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  1. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    L'aria aperta era un toccasana per chi, come lui, necessitava di riprendersi da un lungo periodo di stasi. O almeno questo gli dicevano da tutta una vita.
    Joshua paragonava quella sorta di diceria alla stregua della fesseria sulla mela: per quante ne mangiasse, i medici gli giravano sempre attorno. Ma evitava di palesare qualsivoglia rimostranza, intenzionato invece a fare tutto ciò che sua madre avrebbe approvato; questo lo aiutava a non raccontarle frottole ogni qualvolta aveva occasione di sentirla. Si ritrovava spesso a sopravvalutare le lettere di una volta e a maledire invece la tecnologia: sarebbe stato molto più facile mascherare alcune emozioni del momento.
    Sdraiato all'ombra di un albero che lo riparava da ciò che rimaneva del fulgido sole d'autunno, Josh si beava del silenzio che lo circondava, con le palpebre calate sugli occhi stanchi e le mani dietro la nuca, garantendosi un singolo momento di tregua dalla caotica vita che da un solo giorno aveva ripreso a condurre.
    Era dell'idea che avrebbe avuto spesso bisogno di quei momenti, nel primo periodo. La presenza degli altri lo sfiniva, per quanto fosse ciò a cui aveva ambito nei precedenti mesi. Doveva solo trovare un nuovo equilibrio, si ripeteva, per scacciare quell'iniziale e inevitabile sconforto, come continuavano a ripetergli gli specialisti.
    Respirava piano, godendosi la freschezza dell'aria pulita a pieni polmoni, mentre la mente riportava a galla i ricordi di quella prima giornata di scuola. Evitò di pensare all'incontro della sera precedente con Blake, avrebbe avuto modo e tempo di fare mente locale su ciò che si era perso fino a quel giorno. No, c'era qualcosa di più imminente a occupargli i pensieri: un volto che non vedeva da tre anni, una persona che nel corso del tempo era sbocciata come mai avrebbe potuto immaginare. Si era domandato più e più volte, durante la lezione di Antiche Rune, come avesse preso lei il suo ritorno, ma più se lo chiedeva meno era sicuro di voler conoscere la risposta. Una totale indifferenza da parte sua lo avrebbe offeso più del necessario, narcisista come fingeva di non essere, ma un eventuale coinvolgimento emotivo lo avrebbe terrorizzato tanto quanto aveva fatto in precedenza.
    Si morse l'interno della guancia per evitare di andare così indietro nel tempo con i ricordi, quando il suono lontano di passi regolari e leggeri gli fece socchiudere un occhio, per poter sbirciare il viso di chi aveva deciso di interrompere la sua solitudine e gli impediva di pensare a qualcun altro che ancora non aveva avuto modo di incrociare tra i corridoi di Hidenstone.
    Sollevò di poco la testa nello scorgere una lunga chioma di platino, mentre la figura di una giovane donna si delineava sotto il suo sguardo. Era dell'idea che, se si fossero già conosciuti, una del genere se la sarebbe ricordata: non tutti andavano in giro come l'immagine sputata della regina dei draghi.
    Ma nell'osservarla con maggiore attenzione, a costo di apparire sfacciato, non poté fare a meno di pensare di non essere l'unico a risultare debilitato quel giorno. E forse lei, almeno quanto lui, anelava alla pace della solitudine, che lasciava libero sfogo al proprio essere privo delle costrizioni delle convenzioni sociali.
    Non era ancora arrivato il momento di rintanarsi in Sala Comune. Aveva ancora un minimo di forze per interagire con chiunque fosse.
    «Fossi in te farei attenzione.»
    Si lasciò cadere nuovamente su quella radice che, in maniera tutt'altro che gradevole, gli faceva da cuscino.
    «Dicono che se metti il piede sulla piastrella sbagliata ti ritrovi in un attimo a sei metri da terra.» L'ombra di un sorriso arricciò le sue labbra e le palpebre si richiusero nuovamente sulle iridi cerulee. Non si curò del fatto che quella ragazza conoscesse Hidenstone potenzialmente molto meglio di lui, difatti non sembrava una dell'ultimo anno ma di certo neppure una alle prime armi.
    Fu in quel frangente che tornò a balenargli in mente la figura di Erin: non l'aveva ancora trovata.
