita, di nuovo. Non aveva tempo per pensare a tutte quelle cose di cui doveva occuparsi, tutto lì, e non era andato lì con l'obbiettivo di divertirsi.
    Alla fine si convinse solo di essersi rovinato l'umore con tutto quel rimuginare, o di essere troppo stanco per pensare di inventarsi qualcosa da fare con Rebecca. La ragazza era sicuramente brillante, e di certo sensuale, ma non riusciva a pensare di andare oltre. Ridacchiò alle sue parole. "Oh beh, non potrei di certo dire il contrario." le assicurò, lanciando un'occhiata alla collega che incrociarono per la strada, senza però salutarla: quello sarebbe stato troppo per uno come lui, quello era esagerato.
    Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere e non era di certo un segreto: un po' tutti sapevano che cosa succedesse al Canto, dietro le quinte, e probabilmente la sua domanda suonava ancora più stupida a posteriori. "Direi che ha senso, domanda stupida." si ritrovò a dire, lasciando vagare lo sguardo per la stanza mentre l'altra chiudeva la porta alle sue spalle, la consapevolezza che non avrebbe voluto fare poi molto altro che lo avvolgeva come una spessa coperta. Si ritrovò le sue mani addosso e una parte di lui cominciò ad agitarsi quando non sentì nemmeno un briciolo di voglia di spingersi oltre: sapeva di sapersi ancora divertire, o almeno sperava di esserne in grado, ma forse non era davvero periodo per quel genere di cose. Si ritrovò suo malgrado ad allontanare piano una delle sue mani dalla propria spalla, scuotendo piano la testa. "Mi dispiace, penso proprio che non sia la serata giusta per usufruire di uno dei tuoi servizi speciali." finì per scusarsi, accennando un mezzo sorriso di scuse e abbassando appena la testa. "Mi chiamo Eirikr comunque, nel caso tu voglia saperlo prima di mandarmi a quel paese. Non volevo farti perdere tempo, ti ho aiutata perchè sembravi averne bisogno... non siamo in debito nè altro." tagliò corto, sentendosi comunque strano anche solo a parlare così.


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    Non tornava a Londra da una vita. Prima il suo ritorno a Denrise, poi la vita di mare e alla fine l'arrivo di Andrew lo avevano portato a rimanere lontano dalla civiltà - o almeno da quella moderna - ben più di quanto non pensasse e lo aveva realizzato solo nel momento in cui aveva messo piede nella caos della città, uscito da una passaporta. Si era sistemato brevemente la giacca di pelle, cercando di abituarsi di nuovo all'aria molto più soffocante di Denrise, al caos delle macchine, delle persone, a tutta quella vita che scorreva rapida e di cui lui si era quasi dimenticato.
    Aveva vissuto a Parigi per un bel po', abbastanza da pensare che la velocità della città non sarebbe mai stata abbastanza, che non avrebbe mai potuto tornare indietro, e quando lo aveva fatto abituarsi alla routine dell'isola era stato forse anche fin troppo semplice. Non che ci fosse molto che poteva fare in merito, d'altro canto ritornare a Denrise era stata una scelta obbligata e logica più che altro e ora si sentiva intrappolato.
    Era a Londra solo per delle commissioni, eppure in un primo momento si chiese se sarebbe stato capace di portarle a termine, se avrebbe sopportato tutto quel rumore e quei ritmi frenetici dopo esserne stato lontano per così tanto. Non poteva tirarsi indietro, era troppo tardi per quello, quindi alla fine si convinse a infilarsi tra la folla e lasciarsi prendere da ritmi che, un tempo, erano stati anche suoi.
    Riscoprì quanto fosse facile lasciarsi trasportare, quanto alle volte il caos intorno a lui aiutasse ad alleviare quello che aveva nella sua testa, e si trovò bene a perdersi tra le strade di Londra, che in parte nemmeno ricordava dall'ultima volta in cui c'era stato, e finì per impiegare molto più tempo del previsto nelle sue commissioni, distratto da tutto ciò che li circondava. E proprio perchè ormai era già troppo tardi per tornare indietro e non doversi giustificare, quando vide un bar vecchio stile, con ancora l'esterno in legno e l'insegna rovinata finì per varcare la soglia e lasciarsi avvolgere dall'odore di alcool impregnato nelle pareti. Scoprì di essere quasi piacevolmente sorpreso dal silenzio lì dentro, il locale era quasi del tutto vuoto fatta eccezione per un uomo dietro al bancone, che alzò appena la testa dal bicchiere che stava pulendo, e qualche ombra scura in qualche angolo del locale, qualche cliente probabilmente che nella penombra non riuscì a individuare molto bene.
    Quel posto aveva l'aria di essere tutto tranne che legale, si respirava nell'aria una certa elettricità alla quale forse, dopotutto, Eirikr non era così tanto estraneo. La cosa non lo turbò granchè, in effetti, anzi trovò quel posto quasi famigliare e finì per sedersi al bancone senza troppi problemi, incrociando appena lo sguardo del barista mentre ordinava un bicchiere di whiskey.
    Era quasi spaventoso quanto quel silenzio fosse piacevole e confortante rispetto al caos là fuori e cercò di soffocare con l'alcool ogni possibile riflessione in merito: non aveva intenzione di lasciare che Denrise e il suo peso lo perseguitassero anche lì, facendolo sentire in gabbia anche ora che era lontano.



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49 replies since 28/2/2021
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