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I keep on runnin' from my own life
Un incarto semplice, rettangolare, volto a nascondere una scatola di un banalissimo cartone da imballaggio. Una carta semplice, tinta unita, un verde capace di far incontrare l'azzurro scuro ed il verde acqua dei Dioptase. Era stato semplice per lei scegliere proprio quella tonalità, un qualcosa che ricordava lui, un qualcosa che a lui avrebbe ricordato i suoi occhi in tempesta, ma non per un litigio.
Because I'd rather not fight
It chases me, soon as it's daylight
And well through the night
Dentro, dopo averla strappata, avrebbe trovato una serie di tanti piccoli oggetti dal valore più sentimentale che economico. Non era stata per una mancanza di soldi la sua scelta, quanto più il desiderio di presentarsi con qualcosa che l'aveva ricondotta a lui.
Lui.
Dopo che avevano fatto sesso sotto il getto dell'acqua calda del bagno degli spogliatoi, i due si erano rivestiti, l'audacia scomparsa ed il senso di colpa che pian piano vide comparire nel suo sguardo man mano diveniva consapevole. Prima che potesse dire qualcosa, qualsiasi cosa, Elisabeth preferì voltargli le spalle e silenziosamente sparire.
Ancora una volta aveva ripreso ad evitarlo, ma se prima era stata in sua compagnia con altra gente ora, tutto quello che cercava di fare era di non incrociare quei suoi occhi scuri e leggervi qualcosa.
Pena? Rimpianto? Rabbia? Cosa c'era nell'animo di Cohen? E nel suo?
Su una cosa era certa: non era stato un incontro dettato da sentimenti profondi. Aveva ceduto alla passione più pura, irrefrenabile, alla voglia di scoprire il sapore di lui e non solo assaggiarlo per un frettoloso istante com'era successo ad Oslo. L'aveva voluto e se l'era preso, a modo suo, in un incontro fatto di ironia, sarcasmo e prese in giro.
Dopo tanto, tantissimo tempo, era tornata a sentirsi viva.
Ma qual era stato il prezzo che aveva pagato?But I can never stop
Wastin' all my time with you
No, I can never stop
Aveva cercato di relegare in un angolo della sua mente, del suo cuore, quella notte impegnandosi il triplo in ogni attività che l'accademia metteva a disposizione. Un seminario sull'utilizzo del biancospino nelle pozioni curative? Perfetto, poco importava se lei avesse salutato Pozioni e la sua responsabile ai M.A.G.O., tutto andava bene se questo significava non pensarci. Un meccanismo che funzionava quando non si trovava di fronte a qualcosa su cui non aveva il potere di frenare la corsa libera dei propri pensieri. In primis era stato imbattersi in un plico di fogli di carta colorati dalla forma quadrangolare. L'associazione agli origami che adornavano la camera dei fratelli Cohen fu breve, così come altrettanto breve fu il pagamento per averli con sé. Avrebbe voluto qualcos'altro da stringere tra le dita o da posare sul comodino accanto al cigno che le aveva regalato. Il primo che aveva fatto dopo che Arya gli aveva insegnato a creare qualcosa di nuovo e sorprendente da un banalissimo pezzo di carta.
