Beast and the beast

J.

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  1. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
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    "Respira."
    Una delle spiacevoli e numerose conseguenze del periodo di chiusura totale nei confronti del mondo era costituita dagli attacchi d'ansia.
    Lo avevano avvertito, che sarebbe potuto accadere. Aveva i medicinali e lo psicoterapista gli aveva detto che era tutto nella norma, che non doveva preoccuparsi.
    Era facile crederci quando le pareti non gli si stringevano intorno o quando l'aria non iniziava a venirgli meno.
    Aveva preso una brutta abitudine da quando le crisi avevano avuto inizio. E intendeva smettere, sul serio, ma diventava complicato a soli due giorni dal rientro.
    Aveva camminato per minuti interminabili, tracolla in spalla e passo a cadenza ritmica e veloce, mentre si allontanava dall'istituto che iniziava a stargli stretto. Si detestava per ciò che era diventato e in quegli attimi c'era solo una persona che voleva vedere, solo una ragazza di cui aveva bisogno. Si era guardato intorno, una volta terminate le lezioni e aver scansato un paio di vecchi "amici", sperando di riscontrare dietro le numerose chiome di fuoco che invadevano Hidenstone il volto ben noto di Erin. Aveva immaginato la sua voce, un balsamo per i nervi, lo sguardo accattivante in grado di accendergli qualcosa fin nelle viscere, il contatto con la sua pelle delicata capace di fargli dimenticare qualunque problema...
    In misura del tutto egoistica sperò di trovarla e portarla via da lì. L'idea di farle quella sorpresa era stata stupida e insensata, come poteva essere il tentativo di un tossicodipendente di intraprendere la via dell'astinenza.
    Aveva bisogno della sua droga, e se quella non poteva essere Erin, avrebbe trovato una valida alternativa.

