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Louise De Maris.
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LIBERTÀStato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.Forse sarebbe stato meglio se Evrard Boyer le avesse cancellato la memoria quella fatidica sera. Forse sarebbe stato meglio aver centrato almeno uno di tutti i suoi tentativi di suicidio. Forse sarebbe stato meglio essere già con i suoi genitori quel giorno e esser uccisa assieme a loro. Perché, così, nessuno, tantomeno lei, avrebbe sofferto. Poteva sembrare un pensiero egoista ma, sinceramente, non ce la faceva più a sopportare le percosse di suo zio, le umiliazioni a cui sua zia, Brigitte De Maris, la sottoponeva quotidianamente, gli attacchi e i morsi di Chivas, il cane di Evrard, la rigidità a cui doveva attenersi durante le lezioni che la sua tutrice la costringeva a seguire durante le sue vacanze, per prepararla ad essere una “degna” De Maris, che, poi, non lo sarebbe stata mai. Affatto. E allora Louise si domandava perché continuasse a insistere sulla sua persona, se sapeva che non avrebbe mai potuto essere una vera erede di quel cognome. E, poi, c’era anche la trafila di uomini con cui era costretta a passare del tempo, tutti suoi possibili futuri mariti che Evrard stava scegliendo per lei. Quando sarebbe arrivata la sua libertà? Quando avrebbe potuto spiccare il volo, respirare ossigeno, dormire sogni d’oro? Lei, ormai, viveva solo di incubi, di attacchi di panico non appena il suo udito fosse stato colpito dal rumore di un tonfo sordo o i suoi occhi avessero visto anche solo la silhouettes di un cane, di paura anche solo a scambiare una singola parola con uno sconosciuto, anche fosse stato un suo coetaneo, perché poteva essere tutto: una spia oppure la strada aperta per un report all’istituzione che suo zio rappresentava da parte dei suoi scagnozzi.
Forse si stava meglio quando si stava peggio… quando non possedeva nulla dei suoi genitori, se non una misera collanina di suo padre. Ora, invece, aveva un album di foto e un quaderno di sua madre che aveva portato con sé dopo la “visita” ad Issigeac, durante la quale aveva pianto lacrime amare.
Si sentiva arrabbiata: con sé stessa, per avere tutti quei pensieri; con Evrard e Brigitte; con Blake, anche se non ne aveva motivo; con Aaron, con praticamente tutti. E voleva sfogarsi, ma non aveva ancora trovato il modo e il tempo per farlo. Mentre camminava a passo celere tra i corridoi della scuola, per scaricarsi, le passò per la mente che nei paraggi ci fosse un’aula in disuso. Era finalmente arrivato il suo momento: corse verso quello che sapeva fosse lei, il vento le scompigliava i capelli lunghi e lisci che le cadevano sulle spalle ormai ossute, visto che era andata incontro ad un dimagrimento improvviso e ben visibile. Spalancò la porta e la richiuse, senza far rumore. Poi, lanciò un veloce – Muffliato – per silenziare la stanza e si prestò a quella che avrebbe definito essere la sua preferita: distruggere cose, tutto quello che avrebbe trovato davanti. Iniziò con un vecchio mappamondo e, a seguire, sedie, libri, giochi da tavolo. Non era nessuno presente lì e non aveva pensato che qualcuno avrebbe potuto precipitarsi di lì a poco.18 ANNI AMETRIN SCHEDA PG STATISTICHE LOUISE DE MARISUna donna è libera nel momento in cui desidera esserlo. . -
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Louise De Maris.
