Mi mandi in bestia!

Jessica

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  1. Lucas Jughed Jones
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    Le parole erano come lame, fredde e taglienti. Uno di quei tagli dolci che sarebbe stato notato solo dopo esser stato fatto. Farsi male non era mai stato il loro gioco preferito.
    Erano cielo e stelle.
    E non esistevano uno senza l'altro. Se uno si spegneva, l'altro era buio. E il buio ora si stava affacciando su di loro, come un assassino, pronto a distruggerli e ad inghiottirli entrambi, se non avessero brillato di nuovo. E potevano farlo solo insieme, ma questo era difficile, in quel momento, come se stessero lottando l'uno contro l'altro, spinti da quel buio che li incitava a ferirsi. Pareva che sapessero solo gettarsi veleno addosso, come se tutto quello fosse stato nascosto nella mente di entrambi e stessero solo tirandolo fuori.
    In lei vedeva il suo mondo andare in pezzi, come se stessero mancando le fondamenta di un qualcosa messo su in quegli anni in cui erano stati il porto sicuro l'uno dell'altro.
    Gli occhi parlavano, era come se stessero cercando di urlarsi contro quel non detto di cui entrambi avevano paura. Quando era successo di aver accumulato tutto quel non detto? Era tutto troppo strano, Lucas non sapeva come gestire tutto questo e lo stava facendo nel modo più sbagliato, ne era certo, ma la rabbia lo aveva schiacciato.
    Sentì quelle parole e scosse il capo. Erano illogiche o lui non voleva capire, perché suonavano come qualcosa che andava oltre quello che erano stati finora. Era come se entrambi stavano facendo faccia a faccia con le conseguenze di quello che avevano creato, fingendo di essere perfetti nel ruolo di amici con benefici, senza accorgersi che forse qualcosa di diverso li spingeva dall'altro.
    No, Lucas non voleva crederci, era un errore. Era così sbagliato che quell'idea gli saltasse alla mente che quasi si stava incazzando ancora di più.

    «Troppo? E quindi? Per questo vuoi fermarti?»

    Era sempre più confuso, come se avesse ben chiaro dove stessero finendo e sentendo una morsa allo stomaco dentro di lui. Che avessero condiviso troppo non era una bugia, ma non ne aveva abbastanza, almeno lui. Voleva condividere ancora tanto con l'opale, ma sembrava quasi che lei volesse tirarsi indietro da quella che era la loro perfezione. Continuavano a ferirsi con quelle parole che facevano più male di schiaffi in faccia. Era come se Lucas sapesse intorno a cosa stavano girando entrambi, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo all'altro, di rinfacciare come quel loro piano stesse andando in fumo e stesse sfuggendo dalle loro mani.
    Quel colpo inferto da lei aveva allontanato i loro corpi, ma non aveva fatto passare la rabbia, anzi, l'aveva alimentata come benzina sul fuoco.
    Sentì le sue parole. Non era vero, era che non volesse capire. Lui stava capendo in che cazzo di casino si stavano ficcando, ma aveva paura di comprenderlo e reagiva con rabbia, affinché lei non arrivasse alla sua stessa conclusione.
    Conclusione che esplose come una dinamite poco dopo.
    Quelle parole urlate come se fossero mine anti-uomo. Gli arrivarono come pugni in pieno volto. Lo colpirono, tanto da farlo indietreggiare e stringere la mano sulla camicia, all'altezza dello stomaco dove lui l'aveva colpita.
    Quello stesso stomaco che ora stava per rigettare fuori i pasti di poco prima. Le sue successive parole furono ovattate, come se quell'esplosione stesse ancora fischiando nei padiglioni auricolari. La sua frase aveva spaccato in mille pezzi, il cristallo di rabbia che lo stava assalendo, facendolo frantumare in terra.
    Non disse niente, rimase in un religioso silenzio, mentre lei tagliava di nuovo quella distanza, tornando vicino a lui.
    Solo in quell'istante si accorse che aveva sentito freddo, quando lei si era allontanata e ora, quel calore stava pian piano tornando, il tepore di quel contatto che lei cercò, ruppe la monotonia di quel silenzio. Lo spogliò di quel cappellino, quindi sentì quella presa e un brivido quando i loro occhi si incrociarono. Ancora stavano lottando, ma ora lottavano per altro. Combattevano perché in quel momento sarebbero usciti da quella guerra solo in una maniera: o insieme o da soli.
    Ogni sua parola non aveva più senso.
    Non la stava realmente ascoltando, per quanto sentisse tutto quello che aveva da dire.
    E se tu non ricambiassi?
    Quella domanda era un ridondante suono nella sua mente.
    La testa venne lasciata e lui la tenne dritta, leggermente col mento all'insù. La dolcezza di quel tocco gliela fece abbassare, lentamente, mentre gli occhi di ghiaccio non avevano lasciato un attimo il volto di lei. Jessica avrebbe potuto la mascella ancora stretta in una morsa.
    Scosse la testa quando tornò a darsi dell'errore, della scopata da gettar via dopo.
    Non era mai stata questo per lui.
    Mai.
    Perché non riusciva a parlare? La paura attanagliava l'ametrino, che si ritrovò a fare faccia a faccia con immagini di loro, di quanto stavano bene e di come era fondamentale la sua presenza nella propria vita.
    Sentì le mani di Jessica arpionarsi alle proprie spalle e guardò il suo volto mentre le loro fronti si sfioravano.
    Quell'odio non era reale, ora lo sapeva. Quello che era reale erano loro.
    Le braccia di lui si mossero, forse dopo troppo tempo e cinsero la sua schiena, a sostenerla e fargli sentire che era là.

