Parola di scout.

Erin Murphy

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  1. Erin Murphy
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    Aula di Alchimia, un giorno prima.
    Si era voltata giusto in tempo per incassare il bisbiglio rivoltole dal riccio accanto a Joo-Hyuk, ma non poté dirsi altrettanto rapida ad indovinare quel che realmente significasse.
    «Domani? Io non...»
    ...posso, sono sicura, ho idea. Mille modi di concludere una frase che rimase invece sospesa a metà: il Dioptase non la stava già più guardando, figurarsi se l’avrebbe ascoltata. Nonostante l’evidente intonazione interrogativa, quella appena ascoltata parve dover essere la più retorica delle domande mai ricevute da Erin.
    Tornò concentrata sulla fine della lezione con un cipiglio confuso tra le sopracciglia, rimandando ogni valutazione a più tardi.

    Corridoio appena fuori dalla Sala Grande, un giorno dopo.
    Impossibile negare che se la fosse presa comoda, Erin Murphy, come altrettanto lo era la certezza che l’irlandese avesse completamente, irreversibilmente, e rovinosamente dimenticato l’appuntamento siglato senza troppe clausole alla lezione di Alchimia. Aveva mangiato una doppia razione di zuppa, trangugiato un paio di bicchieri di succo, e parlottato occasionalmente con alcune compagne di casata a cui si era unita per la cena. Tutto come al solito insomma.
    Fu accanto a loro che uscì, quando ormai la sala andava svuotandosi, e fu proprio loro che vide sgattaiolare via in preda ad un improvviso rossore di gote quando qualcuno parve rivolgersi proprio a lei con parole inequivocabili, scandite da una voce che solleticò reminiscenze vaghe in una memoria davvero pessima.
    Julian, il riccio di Alchimia.
    Julian, il riccio di Alchimia che le aveva chiesto cosa facesse l’indomani.
    Julian, il riccio di Alchimia che adesso la guardava in una chiara personificazione di tutti i suoi sensi di colpa.
    «...Oh!» Ti passo a prendere dopo cena e ci facciamo un giro. «Certo! Mai stata così pronta.»
    Mai stato così falso.
    Prima o poi sarebbe riuscita a trovare una pozione concilia-memoria sufficientemente forte da farle tenere insieme i pezzi della sua vita, magari un distillato arcano, un rituale voodoo, qualcosa che ponesse rimedi ai casi persi insomma.
    Il rovescio della medaglia di un’anima così disorganizzata, comunque, era appunto l’abitudine a non organizzare praticamente nulla; non avrebbe fatto alcuna differenza il ricordarsi di quell’appuntamento - se così lo si voleva chiamare - Erin non era avvezza ad incipriarsi il naso od abboccolarsi i capelli, in un caso o nell’altro Julian l’avrebbe trovata esattamente come la stava vedendo adesso, forse solo con meno rimorsi di coscienza tra le lentiggini.
    Era una fortuna che l’altro paresse completamente focalizzato sulla propria persona, un egocentrico votato al bene, un oratore delle masse quasi. Il ritratto che Erin scolpì nella mente aveva molti più dettagli di quanti sarebbe stata pronta a confessarne, ma la natura l’aveva privata anche della più innocua inclinazione al pregiudizio, perciò bastò la solita leggerezza a spolverare via i pensieri per riportarla, come d’abitudine, a cogliere semplicemente l’attimo che stava vivendo.
    «Erin Murphy, colei a cui non basterà tutta la vita per riuscire a conoscerlo tutto, questo castello. Può andare?»
    Accennò un sorriso, dopo aver accettato senza alcuna malizia il braccio che lui le offriva. Dire che differissero in statura sarebbe stato un eufemismo, niente a cui la Murphy non fosse già abituata, e non sarebbe trascorso molto tempo prima che i due risultassero caratteristicamente opposti su parecchi altri fronti.
    «Allora non è vero quello che dicono dei Dioptase.»
    Iniziò, vaga e pensosa, facendo appello a tutte le abilità di colloquialità di cui aveva avuto modo di munirsi negli anni. Sapeva apprezzare anche il silenzio, Erin, ma si trovava molto più a proprio agio nella conversazione, e non era da escludere dalle considerazioni la sana meraviglia che era in grado di provare ad ogni nuova conoscenza. Avrebbe lasciato quel mondo piena di informazioni e saperi, lo diceva sempre, se Julian poteva collaborare a quell'impresa nessuno se ne sarebbe lamentato.
    «Persone arroganti ed egoiste non offrirebbero mai né il braccio né la condivisione di una delle loro stanze preferite ad una perfetta sconosciuta.»
    Gli schioccò dal basso un’occhiata incuriosita, del tutto incurante di quanto i tratti femminili del suo volto stridessero con l’innocenza di cui era invece intrisa ogni sua parola.
    Era la condanna di Erin Murphy, quella, l’essere completamente inconsapevole della propria presenza nel mondo.


    RevelioGDR
     
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1 replies since 20/11/2022, 22:51   97 views
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