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.Mancava poco al tramonto e, per uno scherzo del destino, la panchina era vuota. All’apparenza sembrava una panchina come tante ma in realtà celava le testimonianze di chiunque avesse deciso di imprimere il suo nome. Una parte di lui era attirata da quella seduta, in particolare da quel piedino consumato che si vedeva anche a distanza. Sembrava malandata proprio come lo era lui. Raddrizzo le spalle e si incamminò, accertandosi che nessuno potesse vederlo. Sapeva che quello era il luogo dove le coppiette proclamavano e sancivano il loro amore, ma tutto quello non l’avrebbe mai riguardato. Non dopo che un tenero tassorosso l’aveva fregato alla grande. Il sedere toccò finalmente la panchina, le dita ad accarezzare i nomi che erano incisi. John & Fanny, un cuore a racchiudere quei due nomi. Chissà se erano ancora insieme o se si erano lasciati divorare da sentimenti troppi grandi di loro e rovinando tutto. Magari lei l’aveva trovato a letto con un’altra. Non era quello che succedeva sempre? Aveva un’idea così bassa dell’amore e non per colpa di quello che genitori. I suoi papà si amavano tantissimo e non facevano altro che condividere quel sentimento con i loro tre figli, anche con lui che non lo meritava affatto. Quanto al suo gemello, nell’ultimo periodo, sembrava fagocitato da tutte quelle cazzate e da tutta con le ragazzine che continuavano a girarmi intorno. Da una parte Marlee la ragazza con cui aveva perso la verginità e forse anche l’unica di cui è stato innamorato. Almeno consapevolmente. Poi c’era Amalea la sua migliore amica, la sua confidente, la ragazzina che era stata sempre al suo fianco e che da sempre era innamorata di lui e anche lui in un certo qual modo provava qualche sentimento per lei, solo che ancora non lo sapeva o forse non lo voleva vedere. Aveva deciso di non intromettersi nella vita amorosa del gemello, perché la sua ingerenza non avrebbe fatto altro che rendere difficili ancora di più le cose. Quanto a lui aveva trovato una madre in dal secondo anno con cui passare il proprio tempo. Non l’avevo mai visto ad Hogwarts e i suoi tratti orientali suggerivano che provenisse dalla scuola magica giapponese, e tanto gli bastava. Non voleva sapere nulla di quell’amante se non che avrebbe potuto svuotarsi ogni qualvolta avrebbe voluto. I gomiti scivolarono lungo la spalliera, le gambe si aprirono e lo sguardo indagava il cielo nascosto dalle fronde degli alberi. Quello era perfetto anche per fare qualcosa di più interessante rispetto all’incidere il proprio nome. Socchiuse gli occhi guardando gli ultimi scampoli di sole di quel giorno. Un giorno che stava volando verso la fine senza alcun brivido a scuotere le sue carni.Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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SPOILER (clicca per visualizzare)Nicholas Mc Callister
Edited by Fitz G. O'Connor - 6/10/2021, 22:28. -
.Hang the words
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.Avvertì la presenza prima ancora di vederla. Lo scalpiccio, le foglie morte che frusciavano via ad ogni passo quasi a volersi mettere al sicuro. Da cosa? Erano morte, belle, ma morte. Persistette a mantenere lo sguardo alto verso le nuance di quella puesta del sol che gli ricordava di avere ancora dei sentimenti buttati qua e là. Sperava che chiunque avesse osato avvicinarsi a quella panchina nel vederlo tirasse dritto o optasse per un dietrofront. Rimase immobile, il solo petto che si sollevava ritmicamente unico indizio che fosse vivo. Doveva ricordarsi di come affidarsi alla speranza non fosse la migliore delle cose, questa era solita tradirti il più delle volte, creando solo devastazione, più di uno scontro. Era stato uno stolto a volerla carezzare ed accoglierla. Strinse i denti, pronunciando ancor di più i terminali della sua mascella, rendendola più dura. Lui non era Brooks con le sue tenere fossette e rotondità mascoline, lui era solo spigoli verso cui sbattere il proprio mignolo e buttare giù interi Pantheon. Ma