    A prescindere dalla risposta che l'altra gli avrebbe potuto dare o meno - scegliere di ignorarlo, a suo modesto parere, era la strategia più idonea quando iniziava a blaterare cose senza senso con l'unico fine di attirare l'attenzione altrui - si sarebbe portato a sedere.
    «O ti cade un vaso in testa, a seconda di quanto tu sia fortunata nella vita.»
    Fosse successo a lui, probabilmente l'intero giardino pensile gli sarebbe crollato addosso, ma si limitò al silenzio, poggiando la schiena contro il tronco dell'albero che quel pomeriggio gli avrebbe fatto da appoggio, lanciando un'occhiata curiosa alla ragazza a breve distanza da lui.
    «Parlato» "Pensato" Ascoltato | Scheda | Stat.
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    Se avesse potuto avrebbe mangiato qualsiasi cosa, in quel momento. Non era da Amelia assecondare certi bisogni o istinti, le era stato insegnato a rimanere sempre elegante e contenuta, di darsi dei freni, e poteva spesso sentire la voce di sua madre ripeterla di "comportarsi come una signorina" e "guarda come è perfetta tua sorella, dovresti essere come lei". Se per certi aspetti era sempre stata una ribelle, per quanto riguardava il suo aspetto esteriore aveva sempre posto una certa attenzione verso come si esprimeva, quello che le persone vedevano di lei, come la percepivano in ogni situazione. Aveva passato gli ultimi due anni a odiare la sua parte animale -letteralmente-, a detestare il suo essere un licantropo perchè la rendeva imperfetta, non impeccabile come avrebbe voluto, per questo aveva sempre cercato di prendere le distanze da quella parte di se e provare in qualche modo a nasconderla, o quantomeno ad allontanarla quando ne aveva la possibilità. Non significava che si mostrasse debole o in costante crisi interiore, era solita vantarsi della sua natura con le pochissime persone che ne erano a conoscenza, e in effetti nei momenti in cui non era più Amelia ma l'altra parte di sè si sentiva forte, selvaggia e viva. E quell'estate le era servita per realizzare che voleva sempre sentirsi così, che quella sensazione era piacevole dopotutto e che non aveva ragione per nascondere qualcosa che ora sapeva controllare.
    Era indubbio che quella realizzazione venisse a braccetto con la consapevolezza -o illusione, dipendeva dai punti di vista- di aver imparato a conoscere e controllare quella parte di sè, ogni volta di più, una sensazione di certo rivitalizzante e potente come poco altro.
    Il ritorno a scuola l'aveva vista ancora più sicura di se, camminava con passo più convinto -non che prima non lo facesse- e, per contro, era leggermente meno insopportabile, ma solo perchè una parte di lei non sentiva più sempre necessario denigrare gli altri per ribadire la sua superiorità. Rimaneva comunque un' "adorabile" stronzetta, motivo per cui non aveva ancora legato con nuovi amici e continuava per lo più a focalizzarsi sul suo impeccabile rendimento scolastico, con l'aggiunta che ora si sentiva più realizzata e meno frustata di prima. Almeno a giorni alterni.
    In quel giorno in particolare, dopo una notte di luna piena passata nei boschi, non si era rintanata nella sua stanza ma aveva pensato di prendere più cibo possibile dalla Sala Grande e dirigersi verso un posto tranquillo dove mangiarsi tutto quanto.
    Per qualche ragione quell'autunno fin troppo caldo non la stava infastidendo quanto avrebbe pensato: era amante del freddo, o quantomeno dell'aria frizzantina autunnale, ma quel giorno aveva ancora addosso gli strascichi di forza e sicurezza che la trasformazione le aveva lasciato addosso, togliendole però di contro parecchio sonno. Forse anche per quello, nonostante il suo spirito rinnovato, si era ritrovata a cercare la pace dei giardini pensili, dove pensava che nessuno avrebbe interrotto il suo generoso pranzo.
    Aveva appena messo piede nei giardini, senza avere nemmeno il tempo di lanciare un'occhiata in giro, che qualcuno l'aveva apostrofata, portandola a voltarsi inclinando appena la testa. Era abbastanza sicura di non conoscere quel ragazzo, aveva un volto particolare e uno sguardo che si sarebbe ricordata se solo lo avesse incrociato prima, e non potè evitare di trovarlo leggermente interessante. Un traguardo, almeno per lei.
