Votes taken by Evelyn Stanford

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    Vampire | London | Lost|
    Evelyn|Stanford
    Told it to her brother and she told it to me, that she's gonna be an angel.
    THE LOST ONE
    Non aveva ancora capito se il loro legame fosse segno del destino o una maledizione. Aveva sempre provato qualcosa di viscerale e profondo per Aaron, qualcosa che non riusciva nemmeno a spiegare a parole, e che l'aveva trascinata durante la fase migliore e peggiore della sua vita. Da quando lo conosceva niente era stato più lo stesso, aveva provato per lui sensazioni che non pensava nemmeno di poter ancora provare, eppure al contempo si era sentita infinite volte sbagliata, non sufficiente, sciocca, fuori posto, illusa all'idea di poter davvero stare con un ragazzo del genere per più di qualche giorno.
    Aveva sempre visto Aaron sotto una luce quasi divina, non riusciva a togliersi di dosso l'idea che fosse il ragazzo ideale, forse fin troppo perfetto per poter spettare a lei. Poco importava quello che le aveva raccontato o il fatto che, inevitabilmente, col tempo aveva capito da sola che non era cosìsa perfetto, ma era umano esattamente come tutti gli altri. Aaron rimaneva intoccabile, o almeno era abituata a vederlo in quel modo e ora all'improvviso gli sembrava molto più reale, più terreno.
    La odiava? Non avrebbe saputo dirlo, sospettava però che per un po' lo avesse fatto, che la rabbia avesse cancellato almeno parte di quel che provava per lei. Non avrebbe potuto biasimarlo, c'era poco che potesse dire per difendersi, sopratutto se Aaron non vedeva perchè era sparita all'improvviso.
    La credeva davvero capace di abbandonarlo senza una spiegazione, sparendo nel nulla? Quanto aveva impiegato a convincersi che se ne fosse andata perchè non lo voleva più, perchè non lo amava? Aveva mai pensato che potesse esserle successo qualcosa?
    Sentire quelle parole nelle orecchie risultò quasi confortante, in modo doloroso però perchè ancora una volta si stava affezionando e lasciando andare. Inevitabilmente alla sua proposta si sentì subito meglio, al sicuro, confortata anche se avrebbe già dovuto imparare a sentirsi così anche senza bisogno di Aaron. Si allontanò appena solo per guardarlo negli occhi, cercando di analizzare la situazione e forse tentennando anche per qualche istante prima di cedere.
    "... va bene, va bene, posso restare. Ma non serve che ti metti a preparare qualcosa, non preoccuparti, una doccia dovrebbe bastare." provò a minimizzare, forse perchè aveva paura di innamorarsi ancora di più se lo avesse visto sforzarsi così tanto per lei.
    La sola idea di rimanere lì anche solo per una notte, magari di addormentarsi accanto ad Aaron per poi rimanere sveglia a guardarlo dormire risultava fin troppo confortante per essere vero. Forse aveva bisogno di quella briciola di Paradiso, forse dopo tutto quello che aveva vissuto si meritava di illudersi almeno un po'.
    "Lo spero" rispose poi, accennando un mezzo sorriso e provando a cogliere quell'accenno di ironia, di certo sentiva la necessità anche lei di un attimo di leggerezza. Non voleva lasciarlo andare, provò a prolungare il più possibile il loro abbraccio, provando a trovare una qualsiasi scusa per rimanere così ancora per un po'.
    "Blake sta bene..?" sussurrò piano, anche solo per provare a rimettere piede in una vita che per un po' le era sembrata troppo lontana dalla sua.
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    Told it to her brother and she told it to me, that she's gonna be an angel.
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    Forse ci era rimasta così tanto male perchè si era abituata all'idea che il loro rapporto potesse superare qualsiasi cosa. Aaron aveva dimostrato di tenerla su un piedistallo, nonostante avesse sempre lottato contro quella visione distorta che aveva di lei sapeva che lui la teneva comunque in grande considerazione, che aveva sempre provato a difenderla, a proteggerla, che l'avrebbe sempre guardata con occhi a cuore nonostante tutto. Aveva accettato la sua natura sovrumana, aveva accettato la sua sete di sangue, aveva dimostrato di amare qualsiasi lato di lei, almeno quelli che gli aveva mostrato, e si aspettava che sarebbe stato così.
    Quella sicurezza l'aveva avvolta, suo malgrado, come una coperta comoda e calda, che le era stata strappata violentemente di dosso quando aveva realizzato di essere sola, chissà dove, con sua madre, e che il suo principe azzurro non sarebbe arrivato a salvarla.
    Non era colpa di Aaron, non del tutto, e sapeva quanto fosse ingiusto vomitargli addosso la sua rabbia e il suo rancore, eppure era tardi per tornare indietro e non riusciva davvero a mettere da parte ogni granello di rancore come avrebbe dovuto e voluto.
    Non riuscì comunque ad opporre resistenza, e per quanto forse avvicinarsi tanto ad un vampiro in quelle condizioni non fosse una buona idea, quel gesto di intimità la diceva parecchio lunga su quanto ancora il ragazzo si fidasse di lei. Si ritrovò a sospirare pesantemente, perdendosi nei suoi occhi e rilassando appena le spalle.
    D'altronde come poteva aspettarsi una storia del genere? Era difficile immaginare dove fosse finita, andare a pensare che sua madre l'avesse rapita e che lei non fosse scappata di sua spontanea volontà. Certo, rimaneva un'accusa ingiusta, ma sapeva meglio di chiunque altro quanto Aaron sapesse essere insicuro.
    Alla fine non riuscì davvero a mantenere le distanze per molte, con Aaron era sempre così: ogni volta che cercava di prendere le distanze, che provava a mettere un freno al loro rapporto, finiva sempre con l'insaziabile bisogno di cercare protezione tra le sue braccia e non lasciarlo più andare.
    Sentì quel bisogno anche in quel momento e non riuscì a resistere: finì per rannicchiarsi contro di lui, facendosi più piccola possibile e provando a dimenticare tutto quello che aveva passato lontano da lui.
    "Non lasciarmi andare, ti prego." riuscì a sussurrare solo, alla fine, con le parole più egoiste che le sembrasse di aver mai pronunciato.
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    Le sembrava passata una vita intera da quando aveva passeggiato l'ultima volta per le strade di Londra, le sembrava che la città fosse cambiata in quel periodo e che assieme non fosse mutata nemmeno un po'. Era una sensazione strana, un malinconico ricordo, come se ora si sentisse troppo diversa e lontana da quella città e avesse nostalgia della persona che era l'ultima volta che aveva camminato per quelle strade.
    Era stata una ragione piuttosto particolare quella che l'aveva riportata in centro, diretta ad una delle bakery della città che conosceva quantomeno per fama. La prima volta che aveva letto un MP da parte di Andrew si era trovata sorpresa: non era così tanto abituata a ragazzi che la cercavano o che provavano a chiederle di uscire, e non pensava che Andrew fosse interessato a lei in quel senso, le era sembrato gentile e cordiale ma niente di più che un ragazzo solare ed energico.
    Non pensava di aver lasciato così tanto il segno, non credeva che l'avrebbe cercata ancora dopo il loro primo incontro fortuito, e si era comunque scoperta piacevolmente sorpresa da quel risvolto. A Londra non conosceva poi così tante persone, a parte Aaron e Danielle non aveva mai avuto modo di legare con nessuno, e ammetteva di essere la prima a non applicarsi così tanto nei rapporti. Un po' per paura della sua natura, un po' perchè tendeva sempre a sottostimarsi, non aveva mai investito molto del suo tempo nel costruire nuove amicizie, nella capitale europea, e dopo essersi trasferita in città non aveva mai provato a costruirsi un gruppo di amici come forse avrebbe dovuto.
    Sentiva alle volte la mancanza di una rete di sicurezza, di persone che potessero aiutarla nei momenti peggiori, di qualcuno a cui rivolgersi quando i rapporti con gli altri non andavano come previsto. Non pensava già che Andrew sarebbe stata una persona importante o rilevante nella sua vita, ma era da fin troppo che non provava la sensazione adrenalinica dell'inizio di un nuovo rapporto, con tutte le sue variabili.
    Aveva appena fatto in tempo a finire l'allenamento per poi avviarsi verso la bakery in perfetto orario, con l'intenzione di arrivare puntuale e non far aspettare troppo il ragazzo. Non riusciva ancora a realizzare di star per passare del tempo con qualcuno che non era nella sua stretta cerchia di amici ma sospettava che per le persone normali funzionasse così.
    Riuscì a notarlo da lontano, c'era qualcosa in Andrew che lo faceva spiccare nella folla e che al contempo la metteva, per qualche ragione, a suo agio. Si sciolse quasi subito in un sorriso appena accennato, facendogli un cenno con la mano che non reggeva lo zainetto che portava su una spalla.
    "Ehi...! Scusa se sono in ritardo, ero in palestra..." provò a giustificarsi, sentendosi comunque strana, poco abituata a uscite come quella e ancora non del tutto a suo agio con la frenesia e la vita di New York, dalla quale era stata distante poco e al tempo stesso troppo tempo per sentirsi ancora a casa come prima.