a quanto pare l'avventore sembrava non pensarla così visto che dopo un attimo di stallo, dove tutto era sembrato fermarsi tranne il torpore dei raggi del sole morente ed il venticello leggero che portava profumi che conosceva, finì col sedergli accanto. «Temerario, come sempre», perché anche se poche erano state le parole che si erano scambiati nel corso degli anni quella traccia di muschio mista a sandalo, con un pizzico dell'acido del sudore, che impregnava Brooks solo nel periodo scolastico era facilmente riconducibile ad una persona e lì, quell'odore era più che centuplicato. «Mc Callister». Decise di ignorarlo, lasciandosi penetrare dal calore del suo corpo, molto più forte di quello della stella più grande che stava scivolando via, fino a quando non aprì bocca. Un sopracciglio scattò in alto mentre le parole di una autrice babbana si ripeteva in looploop qualcosa che forse lo descriveva appieno. «Quando chiudi gli occhi, cosa vedi?» La sua voce uscì distorta, molto più roca di quello che era solitamente. Non si curò di schiarirla con antiestetici colpi di tosse. «C'è luce o oscurità?» Le dita ripresero a tracciare pigramente i nomi incisi fregandosene se uno di quelli avrebbe comportato sfiorarlo, era lui che aveva deciso di sedersi lì sopra, di sua sponte e senza alcuna coercizione da parte sua. Che si prendesse le sue responsabilità. «Ah, dimenticavo. In un certo senso Sam Tinnesz e Zayde Wolf». Sia mai scatenasse l'ira di un Grifonscemo passato ai Dioptase.Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Non ci volle molto a rompere il silenzio, un po' di più a far incrociare i loro sguardi. Fitz evitava di farlo, giusto una frazione di secondo e poi era solito distogliere lo sguardo, rifuggendo da qualsiasi opportunità di poter scorgere al di là del suo bel faccino. Uno solo, oltre la cerchia della sua famiglia, aveva avuto il modo per fissare ogni minimo cambio di umore, crepa o felicità potesse albergare all'interno di quel guscio che non era poi così vuoto. E provò a replicare la cosa, ancora una volta, in quel gesto così tanto abitudinario, ci provò ma fallì. Perché incontro quello dell'ex Grifondoro proprio quando lo sfiorò alla rincorsa di un nome di cui al momento non sapeva neanche mettere insieme. Ancora una citazione, ancora parole di altri sulle loro bocche. Bacon era tutto tranne che banale e che Mc Callister lo citasse proprio in quel momento non era un caso, ma solo un tiro mancino del destino. Uno, due, tre secondi e poi riuscì a distogliere lo sguardo da lui che altrimenti si sarebbe perso nel seguire la mano a domare quei capelli, gesto che gli fece balenare la curiosità di accertarsi fossero morbidi come sembrava.
«E fammi indovinare», la voce bassa ancora non lo abbandonava ma si intrinse di sarcasmo, lettera dopo lettera, parola dopo parola, «la meraviglia sei tu perché unione di luce ed oscurità». Lesto, prima ancora che l'altro potesse accorgersene si portò su di lui, i visi ad un palmo di distanza, forse meno. «Illuso», scandì bene quella parola, mentre le iridi scure veleggiavano tra le ciglia e le sopracciglia, tra le piccole imperfezioni di una pelle ancora troppo giovane, proprio come la sua. «Hai dimenticato Garrett», soffiò, il peso di lui contro il corpo dell'altro, una mano sull'impugnatura della bacchetta e l'altra sulla spalla di lui così vicina alla nuca che sarebbe bastato davvero poco per toccargli i capelli. Lasciò che i loro sguardi si incontrassero dopo una piccola sosta sulle sue labbra. «Dimmelo te, Nicholas, sono un uomo o un mostro?»Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Stava giocando con lui. Il tatto, complice una mano sulla sua coscia; la vista, a concedergli squarci di sé nei pochi istanti che i loro occhi si erano incontrati; l'udito, per quel tono basso, roco, eccitante; l'olfatto, perché sapeva che il suo profumo naturale, i suoi ferormoni a muoversi liberi tra di loro, a mischiarsi con i suoi a creare una nuova fragranza. Mancava solo un senso ma per quello -forse- ci sarebbe stato tempo.