Stessa sorte lo ebbe un kit di manutenzione per le mazze dei battitori -come dimenticare il separietto davanti al suo armadietto proprio per quello?- ed i manici di scopa, un manuale su come curare i rapporti personali -preso solo per dissacrarlo insieme- ed infine una pietra grezza dello stesso verde-blu intenso della carta che ricopriva il pacco. Ne aveva fatto fare una collana con il cordoncino in caucciù. Qualcosa che avrebbe potuto indossare sempre e...I feel over when I don't see you
Stay in the back of my, back of my mind
A voler essere sinceri Cameron Cohen era ovunque. Sala Grande, in ogni dannatissima aula, nei corridoi, serre o qualsiasi altro angolo dell'accademia, persino nel cuore del dormitorio dei Black Opal. Era così dannatamente difficile cercare di mettere in un angolo della propria mente qualcuno di così totalizzante come lo era il norvegese. Quel giorno si stava dimostrando più difficile degli altri. Il Natale era ormai alle porte e quella domenica il castello era troppo silenzioso, come se tutti i suoi abitanti si fossero volatilizzati. Se ne stava sul letto, rannicchiata sotto le coperte, con Rain -il cricetino che le aveva donato la Ivanova qualche anno prima- a spingere il musetto baffuto contro la sua guancia, mentre Mushu zampettava sul copriletto producendo il classico rumorino delle unghie che si infilzavano nella trama della stoffa. Il gatto nero soffiò dapprima verso di lei e poi nei confronti della scatola incartata posta al lato del cigno di carta sul comodino. «Non c'è nulla lì per te», ma il suo biascicare non frenò la curiosità dell'animale che finì con l'arrivare fino al bordo e toccarlo con la zampina per poi inondarlo con le sue iridi gialle. «Non è per te, è per Cam», continuò ricevendo un cenno della testolina in assenso. Chiuse gli occhi, con Mushu che iniziò con il miagolare fortemente verso di lei. «Forse non è qui, forse è con la sua ragazza da qualche parte». Portò l'avambraccio a coprire gli occhi, con grandi proteste anche del roditore. Un balzo e le zampette del gatto fastidioso iniziarono ad impastare direttamente lei, miagolando sempre più deciso. «Basta, Mushu!»I'm tryin' to help myself feel okay
Alla fine Mushu e Rain ebbero la meglio sulla battitrice. Si alzò, afferrò un pezzo di pergamena e scrisse poche semplici parole nella sua grafia ordinata seppur frettolosa.
I know I won't be today
All of these thoughts will never go awayTi aspetto alla radura prima del Dito di Freya.
. Aveva affidato il messaggio al suo gatto che sicuro sarebbe stato più celere di qualsiasi gufo. Il maledetto!
Elisabeth
Erano abbastanza risaputi i suoi problemi con la foresta ed il perché fosse stato difficile per lei, per diverso tempo, perfino posarvi lo sguardo dalla balaustra di un balcone o dal davanzale di una delle finestre del castello. Si era riavvicinata ad essa solo con la terapia d'urto effettuata da Ciaràn Hinds, il mezzo gigante con cui aveva condiviso il letto per il suo secondo secondo anno. Anche lui ormai non faceva più parte della sua vita.
Sembrava quasi che una maledizione si fosse abbattuta sulla Black Opal: ogni persona per cui aveva provato interesse amoroso o fisico alla fine scompariva dalla sua vita, se non dalla faccia della terra. «Chissà che se per liberarmi di Lighthouse debba finirci a letto almeno una volta» e quello fu l'unico pensiero che si concesse prima di sprofondare nell'ansia.
Aveva portato con sé una vecchia coperta serpeverde che usò come stuola su cui adagiare le sue regali membra ed il dono che portava con sé. I piedi erano vicini al sedere, le ginocchia al petto e le braccia a cingerle in posizione protettiva. La fronte posata su di esse, mentre dentro di sé sentiva un fastidio grande crescere all'altezza del petto. Dolore, frustrazione, rabbia per essere di nuovo finita in una situazione di merda. E l'unico modo per lasciarsi andare e sfogarsi almeno un po' non erano le lacrime, bensì un solo e lunghissimo doloroso urlo.Elisabeth
Lynch"Sometimes you have to stand alone. Just to make sure you still can."
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.Indossava un body a costine strette di un marroncino dorato, un maglione vaporoso bianco e dal collo alto e morbido, una calzamaglia pesante, un paio di jeans ed un parka imbottito ma nonostante tutto aveva freddo. Non ci voleva un genio per comprendere come quello che provava non fosse dovuto alle condizioni atmosferiche, bensì al gelo che avvolgeva la sua esistenza. Aveva iniziato un lento disgelo lo scorso anno, a Natale, cercando di scrollarsi di dosso tutte le negatività ma poi finiva con il complicarsi la vita con le sue stesse mani. E gambe. E labbra.