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    Si rendeva conto di non poter pretendere di essere il centro della vita di Aaron. Se nel corso dei mesi si era convinta di essere abbastanza, che Aaron avesse le sue ragioni per apprezzarla, ma ora le sembrava più evidente che mai quanto fossero diversi e incompatibili in un momento simile. Aaron veniva da una famiglia ben diversa dalla sua, se non altro come aspettative e come abitudini: lui era ricco, poteva anche continuare a negarlo ma aveva un impero ai suoi piedi e lei non poteva avere altro da sua madre se non tragedie, rancore e vendetta. Non aveva mai nascosto le sue origini, non aveva mai negato le sue radici, ma aveva sempre provato ad adattarsi, a cambiare, ad abituarsi a una vita diversa da quella che aveva sempre conosciuto, eppure ora le sembrava impossibile riuscire ad amalgamarsi e stare accanto ad Aaron ancora a lungo.
    Dopotutto quanto sarebbero mai potuti durare? Quanto tempo prima che le loro differenza tornassero a farsi sentire? Sua madre aveva sicuramente accelerato il processo ma poteva davvero sperare che non accadesse mai?
    Provò a non fare la stronza, a comprendere anche la posizione del ragazzo ma le sembrò più difficile del solito, ora non era proprio dell'umore migliore per mettersi nei suoi panni, superare la sua risposta opinabile e cercare di mettere da parte quel che provava per trovare un compromesso. D'altra parte non voleva nemmeno farlo sentire in colpa, era stanca del dolore, che fosse il suo o quello degli altri, e non aveva intenzione di ferirlo solo perchè era stato diretto. Aveva fatto bene, da un certo punto di vista poteva anche capirlo anche se non riusciva a giustificarlo, e comunque non era andata lì per rinfacciargli niente, quella storia non era colpa sua.
    Non riuscì comunque a voltargli le spalle e andarsene, forse avrebbe dovuto a quel punto ma sospirò appena e tentennò per qualche istante. "Non sono qui per approfittarmene, sto meglio adesso." mentì con una facilità che non pensava le appartenesse: avrebbe potuto bere sangue per ore senza fermarsi ma non era per quello che era andata lì, non solo almeno. Una parte di lei aveva cercato rifugio in Aaron ancora una volta, eppure per quel che conosceva della sua vita avrebbe dovuto imparare che il ragazzo si era già sobbarcato fin troppe cose, non poteva sperare che non crollasse mai.
    Se non altro optò per una domanda più diretta, costringendola a passarsi una mano tra i capelli arruffati mentre provava a mettere in fila i pensieri e trovare una risposta onesta ma non troppo complicata, non aveva le energie per perdersi in giri di parole. "Io e mia madre non andiamo d'accordo da anni, non si è mai occupata di me e Michael e non nego di averla odiata per questo. Quando sono stata...trasformata, ho trascinato anche lei in questa maledizione, senza volerlo, presa dal momento. Ora è tornata per avere la sua vendetta." provò a tagliare corto, sorprendendosi del distacco che riuscì a raggiungere nel mettere insieme quelle frasi.
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    Sapeva già che Aaron le sarebbe mancato, era qualcosa su cui avrebbe facilmente scommesso anche ad occhi chiusi, ma non pensava di poter arrivare a mettere ancora una volta in discussione il loro rapporto e il peso di quel che stavano costruendo. Avevano impiegato parecchio a definirsi e mettere in piedi qualcosa di funzionale, si erano fatti miliardi di domande e si erano messi a nudo ben più di una volta prima di riuscire a trovare un equilibrio, eppure se anche si era sentita al sicuro con lui ora non era più sicura che quel senso di protezione e sicurezza potesse essere stabile e duraturo. Non l'aveva salvata da sua madre, e anche se razionalmente si rendeva conto di quanto fosse difficile seguire le tracce di qualcuno che non poteva essere trovato, comunque non poteva non chiedersi se ci avesse davvero provato. Sua madre era davvero così furba? Aveva nascosto così bene le loro tracce? Davvero Aaron, con i suoi mezzi, non avrebbe potuto fare niente in merito? Ci aveva almeno provato?
    Comprendeva anche la sua rabbia, anche se non riusciva a giustificarla fino in fondo: in quel momento si sentiva più egoista del solito, come se quello che aveva passato proprio non riuscisse ad addolcire una reazione come quella. Meritava quella rabbia? Probabile, ma non aveva scelto lei la sua famiglia no?
