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.Hang the words
of a perfect stranger
in the hallways of my heartAQUARIUS16DUBLINBookwormestpDioptaseSPOILER (clicca per visualizzare)Fitz G. O'Connor. -
.Stava rischiando la pazzia. Dormiva poco, mangiava ancora meno, si concentrava sulle lezioni e provava in ogni modo ad allontanarsi dai teatrini che sembravano avvolgere il gemello, la sua migliore amica, la sua ex e il ragazzino che aveva una cotta per lei. Merlino, erano già difficili da trattarli separatamente, non osava immaginare la mole di pazienza cui avrebbe dovuto appellarsi quando -non se- tutti si sarebbero trovati nella stessa stanza. Si massaggiò le tempie, già dolorose al solo pensiero del disastro stile tornado forza sette nelle campagne del Texas. Aveva già i suoi problemi da affrontare e aveva persino un nome: Evan. Che poi fossero due ragazzi distinti e completamente agli antipodi era un altro paio di maniche. Blackfire era stato quello con cui aveva fatto sesso la prima volta con l'aggiunta di sentimenti; Mc Callister era stato una piacevole pioggerellina primaverile rinfrescante. Una boccata d'aria nel suo mondo infernale. L'aveva stuzzicato per noia, l'aveva baciato perché lo voleva. E non voleva fermarsi solo a quello. Se non avesse visto quei due fanali guardarlo in quel modo probabilmente avrebbero consumato l'atto proprio su quella panchina, troppo lontani i luoghi più sicuri e tranquilli dove potersi lasciare andare. Si sarebbe perso tra quei capelli, quel profumo penetrante ed unico. Lo avrebbe preso fino allo sfinimento. E lui si sarebbe perso. Ma erano le sensazioni di quel bacio a tenerlo sveglio la notte, mentre riviveva ogni singolo frammento di quella conversazione fino al climax più alto. Lo studiava, lo rimandava indietro al dialogo ma finiva sempre con il focalizzarsi sul calore della sua bocca e delle sue mani. Puntualmente si svegliava duro e con un incontro di cinque ad uno nel suo baldacchino o sotto la doccia. Nicholas Evan Mc Callister lo stava fottendo alla grandissima. Chiuse gli occhi, continuando ad avanzare imperterrito lungo il corridoio, verso la biblioteca, quando finì con lo scontrarsi con qualcuno.
«Ma vuoi vedere dove metti i piedi, razza di i-» Il suo impropero morì in gola. Il tocco sul suo petto, quegli occhioni a tuffarsi nei suoi. «Evan», un sussurro che aveva perso prima ancora che potesse fermarlo. Si irrigidì, allontanandosi come scottato. «La prossima volta tieni gli occhi aperti», freddo, gelido, come se quel contatto di qualche secondo prima non ci fosse mai stato. Era pronto a superarlo e allontanarsi da lui.Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Il controllo. Era quello il suo segreto. Cercava di averlo, prenderlo ed esercitarlo anche nelle più piccole cose. C'era però un problema: l'imprevedibilità di determinate azioni, di persone. Il modo più facile per ovviare a tutto quello era uno: l'isolamento emotivo.
Uno strumento di difesa, uno strumento di attacco che però aveva un solo risultato: la solitudine.
Ora sarebbe più semplice comprendere la sua reazione alla runa che aveva pescato, a come avesse cercato di ferire, allontanare, con la sua spiegazione intrisa di becero scetticismo. Quello era quanto fosse trapelato, la sua facciata. In realtà tra coincidenze, stati d'animo, già sappiamo cosa sta accadendo sotto la sua scorza dura. Cercare di combattere, imbavagliare, soffocare quella recente ossessione lo stava consumando. Ignorare Nicholas Evan Mc Callister era facile quando era a lezione, a svolgere noiosi compiti o portando avanti la sua opera migliore; diventava difficile, impossibile, nel silenzio della notte, tra le cortine chiuse del suo letto a baldacchino. La prima volta che aveva lasciato correre l'immaginazione a dopo, a come sarebbero andate le cose se non avesse abbandonato quella panchina, era stato stordito dalla potenza dell'orgasmo; il peggio era stato il dopo, nel momento della realizzazione. Era corso -nel cuore della notte- sotto la doccia, strofinando forte fino a scorticarsi, come se ciò riuscisse a ripulirlo di quel peccato. Aveva giurato di non fantasticare più sul Dioptase, cercando distrazione nella sua comfort zone: il sesso sporco ed occasionale che gli altri studenti erano in grado di offrirgli. Peccato che l'eccitazione lo abbandonasse dopo un paio di colpi di lingua, con il cervello a segnalare come fosse sbagliato quel sapore semplicemente perché non era il suo. Da lì aveva cercato di trovare e ricevere piacere senza l'incontro delle bocche, ma... non c'era traccia di alcuna erezione. Lì, ma non quando finiva col pensare a lui, finendo col cedere all'autoerotismo con mente, anima e cuore rivolte a lui. Erano momenti di rabbia, di frustrazione, di piacere più assoluto.
