Paper mache world

JH&Erin

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    Erin Brighid MurphyAmetrin

    Qualche giorno dopo la lezione di Alchimia.


    Era brava prendersi cura dell’equilibrio che la circondava, Erin, il benessere delle anime limitrofe era il suo personale comfort, una panacea completa e riempitiva che le donava pace e ristoro. Era cresciuta in mezzo a così tante turbolenze da aver sviluppato, per una sorta di antitetica reazione difensiva, un amore esagerato per la quiete e la stabilità.
    Non un merito, di certo neanche un vanto, più che altro un invalidante senso di empatia ed altruismo che talvolta la annichiliva completamente, convincendola ad annientarsi senza alcun rimorso pur di salvare le armonie circostanti. Era un umano cuscinetto ammortizzatore, lei, la boa sul fianco delle chiglie, il parafulmini dei grattacieli più alti.

    Potrebbe essere meglio imparare l’Elego Recresci prima dell’arrivo delle vacanze.
    Terrazza alle diciotto in punto,
    Erin


    Una calligrafia distratta e veloce che ne confermava il mittente, una mezza pergamena macchiata sul bordo con l’inchiostro gocciolato dal calamaio, un gufo arzillo e pimpante a recapitare la missiva nel dormitorio dei Black Opal, diligente e preciso nel riconoscere il destinatario senza concedersi margini d’errore. Era stata chiara con l’animaletto, Erin, avrebbe dovuto consegnare la posta discretamente e senza accettare intermediari di sorta.
    Non era esattamente una promessa da mantenere, quella su cui avrebbe lavorato quel giorno, piuttosto una forma più genuina e spontanea di vincolo di lealtà che nessuno a parte lei doveva aver realmente percepito; era piuttosto certa che quando Joo-Hyuk le aveva chiesto delle ripetizioni non si fosse aspettato effettivamente alcun tipo di obbligo da parte sua, ma sapeva d’altro canto piuttosto bene quanto un’offerta di quel tipo solleticasse le motivazioni della propria coscienza.
    Nessuno che la conoscesse bene si sarebbe sorpreso, dunque, sapendo quanto velocemente i pensieri fossero corsi al coreano quando quel pomeriggio, di ritorno dall’ultima lezione, aveva sorpreso in uno spicchio di tiepido sole il corpicino mutilato di una lucertola, forse troppo tentata dal calore inusuale di quella giornata di novembre da abbandonare il letargo, eppure ormai troppo intorpidita dal sonno stagionale per poter sfuggire a qualche predatore più fortunato. Era sopravvissuta, ma aveva perso la sua coda.
    «Immobilus.»
    Si era accovacciata sulle ginocchia ad osservarla per qualche secondo, Erin, prima di avvolgerla nel tepore di quell’incanto paralizzante al fine di raccoglierla premurosamente tra le mani. Non aveva mai avuto problemi a toccare con mano ogni forma di vita esistente in natura, non fu strano perciò neppure depositare la creaturina in una scatola vuota dopo aver munito quest’ultima di feritoie respiratorie.
    Sapeva che l’incantesimo aveva dei limiti, perciò non perse tempo e raggiunse direttamente la terrazza, primo luogo utile che le venne in mente dove non avrebbe dato nell’occhio nel maneggiare un rettile immobilizzato. Aveva quindi scarabocchiato l’invito per Kwon e sistemato il tomo di Alchimia sul tavolo scelto insieme agli appunti.
    Aveva gentilmente chiesto ad un elfo di passaggio se fosse possibile avere due tè caldi per la merenda, una richiesta probabilmente inusuale per qualsiasi studente, ma molto più considerabile se ad avanzarla erano gli occhioni verdi colmi d’innocenza dell’irlandese.
    Talora Joo-Hyuk avesse accolto il suo invito, una volta giunto nello spazio esterno l’avrebbe trovata intenta a leggere il romanzo a cui si era appassionata quel mese, sul capo un cappello a tesa larga color sabbia, e tra le sopracciglia un cipiglio concentrato che ne confermava il totale straniamento dalla realtà.
    Era sempre facile, per lei, quel salto fuori dal mondo.


