Diritti, prima che doveri

Louise&Cassedy

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  1. Louise De Maris
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    LIBERTÀ
    Stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.
    Sinceramente? La giovane ametrina non si aspettava di essere nominata Prefetto della casata Ametrin e quasi non era riuscita a credere alle sue orecchie per i non-troppo-indiretti complimenti della Preside sul suo conto, durante la cerimonia post giochi. Non poté evitare di farsi diverse pare mentali: era davvero pronta per quella mansione? Louise non aveva molti amici e, in qualche modo, sembrava non riuscire a stringere quel tipo di rapporto. Se la si vedeva in giro, era, per la maggior parte del tempo, sola e raramente in compagnia dei dioptase Nicholas Mc Callister e Regina Beauvais e ancor di meno con Blake Barnes. Lui sì che era stata una scoperta: aveva sgranato gli occhi quando Victoria si era rivolta all’opale e sulla sua uniforme era comparsa la spilletta da Prefetto. Non se lo aspettava, dopo tutto, ancor di più di quanto non si aspettava su lei stessa. Aveva sentito le voci che giravano sul conto dell’opale e sapeva quanti guai avesse combinato in quella scuola, ma… nonostante tutto, Louise era sicura che se lo meritasse. Lei credeva in lui, come non mai, e avrebbe dovuto imparare presto a credere anche in sé stessa.
    I tacchetti delle sue scarpe batterono sul pavimento in pietra senza alcuna sosta o perdita di cadenza. Il loro rumore riecheggiò per il grande spazio che costituiva il bagno femminile. La borsa a tracolla pendeva dalla sua spalla, pesante: c’era una quantità assurda di cose lì dentro.
    Tutto si aspettava, tranne che di sentire indistintamente quelli che riconobbe come conati di vomito… le era capitato così tante volte di rimettere che, ormai, non le dava più fastidio né il suono, né l’odore, né, ancora, l’aspetto del vomito.
    In un primo momento, si fermò sui suoi passi e inclinò il capo d’un lato, sforzandosi di capire cosa stesse succedendo, mentre le rotelle degli ingranaggi mentali roteavano per mettere insieme i punti del puzzle.
    Una volta compreso, si avvicinò alla porta del bagno da cui sembrava provenire il tutto e bussò.
    - Tutto bene? – domandò con un filo di preoccupazione nella sua voce.


    18 ANNI
    AMETRIN
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    LOUISE DE MARIS
    Una donna è libera nel momento in cui desidera esserlo.
     
