I don't know if you feel the same as I do, but we could be togheter if you wanted to

Amelia Farley | sabato 6 marzo

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    «Se solo mio padre mi vedesse in questo momento». Lingua tra i denti, plaid tra le mani, braccia tese che cercano di sbrigliarlo per stenderlo sul pavimento freddo dell'osservatorio astronomico. Nathan più che nelle ire del padre sarebbe incappato nelle sue grosse grasse risate nel vederlo tentare di preparare il miglior appuntamento per una ragazza su cui non avrebbe puntato neanche uno zellino. Non perché lei non li valesse -anzi, il suo valore era inestimabile- quanto più per ciò che rappresentava: una sfida, un'asticella che giorno dopo giorno veniva puntata al rialzo, dove nulla era scontato e dove lui sentiva solo il suo cuore accelerare bruscamente quando anche solo percepiva il suo profumo. Amelia Farley sembrava esser riuscita ad arrivare lì dove altre ragazze non erano mai arrivate: la mente del Wampus. Nel cuore portava gli affetti più cari, nomi di amici e volti di familiari, ma era lì dove ristagnava l'acqua a preoccuparlo di più. La Dioptase era pian piano diventata un pensiero fisso, una costante tra lezioni e compiti, allenamenti e gite al villaggio di Denrise, a cui non sapeva resistere. Per cui eccolo lì, ad accendere almeno una dozzina di candele -e solo perché sul suo magifonino aveva letto che facevano atmosfera- sgraffignate da qualunque angolo del castello. Erano di forme e dimensioni diverse ma la luce era calda ed accogliente e non così invasiva se si decideva di volgere lo sguardo all'insù per rimirare il cielo notturno del primo sabato di marzo, con la luna nell'ultimo quarto. La primavera era sì alle porta ma, per paura che la Purosangue avrebbe avuto da ridire sul freddo, aveva recuperato almeno tre coperte inutilizzate -oltre a quella già stesa- dal suo dormitorio. «Speriamo che non faccia storie per i colori», non era colpa sua se il giallo e il viola erano dominanti e poteva fare affidamento fino a una certa sul gioco di ombre delle fiamme tremolanti.
    In alto aveva fermato la coperta con due comodi guanciali, mentre in basso usò come fermo il mostruoso cestino che Emma aveva preparato per lui. L'amica si era letteralmente abbarbicata come un koala sul divano in Sala Comune torturandolo con domande su domande per farsi dire la ragione della sua richiesta e, quando aveva sibilato il fatidico nome, l'aveva stritolata in un abbraccio, mormorando con la sua voce zuccherina come l'avrebbe privato della vita se solo avesse osato dimenticarsi di lei. E come avrebbe potuto? Follettina era impossibile da dimenticare, così come leggendari erano i suoi fantastici dolcetti e stuzzichini salati.
    «Okay, è tutto pronto!» Si tirò su, sollevando la zip della felpa incantata da Elia, e andando a sedersi sul parapetto con la schiena rivolta al vuoto e il viso all'ingresso della terrazza. Il giorno prima, allo scadere della lezione di Antiche Rune, aveva lasciato scivolare all'interno della sua borsa un bigliettino che le dava appuntamento per quella sera alle dieci in punto. Essendo di sabato il coprifuoco sarebbe scattato diverse ore dopo e la libertà che si respirava ad Hiddenstone era decisamente più apprezzata rispetto a quella vissuta ad Ilvermorny. «E se non l'avesse letto?» Sudore freddo colò lungo la schiena, portandolo a rabbrividire e a tastare frenetico le tasche alla ricerca del magifonino. La decisione era una e sola: se entro un quarto d'ora dall'orario scritto sul bigliettino lei non fosse arrivata le avrebbe scritto un messaggio o addirittura l'avrebbe chiamata, perché lì, su quella terrazza, stava per iniziare qualcosa di nuovo. Sempre e solo se ghiacciolina l'avrebbe permesso.
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    “ Se mia madre mi vedesse ora sverrebbe, non so se per la contentezza o per la sorpresa.” pensò sovrappensiero, osservando il proprio riflesso allo specchio e rimirandosi ancora una volta, voltandosi da un lato e poi dall’altro e sistemandosi i capelli ancora una volta. Non avrebbe mai ammesso di non essere sicura di come appariva in quel momento, eppure si stava preparando da fin troppo per quel che avrebbe dovuto fare.
    Il messaggio di Nathan non era stato così tanto chiaro in merito a quel che avrebbero dovuto fare, ma Amelia non aveva mai avuto un “appuntamento” che non fosse qualcosa di elegante e impostato e non aveva alcuna idea di che cosa avrebbe dovuto fare o come avrebbe potuto comportarsi. Certo, era sicura che qualsiasi cosa avesse deciso di fare sarebbe stata quella giusta, una Farley non poteva sbagliarsi, ma una parte di lei aveva comunque paura di esagerare.
    Infondo lei continuava a sentirsi ribelle, quell’appuntamento tutt’altro che imbellettato e chic era uno schiaffo in faccia a quel che la sua famiglia le aveva insegnato, anche contro ad Ashley che non avrebbe mai avuto il “coraggio” di fare qualcosa del genere, a differenza sua. Eppure tutta quella sicurezza era solo apparente, c’era una parte di lei che non aveva idea di che cosa avrebbe dovuto fare, come avrebbe dovuto comportarsi di fronte a quell’invito.
    Forse rifiutare sarebbe stata la scelta migliore: non aveva nemmeno idea di che cosa avesse intenzione di fare il ragazzo, in parte pensava che potesse essere un’uscita casuale, ma d’altra parte non voleva nemmeno pensare che fosse qualcosa di “serio”. Amelia aveva altro per la testa, non aveva in programma di avere un ragazzo e non voleva nemmeno prendere in considerazione la possibilità di “cedere” così in fretta: a lei non piacevano le abitudini, non voleva sistemarsi con qualcuno e finire come sua sorella, non voleva che quella continua tensione tra loro si allentasse, magari, perché non avrebbe saputo come gestire una relazione vera e propria nemmeno volendolo.
    <i> “Non fare l’idiota. Ti ha solo chiesto di vedersi. Mica ti ha chiesto di sposarlo.” si ricordò con una certa rigidità, decidendosi poi a infilare solo la sua giacca e salutare Idhogg prima di farsi qualche domanda e trattenersi ancora una volta davanti allo specchio. Si sarebbe quindi fatta “coraggio” e si sarebbe avviata verso l’osservatorio senza avere la benché minima idea di che cosa aspettarsi.
    Per l’occasione aveva pensato di indossare qualcosa di semplice –per quanto potesse esserlo qualcosa proveniente dal armadio-, che non desse troppo nello’occhio quantomeno e che non la facesse sembrare fuori luogo più di tanto. Continuava a chiedersi perché le importasse così tanto, perché non se ne fosse andata lì vestita come le pareva, fregandosene di come Nathan avrebbe potuto sentirsi vedendola tutta agghindata e pronta a qualcosa di molto più grande di quel che aveva progettato. Che poi, che ne poteva sapere lei?! Forse stava tenendo le sue aspettative troppo basse.