    Si aspettava quel ricongiungimento molto più dolceamaro, più piacevole, si era rifugiata lì perchè era sicura che avrebbe trovato pace, e il suo corpo bramava un ottimo di pausa, eppure sembrava che quella promesse aleggiasse nell'aria e lei non riuscisse ad afferrarla. Aveva chiesto di Blake, certo, e le importava della risposta, ma l'argomento passo rapidamente in secondo piano, cancellato dalla domanda di Aaron. Corrucciò le sopracciglia, studiandolo confusa per qualche istante, irrigidendosi. Perchè? Perchè? Quella domanda le sembrò mettere in luce, in un solo attimo, tutta la loro differenza, il peso di tutto quello che loro due non condividevano che fino a qualche mese prima le era sembrato superabile e che ora le si era ammassato di nuovo sulle spalle.
    "Perchè il piano di mia madre non era una piacevole gita di famiglia." replicò spiazzata, confusa dal fatto che fosse davvero necessario spiegare quel concetto. Ecco che improvvisamente non erano più solo Eve e Aaron, ma una ragazza devastata da quello che aveva appena vissuto e un ragazzo ricco e benestante che si lamentava di una cena di Natale andata male. Poco importava che fosse o meno così, in quel momento quella realizzazione divenne l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Ponderò per qualche istante la sua offerta ma alla fine scosse la testa, cercando di rialzarsi e rimettersi in piedi.
    " No, no. E' stato un errore venire qui, sarei dovuta tornare a casa... mi dispiace averti svegliato, è meglio se discutiamo di certe cose quando siamo entrambi più lucidi." provò a spiegare, improvvisamente mossa dall'urgenza di togliersi di dosso la spiacevole sensazione che le cose non fossero più come quando le aveva lasciate.
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    Sapeva che quell'incontro sarebbe stato difficile, forse proprio per quello avrebbe meritato un minimo di pianificazione in più e qualche riflessione più prolungata, ma ormai era troppo tardi per ripensarci e sospettava che uscire da dove era rientrata e tornare in un altro momento non fosse una scelta saggia.
    Avrebbe voluto essere più arrabbiata, continuava a sentirsi tradita da lui anche se la sua parte razionale continuava a ricordarle che aveva tutto il diritto di ignorarla, di pensare fosse solo una ruffiana e dimenticarsi di lei, andare oltre. Non sapeva nemmeno che cosa dicesse di loro, tutta quella scena, come sarebbero apparsi agli occhi altrui: lei avrebbe dovuto davvero cercarlo per primo, prima ancora di andare da suo fratello o dal suo migliore amico? Lui avrebbe dovuto davvero offrirle asilo dopo la sua scomparsa? Forse era pazzi e basta, tanto valeva accettarlo e farsene una ragione.
    Eppure, nonostante continuasse a chiedersi se Aaron l'avesse dimenticata per scelta, se avesse davvero provato a cercarla prima di darla per dispersa, comunque sentì una punta di preoccupazione quando l'altro spiegò che stava aspettando Blake. "Sta... bene vero? Non è successo qualcosa, giusto?" finì per domandare prima ancora di riflettere e provare a trattenersi.
    Non ne aveva il diritto, immaginava di non potersi permettere domande simili dopo essere scomparsa nel nulla, ma dopotutto era abbastanza certa di non meritarsi nemmeno quella rabbia e quel senso di tradimento che vide montare, gradualmente, negli occhi di Aaron. Era stata così stronza? Forse. Ma non era stata una sua scelta, era davvero così facile per lui pensare che lo avrebbe abbandonato così, nel nulla, dopo tutto ciò che anche lei aveva investito in quella relazione? Era questa l'immagine che aveva di lei?
    Sospirò piano, soffocando una risata amara alle sue parole. "Suppongo che tu possa anche pensarla così, non avevo un telefono e modo di comunicare in ogni caso." mugugnò, lasciando che le parole le sfuggissero dalle labbra senza nemmeno preoccuparsi che avessero davvero senso o che fossero frasi corrette, capaci di stare in piedi. Non ci riusciva nemmeno lei, a stare in piedi, figurarsi le sue parole.
    Il sangue se non altro le aveva restituito una sensazione di piacevole calore nelle vene, anche se non piacevole quanto il corpo di Aaron che sfiorava il suo: non potè evitare di incatenare gli occhi ai suoi quando le sue dita sfiorarono il suo braccio, causandole un brivido lungo la schiena famigliare ma comunque sorprendente. Era sempre così tra loro, avrebbe dovuto esserci abituata ormai e invece ogni volta sembrava la prima.
    Si morse piano il labbro inferiore alle sue parole, e avrebbe voluto essere più dolce, scusarsi con lui, mostrargli tutto il suo dispiacere eppure non riuscì a trattenere una risposta più tagliente del previsto. "Non avevo previsto che mia madre mi invitasse a casa sua, per Natale, e sospetto che la tua cena sia stata più piacevole della mia, in ogni caso. Sempre che la verbena non rientri nei tuoi gusti, in quel caso avresti apprezzato la cerimonia." replicò piccata, realizzando quanto si sentisse ubriaca ed era difficile capire di cosa: di sangue, di rabbia o semplicemente di Aaron?

