Back of my mind

Contest di Natale

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    I keep on runnin' from my own life
    Because I'd rather not fight
    It chases me, soon as it's daylight
    And well through the night

    Un incarto semplice, rettangolare, volto a nascondere una scatola di un banalissimo cartone da imballaggio. Una carta semplice, tinta unita, un verde capace di far incontrare l'azzurro scuro ed il verde acqua dei Dioptase. Era stato semplice per lei scegliere proprio quella tonalità, un qualcosa che ricordava lui, un qualcosa che a lui avrebbe ricordato i suoi occhi in tempesta, ma non per un litigio.
    Dentro, dopo averla strappata, avrebbe trovato una serie di tanti piccoli oggetti dal valore più sentimentale che economico. Non era stata per una mancanza di soldi la sua scelta, quanto più il desiderio di presentarsi con qualcosa che l'aveva ricondotta a lui.
    Lui.
    Dopo che avevano fatto sesso sotto il getto dell'acqua calda del bagno degli spogliatoi, i due si erano rivestiti, l'audacia scomparsa ed il senso di colpa che pian piano vide comparire nel suo sguardo man mano diveniva consapevole. Prima che potesse dire qualcosa, qualsiasi cosa, Elisabeth preferì voltargli le spalle e silenziosamente sparire.
    Ancora una volta aveva ripreso ad evitarlo, ma se prima era stata in sua compagnia con altra gente ora, tutto quello che cercava di fare era di non incrociare quei suoi occhi scuri e leggervi qualcosa.
    Pena? Rimpianto? Rabbia? Cosa c'era nell'animo di Cohen? E nel suo?
    Su una cosa era certa: non era stato un incontro dettato da sentimenti profondi. Aveva ceduto alla passione più pura, irrefrenabile, alla voglia di scoprire il sapore di lui e non solo assaggiarlo per un frettoloso istante com'era successo ad Oslo. L'aveva voluto e se l'era preso, a modo suo, in un incontro fatto di ironia, sarcasmo e prese in giro.
    Dopo tanto, tantissimo tempo, era tornata a sentirsi viva.
    Ma qual era stato il prezzo che aveva pagato?

    But I can never stop
    Wastin' all my time with you
    No, I can never stop


    Aveva cercato di relegare in un angolo della sua mente, del suo cuore, quella notte impegnandosi il triplo in ogni attività che l'accademia metteva a disposizione. Un seminario sull'utilizzo del biancospino nelle pozioni curative? Perfetto, poco importava se lei avesse salutato Pozioni e la sua responsabile ai M.A.G.O., tutto andava bene se questo significava non pensarci. Un meccanismo che funzionava quando non si trovava di fronte a qualcosa su cui non aveva il potere di frenare la corsa libera dei propri pensieri. In primis era stato imbattersi in un plico di fogli di carta colorati dalla forma quadrangolare. L'associazione agli origami che adornavano la camera dei fratelli Cohen fu breve, così come altrettanto breve fu il pagamento per averli con sé. Avrebbe voluto qualcos'altro da stringere tra le dita o da posare sul comodino accanto al cigno che le aveva regalato. Il primo che aveva fatto dopo che Arya gli aveva insegnato a creare qualcosa di nuovo e sorprendente da un banalissimo pezzo di carta.
    Stessa sorte lo ebbe un kit di manutenzione per le mazze dei battitori -come dimenticare il separietto davanti al suo armadietto proprio per quello?- ed i manici di scopa, un manuale su come curare i rapporti personali -preso solo per dissacrarlo insieme- ed infine una pietra grezza dello stesso verde-blu intenso della carta che ricopriva il pacco. Ne aveva fatto fare una collana con il cordoncino in caucciù. Qualcosa che avrebbe potuto indossare sempre e...