Rannicchiata su se stessa aveva lasciato libera di sfogarsi la frustrazione, la rabbia e la confusione. Aveva fatto scelte sbagliate, ancora una volta, e quelle avevano ferito altre persone. E tutto quello di cui era capace era urlare. Un urlo straziante, lungo e a quanto sembrava anche allarmante. I passi veloci di Cameron avrebbero dovuto arrivarle alle orecchie in modo nitido, così come lo stridore della suola delle sue scarpe con le foglie umide o Mushu che era giunto a lei prima di Ashura. Ma in realtà la strega riuscì a sentire solo la voce spaventata di Cohen, e poi la vicinanza di lui su quella stessa coperta che avrebbero condiviso per cosa, di preciso, non lo sapeva neanche lei. Sollevò lo sguardo su di lui, solo dopo che per la seconda volta le chiese come stesse. Non riuscì a spicciare parola, riuscendo solo a fissarlo negli occhi e lasciandogli vedere quanto fosse tormentata, quanto fosse stato difficile e doloroso per lei cercarlo di metterlo a tacere, in un angolo della sua mente, a cercare di andare avanti. Senza di lui.
Ma era stato doloroso.
Le mancava il suo migliore amico, il suo complice, probabilmente l'unica persona sulla faccia della Terra che fosse in grado di comprendere chi fosse, quali fossero i suoi pensieri e le emozioni che provava. Simili, due facce della stessa medaglia, capaci di distruggere qualsiasi cosa bella avessero avuto la fortuna di avere tra le mani. Mia, Josh, Lucas e sapeva che la lista sarebbe stata ancora più lunga di quel che poteva credere. Ignorò quella domanda, preferendo allungare il pacco verde verso di lui, cercando di ricomporsi ed assumere una postura che trasmettesse distacco e freddezza. «Ti ho preso qualcosa per Natale, spero che ti piaccia», spiegò mentre allungò una mano ad accarezzare il fianco del chocobo che si era adagiato vicino a lei, mentre Mushu pretendeva attenzioni da Cameron spingendogli il musino contro la coscia. «Non è qualcosa di chissà quanto grande, solo che...» abbassò lo sguardo sulla mano che coccolava Ashura, «ho pensato a te».Elisabeth
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.L'urlo, i suoi famigli che si preoccupavano di lei, l'arrivo di lui e la preoccupazione a caratterizzare il vibrato delle sue corde vocali. Non era qualcosa su cui si poteva fingere. Neanche a mascherarlo dopo che lei lo aveva compreso. Entrambi però preferirono lasciar cadere quell'avvenimento e rifugiarsi nel silenzio e nell'allungargli i doni che aveva preparato per lui. Lui che ricambiò il gesto portandole ad afferrare il pacco dei colori della sua casa. «Non dovevi», ma non riuscì a far altro che accarezzarne la carta, senza accennare minimamente di strapparla. E ancora una volta silenzio, dove solo la natura e i loro famigli davano prova di vita. Famigli che pensarono bene di allontanarsi di qualche metro per giocare tra loro e lasciargli un po' di spazio per... Parlare? Del tempo? «Mhm-mhm», un sopracciglio appena arcuato, un pizzicore al naso che le veniva quando cercava di frenare una risatina in un momento inopportuno. Riuscì a tenerla per se, alternando lo sguardo tra la carta Black Opal e le mani di lui su quella carta verde. Carta che iniziò a strappare e poi a rivelare quello che conteneva. «Senti, io...» Si bloccò, nel vedere il ciondolo di quella collana tra le mani. Una piccola pausa, riposando lo sguardo sulla coperta Serpeverde. «Lo sai, vero, perché sono andata via senza dirti niente dopo che», si portò l'indice alle labbra, strappando una pellicina invisibile con i denti. «Dopo che abbiamo scopato». Sfuggi tra i denti stretti, come uno sbuffo, come se si fosse