    Alle porte del grande labirinto in cui, da che aveva memoria, si era sempre rifiutato di entrare, tirò fuori ciò che era rimasto del malandato pacchetto di sigarette di quell'estate. Inutile dire che accendersene una con mani tremolanti e date le sue condizioni fosse tutt'altro che una saggia idea, ma non gli importava. La razionalità, in quel particolare frangente, era andata a farsi benedire da un pezzo.
    Aspirò una profonda boccata di nicotina, prima di tossire e rendersi conto della pessima pensata. Il fatto di potersi concentrare su altro però fu un toccasana e aspirò di nuovo, fino a quando il sapore acre del fumo divenne tollerabile e la mente iniziò ad alleggerirsi.
    «Non dovresti fumare, lo sai?»
    Una voce melliflua turbò Josh più del necessario, facendolo trasalire. Si volse convinto della presenza di qualcuno all'ingresso del labirinto, ma non c'era nessuno.
    Si appuntò mentalmente di non guardare più film dell'orrore, neppure su insistenza di Blake.
    «In realtà sono molte le cose che non dovresti fare. Per esempio non dovresti trovarti così vicino all'entrata del labirinto.»
    Se in un primo momento si era convinto di averlo immaginato, a quel punto fu certo del contrario: la rosa di rame e argento posta all'ingresso del cunicolo aveva appena mosso i petali e preso la parola.
    Josh gli si avvicinò talmente tanto da trovarsela a una manciata di centimetri dal volto, osservandola con malcelato interesse.
    «Non così vicino, mio caro ragazzo. Tu puzzi.»
    E, tralasciando l'offesa, l'Ametrin fece un passo indietro. La guardò con insistenza prima di scuotere il capo in un segno di resa.
    «E' conveniente essere mentalmente esauriti in una scuola di magia.»
    Molte cose, in effetti, potevano passare in secondo piano.
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    Oggi era uno di quei giorni in cui Julian Miller si chiedeva perchè cazzo fosse tornato a Londra. Stava tanto bene in America, lontano da tutta quella marmaglia di gente che non sopportava nemmeno da lontano. L'unico che lo aiutava a superare le palate di merda era Cohen, che aveva colto la palla al balzo, quel giorno, per sparire chissà dove con chissà chi. «Dannato stronzo.» - si ritrovò a bofonchiare tra sé, in maniera sarcastica, rendendosi conto di quanto fosse noioso ammazzare il tempo senza Cameron a rompergli i coglioni.
    Regina era sparita, diceva per studiare, ma il riccio ci credeva ben poco. In quel periodo era di nuovo sfuggente e lui non aveva idea di che cos'altro fare per lei. Era addirittura diventato un monaco di clausura per evitare di fare casini con chissà chi.
    Doveva prendere aria, questo era certo e per farlo sgusciò via dall'Accademia, cercando di allontanarsi il più possibile dalle mura di quella gabbia dorata che rinchiudeva infelici studenti che sorridevano giusto per far felici altre persone.
    Con lui aveva portato qualcosa che avrebbe aiutato a distendere i suoi nervi: una canna. L'erba aiutava sempre la mente a rilassarsi e a guardare i problemi con un'ironia degna di nota, per questo Julian la utilizzava e non capiva perchè in molti fossero contrari a questo.
    Trovava ridicolo chi gli faceva la morale, spiegandogli che da lì a qualche anno avrebbe avuto i neuroni del cervello spenti a causa di quella robaccia e tutte quelle teorie strane di quanto facesse male. A lui poco interessava, voleva essere lasciato in pace, voleva sorridere senza alcun motivo e sentire l'odore del fiore più bello che la natura gli aveva fatto conoscere.
    Accese la torcia nel mezzo del cammin di sua vita (?), ritrovandosi per una sel--- aspettate, qui siamo già partiti di testa. Riavvolgiamo il disco e... Accese la canna mentre proseguiva il suo cammino. Il primo tiro era sempre strano, come se non sentisse abbastanza il retrogusto di quella foglia a cinque punte; questo lo costrinse a tirare ancora, un secondo e un terzo. Sì, ora poteva essere certo di riconoscere il dolceamaro della marjuana.
    Baciava quella canna come se fosse la sua donna, mentre proseguiva il suo cammino, non rendendosi conto di essere giunto a poche decine di metri dal labirinto.
    «Quanto cazzo può essere divertente il labirinto tutto fumato?! Maledetto Cohen, mi fai fare queste cose da solo.» - rise tra sé, mentre gli occhi scuri del riccio cercavano di guardare verso l'ingresso del labirinto.
    C'era qualcuno? Non arrestò il passo e si avvicinò quanto più poteva, per tentare di giungere alle spalle dell'Ametrino «Da quando sono in questa scuola mi chiedo se sono io che sono troppo fatto dalla mattina alla sera, o qui ogni cosa ad una certa inizia a parlare.» - conosceva Rose, aveva già fatto conversazioni interessanti (?) con lei, ma quella volta si chiedeva se davvero non fossero tutti sotto effetto di cannabinoidi e lui fosse l'unico sano. Tuttavia, ormai aveva fatto il suo in scena, fermandosi alle spalle di un povero Joshua che doveva sorbirsi anche questa croce dopo esser tornato ad Hidenstone.
    Julian Miller