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    L'esperienza vissuta nell'aula di Alchimia aveva abbandonato la sua mente non appena aveva messo piede fuori dall'aula, quello stesso giorno. Era riuscito a trovare una scappatoia a quell'esercitazione alla quale non aveva voluto sottoporsi non perché fosse svogliato, ma perché ben più saldi principi lo animavano.
    Non aveva dato chissà quale enfasi alle sue credenze, se non altro poiché nessuno aveva ancora avuto l'ardire di chiedergli per quale motivo non avesse voluto far ricrescere arti a cadaveri di animali, altrimenti non avrebbe avuto problemi nell'ammettere la verità.
    Non si vergognava di essere credente - per quanto non fosse poi chissà quanto praticante - così come non si imbarazzava ogniqualvolta qualcuno elargiva commenti non richiesti circa il suo essere vegetariano.
    Quando il bigliettino vergato in una calligrafia a lui sconosciuta lo raggiunse, non potè fare a meno di stupirsene. Era riuscito a stringere rade conoscenze tra le mura di Hidenstone, quindi non era solito ricevere messaggi o inviti di sorta. Chiuse le pagine del fumetto che stava svogliatamente leggendo, accasciato su una delle poltrone della sala comune dei Black Opal, rigirandosi tra le dita quel pezzetto di carta fino ad aprirlo per scovarne il contenuto.
    Cominciò a leggere dal basso, dunque non appena i suoi occhi scuri accarezzarono il nome del mittente, non represse il desiderio di assumere una smorfia sorpresa. Strinse le labbra, soppesando quell'invito con il capo che prese a ciondolare all'indietro, spinto contro il bracciolo della poltrona.
    Osservò la stanza all'ingiù, interrogandosi mentalmente sui motivi che avevano spinto la rossa ad accogliere la sua richiesta.
    Aveva semplicemente un animo buono oppure aveva colto il suo bisogno di indagare i suoi occhi per capire se ci fosse spazio di manovra tra loro?
    Stringeva amicizie fin troppo difficilmente e questa sua inclinazione era ben intuibile dai modi riservati e pacati che aveva di fare. Almeno in generale.
    Mantenne quella posizione fino a quando il sangue non cominciò a minacciarne il cervello, risalendo ad arrossarne la pelle, quindi tirò su il capo e diresse lo sguardo al grande orologio aggrappato alla parete della sala.
    Non era solito arrivare in ritardo agli appuntamenti, ma quel giorno avrebbe fatto una lievissima eccezione.

    ***

    Mise piede in terrazza con una decina di minuti di ritardo, avvolto nel tessuto del suo pesante mantello nero che celava parzialmente la divisa sottostante.
    Si trascinava addosso un'ombra di mistero e impenetrabilità. Era complicato perfino riuscire a capire se ti stesse guardando negli occhi, complice non solo il taglio affilatissimo della palpebra, ma anche il colore scuro dell'iride che si annacquava in quello della pupilla.
    Si lasciò indietro l'ultimo gradino, avvicinandosi alla figura composta di lei in perfetto silenzio, lasciando che solo il fruscio del mantello ne segnalasse l'arrivo.
    Le si piantò davanti, le braccia nascoste sotto il tessuto della cappa e le iridi nere spillate sul suo volto.

    Niente cadaveri, spero.

    Il suo tono di voce era stranamente colorato di note ben più cortesi e morbide rispetto alle sue fattezze in generale. Appariva sempre molto rigido, ma in realtà era l'affabilità fatta persona.
    Arricciò l'angolo destro delle labbra in un'ombra lontana di sorriso, quindi prese a slacciare il mantello, così da potersi poi liberare dall'ingombro della tracolla contenente le sue cose che si era portato appresso.

    I professori da queste parti non preventivano le differenze culturali, vero?

    Una domanda, la sua, che in realtà conteneva al suo interno una infinita miriade di altri quesiti.
    Sei abituata a questo modo di fare?
    Hai sempre vissuto da queste parti?
    L'avevi capito che mi sono rifiutato di lavorare con dei cadaveri per un motivo specifico?

    L'interpretazione di quelle sue parole avrebbe potuto essere incredibilmente vasta, quindi le avrebbe lasciato il modo di elaborarla mentre tirava fuori un blocco per gli appunti, una penna a sfera e la propria bacchetta di ciliegio.

    Che leggi?