    I feel over when I don't see you
    Stay in the back of my, back of my mind


    A voler essere sinceri Cameron Cohen era ovunque. Sala Grande, in ogni dannatissima aula, nei corridoi, serre o qualsiasi altro angolo dell'accademia, persino nel cuore del dormitorio dei Black Opal. Era così dannatamente difficile cercare di mettere in un angolo della propria mente qualcuno di così totalizzante come lo era il norvegese. Quel giorno si stava dimostrando più difficile degli altri. Il Natale era ormai alle porte e quella domenica il castello era troppo silenzioso, come se tutti i suoi abitanti si fossero volatilizzati. Se ne stava sul letto, rannicchiata sotto le coperte, con Rain -il cricetino che le aveva donato la Ivanova qualche anno prima- a spingere il musetto baffuto contro la sua guancia, mentre Mushu zampettava sul copriletto producendo il classico rumorino delle unghie che si infilzavano nella trama della stoffa. Il gatto nero soffiò dapprima verso di lei e poi nei confronti della scatola incartata posta al lato del cigno di carta sul comodino. «Non c'è nulla lì per te», ma il suo biascicare non frenò la curiosità dell'animale che finì con l'arrivare fino al bordo e toccarlo con la zampina per poi inondarlo con le sue iridi gialle. «Non è per te, è per Cam», continuò ricevendo un cenno della testolina in assenso. Chiuse gli occhi, con Mushu che iniziò con il miagolare fortemente verso di lei. «Forse non è qui, forse è con la sua ragazza da qualche parte». Portò l'avambraccio a coprire gli occhi, con grandi proteste anche del roditore. Un balzo e le zampette del gatto fastidioso iniziarono ad impastare direttamente lei, miagolando sempre più deciso. «Basta, Mushu!»

    I'm tryin' to help myself feel okay
    I know I won't be today
    All of these thoughts will never go away

    Alla fine Mushu e Rain ebbero la meglio sulla battitrice. Si alzò, afferrò un pezzo di pergamena e scrisse poche semplici parole nella sua grafia ordinata seppur frettolosa.

    Ti aspetto alla radura prima del Dito di Freya.
    Elisabeth

    . Aveva affidato il messaggio al suo gatto che sicuro sarebbe stato più celere di qualsiasi gufo. Il maledetto!
    Erano abbastanza risaputi i suoi problemi con la foresta ed il perché fosse stato difficile per lei, per diverso tempo, perfino posarvi lo sguardo dalla balaustra di un balcone o dal davanzale di una delle finestre del castello. Si era riavvicinata ad essa solo con la terapia d'urto effettuata da Ciaràn Hinds, il mezzo gigante con cui aveva condiviso il letto per il suo secondo secondo anno. Anche lui ormai non faceva più parte della sua vita.
    Sembrava quasi che una maledizione si fosse abbattuta sulla Black Opal: ogni persona per cui aveva provato interesse amoroso o fisico alla fine scompariva dalla sua vita, se non dalla faccia della terra. «Chissà che se per liberarmi di Lighthouse debba finirci a letto almeno una volta» e quello fu l'unico pensiero che si concesse prima di sprofondare nell'ansia.
    Aveva portato con sé una vecchia coperta serpeverde che usò come stuola su cui adagiare le sue regali membra ed il dono che portava con sé. I piedi erano vicini al sedere, le ginocchia al petto e le braccia a cingerle in posizione protettiva. La fronte posata su di esse, mentre dentro di sé sentiva un fastidio grande crescere all'altezza del petto. Dolore, frustrazione, rabbia per essere di nuovo finita in una situazione di merda. E l'unico modo per lasciarsi andare e sfogarsi almeno un po' non erano le lacrime, bensì un solo e lunghissimo doloroso urlo.
