Non aveva mai ben compreso la questione delle casate. Aveva frequentato la scuola babbana, per un paio di anni, e le pareva che questa funzionasse benissimo anche senza alcuna divisione. Onestamente le metteva l’ansia il concetto di poter far perdere dei punti a tutti i suoi compagni (che poi era proprio lo scopo delle squadre): se si comportava male si meritava una punizione, nella stessa maniera in cui se eccelleva meritava un premio tutto suo. Dividere non le piaceva. Le piaceva ancora meno il vincere o perdere una coppa per qualcosa che non aveva fatto. Un sacco di punti se li beccavano quelli del Quidditch, e lei avrebbe volentieri dato fuoco a tutte le loro scope, quindi che senso aveva?
Nei serpeverde, in ogni caso, si era trovata bene. Non si era mai annoiata nei sotterranei, quello era poco ma sicuro. Le sarebbero mancati quei figli di puttana, ma non tutto poteva durare per sempre. Ed avrebbe preferito morire che tornare tra i babbani. Quindi aveva scelto Hiddenstone.
L’idea di stare su un’isola non la attirava particolarmente (non era molto brava a nuotare), ma il coprifuoco più permissivo l’aveva attirata subito. Quello e l’assenza di bambini, che con le bacchette in mano non facevano altro che casino e scassavano le palle ai più grandi. E gli facevano perdere punti, per l'appunto. E pensare che sarebbe stata lei la novellina, adesso. Anche se, come tutti i sedicenni che si rispettino, si sentiva già adulta.
Ammirò il profilo della scuola, una volta che la barca riemerse dall’acqua (per quanto potesse vederlo, si intende). Seguì il custode senza pronunciarsi ad alta voce, non una parola per i compagni che, come lei, stavano per essere smistati. Anzi, di buon grado lasciò che il proprio bastone andasse a colpire le caviglie di un povero malcapitato. Il messaggio era chiaro: “stammi lontano”.
Una volta in Sala Grande, la stanza illuminata solamente da dei fuochi fatui, decise di inforcare i suoi occhiali: questi avevano lenti spesse con un fondo di bottiglia, le facevano venire un mal di testa incredibile e, soprattutto, la facevano sembrare una totale idiota. Ma ci vedeva, perlomeno, anche in quella luce soffusa di stocazzo, che supponeva servisse a rendere l’atmosfera misteriosa. Lo smistamento sembrava abbastanza importante, non voleva perdersi nulla.
Si avvicinò alla statua dello Snaso, una volta chiamata. Era un po’ scettica per la scelta della mascotte, ma sollevò comunque la bacchetta. Era più nervosa di quanto fosse disposta ad ammettere, in verità. I nuovi inizi spaventano tutti, dopotutto. Ma avrebbe affrontato questo con la sua solita strafottenza: chi non si aspetta nulla, in fondo, non può rimanere deluso.
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