The angel from my nightmare

E.M.

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  1. Erin Murphy
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    Erin Brighid MurphyAmetrin

    Non era mai stata la fortuna, il suo punto forte.
    Fin da quand’era venuta al mondo Erin aveva dovuto far fronte ad una sorte perennemente avversa, disinteressata, e spesso cinica nei riguardi di uno spirito troppo avventuriero per poter contemplare una qualche sorta di prudenza.
    Chi dunque si sarebbe sorpreso scoprendola ricoverata d’urgenza in infermeria ancor prima che il primo anno scolastico a Hidelstone potesse veder compiuti i suoi primi due mesi?
    Non ricordava granché dell’incidente, quel che non avrebbe mai dimenticato era piuttosto la sensazione rovente nello stomaco, una nausea irrefrenabile quanto l’ebollizione di un vulcano, e poi il voltastomaco che l’aveva prosciugata di qualsiasi energia: intossicazione da pozione malriuscita, quella la diagnosi. Non contagiosa, ma bisognosa di sorveglianza costante ed un’infinità di lavande gastriche a base di intrugli dal sapore insopportabile.
    Si era risvegliata in un letto troppo candido per i suoi gusti, asettico e sconfortante, il volto giudicante di un’infermiera a rimproverarla tacitamente per l’esperimento finito male, e la prima ondata di scoraggiamento come unica fedele compagna di giorni e notti.
    Non era la prima volta che si trovava costretta ad arrestare la sua perenne corsa alla vita, da ragazzina si era rotta qualche osso durante corse ed arrampicate, era crescita con le ginocchia eternamente sbucciate da esplorazioni incaute, ma quel primo fallimento nella nuova strada consapevolmente intrapresa sembrava dover pesare più di qualsiasi altro imprevisto incontrato prima d’allora.
    Aveva un valore tutto suo, per lei, Hidenstone. Non era il desiderio d’orgoglio da far guadagnare alla famiglia, né l’ambizione irrefrenabile di chi volesse costruirsi chissà quale carriera, non l’arroganza né l’esuberanza, era semplicemente la più innocente voglia di rivalsa. Non personalmente sua, ma di colui il quale quella scalata al successo se la vedeva stroncare sotto ai piedi a cadenza terribilmente regolare, ostruita e oltraggiata da un destino ben più crudele di quello spettato alla rampolla irlandese.
    Il pensiero che Joshua scoprisse quanto appena accaduto non la demoralizzava - certa che il ragazzo si sarebbe limitato a prenderla bonariamente in giro per quella goffaggine caratteristica in ogni sua impresa - ma se si soffermava a pensare a quanto banale fosse stato il motivo della sua frenata in confronto agli impedimenti ben più gravi che toccavano a lui la abbatteva completamente, gettandola in un abisso di delusione nei riguardi di se stessa che contribuì a rendere tutt’altro che sopportabili i giorni di convalescenza.
    Quel giorno aveva lasciato raffreddare il pranzo sul comodino ed ingurgitato unicamente la pozione curativa, il pallore sul suo volto faceva risaltare più del solito la miriade di lentiggini e la folta chioma fiammante già per natura indisciplinata; qualche ora trascorsa a leggere i manuali delle lezioni che stava perdendo, finché un sonno nutrito esclusivamente dalla noia non era sceso ad appesantirle le palpebre, convincendola a raggomitolarsi sul lato che rivolgeva alle vetrate per abbandonarsi ad un riposo che il corpo a dispetto dello spirito bramava disperatamente.
    Sognava parecchio, in quei giorni, sognò anche quel pomeriggio, complice certo la tempesta di pensieri e sensazioni che il nuovo inizio le aveva infuso nella testa fin dal primissimo giorno. Non avrebbe ricordato nulla della dimensione onirica, ma quando qualcosa o qualcuno le mosse il materasso, fendendo lo strato di incoscienza con una voce inconfondibile, Erin non pensò neppure per un istante che quella non potesse non essere la realtà.
    Con una boccata d’aria strozzata in gola, più sorpresa che spaventata, spalancò di slancio gli occhioni verdi, le labbra a schiudersi istintivamente in una reazione intorpidita dal sonno.
    «Possiamo vivere come Jack e Sally se vogliamo...»
    Parole che sentiva appartenerle più di qualsiasi altra garanzia, un innesco infallibile ad un cuore che perse un paio di battiti nell’attimo in cui le percepì. Seppe ancora prima di voltarsi quale volto avrebbe trovato vicino, eppure l’adrenalina che le si riversò nelle vene non trasse da quella preparazione alcun tipo di attenuante.
    «...Non è possibile.»
    La voce ancora sporca di sonno, le ciglia che tentavano di impedire alla luce di ferirle gli occhi, e sulle labbra la nascita di un sorrisone che non sarebbe riuscito a nascondere neppure una di tutte le emozioni che la assalirono in quella primissima messa a fuoco.
    «L’angelo dal mio incubo...»
    Sentì la gola stretta incrinare le ultime sillabe, deglutì inutilmente, e senza più indugiare fece quel che le era sempre più riuscito più naturale.
    Ritrovarlo, raggiungerlo, sentirlo.
    Un leggero colpo d’addominali la slanciò abbastanza da gettargli le braccia attorno al collo con la vitalità che la caratterizzava, vittima di una mancanza di equilibrio che l’avrebbe costretta a ricadere indietro un attimo più tardi, ma con lui teneramente imprigionato a sé, tocco di vita su un letto che sapeva di sterile ed anonimo.
    Lasciò che la bocca le si riempisse di una risata sommessa che era sfogo, esultanza e sollievo, le ciglia a trattenere due fili umidi di emozioni sul bordo delle palpebre, ed il cuore impazzito che rimbalzava in un petto rimasto spento troppo a lungo.
    «Dimmi solo che sei qui per restare.»
    Un sussurro, affidato direttamente all’orecchio di lui, prima ancora di sentirsi pronta a sciogliere la stretta, ma come sempre forte e pronta a sostenere anche la più cruda delle verità.


    RevelioGDR
     
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7 replies since 6/11/2022, 23:28   173 views
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