Si beava delle sue reazioni, a come l'avesse costretto a ricambiare quelle movenze e a sentire il suo fiato caldo vicino, pericolosamente, ad una sua zona erogena. «Questo è ciò che sembra a te, ma hai detto più di quanto tu possa immaginare», perché il corpo era un perfetto traditore. Voleva dimostrarsi in un modo che non era ma non con tutti. Interessante anche per quello. Così come interessanti erano anche quelle labbra che andavano schiudendosi ma non ancora per ricevere la sua lingua. Il ragazzino non sembrava voler accettare le precisazioni -da bravo Dioptase- ma Fitz non mollava l'osso. Per quanto era a conoscenza il gemello non si era mai lasciato sfuggire un secondo nome, così come mai l'aveva sentito pronunciare nel corso degli anni dai loro docenti. «Perché tu non hai un secondo nome», a quelle accompagnò una stretta della mano sulla sua coscia, per poi arrestarne l'avanzata al suo interno così vicino all'inguine, mentre l'altra si era instrada vicino a quei dannatissimi capelli.
Erano occhi contro occhi, lo spazio che si riduceva, quelle labbra che vennero tinte del migliore dei lucidalabbra: il suo sapore. Sentiva le sue papille gustative fremere duramente. «Vorresti dirmi che tu mi vedi?» Derisione in quel tono, ma non gli diede modo di pensarci a lungo. «Che ne dici di sentirmi?» Qualcuno avrebbe potuto vedere da lontano quell'epilogo brutale, qualcuno avrebbe avuto da ridire ed etichettare quel gesto come violenza. Ma lui sapeva che se l'altro non avesse voluto si sarebbe fermato. Non era un animale, non in quel senso.
Lo baciò. Labbra contro labbra, le tonalità dell'autunno ad intrecciarsi. Se non l'avesse fermato la lingua sarebbe passata sulle sue labbra in un preludio di quello che sarebbe stato se -solo se- gli avesse permesso di baciarlo davvero.Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Due fessure divennero i suoi occhi tendenti alla forma di una mandorla già normalmente. Lo scetticismo ad abbandonarlo ad ondate fino ad accarezzare il ragazzino. «Direi che, piuttosto, sia impossibile non farlo», sputò via, forse più duro di quello che aveva pensato assaporando l'espressione prima nella sua mente. «Stai praticamente urlando», lo faceva il suo linguaggio non verbale, in particolar modo. Ma non ci sarebbe stato tempo per soffermarsi ancora a lungo perché, come altre rare volte era capitato nella sua vita, aveva sbgaliato, non avendo una piccola affermazione che poteva rovesciare le sorti di qualsiasi cosa stesse succedendo su quella panchina. «Evan», accarezzò quel nome segreto, lasciandoselo scivolare sotto ogni piccolo nervo, strato di pelle, dandogli una forza tale da toccarlo con più consapevolezza ed in luoghi che normalmente non avrebbe mai preso in considerazione, non così. Le distanze si erano ridotte, le voci basse e roche, gli sguardi che dicevano molto di più, andando a scavare nell'incoscio e mettendolo in primo piano. «Stai sbagliando, di nuovo», in lui non esisteva meraviglia. Mai ci sarebbe stata.
In lui c'era solo il prendere, il possedere, l'ottenere quello che si era prefissato. E quel tardo pomeriggio significò prendersi un bacio, almeno uno.
Lo baciò ed il Dioptase non si tirò indietro. Sentiva il tocco dell asua mano sulla coscia, sulla schiena solo per tirarselo più addosso. Lo lasciò fare solo perché il contatto tra le loro lingue lo mandò in tilt. Lo lasciò fare perché le mani di lui andarono ad infilarsi tra i suoi di capelli, tirandoli.
