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.Ottobre.
Anche quell'anno era arrivato.
Quel periodo dell'anno che Lilith non sopportava. Prima non era così, ricordava benissimo quanto amasse intagliare le zucche e riuscire ad essere la più bella maschera spaventosa di tutto Halloween.
Invece, da qualche anno a questa parte, quella festa le faceva davvero paura, tanto da preferire evitare di uscire all'aria aperta per tutto il mese, fino al 2 di Novembre, quando tutto davvero sarebbe finito. Passava le giornate tra la biblioteca e le aule vuote, libri su libri, fogli e pergamene volanti che facevano da sfogo a qualsiasi cosa lei volesse scrivere o disegnare.
Non c'era una volta sola, da quando quella cosa era successa, che avesse avuto il coraggio di riprendere in mano la situazione e riprendersi il bello di quel periodo.
Non voleva nemmeno tornare a casa, sarebbe stato troppo pericoloso uscire da quelle mura e se fosse successo qualcosa, adesso non aveva nessuno che l'avrebbe cercata, che avrebbe lottato contro i mulini a vento per poterla riportare a casa.
George, inoltre, con la nuova ragazza che si era trovato, era sempre fuori uso, sempre in viaggio da qualche parte e questo a Lilith faceva piacere, per quanto fosse preoccupata che Tom non avesse più il suo gemello. Quindi lei non poteva essere un'ulteriore preoccupazione.
In quel periodo, per Lilith, anche la terrazza era pericolosa, tanto che non metteva naso fuori nemmeno se fosse stata costretta.
A farle da coperta di Linus, tuttavia, c'era sempre il posto sicuro, quella zona di comfort che poteva riconciliare il suo animo strappato: l'aula in disuso.
Quella stanza le piaceva particolarmente, era come se avesse qualcosa che potesse renderla più tranquilla, più calma. E poi, quella cattedra sotto cui si rintanava ogni volta, era quello scudo sicuro a cui non avrebbe mai rinunciato. Chissà se l'anno prossimo, fuori da quella scuola, ci sarebbe stato un posto simile a quell'aula che tanto amava.
Era seduta a terra, con le gambe piegate a fare da tavolo ad un plico di fogli bianchi, in mano una matita, con cui disegnava: la mina colorava il bianco di quella pergamena trattata, tracciando le linee di quella grotta. Era sempre vivido nei suoi pensieri quel ricordo.
Nelle orecchie aveva delle cuffiette che la isolavano dal mondo esterno, con quella musica che le ricordava quanto fosse effimera la sensazione di pacatezza che provava durante l'anno, quella stessa sensazione che andava via ogni volta che si affacciava Ottobre.
Chissà, forse avrebbe dovuto chiamare Aaron, ma ultimamente sembrava che i Barnes non fossero esattamente quello che voleva intorno a sé...
Jessica era tornata, ma tra loro le cose non era ancora delle migliori.
Chi l'era rimasto?
Nessuno.
Forse era per questo che non vedeva l'ora di terminare quell'anno e scegliere la sua via, lontano da tutto quel dolore che quell'Accademia le aveva procurato.
Forse era solo il mese che le portava questi brutti ricordi...
Socchiuse gli occhi e poggiò la testa al ripiano paracolpi della cattedra di quell'aula abbandonata e si lasciò andare alla musica.
E se avesse ricominciato a ballare?
O magari a suonare?
No, erano solo i pensieri d'Ottobre.Lilith Clarke"La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati."Dioptase, Prefetto"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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.Cinque anni? Davvero? Nemmeno il tempo di ambientarsi e da li a poco tutto sarebbe cambiato, di nuovo. Lilith non ne poteva più di tutti quei cambiamenti repentini, lei che era così ordinata anche mentalmente, cercava solo un briciolo di stabilità, cosa che le stava mancando, facendole crollare il mondo sotto i piedi.
Non poteva crederci che a breve avrebbe forse coronato il suo sogno di diventare Auror. Questo era uno dei cambiamenti che aveva programmato e per quanto ne fosse spaventata, era già preparata all'idea di fare quel grande salto nel mondo degli adulti, così lo chiamava ancora suo papà.