    Inclinò appena la testa. "Allora è un miracolo che non ti sia successo nulla." lo punzecchiò, tagliante come suo solito, prendendo poi posto distante dall'altro seppur comunque a portata di orecchio. Non riusciva a comprendere come le persone potessero avere voglia di attaccare bottone con degli sconosciuti, lei di certo non aveva quell'istinto. Gli avrebbe lanciato un'occhiata, quasi di sfida, inclinando appena la testa mentre l'altro continuava il discorso. "E tu hai voglia di correre questo rischio?! Forse dovresti rientrare." lo punzecchiò a sua volta, per poi scartare con cura uno dei panini con marmellata e burro d'arachidi che aveva portato con sè.
    Amelia Farley

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  3. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    La voce della ragazza arrivò come una stilettata, un colpo preciso e sicuro che lasciò intravedere a Josh una personalità con cui giocare poteva risultare sconsigliato. Stava in un certo senso cercando di scherzare col fuoco, con il rischio estremo di scottarsi.
    In altre parole il genere di ragazza che un tempo lo avrebbe stuzzicato più di qualunque altra. E per quanto fosse cambiato e, diciamolo, persino maturato, certe abitudini erano dure a morire.
    «Mi stai dando dello sfigato?»
    Commentò con un mezzo sorriso, mentre la guardava prendere posto ben lontana dal punto in cui si trovava lui. Vedeva della reticenza in lei, che tuttavia fu affievolita dal tentativo di rispondere a un perfetto sconosciuto senza mandarlo al diavolo. Josh era tuttavia convinto che, se l'altra non si fosse trattenuta, avrebbe ricevuto un bel benservito che gli sarebbe bastato per tutta la vita.
    Colse la sua occhiata e la ricambiò, non potendo fare a meno di lasciar cadere successivamente lo sguardo sull'involucro che teneva tra le mani.
    «Il pericolo è il mio mestiere.»
    Aveva letto fra le parole dell'altra una sorta di invito a lasciarla da sola, a consumare un pranzo nella quiete più tipica di quella zona del castello. L'avrebbe accontentata, Josh, se solo non avesse avuto la medesima necessità per evitare la folla e il disagio che imperversavano nel castello.
    Si tirò su quel tanto che gli bastò per scorgere meglio cosa l'altra si rigirasse tra le dita, individuando un panino dall'aria banale, ma che avrebbe fatto senz'altro bene al suo stomaco intento a brontolare già da un po'.
    «Non offri?»
    Domandò con una certa ingenuità alla ragazza che, se aveva capito il tipo, gli avrebbe masticato davanti agli occhi senza preoccuparsi eccessivamente di qualsivoglia sentimento lo animasse. A quel punto, nell'attesa di una risposta, prese a studiarla con attenzione: i colori che indossava lasciavano intuire la Casa a cui appartenesse e con essa una serie di caratteristiche che Josh non poteva condividere, ma che non per questo trovava poco stimolanti. I lunghi capelli biondi erano talmente chiari da rasentare il bianco, un dettaglio fondamentale che tendeva a renderla quasi surreale. Era una delle ragazze più belle che avesse mai visto, e forse proprio da questo si era sentito spinto nel rivolgerle la parola. L'atteggiamento da prima donna era stato solo una conseguenza che non aveva fatto altro che invogliarlo a continuare su quella strada.
    Certo era che non imparava proprio mai.
    Gravò con la schiena contro l'albero, distendendo la gamba sinistra e poggiando un gomito sul ginocchio destro. Lo sguardo, che ben si accostava alla chioma platinata della ragazza, puntato indiscutibilmente su di lei.
    Se doveva infastidirla, si disse, tanto valeva farlo per bene e come solo lui sapeva fare. Bastava solo un po' di impegno.
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    Cominciava, per certi versi, ad accettare anche gli imprevisti, sopratutto quello che riguardavano interazione con persone che i Farley non avrebbero mai frequentato normalmente. Era abbastanza certa di non aver incontrato il ragazzo in uno dei suoi ricevimenti, e questo la riportava all'idea che con ogni probabilità non faceva parte dell'élite inglese, un elemento che lo rendeva interessante forse proprio perchè fuori dalla sua "comfort zone". Già il fatto che sua madre lo avrebbe guardato storto la convinceva a non ritrarsi subito, se non altro non sarebbe stata una conversazione monotona no?!