    D’altro canto era ormai certa di aver perso la testa –non per Nathan, in generale-: ultimamente non riusciva a smettere di pensare a quel ragazzo, a ignorare i suoi messaggi come faceva con tutti gli altri, a fare altro anziché finire sempre per concentrarsi su Nathan, in un modo o nell’altro. Forse sperava che andando a quell’appuntamento avrebbe smesso di pensarci così tanto, una volta per tutte.
    Avrebbe quindi l’Osservatorio, obbligandosi a decelerare e non sembrare come se non sapesse proprio aspettare: la regola fondamentale era farsi sempre desiderare e lei non aveva alcuna intenzione di sembrare impaziente. Si sarebbe stretta nel suo cardigan, prendendo tempo prima di fare il suo ingresso nella stanza, la schiena dritta e lo sguardo fiero come suo solito. Era arrivata con appena dieci minuti di ritardo alla fine e si ritrovò di fronte uno spettacolo che non si aspettava: riuscì a stento a trattenere la sorpresa e incrociò lo sguardo di Nathan, incapace di fingere indifferenza come faceva sempre. “Ti sei impegnato parecchio…!” si lasciò sfuggire alla fine, incapace di fare a meno di mantenere la sua solita armatura, seppur meno rigida del solito.
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    Se i suoi amici -gli stessi che erano volati fino a Londra- l'avessero visto in quel momento l'avrebbero perculato da lì fino alla fine dei suoi giorni. Teso come la corda di un violino alternava lo sguardo dal magifonino alla porta da dove sarebbe dovuta sbucare. Di minuti erano passati appena tre e a lui erano sembrati un'eternità. Sentiva l'ansia crescere, attanagliar le viscere, tanto che decise di fare qualche passo, su e giù, stando attento a non orbitare nella zona del giaciglio per non guastarlo. «Il biglietto le sarà caduto...» e magari fino tra le fauci di qualche gatto che si aggirava per il castello o dritto come segnalibro scambiato per un foglio di appunti o peggio appallottolato e gettato via, solo dopo aver sputato all'interno una gomma da masticare. Le variabili erano molteplici e lui si stava focalizzando solo e soltanto su eventi fortuiti e non sulla possibilità che la ragazza potesse rifilargli un pacco grande quanto l'intera isola. E per isola intendeva il Regno Unito. «Oppure si starà limando le sue unghie di ghiaccio, ridendo di me». Il problema è che non gli veniva così difficile immagine una situazione del genere con lei protagonista. Magari seduta sul davanzale della finestra della sua stanza, una lima affilata che scivola con ritmo lento ma costante sull'indice della mancina e nel mentre recita maledizioni sulle sue prossime vittime. Una moderna Circe ammaliatrice e per lei, purtroppo, si sarebbe fatto trasformare tranquillamente in un porco, giusto per far sentire meno soli i compagni di Ulisse caduti prima di lui.
    «Sono finito, finito, finito» le mani giunte sul naso, scivolarono poi sulle guance fresche di barba appena fatta fino a carezzare le basette e perdersi poi tra la chioma folta leggermente mossa. «Un minuto, se in un minuto non arriva vado via...» E fu voltandosi che la vide in tutto il suo splendore, anche se con vesti semplici. Eppure brillava, brillava di sorpresa, che non riuscì subito a mascherare come suo solito. «Ehi...» Questa volta non continuò a consumare il vialetto che fino a quel momento aveva percorso, bensì i suoi passi si diressero verso la ragazza, allungando la mano a sfiorare la stoffa del cardigan che indossava quasi a sincerarsi che fosse davvero lì davanti a lei. La sua saliva calò drasticamente, la gola ardeva e lo sguardo si rincorreva sul viso di lei, tra labbra, zigomi e naso, riuscendo ad arrestare la sua corsa solo quando si fermarono in quelli chiari di lei. C'era qualcosa di istintivo e primitivo nello sguardo, qualcosa di così ammaliante che non si sarebbe meravigliato qualora gli fosse stato rivelato come nelle sue vene scorresse sangue di Veela. Ah, se solo sapesse che l'influenza era tutto per quel satellite che tanto amava rimirare nel cielo. «Sbaglio o ti avevo promesso un pic nic?» Cercò di sfoderare il miglior sorriso sghembo ma lì, anche alla luce tremola delle candele, avrebbe potuto scorgere un leggero rossore sulle sue guance. «Et voilà!» Se gliel'avesse permesso avrebbe preso una mano per stringerla alla sua e guidarla fino alle coperte, lasciando per lei il posto più riparato, prima di sedersi di fronte a lei ed aprire la cesta carica di diversi stuzzichini tipici delle gita fuori porta. «Non sarà uno dei ristoranti cinque stelle Michelin che frequenterai ma... ecco... sono preparati con tanto am-» il panico attraversò il suo viso, visibile negli occhi sgranati e il tentativo maldestro di recuperare il tiro. «Amorevole lavoro. Sì, lavoro, amorevole». Che gli stava succedendo? Dov'era finita la sua solita sfrontatezza? No, dannazione, non avrebbe mai accettato di ridursi ad un rammollito qualunque. «Su, dai, trova qualcosa di arguto da dire», il bello era che lui arguzia non sapeva neanche che diamine significasse, solo che suonava così bene e che quindi gli andava di usarla così, random. «Hai freddo? Vuoi forse una coperta? Nel thermos c'è della cioccolata calda ma non so se ti piace la combo con i panini imbottiti... E poi se vuoi posso scaldarti io?!» Cos? No, no, no. Quasi si fosse reso conto delle castronerie che stava dicendo, allungò le braccia in avanti, con i palmi dritti e scossi ripetutamente. «No, okay, lascia stare». Si alzò, tastandosi le tasche della felpa alla ricerca del pacchetto di sigarette, per prenderne una e spingersi fino al parapetto dopo averla accesa. Subito sentì l'effetto delle nicotina. Sebbene la sua pressione aumentò i suoi nervi sembrarono distendersi, sciogliendo il nodo e la tensione che aveva accumulato. «Scusami, è che... beh, è la prima volta che faccio qualcosa del genere e non so come ci si comporta». Continuava a darle le spalle, con il fumo a uscire dopo ogni tiro. «Quindi scusami, ghiacciolina».
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    Amelia era la personificazione della calma, come sempre, ma non significava che fosse calma per davvero. Lei non aveva ben chiaro di che cosa si trattasse, cosa fosse tutto quello che stava provando e che l’aveva portata ad accettare senza esitazione l’invito di Nathan, non appena letto il biglietto. Grazie a Merlino aveva deciso di non comunicargli niente perché in caso contrario si sarebbe preoccupata lei stessa per la propria salute mentale, evidentemente compromessa! Amelia aveva passato anni nella convinzione di non avere bisogno di nessuno, e dopo un anno passato in solitaria era sicura che la sua indipendenza fosse ancora più forte e certa: sapeva fare a meno di chiunque, e di certo non era da lei avere la mente sempre occupata da una sola e unica persona.
    Sapeva di essere circondata da persone che avrebbero fatto follie per avere la sua attenzione –poco importava che fosse davvero così o meno- e non avrebbe faticato a trovare qualcun altro pronto a darle corda o a concederle qualche occhiata. Eppure lei sapeva bene che, tra tutti, avrebbe continuato a volere proprio King. Lui era una sfida, un tarlo che le mangiava i pensieri di continuo e lei ora doveva capire perché.