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  3. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
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    Parlare con una rosa non era esattamente in cima alla sua lista di cose da fare per quel giorno, ma Joshua tendeva a essere un tipo alla mano con chiunque gli rivolgesse la parola, con tutte le conseguenze del caso.
    Si ritrovò per questo motivo a conversare amabilmente con una rosa vestita di rame e d'argento, non potendo fare a meno di smettere pur di scorgere quei petali muoversi e dar adito a parole compiute e sensate che, a onor del vero, parevano più sagge di quelle che riusciva a proferire lui in quel momento.
    Quando una seconda voce si unì al coro, Josh evitò di trasalire per la seconda volta di fila. Parlare con Rose - così si chiamava il fiore - gli aveva permesso di distendere sufficientemente i nervi e, quando si voltò a scorgere il viso del nuovo arrivato, riscoprì qualcuno che non conosceva.
    Non affatto una novità da un giorno a quella parte.
    «E' più o meno la stessa domanda che mi sono posto io.»
    Ad eccezione del discorso dell'essere o meno sufficientemente "fatti". Se c'era una cosa che Joshua non aveva mai provato - né aveva intenzione di farlo - era proprio la droga. Questo continuava a raccontarsi, mentre fingeva di non sapere che non fosse solo la marijuana a creare dipendenza. E le sue ossessioni - una delle quali palesata fino a un paio di minuti prima e che lo aveva condotto lì - ne erano una dimostrazione lampante.
    Gli sorrise e allungò una mano in sua direzione. Non era nel mood adatto a stringere amicizia, ma si era ripromesso, una volta rimesso piede a scuola, che avrebbe tentato di ambientarsi a tutti i costi. Di nuovo.
    Fortuna che era un tipo socievole e che, nonostante le circostanze, la faccia tosta non gli mancava.
    «Mi chiamo Josh. Sono capitato qui per caso e sono incappato in lei.»
    Disse, accennando con il capo in direzione della rosa.
    Sollevò le mani in segno di resa, sul viso un'espressione di scuse rivolte più al fiore che non alla sua nuova conoscenza.
    «Nulla da ridire, è fantastica, ma inizio a pensare di aver bisogno di stare più con altre persone che non con fiori parlanti.»
    D'altro canto il passo da Hidenstone al Paese delle Meraviglie era piuttosto breve e dubitava che il livello di follia discostasse troppo dall'una all'altra dimensione. Inoltre, a dirla tutta, la testa gli serviva ancora per qualche altro anno.
    Lo sguardo gli cadde spontaneamente sulla canna dell'altro, arricciando inconsapevolmente la punta del naso in un riflesso involontario. La sigaretta, la cui estremità bruciava tra le sue dita, sembrava aver assunto un ruolo secondario in tutta quella strana vicenda e l'ingresso vietato del labirinto diveniva via via sempre più intrigante, soprattutto ora che non era più solo.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    La verità dei fatti era che chi aveva davvero dei grossi problemi, fosse proprio la vecchiaccia Burke, che se ne inventava di ogni per poter deviare le loro giovani menti. Ma Julian aveva deciso che Vicky non ci sarebbe riuscito con lui, sarebbe rimasto sempre con i piedi per terra e sarebbe uscito da quella scuola senza troppi traumi se non quelli da lui stesso procurati.
    Sì, una specie di sfida con la Preside, di cui quest'ultima non era a conoscenza. Ma questo sarà argomento di una prossima pubblicazione dal titolo Miller e le sue pippe mentali, quindi evitiamo gli spoiler, altrimenti togliamo tutta la suspense.
    Tornando a noi, quando Joshua si voltò, Julian non riconobbe in lui alcun volto, ma chiaramente cosa poteva saperne un americano finito ad Hidenstone solo per seguire la sua migliore amica per cui aveva una tremenda cotta e che aveva allontanato per dimenticarla, non riuscendoci?
    Niente, chiaramente.
    Quindi non fece altro che allargare il suo sorriso sornione, presentandosi con quell'impeccabile (?) aspetto di chi non aveva voglia nemmeno di pettinarsi i capelli.
    «Tra poco parleranno anche i cessi quando vai al bagno, qua dentro.» - lo disse con un piccolo ghigno divertito sul volto, scrollando il capo come se la cosa fosse esasperante.
    Tirò ancora una boccata alla sua canna, soffiando in alto la nube bianca, quindi ritornò al ragazzo che aveva incontrato, non facendolo attendere troppo per quella stretta di mano che arrivò decisa e forte «Julian. Sì, Rose è alquanto molesta con chi rischia di entrare nel labirinto. Che poi... che sta a fare un labirinto se non possiamo entrarci?! Aggiungila alla lista delle domande senza risposta che riguarda questa scuola.» - aggrottò la fronte, sentendo quelle parole.
    Altre persone.
    In quella scuola, secondo Miller, facevano tutti schifo: figli di papà che volevano mostrare solo chi avesse il cazzo più grande, mentre frignavano per il voto più basso, andando a ricorrere alla mammina per farsi raccomandare.
    Oddio, c'erano delle eccezioni, per l'amor del cielo, tuttavia Julian avrebbe preferito di gran lunga la compagnia di Rose a quella di tante altre persone «Sei così masochista?» - quella domanda fu così spontanea che non ebbe il tempo nemmeno di contare fino a cinque prima di proferirla «Nel senso, sicuramente ci sarà gente simpatica in giro, ma... in due anni la sto ancora cercando, Josh.» - rise appena, prima di notare il naso dell'altro arricciarsi «Oh scusa, ti dà fastidio?» - disse spostando indietro il braccio con la canna e facendo qualche passo indietro per distanziarsi dall'ametrino «Allora, ti chiami Josh, sei capitato qui per caso e sei talmente poco autoconservatore da pensare di dover stare con altre persone. Hai anche qualche difetto o...?» - sospirò, guardando oltre le sue spalle l'ingresso del labirinto.
    Julian Miller