    Si strinse nelle spalle alla sua domanda, accennando un mezzo sorriso divertito. "Ai posteri l'ardua sentenza" rispose piccata, senza sbilanciarsi troppo ma senza comunque negare di aver lanciato una simile accusa. Per quel poco che ne capiva di esseri umani, di certo l'altro non aveva intenzione di mollare la presa e non sembrava nemmeno smidollato a sufficienza da farsi intimidire.
    Forse anche perchè sembrava intenzionato a darle del filo da torcere, e si era svegliata con il piede giusto, sedersi non troppo distante da eliminarlo del tutto dal suo campo visivo sembrava la soluzione migliore.
    Non si aspettava che rimanesse zitto, e se gli lanciò solo un'occhiata dubbiosa alla sua affermazione sull'essere un esperto di pericolo, quanto gli chiese di offrirgli qualcosa ottenne una reazione di certo più articolata.
    Alzò un sopracciglio perfettamente pettinato, senza mancare di passare meglio lo sguardo sull'altro, studiandolo in silenzio per qualche istante. "C'è ancora cibo in Sala Grande. Nulla ti vieta di andartelo a prendere." replicò, prima di azzannare il suo panino e cominciare a mangiare di gusto, di certo senza mandarlo a quel paese ma nemmeno invitandolo a unirsi al suo spuntino.
    Era indubbio che l'altro, per quanto fastidioso, avesse comunque una qualche scintilla capace di accenderla in positivo: poteva dire con onestà di non sentirsi quasi mai così, trovava i suoi compagni di scuola spesso irritanti, se non scontati, banali e noiosi, e le eccezioni rimanevano ben poche. Di certo non si aspettava di trovare una di queste eccezioni proprio quel giorno, e non era nemmeno sicura se fosse un'allucinazione, sintomo di follia o chissà che altro.
    Come era già successo cominciò, suo malgrado, ad arrovellarsi circa che diavolo avesse quel tipo di tanto interessante per il suo inconscio. Che cosa poteva mai trasmetterle? Era davvero diverso dagli altri? A primo acchito sembrava solo più simile a lei del solito... forse era quello ad attrarla tanto?
    Sentiva i suoi occhi addosso, se non altro l'interesse era reciproco e riusciva a farla sentire meno idiota.
    "A parte per sfidare la sorte e, forse, essere uno sfigato, perchè i Giardini Pensili? Dovrebbe essere quel periodo dell'anno in cui tutti, finalmente, vi decidete a stare dentro." buttò lì, giusto per indagare meglio quell'assurda sensazione.
    Amelia Farley

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    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    Le ragazze di poche parole gli erano sempre piaciute, pur riconoscendo di non aver più la pazienza di un tempo per averci a che fare. Ce n'era stata una, di ragazza, che Josh aveva rincorso per anni, complice la reticenza di lei nel mostrarsi gentile nei confronti di chi, come nel suo caso, faceva di tutto per accaparrarsene i favori.
    Ma per quanto avesse smesso di rincorrerle - a volte la maturità che aveva agito su di lui negli ultimi tre anni marcava il territorio per farsi sentire dai suoi neuroni - certe abitudini erano dure a morire e l'essenza di un carattere esuberante quanto socievole tornava a farsi obbedire.
    La osservò da lontano, complice in quel gioco a cui l'altra non avrebbe mai ammesso di aver preso parte. Josh tendeva a non essere invadente, per quanto delle volte si spingesse fino al limite consentito, per cui portava avanti la partita solo se dall'altra parte si ritrovava una persona desiderosa di giocare tanto quanto lui.
    La bionda gli rispose piccata invitandolo non troppo docilmente a prendere parte al banchetto che si teneva abitualmente nella Sala Grande, ma lui scosse il capo in segno di diniego. Apprezzava l'offerta, ma andava avanti a suo modo ed era piuttosto certo che, se l'avesse accettata, l'altra ne sarebbe rimasta alquanto delusa.
    «Non sarebbe altrettanto divertente.»
    Divertente.
    Una parola colma di significato che tuttavia poteva essere male interpretato, almeno il più delle volte.
    Riposatosi a sufficienza, si passò entrambe le mani sulla faccia prima di costringersi ad alzarsi con un mugugno. Le braccia vennero distese verso l'alto per stirare la muscolatura della schiena, lasciandogli saggiare una scia di umidità proprio lì dove la camicia si era sfilata dai pantaloni. Si sistemò la divisa alla bell'e meglio, rimettendo tutto al suo posto meno che la cravatta: il nodo venne allentato e l'accessorio riposto in tasca e i primi bottoni sfilati dalle asole, dandogli la sensazione di tornare a respirare. La mancina passò rapida tra i capelli spettinati, gesto abituale che fungeva da tic più che da strumento per soddisfare una determinata esigenza.