    Quella, invece, era una domanda incredibilmente specifica che richiedeva una risposta altrettanto puntuale.
    Conoscerai davvero qualcuno solo quando saprai il perché delle sue letture.
    Era una filosofia che si portava dietro da un po', ma era per lo più valevole per gli altri. Lui leggeva gore manga e pensava che questo dettaglio non dicesse niente di lui.
    Ma era vero?
    Joo-hyuk
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    black opal - I anno

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    Edited by Joo-hyuk Kwon - 2/12/2022, 17:28
     
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    Erin Brighid MurphyAmetrin

    Degli uomini ci si può approfittare a volontà, ma con le donne non bisogna tirare troppo la corda. Perché la donna, in fondo al cuore, desidera sempre dire la verità. Quanti mariti ingannano la moglie portandosi il segreto nella tomba? Quante mogli ingannano il marito e poi gli rovinano la vita sbattendogli in faccia la verità? E lo fanno perché qualcuno ha tirato troppo la corda. Seguendo un impulso improvviso (del quale si pentiranno, bien entendu), dimenticano ogni prudenza e si ribellano, proclamano la verità concedendosi un grande sollievo momentaneo.
    Accartocciata sulla propria spina dorsale, Erin si era tirata le ginocchia al petto incastrandole contro il bordo del tavolo che occupava, una mano a sorreggere il libro e l’altra impegnata a limitare l’avanzata sul viso di qualche ribelle ciocca rossa smossa dal vento. Amava perdersi nei pensieri d’altri tempi che incontrava inchiostrati sulle pagine dei propri libri, ancor più quando questi sembravano pizzicarla nel profondo dell’inconscio costringendola a soffermarsi su questa o quella riflessione.
    Fu in quel nugolo di pensieri che comparve la limpidezza della voce gentile di Joo-Hyuk, leggera e morbida nonostante la sua figura avesse letteralmente appena fatto irruzione nel più intimo spirito dell’irlandese. Erin, d’altro canto, non esitò a sollevare gli occhi nei suoi per restituirgli un sorriso caldo quanto il sole d’agosto.
    «Esattamente!» Una voce pulita e sicura, nonostante il volto si immobilizzò d’esitazione subito dopo. «...Sempre che tutto stia andando secondo i piani.»
    Sporgendosi in avanti avvicinò un occhio ad una delle fessurine intagliate nella scatola, quasi bastasse uno sguardo ad assicurarsi che la lucertola pietrificata non fosse ancora morta asfissiata. Soddisfatta da quell’analisi amatoriale, tornò piuttosto a riservare la dovuta attenzione alle parole del Black Opal, uno spunto il suo che sembrava dover essere tutt’altro che casuale.
    «Da queste parti non sembra esserci un buon rapporto con le differenze in generale.» Fece spallucce, quasi dovesse scusarsi lei per delle tradizioni che neanche le appartenevano. «Io sono abituata a rispettarle.»
    Aggiunse con noncuranza, disinteressata a porsi al centro di qualsivoglia merito esattamente come in qualsiasi altro aspetto della vita. Viveva di comprensione ed inclusione fin da che aveva memoria, non ne aveva mai fatto un vanto né qualcosa potenzialmente enfatizzabile.
    Richiuse il libro sospendendo con esso persino la citazione della Christie su cui si era concentrata poco prima, ma ebbe l’impressione che non fu quel gesto a far virare l’attenzione di Kwon sulla sua lettura, sembrava piuttosto che l’attenzione dell’altro cadesse con estrema facilità su quei dettagli davanti ai quali la maggior parte dei coetanei si mostrava indifferente.
    «Oh, è L’Assassinio di Roger Ackroyd.» Lo strusciò sul tavolo per riporlo da parte, prima di accennare un sorrisino a metà tra il vispo e l’impacciato. «Lo so, è strano, ma ti assicuro che il suo sarà l’unico cadavere su questo tavolo.»
    Si sarebbe presupposto di lei che leggesse fiabe e romanzi rosa, guardandola, il fascino degli enigmi da risolvere non sembrava dover appartenere ad un animo tanto puro e genuino: solo il tempo avrebbe svelato quanto Erin Murphy non fosse altro che la punta del suo stesso iceberg.
    Recuperata una posizione più consona sulla seduta, indicò a Joo-Hyuk una delle altre poltroncine in ferro battuto, quindi spinse verso di lui una tazza ancora miracolosamente fumante di tè verde.
    «Dovrebbe essere ancora caldo.»
    Impugnò a propria volta il rispettivo recipiente, e riprese a parlare solo dopo aver scaldato l’esofago con un paio di sorsi bollenti.
    «È per la religione, quindi?» Indicò il tomo di Alchimia con un gesto distratto. «Ti va di spiegarmelo?»
    Era abituata a rispettarle, le differenze culturali, ma v’era un lato estremamente scalpitante nel suo spirito che era anche costantemente spinto verso nuove conoscenze. Qualsiasi cosa riguardasse l’ignoto o il non-ancora-svelato, era per Erin una fonte inestimabile d’attrazione.


