Homesick

Un sabato pomeriggio di fine Settembre, 2021

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    Connor non ha esagerato nel descrivermi i Giardini di Hidenstone con aggettivi pieni di meraviglia e incanto, e lui lo sa fare bene, imprimere nelle parole l'esatto significato che vuole, con tutte le sue sfumature, le sue immagini nascoste. Lo invidio per questa sua capacità e allo stesso tempo sono immensamente grata che sia toccata a lui: ascoltarlo è come venir trasportati in un altro mondo e finalmente, dopo due lunghissimissimi anni, in questo mondo ci sono finta anche io.
    Sono passate a malapena tre settimane dal mio arrivo e dalla Cerimonia dello Smistamento, eppure mi si potrebbe già considerare una frequentatrice assidua (se non fissa) degli esterni dell'Accademia. Non che l'interno non mi piaccia... I dormitori degli Ametrin sono fichissimi e le aule spettacolari, per non parlare della Sala del Tè o di quella Multimediale... Però so di appartenere altrove, in luoghi dove si respira aria fresca e odore di terriccio, dove il verde e l'azzurro predominano, dove vivere alla stregua di uno spensierato fiorellino mi riempie di pace.
    Adesso sto facendo proprio questo, cercare tranquillità, siccome mi sento inquieta. Il motivo? Non lo conosco. Mi urta non averne la più pallida idea: di solito ci azzecco sempre quando si tratta di me stessa. Sono di facile interpretazione, io; mi piace essere trasparente, è uno dei pochi vanti che ho, non essere inutilmente complicata.
    Imbronciata tra me e me, mi interrogo cosa acciderbolina possa turbarmi in maniera così impalpabile, ma fastidiosamente presente, mentre percorro uno dei vialetti acciottolati a casaccio, incurante del rischio di smarrirmi in questo dedalo di aiuole fiorite. La tentazione di avvicinarmi ad una delle panchine e afflosciarmi lì finché questa strana sensazione non svanisce mi sovviene a tratti, ma desisto; ho voglia e bisogno di muovermi, stare ferma probabilmente aggraverebbe lo scontento.
    Allora cammino, cammino, cammino... Quasi mi occorre di andare a sbattere contro il tronco di un maestoso albero per accorgermi di essere giunta in prossimità del Bosco di Ragna, ammantato in anticipo dei colori dell'autunno.
    Connor mi ha raccontato tutto di esso, ovviamente.
    Lancio un'occhiata in giro, chiedendomi se sia il caso di addentrami da sola. Dopo un solo istante, scaccio via l'indecisione con una scrollata di spalle e avanzo oltre il limitare del bosco, le gambe ormai doloranti per la lunga passeggiata senza meta. Farà buio non prima di un paio d'ore, il luogo è del tutto sicuro e io sono un'esperta di avventure nella natura grazie alle mille spedizioni nel Parco di Casselwood Lairs, dunque è stato sciocco da parte mia esitare.
    Circondata dal canto degli uccelli, dall'umidità feconda del sottobosco e dai mormorii delle foglie carezzate dal vento, il mio umore non può fare altrimenti che risollevarsi un poco. La radice nodosa di un Olmo, che spunta invitante dal terreno, riesce nell'impresa in cui le panchine avevano fallito: mi convince a riposare. Mentre mi siedo, nella mia tasca qualcosa scricchiola. Dapprima temo che siano gli snack trafugati per la merenda ad essersi ridotti in briciole, in seguito riconosco con sollievo il suono della pergamena che si accartoccia. Recupero la missiva ricevuta in mattinata e faccio del mio meglio per farla tornare quantomeno leggibile, in tutti i suoi quattro fogli. Mamma e Charly sono dei gran chiacchieroni, anche quando si scrive e non si parla, in più ci sono le aggiunte occasionali di papà, Cathy e persino di Miss Florence. Più per inerzia che per reale volontà mi ritrovo a rileggere quelle frasi amorevoli e confusionarie, di chi ha tanto da dire, raccontare e, soprattutto, chiedere. Sorrido per la calligrafia grande e pomposa di mio fratello e per l'eccessiva premura di mamma, che ha seminato nel testo ben dodici raccomandazioni di coprirmi con una sciarpa quando tira la tramontana. Ed è proprio nel sorridere che mi sorprendo della gocciolina precipitata dall'alto, finita sull'angolo in basso a sinistra della lettera, a corrompere l'inchiostro.
    Guardo in alto, il naso rivolto al cielo, lo sguardo tra le fronde dell'olmo: possibile che si stia per mettere a piovere? Durante il mio girovagare nei Giardini era tutto terso e soleggiato.
    Poi comprendo: non è la pioggia, è una lacrima, e mi appartiene.


    Cassia CadburyLookScheda




    Lucas Jughed Jones


    Edited by Louvenia - 7/3/2022, 21:21
     
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    Per uno scrittore qualsiasi posto è perfetto per cercare ispirazione. Tutto si basava su quella matassa di fili colorati, uno diverso dagli altri: bastava scegliere un colo e seguirlo fino a sbrogliare tutti i nodi e i grovigli che si creavano .
    Solo così si giungeva all'ispirazione ed era un attimo, un frangente rapido in cui il flusso di coscienza scivolava dalla mente al braccio, fino alla mano per venir trasmessa alla penna con cui sgocciolava l'inchiostro sul foglio bianco.
    Era così che nasceva un testo, un capitolo, una produzione; o almeno era così che accadeva per Lucas che quel giorno aveva deciso di seguire quel filo immaginario che aveva il colore degli occhi di una persona che nella sua vita era sempre stata un'incognita continua.
    Quel filo lo stava portando all'esterno delle mura, come se la sua ispirazione volesse trascinarlo fuori e farlo scappare da quelle pareti spesse che lo imprigionavano tra le stanze dell'Accademia.
    Era difficile interpretare il desiderio di quel filo colorato, lui pensava a seguirlo senza fare troppe domande, avrebbe capito da solo quando l'ispirazione sarebbe arrivata al capolinea, per questo continuava ad avanzare nei giardini guardandosi attorno mentre tirava una lunga boccata alla sigaretta che aveva acceso pochi metri prima.
    Quella passeggiata pareva non avere una meta fissata, ma lui continuava a sbrogliare quel filo colorato fin troppo intrecciato a tutti gli altri che sembrava quasi impossibile da sciogliere proprio come la situazione con la persona di cui portava il colore.
    Era ormai giunto al Bosco di Ragna, ma non si fermò, addentrandosi in quella vegetazione, ascoltando l'intonato canto degli uccelli accordato con il mormorio delle fronde mosse dal vento che facevano da coro.
    E fu quando giunse ad uno dei grandi olmi che dovette frenare e arrestare quel cammino, silenzioso e felpato. Non era solo, non era stato l'unico ad addentrarsi nel Bosco e ora osservava la ragazzina che leggeva qualcosa che sembrava inumidirle gli occhi.
    La osservò guardare verso l'alto e sbuffò il fumo prima di schiudere le labbra e caldamente parlare «Non piove, se non dai tuoi occhi. Tutto bene?» - fu dolce e il tono caldo, ma non si avvicino a lei.
    lucas j. jones

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