La scuola era iniziata da poco più di un mese e ogni volta che entrava in aula ripetevano tutti i docenti quanto quello, per loro del quinto anno, sarebbe stato l'ultimo, il decisivo e di doversi impegnare al massimo.
Lilith lo stava facendo, forse perchè era l'unica cosa che ancora la legava alla sua personalità, l'unico amo che le permetteva di aggrapparsi forte e non cadere nel buio.
Quell'aula.
Sarebbe stato l'ultimo anno in cui avrebbe potuto mettere piede lì dentro e andava onorata ogni giorno: era il posto più importante per la riccia; dapprima il suo spazio vitale fuori dai primini che le facevano domande o le chiedevano appunti, poi era diventato il luogo che aveva visto nascere, crescere e distruggere la sua storia con Blake. Forse, pensava, che se si fosse concentrata ancora una volta, avrebbe potuto sentire l'odore della pelle di lui, riempire l'aria vuota di quell'aula. Era come se quell'aula fosse stato il palcoscenico dei momenti importanti della sua vita; era lì che Jessica l'aveva salvata dal suicidio, era lì che Blake le aveva guardato le mutandine prima ancora di diventare il pezzo più importante e necessario per lei. Ed era sempre lì che avevano fatto i conti con le loro sfide del cazzo che li aveva portati solo a bruciarsi di più e allontanarsi.
E ora? Era da sola, in quella stanza, a cercare di fuggire a tutti quei ricordi che venivano appesantiti da quel mese che le rimembrava la sua prigionia; sembravano tutte ferite che ancora bruciavano sulla pelle, fresche e sanguinanti. Tutte.
Aveva gli occhi chiusi, mentre pensava a tutto questo, mentre rivedeva vivide le immagini della caverna, il volto putrido del suo stupratore e poi... Blake. I loro baci, i loro sorrisi, i loro bronci... era tutto lì, rinchiuso in quelle quattro mura. Sentiva una lacrima scenderle sul volto, silenziosa come era lei in quel momento, con la sola musica che le parlava nelle orecchie e sentiva quell'odore, il profumo di lui. Sembrava così reale... così tangibile da farle desiderare contro ogni forza di volontà di averlo lì...
Un tonfo sordo.
La sua testa che sbatteva sotto il ripiano della scrivania e un «Auch!» - così spontaneo.
Ma cosa l'aveva fatta sussultare?
L'improvvisa assenza di musica da uno degli auricolari, tolto da... «Blake?!» - non poteva essere vero.
Lo aveva desiderato così forte da averlo lì, a porta di mano; bastava davvero così poco? Sgranò gli occhi e il suo primo pensiero fu di muovere il dorso della mano sulla propria guancia, facendo scomparire quella lacrima che le bagnava il volto.
«Non ti ho sentito arrivare» - «...allora il suo profumo era reale...» - disse rapidamente, distogliendo lo sguardo dall'opale, mentre le punte dei suoi capelli lottavano contro la sua concentrazione, cercando di diventare a poco a poco nere.
Raccatto frettolosamente la sua roba, come se volesse scomparire all'istante da lì. Ma la sua matita iniziò a rotolare dalla parte opposta.