    Elisabeth
    Lynch

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    Cameron Cohen
    Cameron era un casino. Un disastro. Il classico ragazzo che qualsiasi padre o fratello maggiore, avrebbe sconsigliato alla figlia di frequentare. Non era la classica frase da chico malo, ma la verità: Cam era sempre stato convinto di essere un distruttore. Quando era solo, gli piaceva paragonarsi a Re Mida; lui trasformava in oro tutto ciò che toccava così come Cam rovinava qualsiasi persona si avvicinasse troppo a lui e non solo per picchiarlo. Era fermamente convinto che sia Mia che Elisabeth, sarebbero state meglio se non avessero incrociato la sua strada.
    Era stato travolto da una passione irrefrenabile, in quegli spogliatoi, ed aveva fatto una grandissima cazzata, un errore che avrebbe potuto benissimo evitare con un po' di autocontrollo maggiore. Non si pentiva che fosse stata proprio con Liz quella serata di passione, la trovava bellissima sia come persona che come donna, però si pentiva di aver buttato nel cesso una relazione così bella come quella con la Freeman e di averla ferita. Non sapeva cosa gli avesse detto il cervello per rivolgersi così a Mia; l'aveva quasi fatta sentire in colpa, come se fosse a causa della bionda, se il dioptase era andato tra le braccia di un'altra. Era vero che aveva dovuto aspettare mesi e mesi prima che Mia si concedesse, ma non lo aveva mai visto come un problema. Non aveva mai visto come un problema il fatto di fare l'amore con lei in maniera così dolce, ma forse in realtà per lui, subconsciamente, un problema lo era: forse voleva qualcosa di diverso, un amore passionale e travolgente come quello che avrebbe potuto avere con Elisabeth. Ma non era innamorato della sua migliore amica, non lo era mai stato. La adorava, era una delle persone più importanti della sua vita, ma amore mai. Era stato uno stupido a rovinare tutto e presto lo avrebbero saputo tutti e non avrebbe avuto vita facile... giusto perché non sapeva che Liz lo aveva già sbandierato come se nulla fosse.
    Osservò quel pacchetto. Se Liz aveva optato per una carta che richiamava i Dioptase, lui invece aveva pensato l'opposto: una carta molto particolare, era incantata, perché avesse miscelati alla perfezione i due colori dei black opal, nero e rosso.
    Non aveva una grossa disponibilità economica, ma quel natale non avrebbe dovuto fare chissà quanti regali... anzi forse solamente Liz e la propria madre; insomma, sotto l'involucro vi era una scatola nera ed allungata che conteneva una mazza nuova fiammante, nera come la loro anima, con una runa sulla sommità: Fehu. Tra i tre significati, aveva associato alla mazza quello del successo, nella speranza che potesse portarle fortuna nelle partite, per quanto fossero di due squadre completamente opposte.
    Stava pensando a come consegnarglielo, quando si vide comparire un gatto tra i piedi e lo riconobbe subito: Mushu. Aveva un bigliettino che Cameron prese subito, mentre Ashura accolse l'amico con Kuee di gioia, iniziando a giocare.
    Il ragazzo lesse il bigliettino: Elisabeth gli chiedeva di vedersi.
    Si stupì molto, visto che era a conoscenza dei trascorsi della ragazza. Due anni prima, quando aveva saputo, gliene era fregato meno di zero visto che non aveva nessun legame con le ragazze rapite e, più in generale, non gli importava praticamente di nessuno, ma a distanza di più di ventiquattro mesi, il solo pensare che la sua migliore amica avesse dovuto subire tanto, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Su una cosa sola era d'accordo con Barnes: se avesse rivisto Naga, l'avrebbe uccisa con le sue mani.
    Comunque, si alzò in piedi così di scatto da far cadere a terra Axe, il suo furetto bianco, che spaventato zampettò a nascondersi sotto il letto. Cameron non si fermò per scusarsi e si sedette subito alla scrivania, prendendo un foglio rosso ed iniziando a modellarlo, aggiungendoci dei particolari di altri nero qua e là, finché alla fine non venne fuori il modellino di un drago. Perché aveva scelto quella creatura? Beh, gli sembrava forte e combattiva, proprio come Elisabeth. Fatto ciò, si vestì senza quasi guardare quello che si mise addosso -tutto prevalentemente nero- e con sopra un giaccone pesante, poi prese in braccio Mushu, fece un cenno ad Ashura, prese il regalo ed insieme si diressero fuori dalla Sala Comune.
