Ain't no rest for the wicked

B.S.

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    Venerdì 9 dicembre, 23:30


    Non gli capitava di essere assorbito a quel modo da un caso da tantissimo tempo. Ciò che più lo intrigava del suo lavoro era tutto ciò che precedeva l'azione vera e propria: il mistero, l'attesa, l'indagine. Era un tipo fisico praticamente in tutto, ma la pace che gli dava il fatto di riuscire a risolvere un enigma era ineguagliabile.
    Erano settimane che lavorava, assieme ad una squadra composta da un altro paio di colleghi, sul cosiddetto caso "Moon Down". Un mago serial killer che se ne andava in giro a sgozzare vittime babbane nel cuore della notte era tanto un cliché, quanto una rognosa gatta da pelare. C'erano una mole indicibile di uffici e dipartimenti che veniva coinvolta, tra Obliviatori e intermediari del Primo Ministro babbano, tuttavia era il corpo auror ad essere esposto in prima fila, carico dell'onere di scovare il colpevole e spedirlo in galera.
    Tutta quella faccenda lo stava mandando in crisi. Non riuscivano a venirne a capo, poiché il mostro in questione continuava a scivolare dalle loro dita come acqua ogni volta che pensavano di essere vicinissimi all'acciuffarlo. Dunque, quella sera, il norvegese aveva deciso di attardarsi nel suo ufficio per passare in rassegna - ancora una volta - tutti gli indiziati del caso.
    La porta del suo ufficio era socchiusa e dall'uscio filtrava uno scorcio di luce tremulo che si allungava come una lama incandescente tranciando il buio del corridoio. Nel silenzio tombale che imperava nella struttura risuonava ovattato il suo passo nervoso, che si accompagnava all'ombra imponente dell'uomo che continuava imperterrito nel suo andirivieni all'interno della stanza.

    Sei un cazzo di bastardo.

    In realtà era completamente solo - o così credeva - mentre inveiva contro non sapeva neppure lui chi, considerata l'identità ignota del serial killer. Quelle poche parole, proferite ad alta voce, furono seguite da un tonfo secco e violento.
    Dallo spiraglio lasciato a disposizione, ci si sarebbe potuti accorgere che aveva appena scagliato un coltellino svizzero contro l'enorme bacheca in sughero affissa al muro, sulla quale se ne stavano incollate tutta una serie di fotografie animate - di vittime e sospettati - collegate tra loro da una ragnatela di fili di lana rossa. Qualche lanterna alimentata ad olio ad illuminare lo spazio disordinato di quello studio.
    Date, luoghi e testimoni erano sistemati con una precisione incredibile sulla parete e la punta del coltello era inchiodata all'altezza della fronte di un noto ex pregiudicato ora a piede libero, che qualcuno di particolarmente avvezzo al mondo della cronaca nera avrebbe potuto facilmente ricondurre a tale Gordon Shipman.
    Aveva lasciato un biglietto ad entrambi i colleghi che lavoravano con lui su quel caso, quella stessa mattina, azzardando una teoria secondo la quale suddetto Shipman fosse nient'altro che l'assassino che stavano cercando, tuttavia non si aspettava che uno dei due fosse rimasto in giro al Ministero a quell'ora tarda.
    Dunque aveva deciso di bearsi della compagnia di una bottiglia di acquavite - da bravo norvegese quale era - che aveva già scolato per metà.
    Era stanco e provato, i capelli che ultimamente portava lunghi fino alle spalle erano stati acconciati distrattamente in una crocchia scomposta e alcuni ciuffi ciondolavano davanti al suo viso sporcato da uno spesso strato di barba biondiccia. Gli occhi azzurri erano languidi, annacquati dalla fatica della giornata e dall'alcool, per quanto non fosse ancora ubriaco, solo un po' meno lucido del solito.
    Interruppe il suo viavai irritato dando le spalle alla porta, dalla quale sarebbe stato possibile adocchiare il retro della sua figura con indosso una semplice t-shirt a maniche corte bianca, un jeans scuro e un paio di consunte scarpe in tela nere.
    Fronteggiando la bacheca ed i suoi intrecci, estrasse una sigaretta dal pacchetto stropicciato che aveva sulla scrivania invasa da cianfrusaglie di ogni genere, dando poi fuoco al tabacco con uno zippo in metallo il cui clangore sarebbe stato attutito dalla risma di fogli presenti sulla superficie di legno.
    Una mano affossata nella tasca, la gemella impegnata a reggere il filtro della paglia ed un profondo sospiro che sapeva di tutto meno che di resa.