Si allungò per cercare di prenderla, mettendosi a gattoni «Se devi studiare ti lascio subito l'aula...» - non riusciva ad incrociare il suo sguardo, aveva paura di farlo, come se il solo incrociarlo avesse potuto mostrargli verità che lei tirava indietro.Lilith Clarke"La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati."Dioptase, Prefetto"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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.BIPOLARE CON DRAMMAstato emotivo persistente che, quando estremo, altera sentimenti, pensieri e comportamenti.Seppur Blake non lo dava a vedere, seppur si era avvicinato tantissimo a Louise, seppur Blake era una persona che sentimentalmente riusciva a risultare distaccata, Lilith era sempre li. La ragazza non se ne sarebbe mai accorta, la ragazza non avrebbe mai sentito dalla bocca di Blake uscire delle parole come "ti amerò per sempre" o "Sei e sarai il mio primo ed unico amore". Blake non ne era capace ed aveva cercato di spiegarglielo in tutti i modi possibili ed immaginabili. Lui non era pronto ad essere solamente suo, lui non era pronto ad accettare dei compromessi nella sua vita, si sentiva stretto in una relazione, si sentiva stretto nella vita che conduceva, si sentiva stretto anche dentro quella scuola con tutte quelle persone che non facevano altro che dirgli cosa doveva e cosa non doveva fare. Era incredibile come riusciva a sentirsi stretto anche quando Aaron gli chiedeva la sue intenzioni. Seppur sembrava una persona che sapeva esattamente cosa stesse facendo, Blake non ne aveva idea. Aveva sempre seguito sempre e solo se stesso, sempre e solo il suo stesso credo e il suo cuore, il suo istinto e continuava a farlo. Quando sbattè la testa gli venne da ridere e poi la guardò stranito quando non fece altro che sviare il suo sguardo e riprendere le sue cose per andare via. Erano arrivati a quello? Lo aveva ingorato per tutta l'estate, lui le aveva scritto e lei non aveva neanche visualizzato i suoi messaggi, Blake era stato buono, lasciando che lei e SOLO lei, potesse ignorarlo, quando tutto il mondo sapeva che era una cosa che lui odiava profondamente. Ma quella volta non era disposto a vederla andare via. Quando mai a me è servita una stanza per studiare, da solo poi? Chiese quasi non capendo tutta quella fretta. Le prese la matita. Hai così fretta di andartene ed ignorarmi che quasi sono commosso.Si può sapere perchè stavi piangendo? E soprattutto perchè hai deciso di schivarmi ogni volta che mi vedi? Perchè non rispondi ai miei messaggi?Credi davvero che questa sia la soluzione giusta? Chiese poi non riuscendo a non andare immediatamente al nocciolo della questione, comunque alla fine gli si sarebbe messo davanti e delicatamente le avrebbe preso il mento e l'avrebbe costretta a guardarlo. Non mi guardi più negli occhi per una particolare ragione, Clarke? Chiese poi seriamente. Non avrebbe ceduto. O parlava con lui con le buone, o ecco, l'avrebbe fatta parlare a prescindere.
19 ANNI BLACK OPAL MUSICISTA INCENDIARIO Blake BarnesQuando sei pazzo, pazzo come questo, non lo sai. La realtà è ciò che vedi. Quando ciò che vedi si sposta, allontanandosi dalla realtà di chiunque altro, per te è ancora realtà. . -
.Com'erano arrivati a questo? Perchè scappava dal suo sguardo? Come mai non riusciva a riflettere i suoi occhi cristallo in quelli di lui? Lei le risposte le aveva, ma non trovava il coraggio di dirle ad alta voce. Non aveva il coraggio, per una volta nella sua vita, di prendere in mano la situazione e sbattere in faccia a Blake la realtà dei fatti. Probabilmente, prima o poi, sarebbe riuscita a fare un passo indietro, ma quella volta era così difficile. Già il solo sentire nell'aria il suo profumo, rendersi conto di quanto fosse reale e di come potesse rendere vivo ogni battito del suo cuore. Si era innamorata, questo già lo sapeva, ma adesso ne aveva solo l'amara certezza, ora che era in quella stessa stanza, vicino ma lontano. Si era beata di quei pochi attimi prima dell'estate, del suo compleanno e di quella effimera illusione che quella casa che aveva visto realmente potesse davvero essere la loro, una volta usciti da quella scuola.
Quella distanza era troppo pesante, era troppo non poter trovare ristoro per la sua anima tra le sue braccia e tra le coperte delle loro stanze. Era orribile svegliarsi ed uscire dalla sala comune senza lui che si facesse trovare da qualche parte a incasinarle la giornata, era distruttivo sapere che potesse - anche solo per una notte - preferire l'odore di un'altra al suo.
Come poteva dire tutto questo, senza rovinare quella civile convivenza che a lui sembrava star bene?
Forse erano amplificate le sue sensazioni, in quell'ottobre che riportava alla memoria troppe cose, anche le sue braccia che la stringevano una volta recuperata dall'incubo di Naga.
Scrollò le spalle a quella domanda, che riportò nuovamente vivide immagini di loro che studiavano insieme, di come lei riuscisse a farlo concentrare e di come lo scambio equivalente tra lo studio e il sesso rendeva tra loro le cose veramente diverse da quelle di qualsiasi altra coppia.