    Non ci mise molto ad arrivare al limitare della foresta, quindi si addentrò con il chocobo che faceva strada. Stava per raggiungere il punto d'incontro, quando un urlo proveniente da una persona che ben conosceva, gli gelò il sangue nelle vene. Il suo primo pensiero fu che fosse in pericolo, che le stesse accadendo qualcosa di nuovo. Cam non era mai stato uno che si preoccupava eccessivamente degli altri, ma con Liz e Mia era diverso. Si gettò tra le fronde con il cuore che gli batteva così forte contro le costole, da minacciare di uscirgli dal petto.
    Sbucò da un paio di alberi frenandosi con i piedi a fatica e scivolando sulle foglie umide che ricoprivano il terreno.
    Si fermò a pochi centimetri dalla coperta e lasciò andare il gatto, che zampettò in direzione della sua padrona e stessa cosa fece Ashura, felice di andare a salutare la ragazza. Che cazzo Liz, stai bene? Porca puttana, mi hai fatto spaventare. Era il suo modo per dire che era preoccupato per lei, ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso come le persone normali. Si avvicinò, inginocchiandosi sulla coperta e posando il suo pacchetto, vicino ad un altro con la carta verde acqua. Tu stai bene, vero? Le domandò di nuovo, cercando di guardarla negli occhi. Le ultime settimane erano state piuttosto folli. Però in quel momento, sembrava quasi che quel lungo distacco, non fosse mai esistito.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Indossava un body a costine strette di un marroncino dorato, un maglione vaporoso bianco e dal collo alto e morbido, una calzamaglia pesante, un paio di jeans ed un parka imbottito ma nonostante tutto aveva freddo. Non ci voleva un genio per comprendere come quello che provava non fosse dovuto alle condizioni atmosferiche, bensì al gelo che avvolgeva la sua esistenza. Aveva iniziato un lento disgelo lo scorso anno, a Natale, cercando di scrollarsi di dosso tutte le negatività ma poi finiva con il complicarsi la vita con le sue stesse mani. E gambe. E labbra.
    Rannicchiata su se stessa aveva lasciato libera di sfogarsi la frustrazione, la rabbia e la confusione. Aveva fatto scelte sbagliate, ancora una volta, e quelle avevano ferito altre persone. E tutto quello di cui era capace era urlare. Un urlo straziante, lungo e a quanto sembrava anche allarmante. I passi veloci di Cameron avrebbero dovuto arrivarle alle orecchie in modo nitido, così come lo stridore della suola delle sue scarpe con le foglie umide o Mushu che era giunto a lei prima di Ashura. Ma in realtà la strega riuscì a sentire solo la voce spaventata di Cohen, e poi la vicinanza di lui su quella stessa coperta che avrebbero condiviso per cosa, di preciso, non lo sapeva neanche lei. Sollevò lo sguardo su di lui, solo dopo che per la seconda volta le chiese come stesse. Non riuscì a spicciare parola, riuscendo solo a fissarlo negli occhi e lasciandogli vedere quanto fosse tormentata, quanto fosse stato difficile e doloroso per lei cercarlo di metterlo a tacere, in un angolo della sua mente, a cercare di andare avanti. Senza di lui.
    Ma era stato doloroso.