    Forse anche per quello valeva la pena presentarsi lì: aveva provato ad evitarlo –per quanto possibile e di certo non ci si era impegnata granchè- e non aveva funzionato, quindi forse affrontarlo faccia a facci avrebbe cambiato le cose.
    Era convinta che la differenza tra persone deboli e persone forti si vedesse proprio in momenti come quello, quando avevano a che fare con l’ignoto e decidevano come comportarsi. Lei aveva intenzione di buttarsi anche se non sapeva che cosa sarebbe successo, e anche se aveva paura: non aveva alcuna intenzione di mostrare le sue incertezze, si era assicurata di averle nascoste per bene prima di avviarsi fuori dal dormitorio, eppure c’erano comunque, poteva sentirle lavorare da qualche parte in fondo al suo stomaco, dove le aveva rinchiuse.
    La verità era che King era un’incognita: l’aveva pedinata, fisicamente e non, e non era di certo facile da ignorare, o imprevedibile, ma era una presenza che non aveva messo in conto, che andava oltre ogni suo programma e ogni sua aspettativa e che non capiva del tutto. Che fosse idiota lo sapeva, quel che era successo a lezione di Difesa ne era una prova inconfondibile, ma c’era molto di più: era testardo, pieno di iniziativa e voglia di fare, folle in un modo che la incantava e che mandava all’aria tutti i suoi piani, di certo ribelle ben più di lei. Alle volte non sembrava nemmeno un King, non sembrava parte di quella nobiltà che lei era abituata a conoscere e che aveva finito per annoiarla, dopotutto, anche se cercava ancora di ricordarsi che quello era il suo destino e che non si poteva odiare qualcosa che prima o poi sarebbe stato tuo.
    Non appena entrò impiegò ben poco per trovarsi Nathan davanti, e per ancorare i propri occhi ai suoi e dimenticare tutti i pensieri che l’avevano inseguita fino a quel momento. Per un istante le parve che lui potesse leggerle dentro, che non ci fosse più segreti per lui nella sua testa, che avesse accesso a ogni cosa, ogni ricordo, ogni immagine.
    “Ma non mi conosce affatto. A lui piace solo l’Amelia che vedono anche tutti gli altri e niente di più.” si sforzò di ricordarsi, cercando di non sembrare idiota e replicare rapidamente al suo saluto. “Ehi, sorpreso?!” riuscì a replicare alla fine, solo con un leggero ritardo, dovendo sforzarsi per non toccarlo a sua volta. Era un istinto che stava imparando a controllare, in suo presenza, e che non aveva intenzione di far scivolare aldilà del suo controllo, non ora.
    Non si aspettava che il ragazzo mantenesse quella promessa, lei l’aveva quasi archiviata come una cosa detta così per caso, e di certo non pensava che si sarebbe impegnato così tanto o che sarebbe risultato così…impacciato? Insicuro? Imbarazzato? Non avrebbe nemmeno saputo dirlo e non capiva da dove venisse quel sentimento.
    “Di certo location originale…!” avrebbe commentato e anche se poteva non sembrare il migliore complimento della storia, Nathan avrebbe potuto intuire che la ragazza non sapeva davvero cosa dire, per una volta nella sua vita. Lo avrebbe quindi seguito verso il giaciglio che aveva preparato, un brivido che le corse lungo la schiena quando il ragazzo le prese la mano. “Sarà il freddo… hanno intenzione di allevare pinguini qui dentro?! si disse anche se lei il freddo lo aveva sempre amato e di certo non stava gelando in quel momento. Per mettere in silenzio però quella sensazione avrebbe comunque commentato nella sua solita maniera, con un -forse antipatico?! Ma Nathan era in ritardo per cambiare la sua decisione...!- "Hai paura che mi perda?!" anche se non accennò a lasciare la presa.
    Si guardò intorno, voltandosi verso di lui quando incappò su quelle parole, e questa volta si convinse che fosse un semplice errore perché Amelia, per l’amore, non si sentiva proprio pronta. “Mmmh… e chi lo sapeva che sapevi impegnarti così tanto?!” lo avrebbe pungolato al suo solito, avvicinandosi al giaciglio e sistemandosi, ancora sorpresa del fatto che fossero davvero lì a fare qualcosa di così particolare.
    Non si aspettava che Nathan fosse così agitato e lo guardò alzando un sopracciglio, un sorriso da presa in giro pronto a spuntarle sul viso. “Sono una giaccolina no? Il freddo non mi ucciderà. Ma… cioccolata e panini imbottiti? Di certo un abbinamento esclusivo.” lo avrebbe preso in giro con leggerezza, ritrovandosi a fare quella più calma anche se nel suo stomaco sentiva un intero tsunami, con tanto di navi che si abbattevano ovunque, provocandole un notevole fastidio.
    Forse non si aspettava nemmeno tutta quella franchezza, se per un attimo le balzò in testa una risposta piccata, perfetta per prenderlo in giro, alla fine con la sua compostezza e un sorriso appena accennato si ritrovò ad ammettere un sincero “E’ la prima volta anche per me.”, senza sapere cosa volesse mai ottenere con una frase simile.

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    Il miraggio del deserto si concretizzò, andando a sfidare il significato stesso della parola. Amelia era lì, lui la poteva toccare, sentire il suo profumo stuzzicare le narici e la sua voce cercare di rispondere al suo saluto imbarazzante. O era una allucinazione davvero potente frutto di chissà quale tumore nel cervello. Non riuscì ad articolare nulla, limitandosi ad irrigidire la mascella e a chinare il capo in un piccolissimo cenno d'assenso, cercando di non prendersela quando l'altra sembrò deriderlo per la location scelta. Sapeva che avrebbe avuto da ridire, in ogni caso, e doveva apprezzare se non l'avesse portata nell'aula in disuso o nel ripostiglio delle scope, o ancora nell'inflazionatissima sala delle necessità. In ogni caso non interruppe mai il loro contatto, fatto non solo di falangi, muscoli e carne, ma anche qualcosina di più che lo stava mandando nel panico più totale. «Ho paura di essermi già perso. Forse mi sto semplicemente ritrovando», ammise a bassa voce, sperando che l'oscurità continuasse ad essergli favorevole e a portare quelle parole in frammenti alla ragazza baciata dalla Luna. Diversi furono i tentativi di essere il normalissimo idiota di sempre e non un pappamolle come tanti davanti alla propria cotta, tanto che arrivò persino a scomodare la sua capacità di imitatore quando lei lo stuzzicò, sedendosi sul giaciglio che aveva preparato. «Com'è che dicevano i miei prof ad Ilvermorny: intelligente, ma non si applica; svogliato, segue solo quello che gli interessa e solo se correttamente stimolato». Lei avrebbe potuto pensare di essere capace di esercitare su di lui un certo fascino se erano mesi che, letteralmente, le stava tra i piedi, anche in quei giorni che la Dioptase spariva negli antri del castello. Qualche volta aveva persino provato ad indagare, ricevendo però in cambio una cortina di ghiaccio che lo riportava al punto di partenza nel loro personalissimo gioco dell'oca che, per amor suo, ribattezzò il gioco della ghiacciolina. Giusto un'ulteriore prova a testimoniare i livelli di sottonaggine verso l'inglese. Come se non fossero bastati i gesti compiuti per lei quel giorno, tra cui giurare amore e fedeltà alla sua migliore amica pur di esser aiutato nel preparare qualcosa di commestibile. «Esclusivo per oltre trecentoventottomilioni di Americani, no?» Sorrise alle sue stesse parole, ben sapendo come i gusti culinari degli Stati Uniti fossero tutto tranne che raffinati. Non che gli abitanti del Regno Unito fossero messi meglio.