Ingoiò a vuoto e, se fosse stato attento, Blake avrebbe potuto vedere il movimento della sua gola mentre saliva e scendeva.
Tentò di afferrare la matita che rotolava, ma si ritrovò a toccare il pavimento, fulmineo com'era stato lui ad afferrarla per primo. Sgranò gli occhi, fissando il freddo materiale di terra. Ascoltava quelle parole che sembravano come lame, lo stomaco si stringeva ancora di più e le lacrime ripresero a cadere, bagnando in cerchi perfetti il poroso pavimento che era sotto di lei. Non voleva dire una sola parola. Trattenne il respiro sperando di riuscire a perdere i sensi prima che quella tortura continuasse, ma era impossibile riuscirci.
Ma il colpo di grazia fu la sua ultima domanda. Le ginocchia si piegarono di nuovo, lasciandola sedersi nuovamente in terra. Era un'inversioni di ruoli strana.
Solitamente era lei a cercare risposte da lui, adesso, invece era il contrario.
Lasciò che il silenzio avanzasse, mentre ancora lo sguardo non veniva incrociato con quello dell'Opale.
«N-non posso...» - cercò di mormorare, tirando su col naso e cercando di asciugare rapidamente una lacrima sul suo volto «... fa troppo male la tua assenza.»
Sgranò gli occhi a quelle sue stesse parole. Forse era la prima volta che lo diceva ad alta voce «M-mi dispiace B-Blake... non volevo...» - strinse i pugni «Se parlo... se parlo ho paura...» - la voce tremava, come se fossero troppo pesanti i suoi pensieri e prendessero il sopravvento sulle sue parole, cercando di sgomitare per venir fuori prima di altre «Se ... se ti guardo... ho paura...» - tutto quello non aveva senso, lo sapeva, ma come poteva spiegarglielo senza fare dei danni?
Era impossibile.
Ma alla fine... che altro poteva andare male?
«... ho paura di... di dirti quanto ti amo. Quanto le mie giornate passano con il solo pensiero di sopravvivere, con il... con il conto alla rovescia che mi farà uscire da questa scuola... » - un singhiozzo, due... «... tu hai sempre creduto di essere sbagliato per me. Tu hai sempre pensato che mi facessi del male. Ma è la tua assenza che mi distrugge. E' il mio continuo ricercarti tra le pagine di un libro, tra le foto... nell'odore della tua felpa che ho ancora e con cui dormo ogni notte... è questo che fa male. Non tu. Non la tua presenza. Non il tuo essere incasinato. Non il tuo farmi arrabbiare. Questo mi rende viva. E non ti guardo... perché...» - il cristallo liquido della Caposcuola si sollevò, forse per la prima volta, a cercare il volto di Blake «... perchè mi innamoro di nuovo ogni volta che ti vedo. E non posso nasconderlo, non posso evitarlo. Non voglio farlo.» - lasciò adesso terminare quelle parole nell'aria, cercò di riprendere fiato, ma il piangere la stava soffocando.