    Le mancava il suo migliore amico, il suo complice, probabilmente l'unica persona sulla faccia della Terra che fosse in grado di comprendere chi fosse, quali fossero i suoi pensieri e le emozioni che provava. Simili, due facce della stessa medaglia, capaci di distruggere qualsiasi cosa bella avessero avuto la fortuna di avere tra le mani. Mia, Josh, Lucas e sapeva che la lista sarebbe stata ancora più lunga di quel che poteva credere. Ignorò quella domanda, preferendo allungare il pacco verde verso di lui, cercando di ricomporsi ed assumere una postura che trasmettesse distacco e freddezza. «Ti ho preso qualcosa per Natale, spero che ti piaccia», spiegò mentre allungò una mano ad accarezzare il fianco del chocobo che si era adagiato vicino a lei, mentre Mushu pretendeva attenzioni da Cameron spingendogli il musino contro la coscia. «Non è qualcosa di chissà quanto grande, solo che...» abbassò lo sguardo sulla mano che coccolava Ashura, «ho pensato a te».
    Elisabeth
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    Cameron Cohen
    Era stanco dei silenzi, delle occhiate fugaci che si lanciavano nei corridoi, timorosi anche solo di fermarsi a parlare, di sfiorarsi per sbaglio. Era stanco dei silenzi assordanti che gli stringevano il cuore in una morsa di solitudine che solo lei sapeva rompere con quel suo sorriso fiero e bellissimo.
    La sua corsa, a seguito del suo urlo, dovette essere fermata bruscamente per via del diradarsi degli alberi a favore di una radura un po' più ampia al cui centro vi era la sua migliore amica, seduta su quel vecchio plaid serpeverde, con davanti un pacchetto del colore dei suoi occhi, attorno a lei un ennesimo silenzio dopo quell'urlo che lo aveva fatto preoccupare così tanto. Prese un grosso sospiro di sollievo, osservando la ragazza e rendendosi conto che stava bene, non pareva essere ferita, anche se ormai aveva imparato a leggerne lo sguardo e non sembrava realmente stare bene, per quanto potesse fingere. Ma non lo stava facendo.
    Quando lei sollevò il pacco, allungandolo verso di lui, Cameron cadde a sedere sulla coperta, incapace di afferrarlo, come se le proprie braccia fossero di pietra. Non era chiaro se lei lo stesse prendendo in giro o fosse seria. Non aveva risposto alle sue domande e Cameron era ancora preoccupato, ma decise di non insistere, allungando finalmente le braccia a prendere il pacco. Grazie, Liz mormorò, posandolo accanto alle proprie gambe, senza tuttavia riuscire a scartarlo, ancora.
    Ho anche io un regalo per te replicò, allungando con una mano il pacco dai colori dei Black Opal, mentre con l'altra mano concedeva qualche carezza sul pelo di Mushu, osservando il viso dell'opalina, sicuramente provato da ciò che era successo dentro quella grotta. Non ne avevano parlato molto e, in verità, non avevano parlato affatto, ma erano entrambi vivi e vegeti e ciò dava loro un motivo di festeggiare.