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    THE LOST ONE

    Non aveva programmato un ritorno di quel tipo, fare irruzione nel cuore della notte a casa di qualcuno non era proprio il modo in cui aveva pianificato di tornare nella vita di Aaron, e ora che era lì non era nemmeno sicura di come ci fosse finita o di che cosa avrebbe dovuto fare.
    Nell'istante in cui Aaron fece la sua comparsa nel suo campo visivo non potè evitare di alzare lo sguardo e inchiodare gli occhi ai suoi, salvo poi percepire, anche se ovattato, l'odore del sangue. Non potè evitare di tendersi verso la bottiglia di vino che gli stava tendendo, afferrandola con entrambe le mani e bevendola con urgenza, senza ritegno, sentendo i canini allungarsi e la gola bruciare, invasa da un sapore dolce e così piacevole da non sembrare nemmeno reale. Bevve rapidamente, con bisogno, senza riuscire a trattenersi come faceva di solito e lasciandosi andare nonostante mostrare la sua natura, così dipendente dal sangue e così bestiale, fosse qualcosa che aveva sempre evitato, anche con Aaron.
    Non poteva farne a meno, ne aveva così tanto bisogno che leccò ogni singola goccia e ne avrebbe chiesto ancora, se solo quella dose di sangue non le avesse portato abbastanza lucidità in corpo da imporsi contegno. Si passa una mano tra i capelli, concedendosi qualche istante per godersi quella sensazione di appagamento, seppur flebile, e appoggiò la testa al muro, gli occhi socchiusi, prima di riaprirli e tornare a guardarlo.
    Ora che riusciva a ragionare, almeno in parte, non potè evitare di sentire una fitta al centro del petto, insieme a quella famigliare sensazione di caos nello stomaco che la presenza del ragazzo le aveva sempre causato. Questa volta però quella sensazione era accompagnata anche da una certa malinconia, il retrogusto dolce amaro dell'abbandono, del sapere che non l'aveva cercata. Sospettava lo avesse fatto, in realtà, la sua parte razionale immaginava con facilità Aaron che vagava per le strade di Londra alla sua ricerca, ma una vocina maliziosa nella sua testa non poteva fare altro che domandarsi se, con i suoi mezzi, davvero non avrebbe potuto ritrovarla. Sua madre non era certa la CIA, poteva aver nascosto le loro tracce ma non erano andate dall'altra parte del mondo, davvero era così complicato?
    Forse aveva solo pensato che lo avesse lasciato così, senza una spiegazione, ma allora non era servito niente aprirsi con lui? Quel che stavano provando a costruire non aveva alcun valore?
    Sospettava che non fosse il momento giusto per tutte quelle domande, piuttosto avrebbe dovuto cominciare a fornire delle risposte. "Mi dispiace, non volevo svegliarti." cominciò con tono sommesso, guardandolo dal basso. "Non era mia intenzione sparire... e nemmeno comparire qui all'improvviso. Grazie per il sangue però." aggiunse subito dopo, muovendo appena la bottiglia come se potesse non capire subito di cosa stesse parlando. Lasciò cadere il silenzio ancora per qualche istante, tempo che le servì per comprendere fino in fondo che ore fossero e come potesse sentirsi Aaron in quel momento. Le bastò qualche attimo per poi cercare di alzarsi di nuovo, questa volta meno incerta dei propri movimenti, provando a ricomporsi. "Non volevo disturbare è che... non sapevo dove altro andare. So di doverti delle spiegazioni ma sono abbastanza sicura che tu ora voglia solo riposare. Possiamo... parlarne in un altro momento, se vorrai."

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    Evelyn|Stanford
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    Le ultime ore apparivano, nella sua mente, come una nebbia soffocante, e non era nemmeno più sicura che si trattasse di ore e di non giorno. Si affannava tra le ombre di una Londra dormiente, i passi rapidi ma incerti, l'eleganza e la sensualità tipica della sua specie ormai persa in quella nebbia fatta di sete, confusione, e dolore. Non poteva affermare di essere stanca, quelli come lei avrebbero dovuto abbandonare quella sensazione, lasciarsela alle spalle, eppure non avrebbe saputo trovare una definizione migliore per il suo status in quel momento.
    Era fottutamente stanca.
    Annaspava, cercando di non rallentare, e anche se respirare non le serviva davvero lo faceva comunque, rapidamente, come se potesse aiutarla in qualche modo. Una abitudine dura a morire, si potrebbe dire, come molte altre per le quali non riusciva a smettere di biasimarsi.
    Era mancata da Londra per qualche mese e anche se sapeva non essere possibile, le pareva che la città fosse mutata profondamente durante la sua assenza. Cominciò a notare, seppur distrattamente, palazzi che non riconosceva, colori che non aveva mai visto in quel modo, e arrivò a domandarsi se non stesse cominciando ad avere qualche allucinazione.
    Non ricordava l'ultima volta in cui aveva consumato del sangue, umano o meno che fosse, e se non aveva aggredito nessuno lungo la strada era solo perchè era troppo debole anche per quello, non riusciva nemmeno più a muoversi in modo abbastanza agile da attaccare qualcuno e sperare di averla vinta.
    Si era così disabituata al traffico e allo smog della città che non le sembrava nemmeno di averci mai vissuto, in un posto simile, e alla fine erano i suoi piedi a guidarla in automatico, lungo una strada che aveva percorso abbastanza volte da saperla a memoria. Niente di quello che stava facendo era una scelta razionale, ai posteri decretare se si trattasse di un segno positivo o meno: si stava dirigendo proprio perchè era l'unico posto dove voleva essere, forse, o perchè era destino che andasse così.
    Non aveva mai smesso di pensare ad Aaron, questo era vero. Anche nei momenti peggiori, quando la paura di rivederlo le aveva ostruito la gola e le aveva impedito di reagire, comunque aveva pensato a lui, a quanto le mancasse, a che cosa avrebbe dato per fargli sapere che non ce l'aveva con lui, che non era scappata, che lasciarlo era l'ultima cosa che avrebbe voluto.
    Era tutto cominciato con una terribile giornata, piena di terribili notizie. Michael si era svegliato tardi per andare a scuola, aveva avuto una mezza discussione con Thomas su qualche sciocchezza che nemmeno ricordava più, e poi aveva ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto. Normalmente lo avrebbe ignorato ma qualcosa nel modo in cui era scritto, nel tono distaccato, nella sua brevità le aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca: era sua madre. Non aveva idea di come l'avesse trovata, non aveva idea del perchè, ma voleva vederla e di una cosa era certa: quella donna sapeva sempre come ottenere ciò che voleva.
    Così si era allontana dal centro di Londra, finendo sperduta nello Yorkshire, e anche se qualsiasi elemento di quella storia le suggeriva che non sarebbe finita bene si era illusa di poter risolvere la situazione senza coinvolgere nessun altro, senza che qualcun altro corresse rischi inutili. E alla fine quella a rimetterci era stata lei.
    Non aveva idea di che cosa potesse aver pensato Aaron, nei momenti di lucidità aveva cercato di pensare a come raggiungerlo, a cosa dirgli, e di certo nessuno degli approcci che si era immaginata era quello. No, sospettava che il modo migliore per ricostruire il rapporto non fosse arrampicarsi per la scala di emergenza e infilarsi nell'appartamento entrando da una finestra socchiusa, eppure eccola che annaspava, rannicchiata sul pavimento dopo essere riuscita nella sua impresa. Valutò la possibilità di cercare Aaron, o direttamente del sangue nella fortunata situazione in cui ne tenesse ancora in casa -per lei? In attesa che tornasse? Non sapeva nemmeno più se avesse senso sperarci- ma si ritrovò costretta ad appoggiare la schiena alla parete, cercando di riprendersi prima di alzarsi di nuovo.