Passarono forse minuti interminabili «Tu pensi che tutto questo sia la soluzione giusta?» - riprese le sue parole, rigirandogli quella domanda che aveva posto a lei «Credi che questa distanza ci stia aiutando? Ti sta facendo bene?» - non lo stava incolpando o puntando il dito, stava chiedendo dolcemente se fosse certo di tutto quello «... ho bisogno solo che tu mi dica di continuare a volere questo. E io te lo prometto, sarà l'ultima volta, questa, in cui ti racconterò quanto bene mi fa la tua presenza nella mia vita. L'ultima volta, Blake... lo giuro.» - era un flebile parlare, come se non avesse le forze per affrontare quella risposta che tanto temeva «Ti lascerò andare... te lo prometto... se è questo quello che vuoi davvero.» - lo stava ancora guardando e in quegli occhi cercava solo una risposta, combattendo contro l'estrema necessità di perdersi tra le sue braccia e baciare quelle labbra, per ritornare a respirare.Lilith Clarke"La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati."Dioptase, Prefetto"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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.Era difficile riuscire a tenere su lo sguardo quando tutto quello che le stava cadendo sulle spalle, non faceva altro che schiacciarla verso il basso. Era lei che doveva farsene una ragione, non poteva continuare a scappare dalla verità che Blake avesse intrapreso la sua strada e che lei non riusciva a mettere la parola fine alla loro relazione. Fine che era partita da lei, fine che non aveva dato possibilità a Blake di scegliere. Se erano in quella situazione era solo colpa sua e del fatto che non avesse accettato quel suo modo di trattare Mia e tutte le sue amiche. Fine che poi si era ritirata, che li aveva portati a tornare quelli di sempre, fine che era tornata a bussare alle loro porte, quando la verità della sua notte con Jessica aveva fatto cadere a pezzi tutte le certezze che aveva, confermando quanto stesse vivendo in un castello di carta che ci aveva messo meno di niente a crollare su se stesso, lasciando la metamorfa a raccogliere i pezzi di cristallo che aveva poggiato su quelle mura. E ora stava solo continuando a calpestare quei frammenti distrutti, provando a dargli un senso, mentre li sentiva diventare polvere sotto le suole dei suoi stessi piedi.
Cos'era successo?
Perché era finita così in basso e non riusciva a risollevarsi?
Non trovava il giusto appiglio per risalire in superficie. Era come se vedesse la luce, ma non riuscisse a raggiungerla, per quanto tentasse di scalare quelle pareti erano troppo umide e poco resistenti per sorreggerla fino in cima, quindi ricascava giù. Blake era ciò che l'aveva sempre fatta rimanere con i piedi per terra, lui e il suo enorme casino l'aveva sempre tenuta impegnata e anche se era così difficile, era ciò che la faceva sentire viva.
Ora che tutto era cambiato, annaspava alla ricerca di aria, sperando che prima o poi avesse smesso di vivere in apnea. Apnea che non smise di esistere quando il suo volto fu costretto a sollevarsi, incontrando quegli occhi che non solo le smorzarono il fiato, ma le rapirono decine di battiti, rischiando di fermare quel cuore già affaticato. Guardò quel riflesso di lei nelle sue iridi e si riconobbe solo in quegli occhi, dove si sarebbe voluta perdere per una vita intera. Quel contatto fu allo stesso tempo spada e medicina, la feriva e la leniva insieme, rendendo tutto sempre più difficile. In quegli occhi ritrovò se stessa, quello che era stata e quello che era adesso, fu come se avesse teso la mano in quello spiraglio di luce che vedeva da lontano e l'avesse tirata su, a peso morto, dal baratro dov'era caduta. Ed era sempre stato così, l'aveva sempre salvata, l'aveva sempre resa libera e si era sempre appoggiata e aggrappata a quegli occhi e alla sicurezza che loro ci sarebbero sempre stati e che lui l'avrebbe guardata sempre con lo stesso amore che gli leggeva in volto.
E ora? Com'era caduta quella certezza?
Quando lasciò la sua pelle, per allontanarsi, Lilith portò una mano istintivamente al punto che Blake aveva toccato, come se volesse trattenerne il calore su se stessa, ma fu tutto inutile. Calo lo sguardo sulle proprie dita, come se potesse rivedere quelle del ragazzo intrecciarsi alle sue. Ma non c'erano. Sapeva che lo aveva destabilizzato, sapeva che aveva bisogno di camminare e prendere aria, ma per lei tutto quello era una tortura.
Era una tortura non poterlo baciare, era una tortura non poterlo avere. Perchè non riusciva a staccarsi e basta, da lui?
Sentì la sua voce, all'improvviso e sussultò, risollevando lo sguardo, cercandolo.
Ascoltò ogni singola parola, ogni minimo respiro preso per riprendere fiato. Tutto. Era come se adesso stessero parlando veramente, per la prima volta in cinque anni. Sgranò gli occhi quando lo sentì parlare di quello che provava per lei. Ma allora, se l'amava davvero come diceva, perché non tornavano alla normalità? Perché dovevano rendere tutto così complicato, quando sarebbe bastato riprendersi per mano e rialzarsi a vicenda?