Ed ora...
Ora era lì, il suo corpo che aveva reagito a quello scontro in modo così diverso rispetto alle sue parole. Aveva cercato di superarlo, lasciandogli capire quanto fosse difficile, di come fosse un pensiero costante per lui, con quel nome che l'aveva abbandonato con un gemito. Una debolezza che non voleva, non poteva, permettersi perché farlo avrebbe significato la sua fine.
Aveva cercato di scappare, di nuovo, come il re dei codardi, fallendo miseramente complice il movimento che l'altro aveva prodotto con il mero scopo di arrestare la sua fuga. E da quelle labbra -che bramava su di sé, su ogni centimetro del suo corpo- uscì una nuova sfida. «Mi stai dicendo che tu» -avanzava verso di lui, spingendolo di fatto verso l'insenatura sicura che offriva il corridoio- «saresti mio?» L'accento volutamente posato sull'ultima parola. L'oscurità dei suoi occhi probabilmente animata da una luce pericolosa. Continuava ad avanzare fino a quando l'altro non avrebbe arrestato la sua corsa. Tra di loro neanche lo spazio per la più sottile delle pergamene. Si leccò le labbra, perché la loro vicinanza gli stava già facendo gustare il suo sapore. Perché il Grifondoro aveva centrato lui -stava in effetti scappando- ma questo, a rigor di logica, aveva fatto scoprire le sue carte. L'avrebbe avuto. «Solo una volta, così questa ossessione finirà», si disse, il pomo a muoversi lungo la sua gola. Un ultimo istante di lucidità prima di liberare la sua follia, la sua fame, baciandolo come se senza quelle sue labbra non potesse più vivere.Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Due ragazzini di cui uno che giocava a fare l'adulto. Ma alla fine erano due ragazzini animati e vinti dagli ormoni, da sentimenti cui non riuscivano a dare nome e, in definitiva, dall'ignoto. Era proprio quest'ultimo a spaventare maggiormente l'O'Connor serpe nell'animo. La mancanza di riferimenti, la possibilità sempre più reale e prossima della perdita delle redini di un qualcosa che non aveva cercato ma che gli era capitata tra le mani per puro caso. Per cinque anni aveva avuto Mc Callister sotto il naso, l'amichetto del fratellino scavezzacollo, il ragazzino silenzioso che per anni -per lui- si era confuso con la carta da parati. Ma da quando avevano messo piede ad Hiddenstone le cose erano cambiate. In un primo momento l'aveva attribuito al caso, per altre vicende l'aveva ricondotto al fatto che prima o poi sarebbe successo -e sì, stava pensando al gemello e alla sua migliore amica- per altre si era trattato solo di un cambiamento del punto di vista. Ed era stato il colore di una divisa diversa a mettere in risalto l'irlandese o finalmente stava venendo fuori dalla carta da parati? Non lo sapeva neanche lui.
Dannazione, perché tutto doveva finire con l'essere così complicato? Perché non riusciva a mettere un piede davanti l'altro per allontanarsi da lui e porre fine a quella storia ridicola? Perché continuava a dargli corda e a spingerlo in un angolo per dominarlo nello stesso modo che lui esercitava nelle sue fantasie?
«Paura?» La voce roca, le pupille dilatate ed il respiro sempre più frenetico, mentre cercava di resistere nell'accarezza quel pensiero che aveva trovato strada nelle sue labbra. Suo. Quanto poteva essere totalizzante quella parola? E in che modo il suo possesso sarebbe stato nelle mani di Nicholas? «Forse faresti meglio te ad averne» Anche lì fu il senso dell'ignoto a stringergli lo stomaco, in una morsa che andava di pari passo a quella lingua che andò ad umettare quelle labbra tentatrici. Labbra che alla fine fece proprie. Lingua che bussò ai suoi cancelli per accedere nell'inferno più caldo che si potesse immaginare. Si perse in quell'intreccio di lingue, così come le sue mani che presero a correre sui fianchi del ragazzo per spingere il suo bacino verso di lui. Perso, così tanto che non seppe come si trovò a boccheggiare ad un respiro di distanza da lui e con le sue dannatissime spalle al muro. «Probabile», fu tutto ciò che riuscì a dire, mentre il Dioptase lasciata cadere la maschera dell'agnellino dimostrò come fosse stato il lupo per tutto quel tempo. I suoi artigli ormai erano ovunque e lui non era riuscito a prevederne le traiettorie. «Sta zitto», abbaiò, risalendo con entrambe le mani sui suoi vestiti superiori e tirandoselo addosso, in un altro bacio, abbraccio, in un calore di cui non avrebbe più saputo come farne a meno. Era dannato. Completamente. Ma non voleva essere salvato. «Andiamo via da qui».Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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