    Eppure, neanche parlare di cibo riuscì a rasserenarlo; anzi ebbe il potere di aumentare il senso di nausea e di inadeguatezza davanti alla Purosangue D.O.C. cresciuta con dei principi ben lontani da quelli impartiti dai suoi due vecchiacci. Si alzò, guadagnando la balaustra, recuperando una sigaretta e fumandola a pieni polmoni, cercando il coraggio di ammettere a se stesso, più che a lei, come fosse per la prima volta privo di riferimenti. L'amore non era il sesso. In quest'ultimo eccelleva, complici anni ed anni di pratica, la sua faccia da schiaffi ed un carisma travolgente, ma era il primo ad impensierirlo, facendolo retrocedere ad un perfetto stato neonatale. Si sentiva nudo, alla mercé della strega, privo di qualsiasi riparo o strumento da usare come protezione. In tutta onestà non voleva neanche arrischiare qualcosa del genere. «In fondo, da me, non ti aspetterai mai mazzi di fiori, che mi ricordi di ogni stupido anniversario -okay, sul compleanno posso fare uno sforzo- o che sia sempre attento ad un tuo cambio d'umore, vero? E poi... non c'è neanche il rischio che ti faccia venire i capelli bianchi. Quelli li hai già no?» E man mano che parlava sembrava riacquisire una minima dose di fiducia in se stesso, spengendo la cicca di sigaretta contro la suola della sua scarpa per poi andare ad infilarla in un pacchetto vuoto di bionde, già precedentemente usato come posacenere. «E così la bellissima Amelia Farley non ha mai avuto un appuntamento? Non l'avrei mai detto, sai? Pensavo che i tuoi ti avessero organizzato il primo insieme al matrimonio combinato». La stuzzicò, tornando da lei, sedendosi molto più vicino rispetto a prima e beandosi del gioco delle fiamme delle candele sulla sua pelle bianca come la neve. «Quante altre prime volte ti mancano?» Chiese, servendole della cioccolata calda ancora fumante, prendendo poi la sua tazza e facendole scontrare. «Magari potremmo togliere qualche spunta» e, strano ma vero, non si stava riferendo a nulla di sessuale. Che Dioniso lo fulmini!
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    Stranamente per i suoi standard, Amelia non stava cercando di deridere Nathan o farlo sentire inferiore, anche se i suoi modi lasciavano sempre un po’ a desiderare e forse non era troppo brava ad esprimersi. Era davvero sorpresa della location che aveva scelto, sia perché non pensava che qualcuno avrebbe potuto organizzare una cosa simile ma soprattutto perché non credeva potesse farlo per lei. Era abituata a standard ben diversi, e questa non era necessariamente una cosa positiva: abituata al lusso e a certe location esclusive, aveva più famigliarità con posti freddi e gesti di distaccata cortesia che con attenzioni genuine e serie come in quel caso.
    Nessuno si era mai impegnato così tanto con Amelia perché il protocollo di solito era ben diverso e non richiedeva alle persone così tanti sforzi e lei si era abituata a ben altre usanze. Non aveva messo in conto che Nathan potesse impegnarsi tanto solo per lei, e la cosa l’aveva sorpresa abbastanza da portarla a non sapere cosa replicare. Cosa sperava di ottenere? Non poteva averlo fatto solo perché aveva voglia di uscire con lei! Avrebbe potuto prenotare in un locale di lusso qualunque, per quello, e lei non avrebbe nemmeno potuto pensare che fosse sciocco, lo avrebbe solo trovato scontato e prevedibile, noioso probabilmente.
    Ecco, Nathan rompeva ogni volta le sue aspettative e le sue convinzioni e le metteva di fronte qualcosa di nuovo: era la variabile impazzita che continuava a tormentarla, che non le lasciava un attimo di respiro e che la seguiva ovunque, anche quando non era fisicamente presente. Non l’aveva mai lasciata in pace, nemmeno nei giorni in cui si era assentata per via della luna piena, nemmeno quando aveva cercato di prendere le distanze da tutto e tutti e rimanere in disparte: non aveva mai smesso di scriverle, di farsi vivo, di spuntare qua e là nei messaggi o direttamente nella sua testa, come se non potesse proprio farne a meno. Davvero non riusciva a starle lontano? Non sarebbe stata una novità, sapeva bene il fascino che esercitava spesso sugli altri, quel che la sconvolgeva era però il fatto di non riuscire a smettere di pensare a lui.
    Si rivide quasi nelle sue parole , anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di dire ad alta voce niente del genere, e provò a frenare ogni pensiero idiota alzando un sopracciglio e voltandosi verso di lui. “In che senso?” avrebbe quindi domandato senza trattenersi, per poi sistemarsi nel giaciglio e lanciargli un’occhiata di traverso, cominciando forse ad intravedere altro sotto le sue solite battutine.
    “Concordo con loro se si parla di rendimento scolastico, ma se ti impegnassi nello studio anche solo la metà d quanto ti sei impegnato per organizzare tutto questo probabilmente avrei un degno avversario… o insomma qualcosa del genere.” ammise e non si poteva dire che non gli avesse fatto un complimento di quelli notevoli, seppure come sempre nel suo stile.
    Avrebbe voluto fare di più la sofisticata, fargli notare che quella non era il genere di cena che si serviva ad una Farley ma si ritrovò a ridacchiare, ripensando al fatto che forse caviale e champagne non erano un abbinamento tanto migliore, dopotutto . “Come posso darti torto?! Un punto per te.” concluse questa volta, e sembrava stranamente molto più rilassata e di buon umore del solito. Forse Nathan aveva fatto un incantesimo alla porta o aveva drogato l’invito, non poteva essere davvero lei…!
    Era pronta a prendere un panino quando vide il ragazzo alzarsi e appoggiarsi alla balaustra per fumare, con un’aria davvero impensierita che le fece aggrottare le sopracciglia, alzandosi a sua volta per raggiungerlo e allungare una mano come tacito invito a passarle la sigaretta per fare un tiro. Avrebbe ascoltato in silenzio, per poi rubare qualche boccata di fumo se glielo avesse concesso. “Anniversari? Siamo già a quel punto?! Non ho intenzione di pretendere niente da te, King, se questo ti spaventa. Stai tranquillo, se voglio che tu ti ricordi qualcosa te ne accorgerai e riuscirai a ricordartene in men che non si dica.” replicò facendogli un occhiolino, nascondendo egregiamente la morsa allo stomaco che quel discorso le aveva provocato. Lei era così poco avvezza all’innamoramento, così impreparata, che non lo aveva nemmeno voluto prendere in considerazione, appigliandosi alla bugia bella e buona che quello fosse ancora una mera simpatia. Non che avrebbe potuto negare all’infinito ma fino a quel momento aveva funzionato, no?!
    Sorrise appena, scuotendo la testa alle sue parole. “Ci hanno provato, con mia sorella è andata più o meno così… ma io non sono lei e non intendo accettare che scelgano per me. E poi ho avuto miliardi di appuntamenti, ma nessuno era così.” avrebbe spiegato brevemente, continuando a scegliere la via della franchezza.