    «Sei sempre così socievole?»
    Le domandò retoricamente avvicinandosi a lei, immaginando già quale fosse la risposta. Per fortuna, si disse, lui lo era abbastanza per entrambi e in ogni caso non avrebbe avuto niente di meglio da fare per quel pomeriggio, fermo restando che la bionda non avesse preferito realmente vederlo andar via.
    Prese posto proprio di fianco a lei, la schiena alla ricerca di un sostegno e i gomiti sulle ginocchia piegate e divaricate, mentre la testa cascava all'indietro e le palpebre si calavano sugli occhi chiari.
    «Sono tornato da poco e francamente sono già stufo di tutta quella confusione.»
    Ammise in un sospiro mentre si lasciava andare alla calma di quel paradiso, come stava facendo solo qualche attimo prima. L'unica cosa a cambiare era stata la sua postazione, abituato solitamente a non parlare con qualcuno a più di un paio di metri di distanza.
    «Tu, invece? Sono sicuro che ci sono posti più comodi in cui mangiare.»
    Aprì un occhio per spiarla, lasciando scorrere quell'iride cerulea sulla figura dell'altra. Non poteva ancora credere che non gli avesse offerto un panino. Se non per educazione, a un certo punto avrebbe dovuto farlo per compassione.
    Finse di aver avuto un'epifania e il palmo della mano destra andò a cozzare contro la propria fronte.
    «Che imbecille.» Iniziò per volgere il busto verso di lei, ancora in un certo senso ammaliato da quella bizzarra tonalità di biondo e, se aveva capito il tipo, rischiando il linciaggio per un banale fraintendimento. «Stavi cercando me.»
    Lo asserì con una certa determinazione, tanto da spingere chiunque a ritenerlo estremamente convinto di quelle parole. Annuì e, con un sorriso sghembo, allungò una mano verso di lei, come in attesa di qualcosa che, nuovamente, l'altra avrebbe dovuto decidere se concedergli o meno.
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    Era abituata a persone che cadevano ai suoi piedi senza fatica, era stato così per gran parte della sua vita, e se non era per la sua bellezza o la sua sicurezza era facile che fosse per il suo cognome. A Hidenstone aveva cominciato a usare meno certi privilegi in proprio favore, aveva una cricca meno nutrita di seguaci e la cosa forse non le dispiaceva nemmeno troppo, ma trovava ancora eccitante l'idea di avere di fronte qualcuno non pronto a pendere dalle sue labbra ad un suo battito di ciglia. Era intrigante, e in effetti a guardarlo bene il ragazzo aveva qualcosa di abbastanza luminoso negli occhi da risultare curioso, se non altro: sembrava ben consapevole del gioco a cui stava prendendo parte, come se fosse abituato a quelle sfide, come se non fosse la prima volta che si ritrovava di fronte qualcuno come lei e provava a tenerle testa.
    Era abbastanza certa che quello fosse proprio il genere di ragazzo che sua madre avrebbe guardato storto, con quell'aria da "comune mortale" e non certo ragazzo benestante che caratterizzava tutti i ragazzi che aveva sempre intorno, e al contempo l'aura di trasgressione, come se non avesse nella mente il viso di qualcun altro in quel momento. Qualcuno che avrebbe davvero voluto rivedere ma che ancora non aveva approcciato...avrebbe dovuto farlo lei?! Sul serio?! Almeno il moro ora la stava degnando di attenzioni, mentre qualcun altro non l'aveva ancora nemmeno cercata.
    Scosse appena la testa, fingendo che la sua risposta non fosse nemmeno lontanamente vicina alla realtà. "Prevedibile" sbuffò con il solo scopo di infastidirlo ma senza perdersi nessuno dei suoi movimenti mentre si stiracchiava, con gesti fluidi e dettati dall'abitudine, e prendeva posto ben più vicino a lei di quanto avrebbe voluto, almeno fino a poco prima.
    Giusto per fargli pensare che gliene importasse ancora meno tornò a dare un morso al suo toast, stringendosi nelle spalle per tutta risposta, in un silenzioso "se per te questo è poco socievole".