Le risposte a quelle silenti domande arrivarono di lì a poco.
Non poteva darle stabilità.
No, non sapeva più se stava bene senza di lei, non sapeva più niente. Ogni sua certezza era ormai crollata da troppo tempo.
Ancora quelle dita la sfiorarono e i suoi capelli si tinsero di nero, con la stessa rapidità con cui il suo cuore aveva ricominciato a battere mentre le sue mani scivolavano su di lei. Le faceva male il petto. Sentiva un bruciore all'altezza del cuore, stava male. Lo sentiva che stava male e non era più un dolore solo emotivo. Ma non avrebbe fermato quel flusso di coscienza che Blake stava sputando fuori, anche se le fosse venuto un infarto.
Una stretta ancora più forte, come se qualcuno stesse tentando di strapparle il cuore dal petto, venne quando lui affermò di non poter stare con lei perchè si sentiva di soffocare al pensiero di dover essere solo suo. Quindi quella deleteria condizione sarebbe rimasta.
Le mancava il respiro. Schiuse le labbra per cercare aria. Aveva capito questo, che per quanto fosse innamorato di lei, per loro non ci sarebbe stato modo di rimediare a quella situazione.
La testa di Lilith pulsava e le lacrime iniziarono a cadere sempre più piene «...vuoi continuare così...nonostante... nonostante il nostro amore...» - non riusciva a parlare, a stento aveva il fiato per rimanere con gli occhi aperti e sentiva la gola gonfia «... io... io... non riesco ad esserti ... amica... non... non posso farlo...» - si stava fustigando da sola... ma quelle parole erano più che vere. Non poteva essere una sua amica, una sua compagna di sfoghi.
Ogni singola parola veniva soffocata da un respiro mancante.
Lei aveva promesso.
Quella sarebbe stata l'ultima volta che ci avrebbe provato. L'ultima volta che lui sarebbe stato costretto a sopportare lei. E per quanto lui non volesse lasciarla andare e non volesse che lei facesse lo stesso, Lilith aveva voluto solo sapere se quella sarebbe stata la situazione che li avrebbe visti affrontare il quinto anno. E la risposta era arrivata. Dolorosa, struggente, omicida.
Si abbracciò le proprie gambe, nascondendo il volto nelle ginocchia piegate al petto. Continuava a piangere, sentendo le sue mani fredde a contatto con le gambe nude sotto quella divisa.
Soffrivano entrambi, ma non potevano stare insieme.
Tutto questo, per Lilith, non aveva senso. Non voleva trovargli un senso. Poteva solo rispettare quello che Blake aveva deciso per tutt'e due.
Venne a conoscenza della presenza del padre, strinse le dita attorno alle sue gambe, mentre sgranava gli occhi languidi nascosti dalle ginocchia.
«P-puoi... puoi stare da me... se ... vuoi...» - il respiro continuava a non tornarle, ma aveva ancora le forze per stargli accanto, le avrebbe avute fino alla morte, ne era certa «... n-non voglio che... non voglio che...» - socchiuse gli occhi, stringendosi ancora alle gambe, mentre quella fitta che si era affacciata poco prima non smetteva di pungere «... che stai solo con lui... p-per favore...» - per quanto fosse dolorante in maniera strana, Lilith continuava a preoccuparsi di lui, perchè lo amava, perché era la sua luce e la sua ombra.
Fece per alzarsi, voleva raggiungerlo. Voleva essere lei a ricercare quel contatto. Le gambe le tremarono appena, ma mosse qualche passo in sua direzione, provando ad alzare una mano per accarezzargli il viso, con delicatezza, con quella mano che aveva perso la temperatura calda.
Sbattè le palpebre ancora un paio di volte, non riusciva a togliere quei puntini bianchi che le annebbiavano la vista «M-mi.. manchi, B.» - fu un soffio, prima che la testa iniziasse a girare e quella fitta al petto le smorzò il fiato, sgranando il suo sguardo. Che stava succedendo? Una mano della Caposcuola si portò flebile al petto, all'altezza del cuore «... A-aron...» - fu quello che disse prima di svenire a peso morto tra le braccia dell'opale.Lilith Clarke"La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati."Dioptase, Prefetto"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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