    Si gela, qui fuori disse ad un certo punto per rompere la fredda quiete che si era formata attorno a loro, provando a rilassarsi su quella coperta. Scartò il regalo, sentendosi quasi subito un idiota. Liz gli aveva regalato diverse cose, ma i suoi occhi marroni si posarono come prima cosa, sul ciondolo verde acqua, elemento che più di tutti lo aveva colpito e che lo aveva fatto sentire stupido. Lui non le aveva regalato niente di così personale, di così intimo... ma quando era andato a far compere per i regali (pomeriggio breve ma intenso), l'idea di prenderle un bracciale o qualcosa del genere, gli aveva sfiorato il cervello -ce n'erano sicuramente di adatti alle sue finanze- ma poi l'idea di ciò che avevano fatto a discapito di Mia, lo aveva portato a volgersi verso qualcosa di meno personale ma probabilmente gradito in ogni caso -non le aveva comprato un cuscino tassorosso, insomma.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    L'urlo, i suoi famigli che si preoccupavano di lei, l'arrivo di lui e la preoccupazione a caratterizzare il vibrato delle sue corde vocali. Non era qualcosa su cui si poteva fingere. Neanche a mascherarlo dopo che lei lo aveva compreso. Entrambi però preferirono lasciar cadere quell'avvenimento e rifugiarsi nel silenzio e nell'allungargli i doni che aveva preparato per lui. Lui che ricambiò il gesto portandole ad afferrare il pacco dei colori della sua casa. «Non dovevi», ma non riuscì a far altro che accarezzarne la carta, senza accennare minimamente di strapparla. E ancora una volta silenzio, dove solo la natura e i loro famigli davano prova di vita. Famigli che pensarono bene di allontanarsi di qualche metro per giocare tra loro e lasciargli un po' di spazio per... Parlare? Del tempo? «Mhm-mhm», un sopracciglio appena arcuato, un pizzicore al naso che le veniva quando cercava di frenare una risatina in un momento inopportuno. Riuscì a tenerla per se, alternando lo sguardo tra la carta Black Opal e le mani di lui su quella carta verde. Carta che iniziò a strappare e poi a rivelare quello che conteneva. «Senti, io...» Si bloccò, nel vedere il ciondolo di quella collana tra le mani. Una piccola pausa, riposando lo sguardo sulla coperta Serpeverde. «Lo sai, vero, perché sono andata via senza dirti niente dopo che», si portò l'indice alle labbra, strappando una pellicina invisibile con i denti. «Dopo che abbiamo scopato». Sfuggi tra i denti stretti, come uno sbuffo, come se si fosse appena tolta un peso dallo stomaco. Ma in realtà quello che aveva fatto era solo togliere il tappo. «No-non volevo vedere, non volevo sentire quello che stessi per dire». Chiuse gli occhi, sollevando il viso verso il cielo. «Che ti fossi pentito», un'ammissione ad alta voce che risuonò quasi come uno sparo, «e quindi, ho cercato, davvero, lo giuro...» E lo aveva fatto davvero, per giorni, perché era una fottutissima codarda. Dopotutto il rosso era Opal, non Grifondoro. «Ho cercato di metterti in un angolo della mia mente, ma non ce l'ho fatta». Aprì gli occhi, posandoli su di lui, alla ricerca del suo sguardo. Avrebbe lasciato che quelle parole penetrassero nella sua mente, che si infilassero sotto pelle e che lo tormentassero così come stavano tormentando lei. Non seppe quanto tempo avrebbbe retto lo sguardo, ma quando questo avrebbe avuto fine sapeva già quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Le mani questa volta a distruggere la carta del pacchetto, pronta a vedere cosa ci fosse dentro.
    Elisabeth
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    Cameron Cohen
    Era una strana coincidenza, il fatto che entrambi avessero impacchettato i regali con il colore della casata dell'altro, ma forse era un ennesimo segno che erano destinati a qualcosa di più che lanciarsi occhiate sfuggenti nei corridoi o chiudersi in silenzi imbarazzanti durante le lezioni. La loro amicizia era stata speciale e doveva continuare ad esserlo, anche se una palese attrazione sessuale, minacciava di rovinare ogni cosa.
    Non dovevi nemmeno tu commentò quasi meccanicamente come fosse un robot, mentre osservava il pacchetto che lei gli aveva fatto, prima di scartarlo. Sorrise appena nel concentrarsi in quel ciondolo che aveva un significato molto più profondo di quello meramente estetico.
    Si dispiacque appena per non averle comprato niente di veramente personale come poteva essere quel pendente ma per quel che valeva, la mazza l'aveva scelta con un'accuratezza che non utilizzava spesso, forse solamente con i regali di Mia, anche se probabilmente non ci sarebbero mai più stati. Il Natale precedente aveva dovuto fare solamente un paio di regali, mentre quel Natale beh, il numero si era ridotto ad uno. In realtà aveva preso anche qualcosa per Mia, ma il pacchetto giaceva dimenticato in uno dei suoi cassetti, avvolto da una ruvida carta del colore dei suoi occhi.