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  5. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
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    I motivi che spingevano le persone più svariate ad andare a Hidenstone non lo riguardavano, e la sua immaginazione non era neppure tanto formidabile da permettergli di indovinarli.
    Il ragazzo che aveva di fronte sembrava essere capitato lì per caso tanto quanto lui, ma Joshua era certo che la consapevolezza dell'altro fosse ben superiore alla propria. Ignorando i pensieri sulla preside vigente e ciò che lo aveva spinto fino all'ingresso del famigerato labirinto, Julian parve intenzionato a lasciarsi indietro una serie di preoccupazioni considerate al momento piuttosto irrilevanti o inopportune. Un pensiero che Josh non poteva che condividere, ad essere del tutto onesti, e per il quale avrebbe potuto persino invidiarlo.
    Ricambiò la stretta dell'altro resistendo all'impulso di arricciare il naso a causa dell'odore emanato dalla canna, fingendo di non trovarlo affatto fastidioso e acre tanto da spingerlo ad allontanarsi.
    Da quando relazionarsi alle persone era diventato così complicato?
    «Me lo chiedevo anch'io.» Commentò rivolgendo il proprio sguardo al di là della soglia sorvegliata dalla rosa parlante. Non che morisse dalla voglia di infilarsi in quei cunicoli ombrosi, difatti aveva ormai imparato che le scuole di magia fossero tutto meno che sicure e tanto valeva non cacciarsi gratuitamente nei guai, quando questi non vedevano l'ora di arrivare.
    Il sorriso sul suo volto si allargò nel sentire ciò che Julian pensava di quell'istituto e delle persone che lo popolavano, ma non poté dirsi estremamente d'accordo.
    «Giuro che qualcuno c'è. Probabilmente devi solo cercare meglio.»
    Con ogni probabilità - ma evitò di dar voce a quel pensiero - il ricciolino aveva incontrato Blake Barnes e quell'incontro non doveva essere finito nel migliore dei modi.
    Sospirò.
    Scosse il capo nel vedere l'altro che si allontanava dato il fumo della canna. Dio, da quando era diventato così schizzinoso?
    Fortunatamente il Dioptase non si lasciò sconvolgere e, anzi, il riassunto estremamente accurato a cui diede voce lo fece ridere di gusto, come non faceva da tempo.
    «Sto ancora valutando se ho attirato a me l'unica persona del castello che vale la pena conoscere o meno.»
    Non poteva fare a meno di domandarsi se Julian pensasse quanto rivolto ad altri anche di se stesso. Si portò la sigaretta fra le labbra e aspirò un'ultima volta, sacrificando tutto il proprio impegno per evitare di fare la figura dello scemo che non sapeva neppure fumare. Soffiò con un senso di vittoriosa soddisfazione il fumo nell'aria e lasciò cadere la sigaretta sul terriccio, calpestandola con il piede destro.
    «In genere dicono che sono abbastanza oculato nella scelta delle amicizie.»
    Il sorriso sornione sul suo volto si spense non appena notò dove andasse a puntare lo sguardo di Julian. Impiegò qualche attimo a decidersi sul da farsi, ma se era tornato con l'intenzione di rintanarsi sotto le coperte ogni qualvolta le cose si mettevano male, avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa.
    Si volse nuovamente verso Julian e si strinse nelle spalle mentre il ghiaccio dei suoi occhi cercava le iridi dell'altro.
    «Andiamo?»
    Un invito esplicito che, indipendentemente dalla risposta dell'altro, lui avrebbe colto.
    "Scusa, Rose."
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    Quella canna bruciava in gola come fuoco vivo, eppure a Julian piaceva quella sensazione. Non giudicava chi non fumava erba, non erano suoi problemi, l'importante era solo che non rompessero le palle per ciò che faceva lui e Joshua sembrava essere uno di quelli che si faceva abbastanza i fatti suoi, doveva esserne davvero contento. Quella sera gli era andata bene, insomma, nessun perbenismo del cazzo a dirgli quanto fosse deleterio quello che stava facendo per i suoi polmoni, a dirgli che avrebbe dovuto smettere e fargli la ramanzina di quanti neuroni avrebbe bruciato se avesse continuato a farlo.