    Tornata sul giaciglio inclinò la testa, lasciandosi andare ad un sorriso e un’alzata di occhi al cielo. “Oh no, non pensare che ti faciliti così tanto le cose, sarebbe barare… dovrai scoprirle da solo.” rispose divertita, per poi continuare a guardarlo dal basso mentre prendeva il primo sorso della sua cioccolata.

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    Una mossa ingenua quella di dimenticarsi dell'udito sopraffino della Dioptase, neanche possedesse i migliori istinti animali, che captò un'ammissione che neanche lui comprendeva appieno il significato. «Non lo so neanche io», questa volta però ebbe la decenza di tenerselo per sé, esternando solo un'espressività dettata dalla confusione e che comunemente era associabile al suo essere idiota. Quel suo aspetto strafottente, ricolmo di stupidità e no-sense, il non impegnarsi, l'essere perennemente svogliato quando si trattava di mettere un culo sulla sedia e leggere fino ad assimilare ogni singola nozione erano solo una parte del suo universo. Universo ancora inesplorato. Nathan credeva solo in alcune delle sue possibilità, quelle già collaudate e che vertevano per lo più sulla socializzazione che sullo studio e le parole pronunciate dalla strega vennero recepite come un perfetto mix tra la presa in giro ed il vedere cose dove non c'erano. Tutto ciò perché non era abituato a gestire complimenti che andassero al di là dei complimenti per le sue arti amatorie. «Esagerata, tu sei irraggiungibile». E lo pensava davvero, vedeva tanto di quel potenziale nell'argentea che non si sarebbe sorpresa di vederla un giorno a capo di qualche dipartimento ministeriale o, perché no, Primo Ministro della Magia. Lui, tutt'al più, avrebbe potuto puntare su qualche lavoro di nicchia, dipendente sotto pagato e frustrato. Ma come si dice: ad ognuno il suo. E lui, con tutta l'onestà che possedeva, aveva ammesso candidamente che non sarebbe mai stato il ragazzo perfetto, lo zerbino, quello dalla memoria di elefante e con la capacità di sorprendere con la monotonia la propria compagna. In tutta risposta la Farley aveva lasciato una carta bianca infinita, macchiata da un invisibile veleno.
    «Ad esempio lanciarmi pugnali volanti neanche fossero paletti abbatti-vampiro?» Scherzò lui sul fatto che avrebbe ben compreso come, quando e perché avesse fatto o mancato qualcosa. Tutto sommato dalla chiacchierata con la Dioptase poté spuntare dalla lista la possibilità di doversi combattere la mano, cuore, braccio, mente -insomma tutto la galassia Amelia- con qualcuno di già deciso dalla sua famiglia antichissima, purissima, levissima. «Oh, abbiamo una valchiria dietro quel visino da principessa. Interessante», forse anche lui, se avesse avuto un fratello maggiore si sarebbe potuto servire dei suoi errori per evitarli neanche fossero fossi. Anche se, in tutta sincerità, avrebbe finito con il replicarli e potenziarli all'infinito. Quel discorso fu un discreto trampolino di lancio per King per cercar di scoprire quanto e cosa avesse fatto lei nella sua breve vita. Ma lei si dimostrava irremovibile, tanto che Parker si avvicinò a lei, cercando di vincere la sua resistenza. «Dai, almeno una cosa piccina», l'indice ed il pollice a distanziarsi per pochissimi millimetri a segnalare quanto minuscola ed insignificante sia la sua richiesta. «Una piccola, piccola», con le stesse dita ne stuzzicò il fianco, sperando che con un po' di solletico -o al più sano fastidio- riuscisse ad ottenere anche la più macroscopica informazione. «Dai su, è facile. Tipo io non ho mai...» Si bloccò, in totale panico, con la mancanza del supporto di un cervello che già aveva subito qualche danneggiamento sin dalla nascita. Non aveva nulla di entusiasmante, sorprendente e figo da dire. Forse aveva fatto troppo, forse troppo poco, probabile fosse vittima di una visione limitata. Lasciò scivolare lo sguardo un po' ovunque alla ricerca di qualsiasi spunto a cui aggrapparsi con unghie e denti. «Avuto...» Dalla coperta era passato a fissare le candele, il cestino pieno di cibo, il thermos di cioccolata calda e quella nella tazza tra le mani dell'altra. «L'opportunità», con delicatezza avrebbe sfilato la tazza dalla sua presa, per ruotarla e posare le labbra lì dove le aveva posate lei, prendendo un piccolo sorso di nettare degli dei. «Di fare un Safari in Africa. Sì, un Safari, ma non di quelli per turisti, uno vero». Animali, natura selvaggia, la libertà e posti non toccati dalle mani zozze dell'uomo. «Dai, potremmo andarci quest'estate, che ne pensi?»
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    Pensava davvero che Nathan fosse intelligente, anche solo perché lei non si sarebbe mai permessa di frequentare un idiota e andarne anche solo vagamente fiera. Per quanto cercasse di andare sempre oltre quel che le era stato assegnato, Amelia aveva comunque un orgoglio e degli standard abbastanza alti, a cui comunque non sarebbe mai andata contro di sua volontà. Il ragazzo poteva continuare anche a fare lo scemo ma lei sapeva bene che aveva molto più potenziale di quel Cameron Cohen con cui si ostinava ad andare a braccetto.
    Certo, non aveva intenzione di lodarlo per questo all’infinito, anzi il ragazzo avrebbe dovuto fare tesoro di quell’effimero complimento e tenerselo stretto perché era probabile non ne sentisse altri uscire dalla sua bocca per un po’. D’altro canto lei non credeva nemmeno a quelle stronzate dei talenti, era sicura che chiunque avesse successo nella vita, in qualunque campo, lavorasse molto più sodo degli altri per ottenere ciò che voleva, tutto qui.
    “Irragiungibile? Mmh…forse.” concesse comunque, perché si era già sbilanciata abbastanza e non aveva di certo intenzione di riempirlo di lodi senza alcuna ragione apparente.
    Era quasi sollevata, per quanto anche spaventata, dall’affermazione di Nathan. Se c’era uno cosa che odiava era la monotonia, la prevedibilità: era la sua droga, da un lato, ciò che amava di più perché le permetteva di avere sempre tutto sotto controllo, ma al contempo erano tutte cose con le quali era cresciuta e che era sicura non avrebbe tollerato nella sua vita privata, in futuro. Anche per questo Nathan l’aveva colpita così a fondo: lui non era come gli altri, non cercava di ricoprire il ruolo di quello perfetto, sempre sul pezzo, e non provava nemmeno a fingere di riuscirci. E lei non voleva essere circondata da persone perfette, per quello lei stessa bastava e avanzava: che bisogno aveva di avere un compagno al suo fianco pronto a farle da zerbino, ma incapace di tenerle testa?! Non che stesse pensando a cose così serie, ed era quello a preoccuparla: perché parlare di anniversari?! Erano già a quel punto? Lei non voleva sistemarsi, non voleva già avere una vita tutta scritta con la prima persona interessante che aveva trovato. Forse sarebbero davvero finiti per stare assieme chissà quanto ma lei era convinta di non essere portata per quelle cose, di poter andare contro la sua famiglia almeno su quel fronte, non era pronta ad ammettere già quanto ci tenesse… doveva essere una fase no?!