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LIBERTÀStato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.Le sue mani stringevano la gamba di una sedia che ormai non era più tale, la cui estremità era delineata da punte affilate che, se costrette sulla pelle nuda, avrebbero lasciato traccia del loro passaggio in striature di sangue, forse copioso. Le nocche si erano fatte bianche dalla presa ferrea che stava applicando su quella mazza di legno. Dappertutto, pezzi di vario materiale erano disseminati per il diametro e il perimetro della stanza. Sarebbe bastato un incantesimo per far tornare tutto come prima, vero? Vero?! Eppure, non ne aveva ancora abbastanza. Allungò il braccio verso uno dei libri sulla mensola di un grosso scaffale, con l’idea di acciuffarlo e scagliarlo violentemente contro un muro, ma le sue gesta rabbiose furono fermate da una voce maschile proveniente dalla sua sinistra. Louise virò leggermente il capo verso la fonte: lei aveva i capelli arruffati, le guance e le orecchie arrossate, lo sguardo cinereo e le labbra socchiuse per consentire all’ossigeno di avere miglior accesso alle sue vie respiratorie. Il petto si alzava e si abbassava ritmicamente: ansimava dallo sforzo che aveva compiuto. Abbasso lentamente il braccio, fino a che questo non ricadde lungo il suo fianco. Cosa voleva quel moretto? Ma, soprattutto, cosa ci faceva lì? Non vedeva che l’aula era occupata e anche distrutta?! Non rispose prontamente alle sue domande, troppo presa da quelle proprie che le perforavano il cranio. Poi, con un movimento brusco di braccio, lanciò lontano da sé la gamba della ormai defunta sedia, che precipitò sul pavimento con un tonfo.
- De Maris! – rispose, specificando solo il suo cognome, con tono di voce duro e feroce. Non aveva voglia di parlare con nessuno, tantomeno fare conoscenza. Voleva star da sola, ma, a vedere dalla posa del ragazzo, non sembrava che lui volesse lasciarla stare. E quella constatazione la faceva innervosire ancora di più.
- E, comunque, non sono affari tuoi! -18 ANNI AMETRIN SCHEDA PG STATISTICHE LOUISE DE MARISUna donna è libera nel momento in cui desidera esserlo. . -
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LIBERTÀStato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.La rabbia, effettivamente, non era una buona scusa per trattare male quel povero ragazzo che aveva solo deciso di aiutarla, in qualche modo. E Louise, di lì a breve, si sarebbe sentita una grandissima stronza e i sensi di colpa le avrebbero divorato il cervello. Alla fine, compì il lavoro che aveva iniziato poco prima: allungò la mano, raccolse un libro a caso e, poi, senza nemmeno dare uno sguardo di compassione alla copertina, lo scaraventò contro il muro con forza, accompagnando l’azione con un piccolo urlo di rabbia. In quel frangente di tempo, riuscì comunque a udire le prime parole del ragazzino e, pian piano, si fecero strada verso il suo udito anche i respiri tirati a forza e accelerati. La sua mente entrò come in un blackout totale sul momento: quante volte aveva respirato così lei? Non si potevano contare sulle dita tutti quegli attimi durante i quali aveva dovuto cercare di combattere la paura di non vomitare ed era rimasta seduta a fianco al water, a guardare le mattonelle bianche della dimora dei suoi zii, nella speranza che la nausea si calmasse presso. E, poi, c’erano tutte le volte in cui era rimasta senza ossigeno per i dolori lancinanti provocati dalle percosse di suo zio o dai morsi di Chivas, il suo alano, a cui Evrard ordinava di attaccarla. Ricordava anche bene quel giorno in cui l’uomo l’aveva tenuta sospesa in aria per il collo, quasi uccidendola dal soffocamento o in cui l’aveva letteralmente fatta volare contro un muro e lei era rimbalzata da esso sul pavimento, spaccandosi anche la testa.
E il modo in cui quel ragazzino stava respirando non le piaceva per niente. La rabbia fu presto dimenticata e si ritrovò ad avvicinarsi al dioptase con passo celere. Si accovacciò al suo fianco, allungò le mani e provvide ad allargargli la corda della cravatta e a sbottonare qualche bottone della sua camicia.
- Scusami, devo farlo… ti aiuterà… - gli disse. – Riesci a dirmi cosa senti? -
Non poté avere risposta perché vide i suoi occhi sbarrarsi e la sua bocca aprirsi in una smorfia di dolore. Si spostò velocemente, in modo tale che fosse davanti a lui. Gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo, senza applicare forza eccessiva sul suo volto.
- Ehi, guardami… guardami… -
Ancora, acciuffò una sua mano e portò il palmo contro il suo petto. Qualcosa di concreto come il battito del cuore l’avrebbe aiutato a calmarsi, perché era quasi come se risvegliasse nell’uomo un ricordo primordiale: il ricordo inconscio del battito del cuore della mamma.
- Ecco, senti il mio cuore… -
Cercò i suoi occhi.