    Se per Josh relazionarsi alle persone risultava complicato, per Julian era una passeggiata: lui amava il genere umano e, per quanto predicasse di non sopportare molti elementi che respiravano, cercava di studiare tutte le sfaccettature del comportamento di ogni singola persona. Era uno che avrebbe potuto essere messo in una stanza di muti e riuscire a farli parlare. La stretta di Julian fu decisa e salda, aveva le mani calde, nonostante le temperature che stavano iniziando ad abbassarsi in quel Novembre particolare.
    «Sei qui da molto? Hai un volto nuovo, non ti ho mai visto a lezione, né nei corridoi.» - asserì il riccio, mentre tirava qualche altra boccata per portare al termine la torcia che aveva acceso appena fuori dal castello. Si grattò dietro la nuca, affondando la mano nei suoi ricci, quindi inclinò il capo alle parole dell'ametrino «Nah, mi scoccio a cercare, prima o poi conoscerò tutti gli studenti di questa scuola e potrò fare una cernita di chi è da buttare e chi no.» - il tono era chiaramente ironico e il sorriso che si era allargato sulle sue labbra, venne interrotto dall'ultimo, profondo e sano tiro di erba, prima di cacciare dalla tasca uno di quei posaceneri portati, aprirlo e ficcarci dentro il mozzicone, per poi premere sul bottoncino per richiuderlo e lasciare che morisse definitivamente lì dentro. Anche se non sembrava, Julian era una persona rispettosa dell'ambiente e anche di chi aveva intorno, per tale motivo, se la canna non fosse finita in quel momento, avrebbe comunque rimandato la sua morte a più tardi, magari da solo, notando il fastidio - seppur educato - dell'altro. Insomma, non doveva far sopportare a Joshua qualcosa che piacesse solo al dioptase.
    Lo guardò ridere di gusto e le sue parole non poterono che suscitare uno sghembo sorriso nell'altro «In fatto di compagnia, credo di essere il migliore, ma ti concedo il beneficio del dubbio.» - ricacciò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle dopo il suo parlare. Alla fin dei conti ognuno poteva pensarla come lui e cercare qualcuno di interessante, nonostante questo Julian era pur sempre un egocentrico e non avrebbe mai ammesso di non essere un'ottima persona con cui parlare o passare del tempo «Magari quando tornerai in stanza ti renderai conto da solo quanto io sia un toccasana per questa scuola!» - ancora una sfumatura di ironia nelle sue parole, per quanto pensasse davvero di essere un ottimo elemento a differenza di molti altri (ciao Aidan!) «Fai bene, sia mai ti circondi di cattive compagnie!» - si tirò i riccioli indietro, spingendoli con la mano sinistra che si sollevò lentamente, in un gesto che sembrava non essere calcolato, bensì spontaneo e forse necessario visto i ciuffi che stavano scivolando verso il davanti e che avrebbero potuto coprire la visuale del dioptase.
    Certo, il labirinto magico non era uno dei posti migliori da esplorare con una nuova amicizia, ma quando Julian sentì Josh assecondare il suo sguardo, il riccio non potè che illuminarsi con un sorriso soddisfatto «Messer, le faccio strada!»- disse con un leggero inchino, mano sinistra piegata a toccare il busto e la destra aperta verso l'esterno ad indicare l'ingresso «Sopra di noi un grosso arco di rovi e spine, stia attento a non pungersi, mio caro.» - aveva gonfiato un po' la voce, ma questa scena durò poco, perchè Julian scoppiò a ridere divertito, mentre muoveva passi a superare l'ingresso principale «Che ne pensi di goderci qualche attimo d'estate e rifugiarci nel giardino estivo?» - disse ricercando l'incrocio delle iridi cristallo dell'altro.
    «Allora, Josh, raccontami un po' di te... da dove vieni, cosa ti piace fare nel tempo libero... » - lo guardava con la coda dell'occhio mentre manteneva sempre un passo moderato.
    Julian Miller

