Everywhere I go I drag this coffin just in case

Liv - Cam

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    Ametrin
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    Sistemata ad una delle panchine, sembra abbastanza allegra. La divisa abbandonata da qualche parte quel giorno per riuscire a stare comoda almeno in un momento di pace. La divisa in genere le cala tutta, le camice non le sono mai piaciute, ed almeno in quel posto può stare tutta tranquilla. Sempre che non passi qualcuno a romperle per l'abbigliamento, ma in caso, non è il tipo da fare polemica. Sta seduta scomposta, la schiena poggiata contro il tavolitno, le gambe portare quasi fino al petto visto che tiene i piedi sulla seduta. Niente calze, solo gli anfibi, un paio di pantaloncini consumati e troppo corto, il reggiseno con sopra la maglia a rete. I capelli sono legati in due treccine che arrivano a sfiorare i fianchi, la frangia scompigliata. Il trucco è sempre a panda, tra le labbra una sigaretta completamente nera, da cui esce l'odore del cioccolato. Le unghie corte laccate di nero, un collarino, e le braccia invase di braccialetti, lasciando che la pelle pallidissima sia nascosta ad ogni sguardo per nascondere quel che non vuole mostrare: il che è strano visto che il suo abbigliamento non lascia molto alla fantasia, ma gli avambracci sono.. privati. Sulla seduta accanto a lei uno zainetto che sembra vuoto, sul tavolino invece un contenitore tipo quelli delle bibite dei fastfood ma in ferro. Ed un cellulare con il vetro rotto ma che sembra ancora funzionare - visto che la musica la tiene alta per farsi compagnia. Precisamente al momento sta andando "The Drug in Me is You" dei Falling in Reverse. Pochi possono fare il collegamento al suo maialino - che è da qualche parte, probabilmente in stanza - con il cantante. Lo stesso nome. Ronnie. La destrorsa tiene la sigaretta, spostandola di tanto in tanto dalle labbra mentre sbuffa il fumo, e dell'altra le dita sono sporche di nero e grafite. Chi osasse avvicinarsi per dare un occhiata, dovrebbe un ritrattino del professore di difesa contro le arti oscure... vestito da donna, con baffi e la testa gonfia a caricatura, con un espressione davvero sciocca in volto. Insomma, il professore non sembra starle particolarmente simpatico, eppure il disegnino è comunque decisamente ben fatto, quelle dita sanno disegnare meglio di quanto pizzichino le corde: ed anche in quella è brava.< I lost my fucking mind! > se la canticchia pure, apparendo abbastanza allegra per quanto è difficile vedere un espressione solare su quel volto, mentre la mano a tentoni torna a cercare la bibita per poterla sorseggiare, con una smorfia. Alla fine gli integratori non è che sono la cosa migliroe del mondo, ma in qualche modo deve pur tenersi in piedi visto che... è impossibile vederla ingerire del cibo solido. Forse qualche zuppa, milkshake, succhi. Ma niente che abbia effettivamente il gesto della masticazione per finire nello stomaco. < Mh--mh... > e torna quindi a disegnare. < The drug in me is you... > il tono è basso, prima che vada ad aspirare dal filtro. In realtà, è così che passa la maggiorparte delle giornate - il soggetto ovviamente non è sempre l'adorato professore - se non sta suonando o scrivendo. Ma insomma, vederla in compagnia di qualcuno per il momento... è piuttosto difficile.
    Livs
    TheFake

    Where is my self control?

     
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    Cameron Cohen
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    Jeans ed una maglietta nera, a Cameron non serve altro per rilassarsi in un caldo pomeriggio d'aprile. Quel pomeriggio non sarebbe uscito con Mia, quindi aveva a disposizione alcune ore di pace e solitudine. Non che non adorasse avere attorno la biondina, ma ogni tanto stare da solo, gli piaceva davvero. Da solo, più Ashura, il suo dolce cucciolo di Chocobo. Attorno al polso destro stava una cordicella attaccato alla quale pendeva un sacchettino in pelle di drago al cui interno si trovavano diversi mazzolini di erba ghisal, cibo per cui la creatura andava ghiotta. Aveva anche uno zaino consunto caricato sulle spalle al cui interno c'erano poche cose, come una pallina per far giocare Ashura. Alle orecchie aveva le cuffiette, un paio di airpods come se se le potesse permettere, ma sicuramente le aveva sottratte a qualche primino sbadato.
    Quindi, con fare noncurante e la musica sparata nelle orecchie, stava camminando nella radura, l'erba che gli arrivava fino alle caviglie, in certi punti. Il silenzio regnava sovrano al di fuori del rimbombare della melodia proiettata nelle cuffie direttamente dal cellulare di Cameron, l'aria fresca era un piacevole lenitivo contro la pelle accaldata. Ogni tanto, ad inframmezzarne i passi, un tintinnio di alcune bottiglie che cozzavano tra loro perché sì, il dioptasio aveva anche da bere all'interno del consunto zainetto, non gli restava che trovare un tavolo isolato dove sistemarsi, ma invero non è che ci fosse qualcuno, a quell'ora... più o meno.
    Le sue iridi nocciola si scontrarono contro una schiena che ad un primo sguardo poteva sembrare nuda, ma focalizzando il soggetto si accorse che una maglia a rete ne copriva parzialmente la pelle. Bionda. Si fece scivolare via le cuffie dalle orecchie, riponendole con cura nello zaino, avvicinandosi a passo felpato, con Ashura che pareva essersi sistemato sulla stessa lunghezza d'onda del padrone, smettendo di esibirsi nei suoi occasionali "kue". Solo avvicinandosi ulteriormente, riuscì a cogliere delle note di "The Drug in Me is You" e la riconobbe subito forse perché era proprio quella che si stava ascoltando anche lui fino a pochi secondi prima di scorgere Pippi Calzelunghe versione dark.
    And I'm so high on misery... continuò il verso da lei iniziato una volta che fu abbastanza vicino perché lei potesse sentire la sua voce. Non aveva un genere musicale fisso, doveva dire che cambiava piuttosto spesso, ma quella coincidenza lo fece sorridere di gusto, quindi sebbene non fosse stato invitato, spostò il contenitore di metallo e si sistemò seduto sul tavolo senza troppo pensare che se c'erano delle panchine, era perché dovesse usarle. Ashura, nel frattempo, iniziò a girovagare nei dintorni, becchettando l'erba qua e là, lasciando il padrone a socializzare. Questo chi sarebbe? Le domandò dopo aver afferrato tra le mani il disegno, abbandonato sul tavolo affianco al cellulare che continuava imperterrito a produrre le note.
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