    Si lasciò andare ad un mezzo sorriso. ” Oh quei paletti potrebbero essere la parte migliore.” replicò candidamente, anche solo per avere l’ultima parola. Non che lo dicesse tanto per dire, forse il ragazzo non era pronto nemmeno ad immaginarsi una Farley che perdeva la pazienza.
    “Mi piace come definizione.” concesse poco dopo, rivedendosi abbastanza nell’immagine di ujna valchiria e trovandola abbastanza forte e attraente da potercisi rispecchiare. Certo, Nathan la stava comunque mettendo continuamente alla prova, era difficile abbassare la guardia, ma almeno il tema che aveva deciso di affrontare ora le sembrava molto più semplice e tranquillo di quello di poco prima, più o meno.
    Inclinò la testa, osservandolo mentre cercava, esitante, le parole giuste per esprimersi e trovare qualcosa da dire. Non lo aiutò, aspettando che arrivasse da solo alla sua conclusione e non potè evitare di guardarlo colpita quando se ne uscì con la storia del safari. Ancora una volta si sarebbe aspettata di tutto, ma non di certo qualcosa del genere, e ormai era stanca anche lei di sentirsi sorpresa da ogni sua singola affermazione.
    Certo, forse l’Africa poteva non sembrare proprio il posto perfetto per una principessina come lei, ma in realtà alla bionda l’idea di un’avventura non dispiaceva poi così tanto. “Mmmh… se farai il bravo perché no?!” concesse quindi alla fine, consapevole che ora sarebbe toccato a lei dire qualcosa se non voleva sembrare stupida. Cercò di esitare meno dell’altro, appellandosi disperatamente alla sua poca fantasia e cercando una soluzione, in fretta. “Non ho mai cavalcato un drago. E’ una cosa che vorrei fare da sempre… se ne troviamo uno durante il safari ci sto.” disse alla fine, accennando un sorriso di sfida, contenta di essere riuscita a cavarsela con poco, dopotutto: aveva detto la verità -cosa che chissà perchè con Nathana era imporante- eppure non si era sbilanciata con nientre di troppo intimo.

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    La cosa bella di Nathan era che fosse consapevole delle sue qualità, potenzialità ma soprattutto dei suoi limiti. Questo gli dava il lusso di poter viversi ogni cosa come più gli aggradava, a seconda dei suoi gusti e verve del momento. Su qualcosa però doveva pur rimetterci e cosa se non il suo curricula disastroso? O meglio lo era quando frequentava Ilvermorny, ad Hidenstone la musica sembrava cambiata. Comunque stessero le cose era indubbio come la Farley fosse di una spanna superiore a lui. «Togli il forse» ripeté non tanto per fagocitare l'ego della strega quanto più perché credeva in quanto affermava. Così come era certo sarebbe stata una vera e propria furia se lui avesse cambiato qualcosa. Il bello era che ci aveva preso in pieno seppur ipotizzando solo una piccola percentuale della crudeltà di cui sarebbe stata capace, eppure la sua successiva ammissione fu solo capace di fargli drizzare le antenne. «Interessante, tanto che probabilmente finirò con il farti arrabbiare solo per vedere quello di cui saresti capace». Come volevasi dimostrare il cervello non lo aiutava neanche un po'. «Pessima mossa la tua!» E si lasciò andare ad una risposta vera, sentita, che portò alla comparsa delle famose fossette e al socchiudere gli occhi fino a ridurle a due perfette fessure. Si stava rilassando, lasciando defluire via l'ansia che aveva attanagliato le sue viscere per buona parte della giornata, il tutto era grazie alla capelli d'argento che aveva di fronte. Disquisire su matrimoni combinati, appuntamenti farlocchi e la personalità dominante della Dioptase furono un toccasana per i suoi nervi. Non per nulla si era lasciando andare a paragoni azzardati che però sembrarono incontrare il gusto dell'amata. «Direi che è calzante», continuò divertito complice l'immagine mentale che si era costruito con protagonista Amelia nelle vesti delle valchirie: lembi di cuoio cuciti tra loro e a coprire solo i punti strategici di quel corpo che bramava. Dovette appellarsi a tutte le sue forze per resistere a quel richiamo primitivo e tentare anche di nascondere un principio di erezione. «Proverò ad essere un angioletto, ma non troppo» articolò, ingoiando più volte l'eccesso di saliva che si era creata.
    «Sai, non vorrei finire con l'annoiarti brutalmente poi», cosa improbabile ma non del tutto impossibile. Dopotutto condivideva almeno il cinquanta percento del patrimonio genetico di suo padre, il rischio era proprio dietro l'angolo. E quindi per spezzare la monotonia delle calde giornate estive cosa c'era di meglio di un avventuroso safari africano? Sarebbe stato anche più caldo di quella cioccolata che aveva rubato dalle mani dell'altra. «Da regina dei ghiacci a madre dei draghi direi che è un soffio» concordò restituendole la tazza e drizzando la schiena. «Allora a luglio si parte, non voglio scuse» la informò recuperando un paio di panini imbottiti con prosciutto e formaggio, allungandone uno a lei per sperimentare la combo di dolce e salato. Lo scartò e ne addentò un'estremità, accertandosi di masticare a bocca chiusa prima di lasciarsi andare ad un apprezzamento. «Divini, davvero divini». Tanto che in quattro morsi lo finì e ne recuperò un altro ben sapendo che la Farley probabilmente era ancora intenta a triturare con i suoi candidi denti il frutto del primo morso. Appagata la fame il ragazzo pensò bene di stendersi accanto a lei, sistemando un braccio sotto la testa per fissare meglio il cielo notturno. Si trovava in pace, pieno, ripagato e molto più di uno svuotamento di palle. Era qualcosa di nuovo, qualcosa che aveva solo assaporato una strana domenica di Londra e poco più avanti nella notte di Capodanno. Se prima era qualcosa di impalpabile e che credeva frutto della sua mente, con il passare delle settimane era divenuto sempre più centrale, totalizzante. «Non ho mai pensato di volere questo». Il che era vero: lui mai avrebbe pensato di ritrovarsi su di un tetto ad alternare lo sguardo tra cielo e gli occhi limpidi di una ragazza, di preparare una sorpresa per lei e di non sfiorarla neanche con un dito. Era alla ricerca del momento giusto -non perfetto- per poter fare la sua mossa. Lei non era una delle ragazze che era solito approcciare alle feste o alla prima occasione utile. Lei era diversa. «Momento, momento, momento». Si sollevò di scatto, girando il capo verso di lei alla ricerca di quelle pozze trasparenti. «Non te!» La paura di essere frainteso era tanta e non voleva finire con il rovinare quanto di prezioso aveva. «Mi riferisco alla situazione...» e con il braccio indicò le candele, le coperte e loro due. «Non ho neanche provato a resistere, penso di essermici trovato e basta». Mayday la situazione stava peggiorando. «Nel senso che ho realizzato tardi quello che stava succedendo. E ti giuro non me lo sarei mai e poi mai aspettato, non da uno come me ecco». Avrebbe allungato una mano in direzione del suo viso con l'intento di lasciarvi una carezza prima di invitarla a sollevare il viso con una leggera pressione sul mento. «Quel che sto cercando di dire, anche male tra l'altro, è che... insomma tu...» Le gote si colorarono di un rosso vermiglio, gonfiandosi un po' prima di lasciare andare tutto d'un fiato un'ammissione che era telefonata dal 15-18. «MipiaciAmelia». Così, tutto attaccato, senza virgole e pause. In fondo era al pari di un analfabeta, no?