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    Joshua Benjamin Evans
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    Fare la ramanzina ad altri era ciò che di più incoerente avrebbe potuto iniziare a fare Joshua Evans. Lui, che del vizio e della perdizione abusava pur senza mostrarlo al mondo intero, riusciva a lasciar trasparire l'ideale di bravo ragazzo dedito alle regole, mentre il fuoco della devastazione gli bruciava dentro. Inutile dire che negli ultimi anni di impotenza e inesistenza quella sensazione si fosse accentuata, rendendogli difficile delle volte persino respirare.
    Non avrebbe detto a Julian di non fumare quella canna né di non entrare nel labirinto. Di recente la trasgressione che comportava la consapevolezza di aver fatto qualcosa di illecito o semplicemente di non consentito era una delle poche cose in grado di dar tregua al suo tumulto interiore.
    L'Inferno, gli avevano detto, non era propriamente facile da gestire.
    «Sono una vecchia conoscenza.» Asserì senza scendere nei particolari. Se quel Julian avesse voluto conoscerlo meglio e lo avesse annoverato tra le conoscenze interessanti di quel castello, non solo Josh si sarebbe sentito un redivivo, ma avrebbe addirittura acconsentito a trascinare il ragazzo nella parte più cupa della propria esistenza. A quel punto della conoscenza, però, si sentì di concedergli ancora qualche speranza.
    Sorrise e ricacciò indietro una serie di commenti a cui in altre circostanze avrebbe dato voce, conscio che dire di avere tra gli amici Blake Barnes fosse il peggior bigliettino da visita da esporre se si voleva passare come uno che le amicizie sapeva selezionarle. Julian sembrava essere una contraddizione vivente, il che lo rendeva un papabile candidato tra le persone in grado di bazzicargli intorno: si vendeva in un modo, ma era evidente dai gesti e dagli sguardi che dietro simili apparenze ci fosse ben altro.
    Il fatto di avere un grado di empatia equiparabile a quella di un bradipo, se messo a confronto con le donne, lo aiutava a farsi meno seghe mentali del previsto, motivo per cui si lasciò guidare all'interno del labirinto ben predisposto a far sì che fosse il Dioptase a fare strada, nei crocevia come nelle confidenze che lì a breve avrebbero avuto luogo.
    Con le mani in tasca e la sigaretta abbandonata chissà dove tra i rovi che li accostavano in parallelo - non aveva la predisposizione di Julian nel rispettare l'ambiente, doveva ammetterlo - si strinse tra le spalle reprimendo un brivido dovuto alle ormai basse temperature di novembre. Accolse la proposta del ragazzo seguendolo verso un ambiente che lo avrebbe reso forse maggiormente predisposto a sbottonarsi in più di un senso, prima di rendersi conto che avrebbe dovuto iniziare a raccontare qualcosa di sé.
    La curiosità, si disse, si sarebbe placata se di prima o poi avessero iniziato a girovagare voci su quella faccia nuova che tuttavia aveva conoscenze tra gli studenti più grandi.
    Sospirò e, dopo aver scandagliato mentalmente le versioni che si era preparato negli ultimi giorni, optò per quella più breve e indolore.
    «L'accento inglese mi tradisce, non ti pare?» Domandò di retorica esalando una mezza risata, prima di iniziare a fare sul serio. «Vediamo... mi piace lo sport, ma non posso abusarne. Adoro il cinema, ma detesto i film dell'orrore, anche se questa non è una cosa che mi piace divulgare. Ho un cane fantastico e una madre apprensiva, i miei voti sono sempre stati nella media, vesto casual e ho frequentato Hidenstone per un anno circa tre anni fa. Sono tornato a casa per via di scomode condizioni di salute e tornando mi sembra di aver battuto la testa.»
    Arricciò il labbro inferiore mentre rifletteva sull'essenzialità di ciò che aveva appena detto di sé, sfilando una mano dalla tasca dei pantaloni della divisa per passare le dita tra la zazzera disordinata che gli ricopriva il cranio.
    «Te lo dico onestamente: non capisco cosa sia successo in questi tre anni, ma è come se fosse scoppiato il putiferio.»
    Lanciò uno sguardo accigliato al compagno mentre intraprendevano una nuova svolta e la temperatura iniziava effettivamente ad aumentare.
    «Ricambi il favore?»
    A quel punto, se Julian voleva trovare un amico simpatico, tanto valeva iniziare a conoscersi reciprocamente.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Una vecchia conoscenza.
    Per Julian questo significava tutto e niente, era come dirgli mi piace il blu, ma vanno bene tutti i colori. Tuttavia non approfondì, almeno per il momento, quella sua affermazione. Preferiva scoprire passo passo le cose, non aveva fretta quella sera e si era concesso quella passeggiata proprio per rilassarsi un po', quindi si prendeva i propri tempi.
    Per quanto facesse di tutto per provare a sembrare il più superficiale di Hidenstone, Julian si preoccupava di tentare una conoscenza degli altri diversa da quella a cui molti si limitavano. Lui voleva studiarne i comportamenti, le microespressioni e le reazioni involontarie che quasi tutti facevano in mezzo ad una qualsiasi conversazione.
    Era per questo che per un breve istante, lo sguardo scuro di Julian scivolò sulla figura di Evans, come se volesse guardarne la postura delle spalle, le mani dove fossero dopo la sua sigaretta lanciata via, i piedi dove puntassero e poi il volto. Voleva provare a capire qualcosa in più, ma senza che lui si sentisse troppo violato con domande fuoriluogo.
    Riservatezza, indecisione.
    Quelle furono le prime impressioni che il riccio ebbe dell'ametrino, come se avesse il timore di sbilanciarsi troppo e stesse riflettendo su ciò che avrebbe potuto dire o non dire. Questo rendeva sicuramente più interessante la sua conoscenza, ma allo stesso tempo, più lenta.
    Meglio così, non si sarebbe annoiato facilmente il dioptase. Le temperature di Novembre non stavano aiutando a sciogliere l'altro, per questo la decisione puntò sul giardino estivo, così da agevolare l'altro a sbilanciarsi un po' di più e sentirsi meno teso, se quello era lo stato d'animo dell'altro.
    I suoi tempi di risposta, per Julian, sembravano definire ancora meglio il suo profilo di calcolatore, come se avesse necessità di scegliere bene come rispondere per nonr risultare troppo aperto. Per qualche istante, l'americano si chiese se fosse stato sempre così o qualcosa lo avesse cambiato col tempo, come spesso capitava a chi voleva ricominciare quasi da zero, tentando di non ripartire dai propri errori.
    Chissà quanto di questa lettura rapida fosse reale, Julian non voleva troppo scavare, non di primo acchito, almeno.
    Rise un po' e annuì.