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    Quasi che si aspettasse che quell'invito potesse in realtà celare dell'altro, si presentò sulla terrazza armato di tutte le intenzioni necessarie a capire chi aveva davvero davanti.
    Il più delle volte si limitava ad ignorare totalmente ogni minima occasione di fare amicizia, o anche solo vagamente avvicinarsi a tutte le persone che non conosceva, ma Erin Murphy era un'altra storia.
    Tutto, nella figura della ragazza, rappresentava ciò a cui lui non era minimamente abituato.
    Dai colori che la contraddistinguevano ai suoi modi di fare sì gentili, ma privi di quella sorta di imbarazzo e reticenza con cui era abituato ad avere a che fare nell'approcciarsi alle ragazze con le quali condivideva l'etnia.
    Eppure, incredibilmente, non c'era nulla di esagerato in lei e forse era proprio quel dettaglio a guidare la sua curiosità nei riguardi altrui.

    Ah, allora hai un piano.

    Fece finta di non dare peso al suo commento, eppure non riuscì a fare a meno di insinuare che ci fosse dell'altro ad averla spinta quel pomeriggio ad invitarlo lì. Ricondurre tutto ad una mera esercitazione di Alchimia era quanto di più banale e scontato potesse aspettarsi, quindi proprio non riusciva ad arrendersi all'idea che la cosa finisse lì.
    Liberatosi dell'ingombro della tracolla e del mantello, allungò il collo alla volta della scatola bucherellata che Erin aveva sistemato appositamente per la povera lucertola priva di coda.
    Spinse anche le dita di una mano a sollevare di pochissimo il coperchio di cartone, sbirciando all'interno del contenitore per poi lasciarsi cadere sulla seduta, coordinandosi con il movimento della scatola che veniva richiusa.

    Ho letto altro della Christie, ma non quello.

    Asserì, senza neanche più guardarla in volto, mentre armeggiava con le proprie cose per cavare fuori dalla tracolla l'occorrente per dedicarsi all'esercitazione. Tornò a guardarla solo nel momento in cui l'Ametrin gli porse la tazza di tè verde fumante.
    Fece sfilare lo sguardo dalle sue mani avvolte attorno alla ceramica fino al suo viso, quindi posò entrambi i gomiti sul blocco degli appunti, prendendo a scrutarla con un'insistenza che a chiunque sarebbe parsa un po' anomala.

    Ti piacciono le cose da risolvere?

    Impressa a ferro e fuoco in quel complemento oggetto si nascondeva una miriade di significati.
    Era evidente il riferimento al libro giallo che la rossa stava leggendo, tuttavia il suo quesito pareva espandersi come una fastidiosa macchia d'olio ad insozzare tutto ciò che Erin non gli aveva ancora confessato di sé. Ma semplicemente perché non ne aveva ancora avuto l'occasione, poiché lo sguardo che le stava riversando addosso era esigente quanto la più legittima delle pretese.
    Per nessun motivo.
    Lo era e basta.
    Solo a quel punto volle recuperare la tazza, avvolgendo i palmi attorno alla superficie bollente quasi che non riuscisse davvero a percepirne il calore. Il fatto che i suoi polpastrelli finirono con lo sfiorare il dorso delle mani altrui rappresentava solo un apparente dettaglio al quale non diede alcun peso.

    Sono buddhista. Ogni forma di vita è espressione della forza dell'universo e, in quanto tale, possiede un'anima che dopo la morte torna ad abitare in un nuovo corpo. Conosci la dottrina del Samsara?

    Chiese a quel punto, seppur il suo tono lasciava intendere come non si aspettasse davvero che Erin potesse conoscere la risposta alla sua domanda.
    Accennò dunque alla scatola chiusa con un lieve movimento del capo.

    Mi fai vedere?

    Puntellò i gomiti sulla superficie del tavolo e sollevò la tazza, soffiando placidamente sulla superficie della bevanda e portando il fumo denso che spandeva da quella a spezzarsi in rivoli sconnessi che fluttuarono verso l'alto, così come fecero anche i suoi occhi.
    Ma solo per qualche istante, prima di tornare da lei.
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