- Respira… insieme a me… dentro! -. Inspirò. – Fuori… -. Espirò. Avrebbe continuato così per un po', fino a quando non si fosse calmato. Il palmo poggiato sul petto dell’ametrina l’avrebbe aiutato a toccar con mano l’azione del respiro e a guidarlo tramite esso.18 ANNI AMETRIN SCHEDA PG STATISTICHE LOUISE DE MARISUna donna è libera nel momento in cui desidera esserlo. . -
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in the hallways of my heartAQUARIUS16DUBLINBookwormestpDioptase. -
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LIBERTÀStato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.A dir la verità, si era spaventata e non poco per quell’attacco respiratorio che aveva afflitto il ragazzo: un conto, infatti, era viverlo in prima persona (non che fosse meno spaventoso), un altro ne era, invece, vederlo dall’esterno ed entrare in panico perché non si sapeva come muoversi e aiutare l’altro che stava male. Sì, Louise, alla fine, conosceva come fare perché l’aveva vissuto un milione di volte… ma questo non voleva dire che non le fosse quasi uscito il cuore dal petto quando aveva visto il dioptase quasi accasciarsi a terra.
Il proprio volto, non proprio colorito già quando era in preda alla rabbia, si era fatto molto più pallido. Quando Nicholas scosse il capo, forse per scacciar via un pensiero spiacevole, Louise lasciò andar via la sua mano e strinse una presa gentile, ma ferma, sul suo mento.
- Ti sconsiglio di muovere la testa… potrebbe girarti di nuovo all’improvviso e avere conseguenze poco piacevoli… - gli disse.
- Non c’è bisogno di ringraziarmi… l’avrebbero fatto tutti, no? -
Gli mostrò un sorriso educato, che non fece altro che solcare le due fossette ai margini delle proprie guance. Poi, chiese: - Come va il tuo stomaco? Ti fa male? È nauseato? -.
Mali diversi comportavano cure diverse, seppur Louise avrebbe potuto sopperire solo con quelle babbane, imparate un po' grazie agli insegnamenti di suo padre, un po' per sopravvivere alle percosse e alle torture inflittale dallo zio durante tutti quegli anni. E, poi, c’era il fatto che negli ultimi tempi aveva convissuto parecchio sia con la nausea che con il vomito.
Virò i suoi occhi verso il volto pallidissimo e leggermente sudato del ragazzo.
- Non dirlo nemmeno per scherzo! – si ritrovò a rimproverarlo. – La mia serata era già rovinata ancor prima che tu facessi capolino in questa stanza e, comunque, non sei affatto da ritenere la causa del crollo dei miei umori -. Si lasciò scappare una risatina per scongiurare la tensione che c’era nella stanza.
- Un attimo solo… - affermò d’improvviso, alzandosi da terra e muovendosi verso un mobiletto che non era ancora stato intaccato dalla propria furia distruttiva. Aprì le sue due ante: era alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un bicchiere, anche vagamente.
- Eccoti! -
Allungò una mano e raccolse una ciotola abbastanza profonda. Anzi, era meglio prenderne due.
- Hai ragione, è un periodo davvero di merda! – rispose all’affermazione di Nicholas. A propria testimonianza c’erano anche le occhiaie nere dipinte sotto gli occhi.
Strinse la bacchetta tra le dita. – Aguamenti! – cantò, prima verso una, poi verso l’altra ciotola. Portò tutto sul mobile su cui era poggiato di schiena il dioptase.
- Ecco, prendi! Comincia con un bicchiere d’acqua, che fa sempre bene! -
Se, infatti, le avesse detto di avere mal di stomaco, gli avrebbe preparato una tisana. Come? Beh, forse avrebbe fatto un salto di nascosto nelle cucine. O avrebbe chiesto a qualcun altro.
Avvicinò un fazzolettino imbevuto di acqua fresca alla sua fronte, ma, prima di poggiarlo sulla pelle, l’avrebbe guardato per chiedergli il permesso di farlo.