    Ma ogni entusiasmo per il regalo svanì assieme ai loro famigli, allontanati di qualche passo per giocare, mentre lei iniziava un discorso che Cameron aveva sperato di poter posticipare all'infinito, da vero vigliacco. La ascoltò, sentendo un fremito, un brivido corrergli lungo la schiena alla parola "scopato". No, non se lo era mai realmente chiesto, aveva pensato egoisticamente solo a ciò che aveva perso lui ed a ciò che non avrebbe più potuto avere, per chiedersi come stesse realmente lei. Scosse piano la testa, quasi vergognandosi di quell'ammissione.
    La guardò negli occhi mentre gli forniva una spiegazione, facendosi violenza per non distoglierlo, puntarlo verso gli alberi alle sue spalle. Quando ebbe finito, allungò la mano e con delicatezza posò due dita sotto il mento di lei, sollevandolo leggermente ed accarezzandola, indossando un sorriso malinconico. Se lo vuoi sapere, no. Non me ne sono pentito e te lo avrei detto anche quel giorno. L'ho detto anche a Mia. Il ricordo di quel pomeriggio davanti la propria sala comune, lo colpì come una coltellata in pieno petto, distruttiva. Ho parlato con Mia, mi ha messo alle strette. Le ho detto cos'era successo tra noi e che non me ne pentivo, che non ero intenzionato a scusarmi per qualcosa che mi era piaciuto. Scosse le spalle, lasciando cadere la propria mano così come il braccio, che si andò a posare sul ginocchio di lei inconsapevolmente. Non sei la sola, Liz. Anche io ho cercato di non pensare a te, ho provato anche a sistemare le cose con Mia ma è stato un disastro, poi è successo tutto il casino dei sotterranei e quindi... eccoci qui. Un sospiro prepotente si liberò dai suoi polmoni per andare a condensarsi in nuvolette a pochi millimetri dalle sue labbra.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    L'impaccio, l'imbarazzo era tra loro mentre aprivano i loro doni e lei, nel vedere la mazza che lui le aveva donato. Ne saggio le finiture, il peso e l'impugnatura, mentre gli rivelava quanto per lei fosse stato difficile quel periodo di lontananza. Il grazie le morì sulle labbra vedendo come lui si sforzasse nel ricambiare il suo sguardo. Lo riabbassò, insieme al capo, chiudendo gli occhi dolorosamente. E poi le sue dita, sotto il mento, a riaccompagnare la risalita, fino a trasformarsi in una carezza. Non voleva minimamente pensare a cosa l'altro avrebbe potuto scorgere sul suo viso. Rimase in attesa. In attesa della sua condanna. «Ah», le sfuggì, nell'apprendere come il ragazzo avesse rivelato a Mia quanto era accaduto tra di loro. A come lei aveva avuto coraggio, a come lui sicuramente si era dimostrato uno stronzo per il semplice fatto che non conosceva dove fosse di casa il tatto. E poi quell'ammissione, a come anche lui non fosse riuscito a non pensarla, ai sotterranei. Merda, i sotterranei. Non si era neanche accorta di come le sue mani avessero lasciato la mazza per posarsi ai lati del viso del Dioptase, accorgendosene solo quando finì coll'annullare la distanza tra di loro e premere le labbra sulle sue. Un bacio semplice, appena approfondito, un bacio che sapeva di addio. Anche se sperava non fosse definitivo. Un controsenso. «Cam», appoggiò la fronte su quella dell'altro, la lingua a carezzare le labbra per sigillare il suo sapore. «Cam, promettimi che non ti arrabbierai, ti prego». Una preghiera, proprio lei che non era abituata a farne.