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    Edited by Evelyn Stanford - 5/9/2022, 22:15
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    Evelyn Stanford
    Vampire

    SHEET | STAT| SOCIAL| DRESS
    parlato - pensato- ascoltato
    Sapeva di essere responsabile di quel decadimento lento e inesorabile che il loro rapporto aveva subito nell’ultimo anno e mezzo, non negava niente e per quanto ogni giorno avesse pensato a Nick con un certo dispiacere, era la prima a non aver fatto mai la prima mossa per cambiare le cose. Le dispiaceva, ma sapeva anche che era stato necessario per riuscire ad accettare sé stessa, i propri limiti, le paure, tutto quello che aveva processato, seppur a fatica, negli ultimi mesi. Era stanca, ancora, ma si sentiva più leggera almeno sotto certi aspetti e forse anche per quello era pronta a godere della presenza di Nick, anche se forse lui non pensava fosse così.
    Le era mancato, infinitamente, aveva bisogno di lui nella sua vita e la sua assenza lo aveva aiutato a capire meglio il suo valore e la sua importanza: ora sapeva quanto lo volesse di nuovo al suo fianco e vederlo lì era anche e sopratutto un sollievo.
    Forse anche per questo, nonostante le sue proteste, l’idea di vestirsi e uscire con lui la infastidiva solo in parte e, malgrado davvero stare in casa in quel periodo fosse un toccasana per la sua mente -o almeno così credeva – non le dispiaceva poi così tanto il fatto di dover cambiare aria e andare altrove, non le sembrava poi un’idea così terribile. Certo, le voci nella sua testa erano ancora lì ma si sforzò di sorridere mentre sbuffava appena, provando a fare resistenza ma nemmeno più di tanto convinta lei di volersi opporre così tanto.
    “Oh no, non voglio vederti dare fuoco alle tende ancora una volta…!” borbottò, ricordandosi degli incidenti che avevano causato quando erano solo dei ragazzini, per poi allontanarsi dalla sala per andarsi a cambiare. Forse una volta lo avrebbe fatto anche lì, davanti a lui, ora sentiva ancora quel velo di imbarazzo che sospettava si sarebbe portata dietro ancora per un po’, anche se immaginava che Nick fosse andato avanti con la sua vita e che avesse qualcun altro a cui pensare. Lui e Thomas si erano parlati? Nick sapeva della cotta di Thomas per lei? Forse era meglio non pensarci adesso, non complicare ulteriormente le cose.
    Si cambiò quindi, rimanendo sorpresa dal proprio riflesso nello specchio, studiandosi silenziosa per qualche istante prima di raggiungerlo di nuovo in salotto e guardarlo spiazzata. “Hai fatto le cose in grande.” gli fece notare con un sorriso leggero, impacciata come era sempre quando si sentiva coccolata così tanto da qualcuno. Avrebbe dovuto abituarsi ormai, con tutte le sorprese che Aaron le aveva fatto e che anche Nick aveva accumulato negli anni, eppure ogni volta le sembrava di essere troppo viziata, che entrambi la riempissero di regali e sorprese che lei non meritava.
    Mise da parte ancora una volta i suoi sensi di colpa e gli strinse la mano, chiudendo gli occhi per poi riaprirli in un locale semibuio, con musica leggera che riempiva l’aria. Le girava leggermente la testa per la smaterializzazione ma cercò di mettere a fuoco l’ambiente, sgranando gli occhi quando riuscì a capire dove si trovavano. “Oh… wow. Nick. E’ un posto...bellissimo.” ammise sorpresa, forse non si aspettava una scelta così da parte dell’amico. ” Beh ora se non altro si spiega l’eleganza del vestito. Come hai trovato un posto del genere?”

    code made by gin
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    Evelyn Stanford
    Vampire

    SHEET | STAT| SOCIAL| DRESS
    parlato - pensato- ascoltato
    Aveva cercato a lungo delle conferme, qualsiasi segnale esterno o meno che le dicesse quanto la loro relazione potesse funzionare, che le confermasse che stava facendo la scelta giusta. C’erano ancora giorni dove aveva paura di essersi sovrastimata, che il loro rapporto non potesse andare lontano e che non avrebbero mai funzionato, ma stava cominciando ad accettare quella sensazione, quella vocina, e silenziarla sempre più spesso. La verità era che le cose andavano bene, che il tempo stava passando e lei si innamorava di Aaron ogni giorno di più: si erano ripromessi di essere più diretti e sinceri l’uno con l’altra, di parlarsi più chiaramente, e ora che lo stavano facendo niente stava andando a rotoli come aveva temuto ma, anzi, le cose sembravano migliorare sempre di più.
    Le piaceva averlo intorno più spesso, e le piaceva quella normalità che stavano costruendo, aveva la sensazione che quel luogo così spartano fosse una conferma di quanto le cose non fossero più sempre fenomenali, lussuose e uniche e andava bene così, in quel modo le sembrava un po’ meno un sogno pronto a finire e più una relazione vera.
    Aaron aveva detto bene, tempo prima: all’inizio sembrava una relazione finta, la loro, tutto costruito per essere perfetto ma fragile e in continuo pericolo. Ora aveva la sensazione che tutto fosse più concreto, si fidava ciecamente di lui, si sentiva più sé stessa tra le sue braccia e aveva la sensazione che da lì potesse solo migliorare. Si sarebbero visti più spesso, abbracciati più spesso, parlati più spesso e ogni cosa sarebbe stata sempre migliore, ogni cosa sarebbe sempre stata unica perché erano loro, perché si amavano e non c’era altro che contasse.
    Ridacchiò del suo trasporto, tremando appena contro di lui e gemendo leggermente contro le sue labbra per la sorpresa di quel gesto. “Sono felice che ti piaccia.” ammise e avrebbe voluto dire di più, sentì il peso di due parole e cinque lettere sulla lingua ma non le pronunciò, perché quel momento era già perfetto così e forse non voleva affrettare le cose, non ora che stavano cercando di prendere tutto con calma. Lo avrebbe baciato con passione, piuttosto, e poi lo avrebbe trascinato in una danza senza musica sulla spiaggia, accompagnata dalle sue risate e da un rinnovato entusiasmo, ed era sicura che il miglior regalo di quel Natale fosse la gioia che provò in quei momenti.
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    Evelyn Stanford
    Vampire