    «Non posso prometterti che andrà sempre tutto bene.
    Ti direi una bugia.
    Ci saranno delle volte in cui non andremo d'accordo,
    delle volte in cui penseremo di non bastarci più.
    Delle volte in cui ci urleremo contro,
    ed io bagnerò il mio cuscino di lacrime
    e tu sarai scontrosa con tutti e sarai triste.
    Ma ti prometto che farò il possibile per restare in piedi,
    per non far crollare il castello che stiamo costruendo.
    Ti prometto che quando sarò in difficoltà,
    quando avrò bisogno di aiuto, quando mi sentirò solo,
    sarai tu la prima persona alla quale penserò.
    Ti assicuro che vorrò ancora un futuro insieme a te,
    anche tra qualche anno.
    Ti assicuro che anche quando litigheremo
    io cercherò sempre di chiarire e di far la pace.
    Ti prometto che cercherò di abbracciarti sempre,
    che ogni bacio non dato sarà un dramma per me.
    Ti prometto che cercherò di fare del mio meglio per noi due.
    Ti prometto che, anche se non tutto andrà sempre bene,
    cercherò di farci rinascere dalle macerie
    e di rimettere insieme i cocci
    che poco prima ci eravamo scagliati contro.»


    Recitò quella poesia che aveva preso da un libro di autori anonimi, sussurrandola piano, mentre le sue braccia l'avvolgevano, ritrovando il tepore che la distanza gli aveva tolto. Furono le prime parole che gli vennero in mente dopo che lei aveva detto tutto quello che passava per la sua testa. Era come se avesse lenito la sua rabbia, come se - togliendogli il cappello - avesse strappato via le difese del moro.

    «Non sei mai stata una scopata quando capita, JJ. Con te passerei notti intere a guardarti dormire, senza nemmeno sfiorarti. E' la paura che ci frena, il nasconderci dietro le nostre esperienze pessime, non ci permette di guardare verso di noi

    La spinse piano verso di lui e con la fronte spinse la sua affinché guardasse il suo sorriso dolce. Poi una mano le sollevò di nuovo il mento, questa volta con una delicatezza come se fosse così fragile da romperla.

    «Anche io ti odio. Ti odio perché pensi che io non possa ricambiare.»

    Un sussurro così basso, sembrava più un soffio di vento caldo.

    «E se davvero pensi di essere un errore, sei solo una scema. Un errore non rende piene e perfette le mie giornate. E se invece lo fa, allora sei il mio errore migliore.»

    Il suo capo cercò di avvicinarsi di più, quasi a voler avvicinare le loro labbra lentamente, se glielo avesse concesso, senza asciugare quella lacrima perché era anche quello il sapore che andava assaggiato.

    «E chi siamo noi, per non concederci il più grande errore che ci fa star bene?»

    Avrebbe tentato di imprimere le proprie labbra su quelle delle ragazza, piano, dolcemente, non trasportato dall'impeto sessuale, ma da qualcosa di differente.
    lucas j. jones

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