    Si ritrovò comunque anche fin troppo sulle stesse onde dell'altro, inclinando appena la testa in un gesto di assenso. "Si vede che sei un novellino ma non posso darti torto." concesse, forse fin troppo buonanime, per poi corrucciare le sopracciglia quando l'altro si diede dell'imbecille da solo. Avrebbe anche potuto dargli ragione senza troppi sforzi, in effetti era un imbecille o comunque lo avrebbe insultato anche a caso più che volentieri, giusto per sfizio, ma sospettava che non si sarebbe definito così a caso, con tanta leggerezza, dal nulla.
    Le mancava un po' di sana competizione in quelle mura, anche se ne aveva trovata molta più di quante pensasse era un po' che non gli capitava a tiro qualcuno interessante e sicuro di se come Josh e non potè fare a meno di sciogliersi in una risatina sincera quando sentì quelle parole. "Sai? Avrebbe più senso dire il contrario, sono famosa per venire qui quando le persone là dentro hanno cominciato a diventare fastidiose." replicò con naturalezza per poi regalargli un'altra occhiata più approfondita per poi inclinare appena la testa e indicare con un cenno la sua spilla. "Oh... ora si spiegano molte cose. Ametrin." osservò con il tono di chi voleva sottolineare chissà che cosa, un mezzo sorrisetto di sfida sul volto.
    Amelia Farley

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    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    Joshua era molte cose, tra le tante anche prevedibile.
    Non se ne faceva un cruccio, come poteva? La banalità e l'ordinarietà erano parti integranti della sua vita e quando incontrava qualcosa o qualcuno in grado di stravolgere quella quotidiana routine era come prendere una boccata d'aria fresca.
    Sospirò soddisfatto, come realizzato da quella presenza che di confortante aveva ben poco, ma che ad ogni modo riusciva a spezzare il regolare e noioso - nonché prevedibile - andamento delle sue giornate.
    «Cerca di non esserlo tu per entrambi, allora. Anche se, lasciatelo dire, non sei proprio sulla buona strada.»
    Lo disse bonariamente, con un sorriso che volle testare ciò che dall'altra parte prendeva fuoco all'interno di un corpo esile e difficile da immaginare come detentore della furia preannunciata. La stava testando, non provocando, con l'intenzione di comprendere dove si trovasse il punto di non ritorno, fin dove si potesse spingere. Incrociò le dita delle mani e se le portò dietro la nuca, accavallò le caviglie e rivolse lo sguardo verso l'alto.
    «Un novellino io? Davvero?»
    Lo prese come un complimento e pertanto si lasciò andare a una lieve risata, le iridi cerulee a scontrarsi inizialmente con il cielo dello stesso colore, successivamente con i lineamenti delicati e alteri della ragazza che aveva di fronte. All'improvviso si rese conto di un paio di informazioni fondamentali: non sapeva il suo nome e lei pensava che fosse appena arrivato, ignaro di un mondo mai visto prima di allora.
    Sarebbe stato più facile, si disse.
    «A volte mi piacerebbe. Ricominciare da capo senza conoscere nessuno.»
    La leggerezza con cui volle far risuonare quelle parole venne meno, lasciando intuire qualcosa che avrebbe fatto volentieri a meno di raccontare. Ma Josh, sempre sulla falsa riga della prevedibilità, non sapeva mai quando tacere e men che meno era in grado di immaginare le conseguenze delle parole dette senza pensare. D'altro canto, non era certo una di quelle persone in grado di imparare dai propri errori.
    Quando mai.
    Non aveva grande fiducia nelle proprie doti. Insomma a volte provava a raggiungere un risultato apparentemente irraggiungibile e, come si suol dire: "punta alla luna, male che vada avrai camminato fra le stelle". Non aveva certo puntato a farla divertire, ma farle raggiungere quanto meno un sorriso sì, lo sperava.
    «Allora sai ridere.» Commentò fintamente sorpreso, mentre liberava le mani dal nodo precedente per poggiare la destra, quella che si frapponeva tra sé e la ragazza, poggiava il palmo a terra.
    «Non è male.»
    Ridere? Forse.