    Ma ti prendo. Stai tranquillo che ti prendo.
    Kjell
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    ...
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    Edited by Kjell Halvorsen - 10/12/2022, 13:24
     
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  2. Brianna C. Scott
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    Ammirare il proprio riflesso era ancora più difficile di quanto avesse preventivato. Riconoscere quella folta chioma ramata e le iridi sporcate di ghiaccio era nulla se paragonato all'evidente fatica di far corrispondere ciò che vedeva a quel che sapeva di essere, celato per quasi cinque anni per paura di essere scoperta.
    Il sapore della Polisucco era diventato quasi inebriante. Una necessità, la sua, di prenderla ogni mattina prima di andare a lavoro.
    La voce dura e a tratti acuta di Claire che strideva con quella più bassa e dolce che l'aveva accompagnata per anni, una spanna di centimetri in più a sollevarla da terra e una rigidità a cui non era abituata fino a quando non fu indispensabile acquisirla l'avevano accompagnata per anni, garantendole di poter sopravvivere.
    Venire a conoscenza del fatto che fosse tutto finito aveva spezzato una fastidiosa routine che per lei aveva assunto il valore di una nuova vita. Aveva anelato per mesi a tornare a casa, a poter sentire nuovamente la sensazione di essere riconosciuta e amata come un tempo, ma il tutto si era risolto in una sensazione di inadeguatezza: si era immedesimata talmente tanto nella vita e nelle abitudini di Claire, che non sapeva più come essere se stessa.
    Brianna Scott era tornata col botto, un'esplosione di gioia che aveva travolto sua madre riportandola alla vita. Nessun altro aveva più saputo niente, nessuno di coloro che avrebbero dovuto essere informati della cosa non appena resa pubblica.
    Ci avrebbe pensato lei, si era detta, arrivando ad affrontare le persone a lei più care con le giuste accortezze. Non sopportava l'idea di dirlo a Eilidh per telefono né di guardare Annie sapendo di poter essere chiamata in missione in qualsiasi momento.
    Aveva bisogno di tempo, spazio e modo. E non appena avesse concluso il lavoro sarebbe tornata da loro.
    Sospirò nel leggere il biglietto lasciatole da uno dei due colleghi con cui seguiva il caso del serial killer. Era talmente tardi che incrociare qualcuno nei corridoi del Ministero sarebbe stato impossibile, ma era evidente che in Norvegia gli auror avessero ritmi ben diversi dagli inglesi.
    Non le dispiacque. Si era resa conto che tornare a quel lavoro dopo quasi cinque anni di inoperosità era stato più dura del previsto, tenersi in continuo allenamento e scambiarsi opinioni con coloro con cui lavorava a stretto contatto era una manna dal cielo e in quei giorni scelse di non fare altro. Mangiava poco, dormiva ancor meno del necessario e pensava.
    Giunse appena fuori dall'ufficio di Halvorsen e sentì un colpo secco provenire dal suo interno. Si affacciò solo per controllare di non essere sul punto di interrompere qualcosa e, dallo spiraglio della porta, lo vide puntare la bacheca che raccoglieva gli indizi del caso. Rimase nell'ombra a osservarlo, lo vide cercare ciò che stava rendendo la vita un inferno a tutti loro. Lo sentì imprecare, lo vide bere e alla fine fumare, sorprendendosi del fatto che fosse ancora in piedi.
    Bussò e spalancò di poco la porta, lasciandosi notare dal collega.
    «Ed io che credevo che tutto questo ti annoiasse.»
    Le labbra disegnarono un lieve sorriso sul volto stanco, mentre attendeva l'ok dell'altro per poter mettere piede nel suo regno.
    Aveva letto e riletto il biglietto, aveva tentato di individuare un singolo motivo che la portasse a distanziarsi dalle ipotesi di Kjell, ma alla fine aveva dovuto concordare con lui sull'eventualità che quell'ipotesi fosse più che solo quello.
    «E' pericoloso.» Iniziò, incamminandosi verso la bacheca da cui estrasse il coltellino. Se lo rigirò tra le dita della mano destra guardandolo con attenzione, studiandolo, come nel tentativo di trovare su di esso qualche indizio. Sollevò lo sguardo sull'uomo solo quando gli fu sufficientemente vicino da percepirne con chiarezza l'odore che esulava da quello più acre del fumo. «Accusare Shipman, intendo. Se sbagli finiamo tutti nei guai.»
    Non che la cosa le avesse mai creato problemi.
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    Ciò che aveva imparato sul conto di Brianna Scott era frutto delle voci che erano passate di ufficio in ufficio. Informazioni dai bordi sfocati nel quadro di una storia che non si era granché sforzato di capire.
    Era una persona estremamente socievole e fare lavoro di squadra non gli costava chissà quanta sofferenza a livello dell'ego ma, per quanto fosse rimasto incuriosito dal fatto di sapere poco o addirittura niente sul conto della sua nuova compagna di squadra, aveva optato per scoprire sul loro tavolo la carta della discrezione.
    Almeno fino a quel momento.
    In quel periodo era totalmente assorbito dal caso e si trascinava nelle giornate come se nella sua testa non ci fosse spazio disponibile per niente e nessuno, ad eccezione di Gordon Shipman e le sue 13 presunte vittime.
    Non sperava davvero che uno dei suoi colleghi assegnati allo stesso caso decidesse di trattenersi in ufficio più del dovuto, dunque fu con un moto di spontanea sorpresa che accolse l'arrivo della rossa, trascinandosi appresso la sigaretta mentre si voltava per seguirne il passo verso la sua bacheca.