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    parlato - pensato- ascoltato
    Aveva imparato a non farsi mai delle aspettative, a non farsi mai film precisi circa quel che sarebbe potuto succedere. Sapeva che le aspettative molto spesso portavano solo a delusioni e lei non poteva permettersi di rimanere ferita da quel che accadeva, perché sapeva dove la portava puntualmente il dolore, sapeva come andavano a finire quelle cose. Dopotutto era proprio per salvarsi dal dolore e dalla perdita che per anni si era tenuta lontana dall’innamoramento, dal cadere trappola di sentimenti sempre più grandi di lei che non sapeva gestire. Non c’entrava solamente quello, certo, pensava anche di non meritare niente di buono ora che era diventata un mostro e faticava ad accettare di poter avere qualcosa di positivo e giusto e piacevole nella sua vita, ma c’era anche quella parte di lei che avrebbe voluto evitare il rischio di farsi del male.
    E poi era arrivato Aaron, aveva spazzato via ogni briciola di razionalità e da lì Evelyn aveva cominciato a seguire il suo cuore, come se ne avesse ancora uno e come se non ne conoscesse le conseguenze. Non era sicura che fosse qualcosa di positivo, ma dopotutto l’ultima volta che si era fidata di qualcuno aveva finito col diventare vampiro e beh quella non era una cosa che si poteva replicare no? Non avrebbe potuto farle male in quel senso, cambiare la sua vita ancora di più che così, e comunque aveva sempre pi+ la sensazione che fosse troppo tardi per lei per “salvarsi da Aaron”.
    C’era già dentro con entrambe le scarpe, in quella relazione, era più coinvolta di quanto un giorno avrebbe voluto ammettere, era innamorata suo malgrado e non avrebbe potuto anche accettare la presenza di una terza persona tra loro, forse, se questo avrebbe reso Aaron felice. Eve non poteva dirsi gelosa, o meglio era ovvio che tenesse ad Aaron e avesse paura di perderlo, ma non era una dalla mentalità chiusa e per quanto potesse farle strano si scoprì anche pronta ad accettare dei compromessi, o quantomeno provare a capire meglio la situazione. Le faceva male che le nascondesse qualcosa? Certo, ma prendersela troppo sarebbe stata da ipocriti, visto che lei per prima aveva non pochi segreti e non poteva certo giudicarlo per questo. Le sue parole la ferirono comunque, sapeva che aveva ragione e che stava dicendo una cosa vera, non per ferirla ma perché dovevano mettere le cose in chiaro prima o poi. Era la prima ad aver posticipato quel momento per più tempo possibile ma si rendeva conto di quanto fosse inevitabile, arrivati a quel punto. Si ritrovò a guardarlo intensamente, per qualche istante, prima di abbassare lo sguardo e mordersi piano il labbro inferiore, cercando di processare ogni parola.
    “Hai ragione. Fa male ammetterlo ma hai ragione, io…” cominciò, salvo poi bloccarsi alla sua rivelazione, sbattendo un paio di volte le palpebre, spiazzata. Voleva passare una vita con lei? Davvero? Era sicuro di quel che stava dicendo? Sentì il senso di colpa farsi strada nel suo stomaco, bloccato solo dagli occhi di Aaron che calamitarono di nuovo i suoi e il cuore dell’altro, che mancò chiaramente un battito. Si ritrovò a schiudere le labbra, incredula, nell’istante in cui il discorso di Aaron si faceva sempre più importante e sempre più toccante: lui stava parlando di un sentimento profondo e doveva ammettere che non pensava potesse provare così tanto per lei. Allungò una mano verso la sua, sfiorandola piano e cercando anche lei le parole giuste prima di aprire bocca, cominciando a parlare con calma, provando a dire le cose giuste per una volta. “Non c’è nessun altro Aaron. E non voglio essere libera.” disse subito, mettendo ogni cosa in chiaro almeno su quel punto, forse la cosa più facile da ammettere. “Ci sono cose che sono più grandi di me, Aaron, e so che questo non basta come giustificazione, so che non aiuta, ma non penso di avere potere al riguardo. Ma sono disposta a provare a fare del mio meglio, a dirti tutto quel che posso… se è qualcosa che vogliamo provare a fare.” provò a spiegarsi, cercando di mettere da parte la sua emotività e non fare ulteriori casini. La verità era che teneva davvero ad Aaron, gli voleva bene nonostante tutto ed era anche innamorata, se non altro quello riusciva ad ammetterlo con sé stessa finalmente, ma aveva paura di rovinare tutto e per una volta la paura la portò ad essere più ferma e chiara del solito, una novità anche per lei.
    Sentiva che Aaron stava dicendo la verità e non avrebbe avuto nemmeno bisogno dei suoi sensi più acuti, era palese dal suo sguardo e dal suo tono di voce. Ascoltò quel che aveva da dirle con attenzione, spiazzata da tutta quella sincerità, da quanto Barnes sembrasse davvero pronto a mettersi in gioco e aprirsi con lei, nonostante tutto. Impossibile non pensare a quanto poco meritasse tutto quello. Era difficile mantenere la calma in quell’assetto, faticava a non tremare o a non piangere ma cercò di tenere duro per il bene di un discorso che li portasse davvero da qualche parte e che non affogasse in altre lacrime e non detti.
    “Aaron… Grazie.” si ritrovò a dire come prima cosa, incapace di mettere i suoi sentimenti in una parola o un discorso più complessi di quello, un misero inutile grazie. “So che è difficile aprirsi così, e ti ringrazio per averlo fatto. Hai ragione, non ho intenzione di impedirti di essere te stesso e… capisco quel che è successo. E’ stata anche colpa mia Aaron, ho paura...tutto questo… è spaventoso anche per me. Mi sono fidata poche volte nella mia vita, in una di queste mi sono risvegliata con una vita immortale davanti. Ero una ragazzina stupida ma non sono certa che potrei rifare un errore simile e… quello che provo per te è così forte alle volte che sembra quasi pronto a soffocarmi. Non mi sono mai sentita così con nessuno.” ammise piano, aprendosi per la prima volta del tutto davanti a lui. “Non voglio farti sentire in gabbia, e ho...ho bisogno tu capisca che non sono perfetta o buona come mi dipingi tu. Alle volte ho la sensazione… ho paura che tu pensi che io sia una persona che non sono, sono un mostro Aaron, che ci piaccia o meno e...ho bisogno che tu lo capisca. E non pretendo che tu mi accetti, non sentirti obbligato a stare con me…” provò a spiegare, finendo suo malgrado per perdersi nelle sue parole e nei suoi stessi pensieri, lasciandosi prendersi dalla paura e dalla confusione del momento.

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  12. .
    Evelyn Stanford
    Vampire