    Sapere che la sua Casa fosse quella degli Ametrin parve accendere il suo interesse. Josh notò lo sguardo accattivante, il sorriso di sfida e la colse, quella sfida, senza domandarsi cosa ciò potesse comportare. «Del tipo?» Inclinò appena il volto verso di lei, negli occhi uno sguardo carico di curiosità. Sapeva le voci che giravano sulle tre Case di Hidenston, sapeva anche le voci che giravano su di sé, ma non era mai stato uno che seguiva con particolare dovizia le dicerie.
    Sospirò e attese, riprendendo le redini di quel gioco che avevano iniziato quasi alla sprovvista.
    «Però cerca di sorprendermi.»
    Insomma, pensò sorridendo e domandandosi ancora chi fosse quella ragazza, di prevedibile bastava lui.
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    Se c'era una cosa che Amelia detestava essere quello era "banale e prevedibile". Era stata cresciuta con la convenzione di dover essere unica e irripetibile, una persona indimenticabile agli occhi di tutti, degna del suo cognome, e faticava ancora a staccarsi da quella visione di sè stessa. Per lei la maschera che si era creata era un vanto, non qualcosa di cui vergognarsi o un limite, ed era abituata a studiare chiunque avesse intorno al fine di "fare colpo".
    Non la reputava più nemmeno una forzatura, cercava sempre di cogliere i punti deboli o quantomeno le caratteristiche di chi aveva di fronte, giusto per assicurarsi di essere sempre un passo avanti a chiunque. Non che avesse dubbi in merito, era sicura delle proprie capacità e raramente arrivava al punto di metterle in dubbio, tanto che ogni processo era ormai inconscio, come se la sua mente ci tenesse a proteggerla dalla dura realtà dei fatti: Amelia Farley era umana esattamente come tutti gli altri.
    Ridacchiò di fronte a quella provocazione, segno che non aveva intenzione di lasciarsi scalfire da parole come quelle, per poi stringersi nelle spalle quando l'altro rise alla definizione di novellino. Non lo ricordava affatto, se si erano incrociati a lezione per qualche ragione lo aveva eliminato dalla sua memoria e le sembrava strano riuscire a dimenticare qualcuno dalla risposta così pronta. Certo, la sua attenzione era stata monopolizzata in modo imbarazzante nell'ultimo anno, e avrebbe incolpato senza fatica Nathan per quella dimenticanza, eppure non poteva essersi rimbecillita a tal punto da ignorare un tizio sveglio fino a quel punto. Lo avrebbe notato prima o poi no?!
    Inclinò la testa, incuriosita.
    "Non ti ho visto in giro, oppure ti sei mimetizzato molto bene tra tutti gli altri. Per essere uno non prevedibile non mi sei rimasto in testa." gli fece notare con leggerezza, come sempre provocatoria, mentre cercava di indagare in qualche modo su chi fosse. Non sapeva nemmeno da dove nascesse quell'interesse, in genere non le importava granchè della storia di chi aveva davanti, ma ora non poteva che essere incuriosita.
    Non era comunque incuriosita a sufficienza da provare interesse per i suoi malesseri, non aveva intenzione di cadere nella trappola delle domande personali e non voleva davvero sapere che cosa lo tediasse abbastanza da voler cominciare da capo.
    "Beh non conosci me, è già un buon inizio. Amelia Farley." colse l'occasione per presentarsi con un sorrisetto sornione, come se davvero non conoscere lei equivalesse a non conoscere nessuno, o quantomeno a non conoscere qualcuno di parecchio rilevante.
    Alla sua domanda rubò un altro morso del suo sandwich, per poi lanciargli un'occhiata di sfida. "Non ho bisogno di sorprenderti ogni secondo." replicò con la sua solita supponenza, come se avesse già fatto abbastanza per spiazzarlo, per poi studiarlo apertamente qualche altro istante prima di fare la sua deduzione. "Nessun altro avrebbe cominciato a parlarmi durante la pausa pranzo pensando di uscirne vivo. Apprezzo se non altro il tuo coraggio." concluse alla fine con sguardo divertito per poi fare qualcosa di davvero imprevedibile: gli tese il suo secondo sandwich, comunque meno imbottito del suo, con una leggerezza che quasi non le apparteneva, non con gli sconosciuti almeno. "Preferisco che non cominci a salivare sul mio." lo punzecchiò, giusto per condire la sua offerta.