    «Decisamente.»

    Rispose brevemente, per poter prepararsi ad accogliere una lista enorme di quello che Joshua amava fare. Ognuna di quelle parole veniva memorizzata dall'altro, che decise di fare una classifica di ciò che poteva essere l'inizio di una sfilza di domande che si stavano aprendo nella sua mente.
    Chiaro era che doveva andarci piano, non poteva sotterrarlo e non era sua intenzione farlo.
    Ecco, la spiegazione del suo essere una vecchia conoscenza venne a galla, cosa che Julian immaginava fosse arrivata più tardi; tuttavia era ottimo sapere che non stava parlando con un ragazzo che non aveva le basi per quella piccola società di vipere e cobra che erano gli studenti di quella scuola.

    «Immagino che il motivo per cui non puoi abusare dello sport, sia lo stesso che ti abbia spinto a tornare a casa, giusto? Di cosa parliamo?... sempre se ti va di dirlo.»

    Il suo sguardo era puntato in avanti, mentre faceva strada oltre quell'arco che avrebbe aperto la vista su una nebbiolina brillante, una nebbia che li avrebbe attorniati e avvolti con il suo calore, rendendo Novembre un po' più accettabile, decisamente meglio di come se la stavano passando prima di metter piede nel Giardino estivo.

    «Non so come fosse tre anni fa, sono qui solo da due, ma credimi qui è un casino pazzesco. Se si potessero uccidere tra di loro, la maggior parte degli studenti, lo farebbe.»

    Forse aveva una visione un po' contorta, ma quella era la sua personalissima opinione della situazione attuale.
    Annuì alla sua domanda, mentre si toglieva la felpa che iniziava a fargli sentire un calore pazzesco.

    «Alloooora. Da dove iniziamo. Prima di tutto sono americano, vengo dalla Grande Mela. Odio l'Inghilterra e sono arrivato qui solo perché non volevo lasciar sola una persona. Mi piace godermi le giornate per intero, ho una media molto alta a scuola.»

    Portò gli occhi a guardare il cielo, mentre rifletteva su cosa dire ancora di lui, senza sembrare troppo egoriferito.

    «Ok, questa te la dico così ti prepari già a non scandalizzarti: amo il sesso e tutte le trasgressioni possibili. Questo non è ben visto dai più, ma io me ne fotto. Me ne frega poco di cosa pensano gli altri, cerco di mantenere una civile convivenza con tutti fin quando non vengono a rompere le palle nei miei spazi. Amo il nuoto e questa scuola la trovo troppo limitante. Troppe regole, troppi sbirri a farle rispettare.»