    Trovo sempre il modo di divertirmi anche quando 'sti stronzi mi annoiano.

    Allungò la mano che reggeva la sigaretta in direzione della bacheca, alludendo ai mezzi busti dei brutti ceffi indiziati incollati al sughero. Le labbra si piegarono in un sorriso morbido, per poi arricciarsi quando il pollice della mano sollevata andò a grattare la barba ispida che aveva sul mento con fare pensieroso.
    Abbassò gli occhi chiari sul coltellino che Brianna gli stava restituendo, sospirando profondamente nell'udire le sue parole a riguardo delle teorie da kamikaze che aveva espresso nei bigliettini che aveva lasciato loro.

    Lo so, hai ragione.

    Ammise, allungando la mano libera dalla sigaretta per recuperare il coltellino ed intascarlo, portando il filtro della paglia alle labbra e socchiudendo le palpebre mentre aspirava, sospingendo poi una densa nuvola di fumo a sparpagliarsi nello spazio tra i loro corpi ad infierire sul forte profumo di dopobarba che si portava lui addosso.

    Ma più ci ragiono e più me ne convinco. Tutti morti impiccati con un Incarceramus, esattamente quello che Shipman ha fatto in galera con quel poveraccio del suo compagno di cella. Non ti sembra palese?

    Le iridi che aveva mantenuto sul volto di lei si spostarono alle sue spalle, a sondare ancora una volta l'intricato intreccio di lana e chiodini che tenevano insieme il filo logico di tutta quella complessa situazione.

    E se fosse veramente così semplice come sembra? Se ci stessimo complicando la vita per niente?

    Di certo non potevano fermarsi alla soluzione più logica, ma non capiva per quale motivo non dovessero percorrere quello che sembrava l'epilogo più scontato. Non stavano forse peccando di megalomania, così facendo?
    Tornò ai suoi occhi, mordicchiando la pelle già scorticata delle labbra che sembravano sul punto di cominciare a sanguinare, quindi sospirò ancora, incastrando la sigaretta tra le labbra per poi prendere a spostarsi verso un armadietto in legno di noce scura posto di fianco alla scrivania.
    Rimase in silenzio mentre trafficava dandole le spalle, tornando poi a fronteggiarla con un pesante bicchiere tra le mani. Agguantò la bottiglia di acquavite e ne versò una generosa quantità all'interno del vetro che volle porgere a Brianna solo dopo aver scaricato l'intero peso del corpo contro il bordo della scrivania, dando finalmente le spalle alla bacheca di sughero.
    Le sue attenzioni vennero dunque interamente proiettate alla donna che aveva davanti per la prima volta da quando l'altra gli aveva invaso la stanza con la sua fragranza sconosciuta.