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    parlato - pensato- ascoltato
    [size=1]Aveva uno strano rapporto con le festività più o meno da sempre. Aveva ricordi molto vaghi e molto confusi di quando era una bambina e le feste sembravano ancora qualcosa di piacevole e confortante, ma la maggior parte delle memorie che aveva non era poi così felici. Per la maggior parte del tempo in New York non aveva avuto troppi soldi per concedersi delle feste vere e proprie: cercava di risparmiare per i regali di Michael e restava ben poco per preparare cene elaborate o concedersi un regalo per sé stessa. Era abituata a rinunciare, a dire il vero non le pesava nemmeno così tanto visto che non aveva mai conosciuto niente di diverso rispetto alla realtà che stava già vivendo, non aveva molto di cui sentire la mancanza.
    Gli ultimi anni da quando conosceva Aaron, a Londra, stavano rendendo tutto quanto diverso, sotto molti aspetti, e le feste non mancavano all’appello. Tutto era sempre più sorprendente, aveva cominciato a dover pensare a dei regali in più ma anche a riceverne e non doversi più preoccupare del budget a disposizione o di che cosa avrebbe dovuto sacrificare per comprare questa o quella cosa. Aveva meno pensieri, certo, ma una parte di lei faticava ad adattarsi a tutte quelle novità e sospettava che sarebbe stato davvero difficile considerarle parte della sua normalità per sempre, sospettava non facesse parte della sua natura.
    Credeva nel cambiamento personale, interiore ed esteriore che fosse, e sapeva che nessuno rimaneva mai identico a sé stesso, ma credeva anche che certe cose non cambiassero mai e che le proprie radici rimanessero sempre quelle, nel bene e nel male. Lei era cresciuta come una ragazzina dei sobborghi di New York, pronta a fare qualsiasi cosa più di sopravvivere, e anche se ora aveva meno preoccupazioni difficilmente avrebbe accettato di lasciarsi trasportare dalla situazione e non avere più alcuna preoccupazione, non era parte della sua natura.
    Continuava a sorprendersi, ebbene sì, e una parte di lei ne era anche entusiasta perché significava che era ancora fedele a sé stessa, che non si stava lasciando andare ad un mondo di lusso che non le apparteneva, c’era una patina di finzione che avvolgeva molte delle persone che circondavano Aaron che non le era mai piaciuta. Sorrise appena, annuendo leggermente. “Difficile non farlo...niente di tutto questo per me è scontato.” gli fece notare ancora incredula, provando a non perdere del tutto il controllo per quello che era “solo” un invito. Era comunque il primo vero invito formale e importante che Aaron le faceva, se non altro per qualcosa che coinvolgesse qualche persona in più che non fossero solo loro due. Non si era nemmeno resa conto di come, fino a quel momento, avessero mantenuto un profilo basso, nascondendosi al resto del mondo seppur senza volerlo: sapeva anche lei che Aaron non si vergognava del loro rapporto, anche se non si sentiva la migliore compagna possibile non si era mai lasciata trarre in inganno da quella convinzione, eppure non avevano mai fatto niente come partecipare ad un evento assieme da coppia vera e propria. Scoprì che l’idea la entusiasmava tanto quanto la rendeva tesa e fu impegnativo mantenere il controllo e ascoltare le sue parole. Finì per stringergli una mano e abbozzare un sorriso leggero. “Certo. Certo. Siamo assieme.” confermò, mettendo da parte le sue incertezze solo per poterlo confortare meglio.
    Si sciolse di nuovo, poco dopo, alle sue attenzioni e sotto le sue mani appoggiate sulla sua schiena, stringendosi a lui e annuendo piano. “ Certo che posso ballare con te… ma prima ho anche io il tuo regalo di Natale.” ammise con dolcezza, tirando fuori dalla borsetta una scatolina in velluto blu scuro. All’interno Aaron avrebbe trovato un anello in argento, di quelli spessi e piuttosto importanti ma al tempo stesso eleganti, finemente intarsiato con una A e B intrecciate tra loro, circondate da foglie di edera. “L’edera è una pianta che indica connubio e incontro...oltre che rimandare, in molte culture, all’immortalità. Ho pensato che potesse rappresentarci molto bene e che fosse un simbolo comunque sobrio, niente di troppo appariscente.” cercò di spiegarsi con un leggero sorriso, sperando di aver fatto un gesto gradito e non aver esagerato.
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    Evelyn Stanford
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    parlato - pensato- ascoltato
    Eve appariva spesso alla stregua di una bambina, era un tratto della sua personalità di cui era sempre stata consapevole ma che negli anni le sembrava sempre più evidente. Capitava che facesse scelte opinabili, infantili, forse fin troppo innocenti, o che si sentisse molto più giovane e impreparata di chiunque la circondasse, poco importava che fosse una vampira ormai adulta, capace di badare a sé stessa –più o meno- e tenere a bada un fratellino minore, da prima ancora di essere grande abbastanza da averne il diritto. Sapeva di avere anche lati positivi, di non essere sempre così impulsiva e sciocca come si sentiva alle volte, ma di certo se avesse pensato un po’ di più e non si fosse fidata così spesso delle persone sbagliate alcuni dei suoi problemi non sarebbero esistiti.
    Eppure una parte di lei le ricordava sempre che nemmeno alcune delle sue più grandi fortune ci sarebbero mai state, in quel caso. D’altro canto il suo agire prima di pensare, il suo buttarsi tra le braccia di persone che forse avrebbe dovuto evitare, l’aveva ripagata qualche volta, anche se tra le tante esperienze era anche caduta piuttosto in basso, finendo per guadagnarsi l’immortalità. E aveva imparato qualcosa in merito? Decisamente no.
    Da quando aveva conosciuto Aaron e dopo il casino successo con Nick non aveva più voluto nemmeno pensare di conoscere persone nuove con un intento che andasse oltre la mera conoscenza. Ammetteva che quel che aveva condiviso con Daneel era in qualche modo borderline, ma il fatto che si trattasse di una donna faceva sembrare il tutto appartenente ad un’altra categoria: aveva abbastanza uomini nella sua vita, se si contava anche Thomas e la sua cotta per lei, per pensare di aggiungerne altri. Eppure non era ceca, non mancò di farsi stregare anche lei dagli occhi chiari del ragazzo, finendo per sorridergli come un’idiota per qualche istante, stregata ma anche sorpresa dal suo modo di fare. Quel ragazzo sembrava surreale, aveva un’aura di innocenza e di purezza che non aveva mai visto su nessun altro e sembrava avvolto da un’aura di serenità che non aveva mai visto su nessun altro, non di recente almeno.
    “Oh wow… in Africa?! Sei un qualche tipo di volontario?” chiese sinceramente curiosa, perché non capitava certo tutti i giorni di incontrare persone appena tornate dall’Africa e indipendenti dal capitalismo, come aveva detto lui, non certo nella gente di New York che Eve frequentava nell’ultimo periodo.
    Okay, per quanto il ragazzo sembrasse uscito da una favola Disney Eve avrebbe dovuto allarmarsi, forse, all’invito di uno sconosciuto di seguirlo a fare shopping, ma siccome la rossa era forse più simile ad Andrew di quanto avrebbe mai potuto ammettere finì per annuire con entusiasmo, forse fin troppo, sinceramente felice di aiutare. “Ma certo, di che tipo di aiuto hai bisogno?” finì per rispondere e se anche tentennò fu questione di pochi istanti.
    Evelyn era così, spontanea, e non pensò nemmeno per un secondo che l’altro avrebbe potuto avere altri fini. Gli strinse la mano, in modo breve ma sentito, più perché non si accorgesse troppo della sua temperatura che altro. “Piacere Andrew, io sono Evelyn Stanford.” si presentò gentile per poi ridacchiare “Non preoccuparti, non ho altro da fare e posso aiutarti. Di che genere di vestiti hai bisogno?”