    Che più poteva dire? Aveva quasi sciorinato tutti i suoi difetti, sembrava il biglietto di sola andata verso l'inferno.
    Julian Miller

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    Light my fire.
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    Studente, I anno - Dioptase

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  9. Joshua B. Evans
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    ScaredShallowAracari-size_restricted
    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    Josh non si sarebbe mai definito un calcolatore, o per lo meno non gli sarebbe piaciuto essere definito da altri in questo modo. Ogni sua azione, si era detto, era frutto dell'istinto più smisurato, ma le intenzioni che si celavano dietro ciascuna parola detta e qualsiasi decisione da lui presa negli anni dimostravano il contrario. Tanti "se" e altrettanti "ma" si susseguivano voraci nella sua mente, pronti a divorare certezze e possibilità.
    Ma non era mai stato uno che metteva in atto un simile e incondizionato processo per non commettere ancora una volta errori già compiuti: non imparava dalle esperienze, non si faceva mai talmente male da convincersi a non intraprendere una strada che in passato lo aveva visto cadere, capitombolare e fallire. E questo poteva essere definito tanto un pregio quanto un difetto, una gioia e al contempo una condanna che avrebbe segnato la sua vita in eterno.
    Non si rese conto che Julian lo stesse studiando, poiché non diede peso a quegli occhi curiosi e non troppo invadenti che lo squadravano da capo a piedi quasi senza ritegno. Se ne accorse di quello sguardo, certo, ma non gli attribuì alcun peso.
    Julian, d'altro canto, appariva molto più disinteressato al mondo di quanto in realtà non fosse, e così amava vendersi.
    Nessuno dei due rifletteva il proprio essere, preferendo evidentemente celarsi dietro l'idea che il mondo si era costruito di loro e che loro stessi avevano contribuito a solidificare, ponendo ferree basi su cui costruire simili apparenze.
    La prima associazione di idee con conseguente domanda arrivò inaspettata. Josh si dimostrò più comprensivo di quanto avesse avuto intenzione di fare e, puntando lo sguardo di fronte a sé mentre si faceva guidare dal compagno, sospirò nel dare l'unica risposta che si sentiva in grado di fornire.
    «Lupus. E' una malattia autoimmune... è come se il mio corpo si attaccasse da solo, debilitandosi.» Era più o meno come gliel'avevano spiegata da piccolo, per fargli bene intendere a cosa sarebbe andato incontro per tutta una vita.
    "Ma se non tocca certi organi andrà tutto bene". Gli avevano detto anche questo.
    Si volse a lanciare un'occhiata a Julian, come a constatare che la cosa non lo avesse eccessivamente sconvolto.
    Un tempo, si disse, non aveva difficoltà tanto marcate a parlare della sua condizione. Dopo quei tre anni, invece, era quasi come se avesse paura di farlo.
    Quella nebbia che lo avvolse, come fecero le successive parole di Julian, gli lasciarono trarre un sospiro di sollievo e la muscolatura, dapprima indolenzita per la tensione, si rilassò.
    «Mi racconti qualcosa nello specifico?» Di quel casino pazzesco.
    Non lo imitò nello sfilarsi la felpa, ma si arrotolò le maniche della camicia e allentò il nodo della cravatta, sfilando dalle asole i primi bottoni come per prendere aria. Aveva iniziato a fare caldo all'improvviso.
    «Sei un secchione? Scherzi?» Si lasciò andare a un'espressione divertita. Non pensava davvero che tipi come quello che aveva di fronte potessero andar bene a scuola, ma d'altro canto chi era lui per avere simili pregiudizi? Il bravo ragazzo all'apparenza ma stronzo nell'anima.
    Ciò che giunse un attimo dopo, tuttavia, rischiò di farlo strozzare con la sua stessa saliva. Lo guardò intensamente, prima di annuire convinto.
    «Venale.»
    Commentò alla fine, senza riuscire a trattenere uno sbuffo di risata.
    «Voglio dire, non che abbia problemi con certe cose... solo non mi era mai capitato di sentirmelo sbattere in faccia così.» L'argomento, non altro. E se ne parlava con una così estrema facilità, probabilmente sul suo conto giravano voci che non si sarebbe voluto perdere.
    «E senti... fai cose con manette, bende e robe che fanno male? E quella sola persona c'entra qualcosa?» La buttò lì così, quasi come se non fosse importante.
    Si immaginava già una versione magica e adolescenziale di quel film che tanto piaceva a sua madre. Un qualcosa con un numero indefinito di sfumature di un certo Grey.
    RevelioGDR
     
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8 replies since 4/11/2022, 21:11   123 views
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