    Amelia Farley

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    DIOPTASE

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  9. Joshua B. Evans
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    ScaredShallowAracari-size_restricted
    Joshua Benjamin Evans
    Ametrin | 20 anni
    Josh amava la banalità. Cercava cose banali nella propria vita, intenzionato a passare inosservato. Non voleva essere unico né irripetibile, non doveva dimostrare a nessuno di essere degno del nome della sua famiglia.
    Non avrebbe mai potuto capire ciò che aleggiava nella mente e nel cuore della ragazza dai capelli di platino, e probabilmente non avrebbe neppure voluto spingersi a tanto. Dunque non cercò di carpire chissà quale segreto celato da una mente apparentemente brillante e da uno sguardo mozzafiato, si limitò invece a studiarne le espressioni, ciò che l'altra gli mostrava senza preoccuparsi di cosa ci fosse dietro.
    Era come avere a che fare con una lastra di ghiaccio, così spessa da rendere impossibile scalfirla e altrettanto fragile da infrangerla con il giusto contraccolpo. Non la studiò, si limitò unicamente a cogliere le sue provocazione per restituirgliele con gli interessi.
    «Stai dicendo che non avresti potuto non notare uno come me?»
    Si stava divertendo più del dovuto, doveva ammetterlo. Con le labbra distese in un sorriso, Josh si ritrovò a essere spensierato come un tempo e la vicinanza di una persona mai vista prima stava agevolando quel processo, tanto da convincerlo a farlo più spesso. Volse il capo verso il cielo, gli occhi chiusi come a dare minore importanza alla ragazza che aveva di fianco e che di rilevanza, era evidente, pensava di averne molta.
    «Perché anche io una come te me la sarei ricordata.»
    E lui gliene avrebbe data ancora e ancora, di rilevanza, fino a che l'altra non si fosse ritenuta soddisfatta.
    Sospirò.
    Era così bello poter vivere a Hidenstone senza ricadere nei vecchi tranelli, prendere una boccata d'aria fresca.
    Quando l'altra si presentò, Josh tirò su la schiena e allungò di proposito la mano destra verso di lei. Avrebbe dovuto abbandonare il panino, almeno per metà e per un frangente, e l'idea di scombinarle i piani lo aggradava particolarmente, certo che la cosa la mandasse fuori di testa. Non era abituata, Amelia, a fare ciò che non aveva previsto. Josh lo aveva capito dal primo istante in cui gli occhi si erano posati sulla sua apparente perfezione.
    «Joshua Evans.»
    Non usò diminuitivi. Stava in un qualche modo cercando di iniziare una nuova vita. Tanto valeva farlo sotto tutti gli aspetti.
    Le chiese dunque di sorprenderlo spiegandogli cosa lo avesse tradito, ad eccezione dei colori della Casa impressi sulla divisa. Nonostante credesse di essere stato smistato nella Sala Comune più adatta a quella che era la sua personalità, spesso e volentieri finiva per pensare che lo Snaso si fosse fatto ingannare dalle apparenze, come tutti gli altri.
    «Ma ancora non mi hai sorpreso neppure una volta. Fammi felice, su.»
    In verità quella ragazza in sé sembrava essere una scoperta, tant'è che rimase ad ascoltarla con piacere, ridendo delle sue parole per come venne descritto e per come lei pensava di apparire agli occhi altrui. Perché credeva di far tanta paura?
    «Molti la chiamano incoscienza.»
    O era semplicemente una ragazza sola che non sapeva come vivere altrimenti la propria vita?
    Domande troppo profonde, quelle, che non avrebbero trovato risposta. Non in quel frangente per lo meno.
    La vide infine porgergli il secondo panino e a quel punto sgranò le palpebre. Le iridi plumbee ne cercarono il viso e le labbra impiegarono qualche attimo a schiudersi per permettergli di parlare.
    «Rettifico: mi hai sorpreso.»
    Non badò alla provocazione successiva, era evidente che Amelia le avesse dato voce unicamente per dissolvere un eventuale imbarazzo da quel gesto tanto gentile. La gentilezza, in fondo, non sembrava adattarsi alla ragazza dai capelli d'argento.
    Josh, che non aveva fame, addentò il panino senza dire un'altra parola al riguardo, concentrandosi invece su quel desiderio appena sorto di voler approfondire quella superficiale conoscenza.
    «Come mai intimorisci la gente?»
    Perché, in fondo, era questo che la biondina aveva cercato di fargli capire.
    RevelioGDR
     
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8 replies since 4/11/2022, 20:23   123 views
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