    Dimmelo sinceramente... ti sembro pazzo?

    Aveva lo sguardo di chi, in ogni caso, non si sarebbe offeso di fronte ad un'eventuale risposta affermativa, tant'è che affilò le labbra in un sorriso un po' paraculo, ma estremamente bonario.
    Kjell
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  4. Brianna C. Scott
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    Brianna C. Scott
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    Su Brianna Scott se n'erano dette tante nel corso degli anni, ché chi l'aveva conosciuta si era divertito a spararne di cotte e di crude sul suo conto, pur di dare un'idea della ragazza che, il più delle volte per lo meno, non corrispondeva alla realtà.
    Nessuno dei suoi colleghi sapeva cose le fosse accaduto, la maggior parte l'aveva ritenuta morta per ben cinque anni, eppure il suo ritorno era stato accolto con relativa quiete, come se in fondo non vi fosse nulla di male a fingere la propria morte e a sparire senza lasciar traccia. Uno di quei colleghi ce l'aveva davanti, e Brianna si ritrovò a pensare che non ci fosse nulla di sbagliato o deplorevole in quell'atteggiamento di cortese indifferenza che, a ben pensarci, le aveva evitato un sacco di grane e spiegazioni.
    Non si poteva certo dire la persona più socievole dell'universo, lei, che a scuola si era limitata a frequentare la propria ristretta cerchia di amicizie e a lavoro, se non si considera il caffé - o la cioccolata calda - del momento, non si avvicinava a nessuno se non a Xander. Il fatto che il parabatai fosse una di quelle vecchie e care amicizie dei tempi della scuola la diceva lunga sulla tendenza della Scott ad approcciare gli estranei.
    Fu per quel motivo che lo lasciò parlare, restando in silenzio mentre lo accompagnava con lo sguardo in elucubrazioni piuttosto sensate, ma a suo parere abbastanza lontane dalla realtà dei fatti. Non escludeva niente, la scozzese, ma in quei pochi anni di esperienza aveva imparato a non dare mai nulla per scontato: l'ovvio come tutto il resto.
    Accettò il bicchiere che Kjell le porse e ne annusò il contenuto, storcendo il naso. Era acquavite decisamente scadente in confronto al whisky che aveva nel suo ufficio, ma in genere niente era meglio del whisky, l'unico vezzo che si concedeva di tanto in tanto.
    Bevve un sorso per banale educazione, poi abbandonò il bicchiere sulla scrivania, sorvolando per un momento con il profilo del busto il corpo del collega. La chioma ramata scivolò lungo la spalla sinistra e sfiorò il braccio dell'uomo, scoperto dall'abbigliamento primaverile per cui aveva optato, a differenza sua.
    Tornò in posizione eretta incrociando le braccia al petto, lasciando che il dolcevita color ardesia si tendesse sulla muscolatura in fase di ripresa.
    «Mi sembri esausto.» Rispose con un mezzo sorriso a quella domanda a cui non ebbe paura di dare un esito. Brianna era una di quelle persone che tendeva a dar voce alla verità a discapito di qualunque emozione conseguente nel cuore di chi quella verità la pretendeva. Eppure negli ultimi anni aveva imparato a usare il tatto, quello sconosciuto.
    «Trovo più probabile che tentino di incastrarlo.» Ammise stringendosi tra le spalle, intenzionata a chiudere quella giornata di lavoro per entrambi. Se c'era una cosa che aveva imparato nelle vesti di un'altra persona, era che sarebbe stato impossibile iniziare qualcosa di nuovo con il passato a bussare incessantemente alle porte della mente e del cuore.
    «Ti va di andare a bere qualcosa? Di decente, intendo.» Commentò rivolgendo un'occhiata piuttosto esplicita a ciò che l'altro le aveva così gentilmente offerto.
    Fece un passo indietro, quasi a voler adescarlo per attirarlo a sé, costringendolo a una pausa forzata che forse avrebbe consentito a entrambi di ricordare cosa volesse dire vivere.
    RevelioGDR
     