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    Amelia non aveva bisogno di complimenti, questo era vero, ma per qualche ragioni le lodi di Nathan le facevano effetto in quel momento, cosa che accadeva di rado. Dopotutto era cresciuta con persone pronte a riempirla di belle parole, anche solo per entrare nelle sue grazie, e raramente riusciva a sorprendersi per qualche moina qualunque. Non pensava che essere definita una brava studentessa da un ragazzo che non sembrava volersi troppo applicare nello studio potesse davvero farla sentire così bene, tanto che preferì ignorare quella sensazione e archiviare la faccenda, per paura di scoprire qualcosa che si sarebbe rivelato scomodo o fin troppo sorprendente.
    Avrebbe dovuto essere scocciata da quelle parole, eppure si scoprì quasi contenta che quel gioco si sarebbe protratto per chissà quanto: da quando era felice quando riusciva a dare alle persone scuse per tampinarla?! Forse la verità era che punzecchiare Nathan stava diventando fin troppo divertente. Finse comunque di essere scocciata, alzando gli occhi al cielo e sbuffando appena. “Questo vale per adesso, ma poi capirai che mi stai sottovalutando.” borbottò, senza però risparmiarsi un mezzo sorriso divertito.
    Inclinò la testa, quindi, guardandolo con un’ombra di dubbio –seppur sempre giocosa- negli occhi. ” Tu, un angioletto?! Non penso che sia possibile. E poi non ho mai detto di volermi annoiare a morte.” gli fece notare, mangiando con calma il suo panino e assaggiando quella strana combinazione con la cioccolata calda. Non lo avrebbe mai ammesso, eppure non era poi così male. Certo, forse anche perché non sapeva chi avesse fatto quei sandwich, o forse il suo giudizio era influenzato dall’impegno che il ragazzo ci aveva messo per creare tutto quello: non era una che si lasciava andare a troppi complimenti, non faceva parte della sua natura, ma non avrebbe potuto negare quanto tutto quello fosse sorprendente. Aveva avuto spasimanti vari, persone pronte a comprarle anche la luna pur di scucirle qualche parola d’affetto, eppure nessuno aveva mai pensato di fare qualcosa di così “semplice”, così vero, solo per lei. Avrebbe dovuto considerarlo spartano, forse, e lamentarsi perché non erano in un posto stellato, con una cena gourmet, ma rimaneva una ragazzina di sedici anni e per una volta anche vivere un’esperienza “normale” non era poi così male. Si sentiva a suo agio con Nathan, quel punzecchiarsi non era dettato dal fatto che lei doveva essere quella forte, ma piuttosto le veniva naturale, e più passava il tempo più si rendeva conto che non sentiva la necessità di ferirlo, di esagerare, di allontanarlo come faceva di solito con gli altri. E infatti eccola che accettava un invito così a lungo termine…!
    Faticava ad immaginare che quel safari sarebbe avvenuto davvero. Non che non fosse mai stata in vacanza con qualcuno, ma si era tratto di brevi periodi e in genere c'era sempre un secondo scopo: aveva avuto un paio di occasioni per stare sola con le sue amiche, ma non avendo mai tessuto legami troppo stabili e sinceri con qualcuno non era sicura di aver vissuto esperienze del tutto "normali" con le sue coetanee.
    L'idea di partire con Nathan le faceva strano, doveva ammetterlo. Non era una cosa necessariamente negativa, ma sembrava rendere tutto quello più concreto e serio di quanto volesse: significava che di sicuro si sarebbero continuati a vedere e parlare almeno fino a luglio, e lei non era abituata ad avere scadenze così a lungo termine. Per una che si annoiava poi facilmente non avrebbe saputo dire se que programma avrebbe davvero funzionato. E se si fosse stancata? E se quelle sensazioni che provava fossero peggiorate? Non riusciva nemmeno a capire se fossero negative o positive, di certo erano strane.
    "Vedremo, se ti sarai comportato bene fino ad allora direi di sì" disse alla fine, e la cosa suono definitiva e certa anche alle sue orecchie, tanto da farle chiedere chi fosse la ragazza che stava parlando e che ne avesse fatto della solita Amelia.
    Prese il panino che le stava offrendo e forse, proprio spinta dall'agitazione che quella situazione le stava mettendo addosso, finí per addentarlo senza troppe esitazioni, sorprendendosi di quanto fosse buono. La combo finí addirittura per piacerle, e si lasciò sfuggire un "Non è così male" che per una come lei era già un'enorme concessione. Continuò a mangiare, segno che davvero le piaceva, ma si bloccò suo malgrado non appena Nathan sfoderò la sua arma. Non pensiate che la bionda si fermò all'improvviso, tradendo una quale reazione, ma rallentò fino a fermarsi, cercando di razionalizzare. Non era la prima volta che se lo sentiva dire, ovviamente, eppure il suo stomaco si era animato di nuovo, ancora più di prima, ed era davvero difficile restare ferma e non reagire. Avrebbe potuto rispondere in mille modi diversi, migliori o peggiori, ma se Nathan si aspettava una dimostrazione d'affetto canonica si sbagliava. " Beh, mi auguravo non organizzassi tutto questo per la prima che passa per strada." replicò angelica, per poi scoprire che le parole del ragazzo continuavano a ripetersi nelle sue orecchie. Non era pronta ad affrontarne il peso e il significato e la prima cosa che riuscì a dire, d'istinto, fu un rapido " Cosa aspetti a baciarmi?"

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    Se nella testa della Farley c'era la paura di avere un rapporto stabile fino all'estate, nel cervello di Nathan, oltre all'onnipresente acqua, iniziava ad illuminarsi una sola e semplice parola. O meglio, sarebbe stato così se fosse stato un legilimens capace di leggere ciò che in quel momento passava per la mente della bella biondina.
    Ad ogni modo, prima o poi, un campanello d’allarme sarebbe risuonato, smuovendo un po’ di fluidi ed attivando la sua paura inconscia. Ma procediamo per gradi.
    Da quando aveva iniziato a gravitare intorno al pianeta di nome Amelia l’interesse per le altre gonnelle era venuto meno in modo direttamente proporzionale al tempo che scorreva con lei. Seppur tette e culi fossero sospinti sotto il suo naso nello stesso modo con cui si offrivano scodelle di pasta e fagioli alle sagre di paese, Parker non si soffermava più di tre secondi. Non che prima fosse diverso. In effetti tre erano i battiti che gli servivano per capire se quel sederino avrebbe prodotto un suono delizioso all’incontro con la sua mano aperta o se quei seni avessero riempito o meno i palmi premuti su di essi. Ma ora, dopo quei tre secondi, King non registrava neanche l’immagine di quei corpi a stento celati dalla divisa della scuola. Non quando Amelia Farley aveva deciso di non sottrarsi al suo gioco cui unica vittima sembrava esser proprio lui.