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    Non si vive per accontentare gli altri! Davvero? Non lo avevo capito!
    30.07.2006, BERLINO - 16 ANNI - AMETRIN
    Era successo di nuovo. In realtà non aveva mai smesso di farlo, ma quella settimana era stata particolare, non poteva uscire dal dormitorio fuori orario, farlo nel bagno del suo stesso dormitorio era impossibile, l'avrebbero sentita e soprattutto non voleva in nessun modo che qualcuno scoprisse il suo segreto. quella sera, comunque aveva mangiato tanto, si era abbuffata in maniera che neanche lei poteva credere, il suo stomaco chiedeva altro cibo, altro ed altro. Aveva deciso che tutto quello era sensato, e che doveva mangiare fino a quando non ce l'avrebbe fatta più. Sapeva anche che una volta che il suo stomaco si fosse saziato, allora la sua mente avrebbe cominciato a parlargli in maniera cruda, nuda e soprattutto in maniera tale da farle venire dei sensi di colpa così atroci che non avrebbe trattenuto niente di tutto quello che aveva ingurgitato fino a quel momento. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto chiedere seriamente aiuto, ma in quel momento sapeva di avere tutto quanto sotto controllo, giusto? Aveva tutto quanto in mano, sapeva quando smetterla e come smetterla. No, non era vero, ma era la cosa che tutti i drogati si ripetevano e per lei quella era la sua droga, la sua dannazione. Era insicura e quell'insicurezza la rendeva completamente succube delle sue stesse paranoie e non riusciva veramente ad uscirne. Alla fine, comunque, era successo, era sempre così ed oramai era quasi abituata. Il senso di colpa, il fatto di mettersi davanti allo specchio e sentirsi grassa, subito dopo salire sulla bilancia e vedere quel chilo in più l'avevano indotta a correre in bagno, buttare i guanti di pelle per terra, almeno della mano destra, ed infilarsi due dita in bocca, in maniera profonda, violenta. Le nocche erano spaccate, si sa che lo stomaco contiene acido, erano logorate. Doveva imparare a prendere un cucchiaio di metallo, eppure niente, le dita la rendevano meno colpevole, nonostante, il vomito fosse corrosivo. Quella era la giusta punizione che le spettava. Si morse ancora il labbro, non fece altro che vomitare, e per non smettere lasciò le dita in gola. Non si rese conto che c'era qualcuno. Si fermò per un momento, era sudata, gli occhi lucidi e rossi, la vista completamente annebbiata, era pallida in viso. Sentì quella voce e rabbrividì. Si. Tutto bene! Ma aveva una voce tremante ed oramai aveva cominciato quel processo, quindi il tempo di dirlo che vomitò di nuovo Era in ginocchio per terra, fino a quando non si mise con la schiena sul muro. Era sfinita, ma aveva lo stomaco completamente libero. Cercò di darsi una sistemata, mise i guanti in tasca, riprese la sua roba ed uscì dal bagno. Sorrise, per quello che potè alla ragazza e andò verso i lavandini. Ma nessuno vomita così tanto e rimane in piedi, quindi le venne un mancamento e si appoggiò con entrambe le mani sul lavandino, chiuse gli occhi. Era chiaro che non stesse bene.
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  3. Louise De Maris
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    LIBERTÀ
    Stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.
    Louise era seriamente preoccupata: aveva poggiato l’orecchio sulla porta del bagno, d’istinto, nonostante fosse facilmente udibile il suono proveniente dall’interno anche senza mettercisi sopra. Corrugò la fronte mentre si chiedeva come potesse la ragazza vomitare così tanto. Okay, sì, anche lei espelleva senza smettere quando iniziava, ma… erano pensieri derivati da una seria apprensione. Non poteva credere che lei stesse rispondendo di stare bene, quando stava vomitando anche l’anima. E poi la sua voce era tremula! Non mancava molto perché Louise aprisse quella porta, anche a costo di utilizzare la sua bacchetta, ma Cassedy anticipò le sue mosse e uscì dal bagno. Aveva un aspetto a dir poco terribile: era sudata, pallidissima in volto, tremava leggermente. Non corrispose al sorriso, perché non c’era nulla da sorridere in quel momento. La osservò, con le braccia tese lungo i fianchi e la bacchetta tra le mani, mentre si avvicinava ai lavandini e poggiava i palmi contro il bordo di uno di essi per non cadere a terra.
    - No, non stai bene. – disse, più seria che mai.
    Si avvicinò velocemente all’ametrina. La prese per le spalle e fece pressione su di esse affinché seguisse i suoi comandi.
    - Prima di tutto, ora ti siedi. A terra, sì – affermò, prima che lei potesse ribattere, se mai fosse stata una ragazza schizzinosa e le fosse venuto in mente di obiettare.
    Ricordava di aver portato un bicchiere con sé, che era nella sua borsa assieme a una bottiglietta d’acqua.
    - Un attimo solo – enunciò, prima di raggiungere il sacco che aveva lasciato per terra, vicino alla porta del bagno dov’era stata Cassedy e prese sia il bicchiere sia la bottiglietta. Riempì il primo e lo consegnò alla ragazza, con alcune raccomandazioni: - Mi raccomando, a piccoli sorsi -.
    Le porse anche un pacco di crackers.
    - Mangia anche questi, ti aiuteranno a reintegrare i sali persi e a introdurre acqua nell’organismo -
    Il suo tono era fermo, ma gentile.



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    30.07.2006, BERLINO - 16 ANNI - AMETRIN
    Non c'era mai stato nessuno dietro la sua porta a tranquillizzarla oppure ad aiutarla. Sua sorella era sempre a lavoro e quando era a casa Cassedy cercava sempre di non darle nessun peso, di farla stare bene e di non farla preoccupare per nessuna ragione al mondo. Era qualcosa che non riusciva a smettere di fare, quei suoi momenti erano i soli in cui riusciva davvero a guardarsi allo specchio, i soldi che riusciva davvero a capire quanto male si voleva e quanto inadeaguata fosse la sua esistenza, la sua intera esistenza. Si poggiò per terra ed eseguì alla lettera tutto quello che Louise le chiese di fare, tranne di mangiare i crekers. Quelli no. Il solo pensiero di mangiare, in quel momento la spaventava. Scosse il capo violentamente, distese le gambe sul pavimento e poi chiuse gli occhi, i capelli rossi vennero spostati da un laro e la testa venne poggiata sulle mattonelle del bagno. Prese la bottiglietta d'acqua e cominciò a bere a piccolo sorsi. é solamente una scemenza. Io sto bene, davvero, o dei cali di zucchero improvviso ma non voglio magiare, per favore... Rispose sinceramente e sentendo le lacrime fare capolino vicino agli occhi. Si, doveva uscire da li. E se lei fosse stata come Betany? Che prima l'aveva aiutata e poi aveva usato contro di lei le sue debolezze? Si mise entrambi le mani in faccia. Non dirlo a nessuno. Sto bene, davvero. Era un pò contraddittoria, ma era comunque una persona che, specialmente in quel momento, non riusciva a fare altro che strofinarsi le mani, quella destra puzzava ancora di vomito e sentire il peso del mondo sulle sue spalle. Aveva deluso di nuovo sua madre, lo sapeva. Ne era cosciente.
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