Nero. Vide nero, perché con un ribaltamento si tirò indietro, trascinandolo con sé tra pressione di spalle e cosce, fino a quando l'altro non avrebbe finito con l'essere a cavalcioni su di lui. E solo allora avrebbe lasciato che le sue dita andassero ad infilarsi tra quei capelli che sì, per tutti gli Inferi, erano morbidi come sembravano, anche di più. Li tirò, spingendolo verso di lui, mentre lo specchio della sua anima si rivelava tramite le palpebre che rialzarono il sipario, i denti ad occuparsi di quel labbro superiore così invitante che poi curava con un tocco di lingua. L'altra mano era sulla base della schiena di lui, spingendoselo addosso, continuamente, come le onde facevano con il bagnasciuga. E poi, staccandosi un attimo per riprendere fiato, lo guardò. Intensamente. Uno, due, cinque secondi e si riappropiò della sua bocca. Un nome ad aleggiare tra loro come un gemito. «Evan».Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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.Quanto forte poteva essere la presunzione di conoscere tutto, di sapere tutto, di servirsene come arma e come lenitivo? Quanto forti potevano essere le parole? Quanti significati si potevano celare dietro una coltre di apparenze? Se avesse dovuto giudicare Nicholas Evan Mc Callister come la copertina di un libro avrebbe scelto per lui una di quelle anonime, con una foto in bianco in nero ed alcuni dettagli pennellati di colore vivo. Una copertina semplice che conteneva però uno di quei romanzi capaci di farti dubitare, appassionare, cercare di seguire il filo della ragione solo per essere rovesciato da un plot di alto livello, di quelli sottili, che non sei in grado minimamente di intercettare, di provare sentimenti che neanche pensavi poter provare. Nicholas Mc Callister era la sua personalissima cryptonite, il suo anello magico da cui non potevi separarti a cuor leggero, perché farlo avrebbe significato impazzire. L'unico soluzione era che fosse qualcun altro a rubarglielo per farlo tornare a vivere? O morire? Si sentì la bocca asciutta quando il Grifondoro sottolineò qualcosa cui non voleva assolutamente credere fosse possibile: lui non l'avrebbe mai ascoltato se non avesse voluto. Volere, un verbo ausiliare pericoloso, terribile, capace di trascinarti in un fondo senza luce. La brama era il peggiore dei veleni. E lui l'aveva voluto. Lui se l'era preso. Le labbra avevano fatto la loro conoscenza, sugellando quella schermaglia che li aveva protagonisti con il loro compito principale: modellarsi per lasciar passare l'aria delle corde vocali in un suono netto, distintivo. L'aveva baciato, portandoselo addosso, passandogli le mani tra quei capelli che si erano rivelati meglio di quello che aveva pensato. Una parte di lui già fantasticava di sentirli in altre parti del corpo. Dovette stringere con forza i glutei alla scarica di piacere che lo travolse al solo pensiero. I gemiti di Nick -«Evan, da oggi solo Evan, solo per me»- non lo aiutavano, così come il suo ricercare la frizione continua tra i loro corpi. Si stava smarrendo, neanche fosse una barchetta di carta nel bel mezzo di una tempesta. I pugni a chiudersi sulla stoffa della sua divisa -da quando le mani erano sulla sua schiena?- la lingua ad assestare colpi decisi, i denti ad afferrare la sua, solo per fare qualcosa di estremamente perverso ma a cui non seppe resistere. La succhiò, avido, mentre le anche si sollevarono dalla panchina. Stava impazzendo.
Una mano sulla sua guancia, la pressione delle falangi a fargli sollevare il viso e ad incontrare degli occhi languidi, animati dall'eccitazione, una richiesta non muta. Di più. Si raggelò. Lasciò andare la presa su di lui, scostandoselo malamente per mettersi in piedi. «Devo andare», si sarebbe allontanato neanche avesse avuto il diavolo -o Brooks con i suoi noiosi problemi sentimentali- alla calcagna. Aveva visto qualcosa in quella preghiera, in quello sguardo smanioso, in quel cuore che aveva sentito battere veloce come un cavallo imbizzarrito. Aveva visto se stesso, come guardava Blackfire quando riuscivano a ritagliarsi del tempo insieme. Dovette reggersi ad un albero, respirando con fatica, nel momento in cui aveva realizzato la cosa più sconcertante della sua vita. Blackfire aveva un nome, un nome che aveva pronunciato proprio come qualche secondo prima. «Evan».Fitz O'Connor"I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass."
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