Poi, gli avrebbe detto, porgendogli l’altra ciotola, - Bagnati i polsi e dietro le orecchie… ti farà sentire meglio… -. Seguì un istante di silenzio e una domanda un po' scomoda: - Hai spesso questi attacchi…? -18 ANNI AMETRIN SCHEDA PG STATISTICHE LOUISE DE MARISUna donna è libera nel momento in cui desidera esserlo. . -
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in the hallways of my heartAQUARIUSII annoDUBLINBookwormestpDioptase. -
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LIBERTÀStato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza.Il ragazzino aveva effettivamente ragione: Louise sapeva che non tutti sarebbero stati in grado di gentilezza e lei l’aveva sperimentato sulla propria pelle. Quante volte, infatti, aveva dovuto fare i conti con le cinghiate sulla schiena e con una mente fragile e spezzata, senza che nessuno si facesse avanti per aiutarla? Tutti erano stati a guardare, persino Alton, colui che era stato il suo promesso sposo, aveva lasciato che suo zio la torturasse, senza muovere un dito per aiutarla. Era stato proprio lui a sottomettersi alla volontà di Evrard Boyer e a spegnere quel mozzicone di sigaro sulla pelle nuda del seno dell’ametrina, sul quale vi era ancora una leggera traccia di cicatrice. Ed era rimasto a guardare mentre lei singhiozzava e pregava disperatamente il suo aguzzino di smetterla, mentre scalciava disperatamente premuta contro un muro e sollevata da terra dalla mano dell’uomo sulla sua gola, che la stava soffocando a morte, mentre urlava dalla disperazione per la confessione che i suoi genitori fossero stati uccisi a sangue freddo dalla bacchetta di Evrard, mentre proprio quest’ultimo confessava che avrebbe voluto tanto scoparsi la madre di Louise… Lei lo sapeva bene e non riuscì a rispondere a quella risposta. Lasciò che fosse il silenzio a parlare per i suoi pensieri e continuò a muovere le dita, non più ferme, ma leggermente tremanti per tutto quello che aveva appena rivisto in una sequenza di ricordi. Sapeva che il Mc Callister, prima o poi, se ne sarebbe accorto; perciò, non provò neanche a nasconderle dietro la schiena, per quanto sembrasse allettante l’idea che la sua sofferenza potesse sfuggire agli occhi del dioptase. C’era solo un’altra persona di quella scuola che l’aveva vista in quelle condizioni: Blake Barnes. Era felice che non fosse lui ad essere in quella stanza, perché non riusciva proprio a pensare come avrebbe dovuto affrontarlo dopo quanto accaduto.
Annuì dolcemente.
“Sì… passerà”.
Erano pensieri più di convinzione rivolti verso sé stessa, che non riusciva più a credere in un’esistenza pacifica, normale. La propria normalità, ormai, consisteva nel convivere quotidianamente con gli incubi che non erano altro che pezzi frammentati di realtà gettati nei sogni più oscuri.
Si concesse di rivolgergli un lieve sorriso. Aveva compreso a che gioco stesse giocando.
- Cosa è? Una confessione per una confessione? -
Non avrebbe avuto problemi a riferirgli quella parte di sé stessa, soprattutto se ricambiata, perché sapere qualcosa in più di quello studente le avrebbe permesso di aiutarlo con più facilità.
- E’ lo stesso per me… vorrei che fossero solo incubi, ma, purtroppo, non è così… -
Non aveva una bella cera ancora, ma aveva messo su un po' di peso, riempendo, con sua grande gioia, i fianchi e i glutei. Avrebbe dovuto smettere di sperare per il seno cadente… non avrebbe potuto far nulla, se non sottoporsi a un intervento estetico di qualche tipo per rimetterlo su. Ma non era il fisico ciò che importava in quel momento, per quanto avesse voluto essere più bella di quello che fosse… soprattutto per Blake.
Rivolse un’occhiata comprensiva al dioptase.
- Mi dispiace per tuo padre… - disse semplicemente. Non aveva idea di quanto percepisse e comprendesse il suo dolore.
- Sì, in effetti sono abbastanza ferrata, come hai detto tu… ci soffro da… - si bloccò per un secondo. - …da un po' di tempo. E, dopo un po', si deve per forza capire come affrontarli, no? Altrimenti si rimane schiacciati, soprattutto quando- -.
Fermò il suo parlare d’improvviso: non voleva svelare di sé stessa più di quanto avesse già fatto. Provò a cambiare argomento.
- Come ti senti? -18 ANNI AMETRIN SCHEDA PG STATISTICHE LOUISE DE MARISUna donna è libera nel momento in cui desidera esserlo. . -
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