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    Evelyn Stanford
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    parlato - pensato- ascoltato
    [size=1]Non si era mai sentita all’altezza di Aaron, fin dal primo momento aveva avuto la sensazione di non poterlo evitare: venivano da due ceti sociali differenti, da dure realtà ben distanti, e lei si sentiva dal primo istante inferiore a Barnes, non solo per l’ampiezza del portafoglio ma anche per la sua condizione. Aaron era sempre sembrato un ragazzo perfetto: affascinante, accomodante, gentile, a suo modo generoso, sempre pronto a dire e fare la cosa giusta in ogni istante. Per parecchio lo aveva osservato a distanza, sorprendendosi di quanto fosse possibile per una persona comportarsi in quel modo così impeccabile, e solo quando si erano avvicinati a sufficienza aveva avuto la possibilità di apprezzare ogni sua minima sfumatura. Era difficile da spiegare, ma il fatto che spesso fosse sbadato o non così impeccabile aiutavano a renderlo, ai suoi occhi, ancora migliore: la sua umanità non poteva fare altro che farla innamorare ogni giorno di più.
    Perché se anche aveva faticato ad arrivare a quel punto del loro rapporto, ormai sapeva di essere innamorata di Aaron, senza alcun dubbio. L’unica ragione per cui riusciva a pensare di tenere duro, di rimanere al suo fianco ogni giorno, nonostante le loro difficoltà, era proprio quel sentimento, perché non poteva più fare a meno di ammettere quanto fosse profondo il sentimento che provava per l’ereditiere, ormai.
    Aveva provato a ricordarsi che non era tutto perfetto come sembrava, che non aveva solo lei, che c’erano variabili che avrebbe dovuto considerare anziché buttarsi alla cieca tra le sue braccia ogni singola volta ma la verità era che al cuore non si comanda, e anche se il suo era fermo da un po’ la regola valeva lo stesso. D’altra parte Aaron sembrava sempre intenzionato a sorprenderla, pronto a farla sentire speciale, e se quando erano lontani le sembrava che fosse sempre troppo, che andasse sempre oltre le sue esigenze, e forse addirittura alle volte diventasse esagerato e superfluo, quando era con lui non riusciva proprio a rimanere lucida e distaccata.
    Gli sorrise, suo malgrado, non appena lo vide, spostandosi una ciocca di capelli imbarazzata dal volto, sorridendo appena al suo complimento. “Addirittura.” mugugnò provando a nascondere quanto fosse impacciata, cosa impossibile oltre che inutile a quel punto del loro rapporto. Non sapeva nemmeno che cosa aspettarsi, per una volta sembrava che il ragazzo avesse scelto una location più spartana e semplice del solito, non scontata ma almeno meno imbellettata del solito. “Ottima location.” gli fece sapere, appoggiandosi a lui e tendendosi verso le sue labbra, fermandosi solo alla comparsa del cappellino, spiazzata dal suo invito. “Ne sei sicuro?” si ritrovò a sussurrare, impendendo per miracolo ad una sinistra paura di avvinghiarle lo stomaco e farla sentire terrorizzata per una cosa che, forse, non era nemmeno destinata ad andare troppo male…no? Insomma, sarebbe stata la prima volta ufficiale, Aaron glielo aveva appena annunciato senza preavviso… Ma sapeva che sarebbe successo prima o poi!
    Avrebbe voluto o potuto preoccuparsi di più ma il sorriso luminoso di Aaron, che non accennava a spegnersi, la distrasse a sufficienza da cancellare ogni pensiero intrusivo, portandola a ricambiare, seppur con meno decisione solo per via della sorpresa momentanea, che si protrasse per qualche altro istante. “Wow… cominciamo già con i regali?” domandò sorpresa, prendendo i regali con cura e aprendoli con calma, sgranando sempre più gli occhi fino ad arrivare alla fedina. Lì era sicura che il suo cuore si sarebbe fermato per un istante. Alzò lentamente lo sguardo per incontrare gli occhi di Aaron, emozionata. “E’…perfetta…” sussurrò piano, tendendosi a baciarlo davvero questa volta.

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    Evelyn Stanford
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    parlato - pensato- ascoltato
    Le dispiaceva che, in tutto quello, Nick stesse pagando le conseguenze di un periodo non così tanto roseo e piacevole, venendo tagliato fuori dalla sua vita almeno per certi versi. Nella sua testa era un modo come un altro per proteggerlo, stava cercando di salvarlo da tutti i suoi rimorsi e le sue preoccupazioni, ma sospettava che da fuori non fosse così semplice intuire le sue ragioni. Anche lei sapeva molto bene che l’affetto era solo una delle motivazioni che l’aveva spinta ad agire in quel modo: di certo teneva ancora a Nick, rimaneva il suo migliore amico e non aveva ragione per cambiare idea, ma la verità è che da quando erano stati a letto assieme non sapeva come comportarsi.
    Voleva bene a Nick, un bene puro e viscerale, ma non poteva dire di amarlo, non nel modo in cui pensava di amare Aaron o in cui si dovrebbe amare qualcuno, in generale. Voleva che l’amico avesse molto di più, meritava qualcuno che provasse qualcosa di profondo per lui, che non avesse nessun dubbio al riguardo e possibilmente anche qualcuno che avesse molti meno problemi e dubbi di lei. Non voleva costringerlo in una relazione che non sarebbe andata da nessuna parte e, semplicemente, loro due non le sembravano destinati a stare assieme.
    Non pensava che si sarebbe presentato lì, senza preavviso come una volta, senza farsi alcun problema e comportandosi con tutta la non chalance del mondo. Non era nemmeno sicura di meritarsi una persona che tenesse a lei fino a quel punto, in quel periodo le sembrava di non meritarsi proprio niente però. Probabilmente Nick sapeva bene che se l’avesse chiamata lei avrebbe trovato un modo per declinare l’invito, sapeva che se non lo avesse avuto fisicamente lì trovare una scusa sarebbe stato molto più facile. Ma ora che era a casa sua, come poteva cacciarlo?
    Lo voleva davvero, le mancava molto più di quanto volesse ammettere, e ora che era lì avrebbe voluto solo abbracciarlo. Invece rimase per qualche istante il silenzio alla sua osservazione, cercando di cogliere qualsiasi sfumatura dalla sua voce per poi convincersi che si trattava di una battuta come un’altra. “Non in queste condizioni, non direi.” bofonchiò per poi lasciarlo entrare perché non poteva certo lasciarlo sul pianerottolo.
    Gli lanciò un’occhiata di traverso, per poi alzare gli occhi al cielo. “Lo sospettavo sai?!” replicò, stringendo tra le mani il suo regalo e seguendolo con lo sguardo mentre si muoveva in scioltezza per quella stanza, come se fosse casa sua e in effetti lo era anche, in parte. Sospirò piano, lanciando finalmente un’occhiata al vestito e trovandolo, ovviamente, bellissimo “Che meraviglia…dove vuoi andare per avermi preso un vestito così?” domandò curiosa, cercando comunque di prendere un po’ di tempo.

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168 replies since 17/3/2020
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