    «Ai sotterranei...» si schiarì la voce, continuando a tenerlo vicino a lei tramite quelle mani che divenivano via via più fredde. «Una delle prove era dire un segreto, qualcosa che nessuno sapeva ed io...» Aveva fatto l'unica cosa possibile, dire la verità, perché quello era il prezzo da pagare per il lascia passare. «Ho detto, davanti a tutti, che sono andata a letto con te e che non riuscivo ad essere davvero, profondamente, spiaciuta per aver ferito Mia». Lo guardo dritto negli occhi, le dita intrecciate ai suoi capelli, i palmi premuti sulla fine della sua mandibola. Forse erano gli ultimi istanti che le sarebbe stato permesso di farlo. «Lo so che sono una persona di merda, forse lì ho toccato il fondo, ma, ti prego, Cameron, non odiarmi per essere stata sincera». Nella voce solo tristezza, perché non era pronta a lasciarlo andare. Non lo sarebbe mai stata, non con lui.
    Elisabeth
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    Cameron Cohen
    Il tempo parve fermarsi quando le loro labbra entrarono in contatto ancora. Non aveva mai sperato che avvenisse ancora, dopo l'ultima volta che erano stati insieme, dopo che aveva detto a Mia cosa avesse fatto e confessato il suo non pentimento.
    Non riuscì proprio a scostarsi anche se una parte di lui gli continuava a ripetere che fosse sbagliato, che avesse già fatto una cazzata abbastanza grossa e ferito entrambe le donne della sua vita già abbastanza, sebbene fosse stata proprio Liz a fare la prima mossa che li aveva uniti in quel probabilmente ultimo bacio: un addio agrodolce.
    Non posso farti una promessa che potrei non riuscire a mantenere. Un cardine del loro rapporto era sempre stato la sincerità e come lei lo sarebbe stata di lì a poco, Cameron non se la sentiva di mentirle e prometterle di tenere calmo il proprio carattere focoso. Respirò appena contro le sue labbra, godendosi quelle ultime carezze mentre parola dopo parola, la ragazza gli innalzava una spada di damocle sul collo... e quella spada aveva diversi nomi, nella fattispecie quello di Blake, Jesse e Jessica che già lo odiavano, ora avrebbero voluto ucciderlo. Chiuse gli occhi con forza, trattenendo tra i denti una bestemmia, però il suo atteggiamento divenne decisamente più freddo, nei confronti dell'altra.
    Si scostò fulmineo da quelle sue gelide mani, lasciando che cadessero nel vuoto, lanciandole un'occhiata così piena di disprezzo, che si sarebbe stupito persino lui, se avesse avuto l'opportunità di vedersi tramite uno specchio. Lasciami, non toccarmi. Non più. Posò i palmi a terra per darsi una leggera spinta ed ricaricare tutto il peso sui piedi, passando dall'essere inginocchiato, all'essere accucciato, all'essere completamente alzato. La guardò dall'alto, furioso. Strinse i pugni. Non avrebbe mai alzato le mani su di lei, quando suo padre aveva iniziato a picchiare la sorella e la madre, aveva giurato a sé stesso che mai avrebbe alzato le mani su una donna. Come hai potuto? Cazzo, mi uccideranno imprecò, passandosi le mani tra i capelli. Ovviamente, ancora una volta, il primo pensiero e cardine di tutto, era se stesso e ciò che gli avrebbero fatto, con un piccolo pensiero per Mia. Proprio quello, tra tutti, Liz. A me non frega un cazzo di cosa vi abbiano chiesto laggiù, ma nessuno ti ha dato il diritto di andare a fondo trascinando anche me. Quelle parole partirono in sua direzione come delle schegge di ghiaccio, veloci e pericolose. Si girò, fischiando. Vieni, Ashura, ce ne andiamo. HO. DETTO. VIENI. Alzò la voce vedendo che il famiglio non accennava a muoversi, però quando sentì la voce alterata del suo padrone, fece un piccolo saltello, un kuee di protesta e poi lo seguì, mentre il giovane dioptase spariva tra gli alberi senza mai più girarsi.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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