appena tolta un peso dallo stomaco. Ma in realtà quello che aveva fatto era solo togliere il tappo. «No-non volevo vedere, non volevo sentire quello che stessi per dire». Chiuse gli occhi, sollevando il viso verso il cielo. «Che ti fossi pentito», un'ammissione ad alta voce che risuonò quasi come uno sparo, «e quindi, ho cercato, davvero, lo giuro...» E lo aveva fatto davvero, per giorni, perché era una fottutissima codarda. Dopotutto il rosso era Opal, non Grifondoro. «Ho cercato di metterti in un angolo della mia mente, ma non ce l'ho fatta». Aprì gli occhi, posandoli su di lui, alla ricerca del suo sguardo. Avrebbe lasciato che quelle parole penetrassero nella sua mente, che si infilassero sotto pelle e che lo tormentassero così come stavano tormentando lei. Non seppe quanto tempo avrebbbe retto lo sguardo, ma quando questo avrebbe avuto fine sapeva già quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Le mani questa volta a distruggere la carta del pacchetto, pronta a vedere cosa ci fosse dentro.Elisabeth
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.L'impaccio, l'imbarazzo era tra loro mentre aprivano i loro doni e lei, nel vedere la mazza che lui le aveva donato. Ne saggio le finiture, il peso e l'impugnatura, mentre gli rivelava quanto per lei fosse stato difficile quel periodo di lontananza. Il grazie le morì sulle labbra vedendo come lui si sforzasse nel ricambiare il suo sguardo. Lo riabbassò, insieme al capo, chiudendo gli occhi dolorosamente. E poi le sue dita, sotto il mento, a riaccompagnare la risalita, fino a trasformarsi in una carezza. Non voleva minimamente pensare a cosa l'altro avrebbe potuto scorgere sul suo viso. Rimase in attesa. In attesa della sua condanna. «Ah», le sfuggì, nell'apprendere come il ragazzo avesse rivelato a Mia quanto era accaduto tra di loro. A come lei aveva avuto coraggio, a come lui sicuramente si era dimostrato uno stronzo per il semplice fatto che non conosceva dove fosse di casa il tatto. E poi quell'ammissione, a come anche lui non fosse riuscito a non pensarla, ai sotterranei. Merda, i sotterranei. Non si era neanche accorta di come le sue mani avessero lasciato la mazza per posarsi ai lati del viso del Dioptase, accorgendosene solo quando finì coll'annullare la distanza tra di loro e premere le labbra sulle sue. Un bacio semplice, appena approfondito, un bacio che sapeva di addio. Anche se sperava non fosse definitivo. Un controsenso. «Cam», appoggiò la fronte su quella dell'altro, la lingua a carezzare le labbra per sigillare il suo sapore. «Cam, promettimi che non ti arrabbierai, ti prego». Una preghiera, proprio lei che non era abituata a farne.
«Ai sotterranei...» si schiarì la voce, continuando a tenerlo vicino a lei tramite quelle mani che divenivano via via più fredde. «Una delle prove era dire un segreto, qualcosa che nessuno sapeva ed io...» Aveva fatto l'unica cosa possibile, dire la verità, perché quello era il prezzo da pagare per il lascia passare. «Ho detto, davanti a tutti, che sono andata a letto con te e che non riuscivo ad essere davvero, profondamente, spiaciuta per aver ferito Mia». Lo guardo dritto negli occhi, le dita intrecciate ai suoi capelli, i palmi premuti sulla fine della sua mandibola. Forse erano gli ultimi istanti che le sarebbe stato permesso di farlo. «Lo so che sono una persona di merda, forse lì ho toccato il fondo, ma, ti prego, Cameron, non odiarmi per essere stata sincera». Nella voce solo tristezza, perché non era pronta a lasciarlo andare. Non lo sarebbe mai stata, non con lui.Elisabeth
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