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    Della donna che aveva davanti a sé conosceva solo nome e cognome, eppure il chiacchiericcio che aleggiava attorno al suo ritorno gli aveva lasciato intendere che c'era ben altro da poter indagare sul suo conto, oltre alle sue mere generalità.
    Purtroppo, in quel periodo della sua vita, si era riscoperto troppo impegnato e stressato per anche solo provare a concentrarsi su qualcos'altro che non fosse il lavoro. Ne era praticamente ossessionato e aveva finito con l'escludere qualsiasi altra cosa o persona dalla sua vita solo per il gusto di potersi dedicare anima e corpo al caso che gli era stato assegnato.
    Se qualcuno gli avesse domandato il motivo di quel suo isolamento forzato, probabilmente non sarebbe stato in grado di rintracciarlo. Era una fase come un'altra nel ciclo della sua vita che andava avanti da trentaquattro anni senza particolari scossoni.
    E quindi aveva accantonato, ancor prima di potercisi effettivamente dedicare, l'aspettativa di imparare a conoscere un po' meglio la collega che era tornata a pieno regime solo da poco tempo.
    Tuttavia, ora che la rossa era lì davanti a lui e l'ascoltava attenta, non potè fare a meno di chiedersi per quale motivo non avesse cercato di indagare, o quanto meno provare a capire cosa le fosse successo. Anche fosse stato solo per mero spirito di cameratismo.
    Che fosse praticamente esausto era chiaro, ma nessuno - all'interno dell'ufficio o fuori da esso - si era preso la premura di farglielo notare, almeno fino a quel momento. Interruppe il modo concitato con il quale le stava vomitando addosso teorie e congettura, immobilizzandosi e rilassando visibilmente le spalle in risposta a quella osservazione che arrivò in maniera così cristallina, sincera e disinteressata da rimbombargli nella testa quasi come un rimprovero, seppur non lo fosse.
    La lasciò muoversi per abbandonare l'economica acquavite che le aveva offerto e, per qualche brevissimo istante, si vergognò di se stesso per aver cercato di rifilare quello scadentissimo drink ad una donna che aveva un profumo come il suo.
    Così inebriante e delicato nel suo essere totalmente sconosciuto ai suoi sensi.

    Forse un po' lo sono.

    Ammise, esibendo un sorriso stanco, mentre sospirava e cercava l'appoggio della scrivania alle sue spalle per stiracchiare il collo all'indietro e far scrocchiare silenziosamente la schiena.
    Fu in quel momento che si rese conto che non ricordava l'ultima volta che si era disteso a letto per rilassarsi e fu proprio quell'epifania a spingerlo ad accogliere l'ultimo invito di lei, piuttosto che soffermarsi sull'ennesima teoria alla quale - in quel momento e così incredibilmente - non aveva voglia di prestare attenzione.

    Ok, la mia acquavite non sarà delle migliori, ma non c'è bisogno di essere così venali.

    Inarcò entrambe le sopracciglia verso l'alto in un ammiccamento scherzoso al quale si accompagnò l'ennesimo sorriso che volle dedicarle mentre si scollava dalla scrivania, per poi dirigersi a recuperare il giubbotto nero che aveva abbandonato lì da qualche parte.

    Ti spiace se andiamo in un posto dove fanno degli hamburger di renna da paura? Non mangio da... credo stamattina.

    A conferma del fatto che stava perdendo la concezione del tempo e dello spazio attorno a sé, tornò a voltarsi per fronteggiare Brianna dopo aver infilato il giubbotto, avvicinandolesi per distendere poi una mano a palmo aperto in sua direzione.

    Guido io.

