Nemmeno quando la cerchi si trova pace!

Louise&Irina

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  1. Louise De Maris
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    LIBERTÀ
    Stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.
    Gli ultimi tempi si erano fatti duri per l’ametrina: le lezioni, i doveri da prefetta che soccombevano, i compiti, i suoi sentimenti nei confronti di un determinato opale che proprio non riusciva a capire, lo studio extra che si imponeva fino a notte fonda. Non che si stesse dirigendo al Labirinto per divertirsi: in effetti, pendeva dalla sua spalla destra una borsa a tracolla, all’interno della quale erano riposti un quaderno a righe e il manuale di Antiche Rune. Voleva cominciare a dar un’occhiata al materiale per lo svolgimento dei compiti e, sinceramente, aveva anche voglia di portarsi avanti.
    Ora che ci pensava, avrebbe dovuto chiedere a Blake di allenarla, se ne avesse avuto voglia. Si stava impelagando tra troppe faccende da sbrigare con le sue stesse mani, ma c’era un motivo esatto per cui persisteva su quella strada: voleva vivere tutto senza rimpianti, fino alla fine, fino all’ultima goccia. Non sapeva quando il dolce sonno eterno sarebbe sopraggiunto su di lei, se in giovinezza o vecchiaia. Certo era che aveva rischiato la morte più e più volte, non solo per mano sua, ma soprattutto per mani dell’uomo che si faceva chiamare “zio”. E se lui avesse deciso, un giorno, di mettere fine alla vita della nipote, lei avrebbe voluto poter pensare di aver fatto tutto quello che aveva sempre desiderato e di aver reso, in qualche modo, orgogliosa i suoi genitori. Di aver lasciato qualcosa su questa terra che ricordasse lei.
    Era pienamente consapevole di non voler essere più invisibile – beh, non sempre… in quell’esatto momento, non stava facendo altro che rifuggire tutti gli studenti, soprattutto primini, che accorrevano per chiederle spiegazioni, informazioni e molto altro; perché Louise aveva bisogno di studiare in santissima pace. Il labirinto sarebbe stato il posto perfetto: nessuno poteva metterci piede, per regolamento. Sì, lei lo stava infrangendo. Ma era una prefetta, no? Se non avesse preso vantaggio dalla sua nuova posizione, sarebbe stata una stupida. E, poi, era la situazione che la costringeva a infrangere il regolamento.
    Osservò il cielo limpido, azzurrissimo. In seguito, virò lo sguardo nuovamente sull’orizzonte, mentre uno spazio tra i muri di foglie del labirinto si profilava alla vista.
    “Finalmente!”. Si fece strada all’interno di questo: non sarebbe andata troppo in profondità, non voleva perdersi. Una brezza fredda punse la pelle delle sue mani, trapassando anche il tessuto del cappotto. Si sfregò le braccia, per farsi calore.
    Lasciò cadere la borsa sull’erba, con uno sbuffo. Stava per sedersi, quando una ragazza sbucò all’improvviso da una curva. Louise la osservò, con la fronte corrugata e le sopracciglia alzate: era una Dioptase. Non l’aveva mai vista l’anno precedente, quindi era sicuro una matricola. Si sarebbe aspettata un Black Opal o un altro Ametrin, ma un Dioptase che infrangeva le regole? Proprio no.
    - Non dovresti essere qui – disse semplicemente, con tono educato, ma fermo, mentre dentro scoppiava letteralmente un boato di irritazione. Possibile che non aveva mai un cazzo di attimo di pace?

    18 ANNI
    AMETRIN
    SCHEDA PG
    STATISTICHE
    LOUISE DE MARIS
    Una donna è libera nel momento in cui desidera esserlo.
     
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    Irina Meier I - Dioptase
    Due mesi erano troppo pochi per potersi ambientare in uno spazio così nuovo come lo poteva essere l'accademia di Hidenstone. E soprattutto per una ragazza come Irina che le piaceva curiosare in giro per comprendere i misteri più celati delle cose attorno a lei. Due mesi in cui stette per la maggior parte del tempo da sola a crogiolarsi tra i suoi pensieri vivendo l'attimo con una nota di distacco rispetto ai suoi compagni. Neanche sapeva i loro nomi, neanche si ricordava i loro volti, neanche aveva provato a parlarci. Tranne quando erano loro a farlo e allora, solo allora, si poteva udire la sua voce quasi quanto un premio calato tra le braccia.
    Irina.
    Le voci nella sua testa erano sempre presenti. Ci provava a scacciarle via ma non ci riusciva, era troppo debole. O loro troppo forti. Erano state proprio quelle voci a portarla, quel giorno, al tanto misterioso se non pericoloso labirinto del giardino della scuola. Un luogo così affascinante e malinconico allo stesso tempo. Un luogo pieno di incognite che ti poteva risucchiare per non farti più uscire. I labirinti erano fatti così; ci si poteva perdere al loro interno o, peggio, ci si poteva incontrare qualche creatura che ci aveva stabilito dimora. Irina non sapeva quanto di tutto quello fosse vero ma la sola idea di poter incontrare finalmente la morte per mano di una creatura la faceva sorridere. Sarebbe dovuta essere una morte lenta, piena di dolore e atrocità di ogni tipo. Le cose fatte in fretta non le piacevano; il lavoro veniva male.
    Irina.
    Ancora lei. La voce. Le voci. Una, due, tre... troppe da contare.
    Che ci faceva in quel posto? Era stata condotta lì ma non ne capiva il motivo. C'era un motivo? Non aveva niente con sé, solo la sua bacchetta che teneva impugnata con la destra. Tredici, il suo gatto, lo aveva lasciato in quella posizione buffa sotto le sue coperte. Ecco, se proprio doveva morire, almeno che qualcuno si fosse preso cura di lui.
    Invece, continuando il tragitto verso l'ignoto, incontrò lo sguardo di una ragazza che dalla spilla sembrò appartenere alla Casata di Ametrin. Non ci capiva molto dei colori e seguì l'intuito.
    La ragazza le parlò e Irina interruppe il suo girovagare tra i corridoi del labirinto. Non disse una parola, le piaceva prima studiare gli allineamenti, la postura, l'altezza. Occhi verdi. Capelli simili ai suoi. Toni educati. Lei più alta.
    Un sorriso da parte di Irina dove mostrò i denti superiori.

    «Ironico.» alzò lo sguardo. Il cielo era azzurro. «Potrei dire la stessa cosa ma mi limiterò a...» tornò a fissarla, «sorridere.» cosa che fece, effettivamente, anche se il tutto durò un battito di ciglia.

    Osservò, quindi, di come la ragazza non fosse sola, con lei si trovava una borsa vicino, «Una borsa.» indicò con l'indice, «Qualcuno ha lasciato una borsa per terra. Così si sporca.»

    Stare ferma per tutto quel tempo le fece venire un brivido lungo la schiena. Lei indossava solo la divisa della scuola - a differenza della ragazza davanti provvista di cappotto - e la gonna non aiutava di certo a sopprimere la volontà di un po' di caldo.
    Cominciò a tenersi le spalle incrociando le braccia.

    «Ci pensi mai...» una breve sospensione della frase per guardare la sconosciuta dalla testa ai piedi, «ci pensi mai al fatto che una persona potrebbe morire di ipotermia?» un sorriso.


    «Parlato»
    RevelioGDR
     
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1 replies since 7/11/2022, 21:27   51 views
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