    Laddove per guido intendeva che si sarebbe smaterializzato assieme a lei - qualora avesse acconsentito - direttamente all'interno del locale che aveva in mente e dal quale mancava da tanto, troppo tempo.

    ***

    Hei Kristoff. Siamo in due, ci serve qualcosa per scaldarci.

    Rimettere piede all'interno del Reinreservatet - il "rifugio della renna" - gli provocò un senso di nostalgia difficile da ignorare.
    Si trattava di una sottospecie di locanda, molto simile ad un classico irish pub londinese, nel quartiere di Camden Town, che ci teneva particolarmente ad enfatizzare le origini norvegesi del proprietario, Kristoff. Un mago sulla cinquantina tanto biondo quanto grasso, nonché dotato di un contagioso sorriso che faceva capolino al di sotto degli spessi baffi biondi che si portava sotto al naso.

    Ma che hai fatto ai capelli?!

    In effetti, l'ultima volta che era stato lì aveva le ciocche bionde lunghe un quarto rispetto a quel momento ed era sicuramente meno stanco di così.

    Non ho avuto il tempo di tagliarli.

    I suoi occhi azzurri scivolarono a quel punto sul volto di Brianna, mentre stringeva le labbra tra loro con un'espressione da colpevole stampata in faccia. Non aveva avuto il tempo di fare un sacco di cose, ultimamente, ma quella sera sembrava intenzionato a porre rimedio.
    Seguì Kristoff fino ad un tavolo per due, sul fondo della sala completamente decorata in legno scuro, non abbastanza lontano dal chiacchiericcio del resto dell'alticcia clientela del locale.

    Ti conviene congratularti con Kristoff per i suoi trofei. Li ha cacciati tutti lui.

    Accennò alle teste impagliate di giganteschi esemplari di renna con le quali il proprietario aveva fieramente decorato le mura interne del proprio pub, in pieno stile omaccione nordico, arrivando poi a liberarsi del giubbotto e mettersi a sedere agguantando un paio di menù ed allungandone uno a Brianna.

    La cantina è internazionale, quindi da bere sceglie lei. Mi ha già insultato l'acquavite che avevo in ufficio.

    Finse di lamentarsi con l'uomo, per poi sparire con il viso dietro l'elenco delle portate disponibili. Solo di tanto in tanto, un'iride faceva capolino oltre la cortina di quell'ingombro, quasi che fosse preoccupato che Brianna potesse non sentirsi a suo agio tra quelle mura.
    Erano settimane che non usciva fuori a cena e mesi che non si intratteneva da solo con una donna, che fosse anche solo una collega di lavoro, quindi finì con il sentirsi un po' spaesato mentre si domandava se ci sarebbe stato mai un buon momento per chiederle cosa le fosse successo.
    Perché a quel punto la faccenda cominciava ad interessargli.
    Kjell
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  6. Brianna C. Scott
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    Brianna C. Scott
    Auror | 29 anni
    Brianna aveva ben pochi pregi di cui vantarsi, a suo modesto parere. Era la persona più ordinaria che avesse mai avuto il piacere di incontrare, se conoscere se stessa fosse un valido termine di paragone. Eppure riconosceva la propria capacità di saper osservare e capire le persone a un solo colpo d'occhio. Più guardava Kjell più si rendeva conto di quanto potesse essere enigmatico un uomo apparentemente tanto estroverso, difficile da interpretare ma la cui superficie non era così impossibile da intaccare.
    Lo era. Esausto. Lo erano entrambi.
    Sospirò sbuffando aria dal naso, la rossa, mentre l'altro prendeva in esame le sue parole e le rivolgeva un'espressione giocosamente stizzita. Lei, che si riteneva piuttosto attenta a non offendere nessuno, si spingeva fino al limite consentito solo lì dove riconosceva di poterlo fare.
    «Se avessi voluto essere venale te ne saresti accorto.» Concluse ampliando quel sorriso che le distese le labbra in un'espressione divertita, mentre seguiva l'altro nell'intento di lasciarsi alle spalle il posto di lavoro per qualcosa di più intrigante. La gente tendeva spesso a sottovalutarla, o per lo meno ad attribuirle caratteristiche volte a enfatizzare l'espressione di docile ingenuità che caratterizzava un volto tanto neutrale e pulito come il suo. Il che, a dirla tutta, non le dispiaceva.
    Abbottonò il cappotto senza perderlo di vista, guardandolo avvicinarlesi e allungando a sua volta una mano nella di lui direzione. Un'unica inarcata di sopracciglia a rendere evidente a Kjell quanto poco lei si fidasse nel lasciarsi andare alla guida altrui. Ma, come in molte altre occasioni in quel periodo, fece uno sforzo.
    «Non farmene pentire.» Altrimenti si sarebbe giocato qualsiasi altra possibilità. Afferrò la sua mano e sospirò, chiudendo gli occhi e fingendo di non percepire affatto la rigidità a cui si associò ogni muscolo del proprio corpo.
    "Ce la fai."

    Riaprì gli occhi ignorando la sensazione di vuoto causata dalla smaterializzazione, ritrovandosi immersa in un locale dall'aspetto familiare, nonostante non ci avesse mai messo piede prima di allora. L'arrivo del conoscente di Kjell le fece drizzare le antenne e la sua mente iniziò a vagare come solo quella di una babbana era in grado di fare: Kristoff che serviva hamburger di renna? L'appassionata Disney che era in lei avrebbe avuto qualcosa da ridire.
    Si concentrò sullo sfilarsi il cappotto, lasciando che fosse il collega a contrattare su un buon posto a sedere e qualcosa di caldo con cui riempirsi lo stomaco, ma nel mentre non poté fare a meno di squadrarlo al riferimento alla zazzera lunga e incolta che gli incorniciava il viso. Non si era mai domandata cosa avesse fatto ai capelli, perché prima di quell'incarico condiviso non si era mai soffermata a studiarlo come forse avrebbe dovuto fare. C'era un che di disordinato in lui, di caotico, che tuttavia si sposava bene con la natura irrequieta che sembrava animarlo.
    Non badò all'espressione di Kjell quando questo la guardò con aria quasi colpevole, limitandosi a sorridergli bonariamente. Non era l'unico a lasciarsi rapire completamente da un incarico e se solo avesse saputo cosa lei era stata in grado di fare per cinque anni... non tagliarsi i capelli o dimenticarsi un pasto era nulla se paragonato alla sua esperienza.
    Lo seguì verso il tavolo a loro assegnato, ringraziando il fantomatico Kristoff pur impedendosi di complimentarsi per tutte quelle teste di renna che l'avrebbero guardata per l'intera durata della cena.
    Era a dir poco inquietante.
    «Mio padre cacciava i cerci anni fa.» Il riferimento a John Scott fu inevitabile, così come lo fu tollerare la morsa all'altezza del petto che la colpì al suo ricordo. «Però aveva l'accortezza di non mettermeli di fronte quando mangiavo.» Commentò a bassa voce di modo che solo lui potesse sentirla.
    L'aveva toccata pianissimo, si disse mentre si metteva a sedere e afferrava un menu, nascondendo dietro di esso un sorriso. Ecco il suo essere venale.
    Nel sentire di avere il via libera sul bere, rivolse uno sguardo entusiasta a Kristoff.
    «E' sempre stato così permaloso?» Domandò all'uomo baffuto. In fondo, si appuntò ancora una volta, lei non lo conosceva affatto.
    Ordinò un rosso della casa, lasciando che fosse Kristoff a consigliare loro cosa associare a quei fantastici hamburger di renna per cui, lo sapeva, si sarebbe sentita in colpa dati gli occhi che la fissavano.
    Vide l'uomo andar via con le ordinazioni, con la promessa di portarle il miglior whisky della casa una volta concluso il pasto, e poggiando entrambi i gomiti sul tavolo e il mento sulle dita intrecciate fra loro, si rivolse a Kjell.
    «Cosa fai di solito per divertirti?» Domandò a bruciapelo. Tanto valeva iniziare a conoscersi meglio, in fondo avrebbero lavorato insieme ancora per tantissimo tempo. «Ti avverto che "lavoro" non è una risposta valida.»
    RevelioGDR
     
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