    Lui che aveva preparato quel picnic all’aperto, che aveva finito con l’avere un accenno di attacco di panico quando non l’aveva vista arrivare, che aveva sentito il cuore fermarsi e perdersi nell’incontrare quelle iridi chiare che gli sorridevano. Sorridevano a lui, lui solo. Un evento più che raro per la Purosangue. Eppure aveva scorto diversi sorrisi su quei tratti nobili e affilati da una educazione fin troppo rigida. Dannazione quel campanello davvero stava per suonare il pericolo. Pericolo che era unico e solo, soprattutto per uno come lui che aveva collezionato ragazze -consenzienti- neanche fossero caramelle: monogamia. Il pensiero di arrivare fino a luglio con lei significava che non avrebbe più potuto annusare, toccare o anche solo vedere altra passera all’infuori di quella di Amelia Farley. Nutriva il serio dubbio che la ragazzina fosse capace di un atto cruento verso chiunque avesse osato capitalizzare la sua attenzione. Sperava solo che in quell’ammasso di divieti riuscisse ad ottenere una licenza speciale per Emma Lewis o sul serio Nathan Parker King, in un modo o nell’altro, avrebbe finito con il perdere i suoi gioielli di famiglia. E diciamocelo lui teneva a quelli più della sua stessa vita.
    Eppure alla fine anche lui era fatto di cuore, sentimenti e tanta gelatina. Seppur steso sul giaciglio che aveva improvvisato il ragazzo sentiva le gambe molli mentre vomitava -letteralmente- una quantità infinita di parole volte a non far fraintendere, neanche per un istante, le sue intenzioni e l’interesse che nutriva nei confronti della Dioptase. Neanche cercare di nasconderli sarebbe servito alla causa, ormai era un libro aperto per lei e per chiunque altro si fosse preso la briga di osservarlo almeno per qualche altro istante. Avrebbero potuto notare come alla fine la sua spavalderia non veniva meno, bensì si muoveva ad indossare nuove vesti che dubitava avrebbe rivisto con un’altra persona. E lo disse, tutto attaccato, senza un attimo di respiro con la fronte leggermente imperlata di sudore, con i capelli sparati in tutte le direzioni, il cuore che galoppava frenetico e la bocca tesa come se volesse incolparsi di non esser riuscita a frenare quel fiume di emozioni. «Oh, Farley, tu sarai proprio la mia rovina». E non poteva neanche lontanamente immaginare quanto quelle poche e semplici parole nascondessero del vero mentre si avvicinava a lei, ispirando il suo profumo delicato ma al tempo stesso selvatico, quasi fosse una nota stridente in tutta quella perfezione. «Solo per questa volta, Ghiacciolina». Nel dirlo il suo fiato avrebbe accarezzato i tratti del suo viso mentre si chinava lesto per non farle comprendere appieno la natura di quel messaggio: solo per quella volta non avrebbe cercato di disubbidire ai suoi ordini e solo perché, dannazione, voleva baciarla dalla prima volta che gli aveva risposto male in quella dannatissima cabina. E lo fece. Le labbra si posarono su quelle di lei, mentre le palpebre si chiusero automaticamente, forse per dare più spazio agli altri sensi che solitamente erano dominati dalla vista. L’olfatto fu il primo ad esser chiamato, seguito subito dopo dal tatto e precisamente dalla sua bocca che cercava di trovare il giusto incastro con quella di lei. Come chiamato da quest’ultima anche il gusto alla fine partecipò alla fiera. Il sapore di un panino imbottito misto alla cioccolata calda e al suo personalissimo nettare era qualcosa che gli dei avrebbero sicuramente chiamato ambrosia. La sua ambrosia. E ne stava divenendo rapidamente dipendente, molto più delle sigarette che fumava velocemente negli angoli nascosti del castello. Ne voleva di più. Una mano corse sul fianco della ragazza mentre l’altra salì fino alla gola su cui esercitò una leggera pressione per avvicinarla di più a lui. Avrebbe sentito il battito accelerato del suo cuore sotto il suo palmo appena calloso? O sarebbe riuscito a strapparle un gemito man mano che avrebbe approfondito il bacio? Dopotutto all’appello mancava solo l’udito e lui lo voleva, lo bramava.
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    Amelia non stava nemmeno pensando a quanto la sua presenza stesse cambiando la vita di Nathan, forse era qualcosa che non era nemmeno pronta a prendere in considerazione. Nella sua testa il ragazzo stava giocando con lei, gli piaceva l’idea di qualcuna che rifiutava le sue avances e per questo stava continuando a gravitarle attorno, qualcosa che succedeva spesso e a cui forse la bionda avrebbe ormai dovuto essersi abituata. Non era la stessa cosa, questo era vero: era abituata ad essere circondata da persone che volevano attirare la sua attenzione e che le puntualmente trovava solo noiose, niente di più, mentre ora per lei era chiaro che Nathan non fosse solo una fastidiosa perdita di tempo.
    Era chiaro che stessero giocando l’uno con l’altra, le piaceva l’idea di farsi desiderare e le pareva ovvio che l’altro la desiderasse, il fatto che Nathan facesse poco per nasconderlo la portava a voler continuare. Eppure non era solo quello, c’era qualcos’altro ad attirarla, a spingerla a voler sempre di più attirare la sua attenzione e distrarlo da chiunque altra minacciasse di rubare il suo “giocattolino”. Certo, non che lo stesse davvero trattando come tale.
    Non aveva idea di come Nathan si sentisse, ma poco ma sicuro se avesse saputo come Amelia aveva trattato molti prima di lui si sarebbe accorto subito della differenza. Purtroppo per King, non avrebbe potuto tornare indietro nel tempo per vedere il passato della Dioptase, ma gli sarebbe bastata solo una rapida occhiata per capire che quello che gli stava riservando era un trattamento speciale: non avrebbe mai speso tempo con qualcuno di cui non le importava niente, non avrebbe mai nemmeno accettato l’idea di un picnic se Nathan non avesse avuto qualcosa a cui lei non sapeva resistere.
    Qualcosa che era ancora intenzionata a negare fino alla morte e che non aveva alcuna voglia di ammettere. Se il ragazzo avesse fatto altre domande avrebbe risposto in modo antipatico, probabilmente, solo come strumento di difesa, e lo avrebbe allontanato solo per provare di non essere affatto interessata. Per qualche ragione si sentì sollevata all’idea di non essere costretta a cacciarlo, non ancora almeno.
    L’atmosfera di quella stanza le stava togliendo lucidità, o almeno lei si sentiva più leggera, avvolta da emozioni che non era solita provare. Quando mai si era sentita così felice e spensierata con qualcuno? Quante volte aveva davvero apprezzato un incontro come quello, prima di quel momento? Era convinta, prima di quel momento, che solo soldi e lusso potessero farle provare qualcosa, e non si era nemmeno resa conto di quanto tutto quello fosse invece noioso e vuoto. Certo, aveva sempre provato ad allontanarsi dalla sua famiglia, per quanto possibile, ma i suoi atti di ribellione erano sempre stati fini a sé stessi, cose da “cattiva ragazza” che la facevano sentire più viva ma di certo non così, in alcun modo. In quel momento stava davvero vivendo qualcosa che non aveva mai vissuto prima, e anche se non stava facendo niente di eccessivo le sembrava di essere finalmente libera dalla sua prigione dorata.
    E solo per merito di Nathan. Dannazione, sulla carta lui non era nemmeno un tipo che avrebbe dovuto prendere in considerazione: troppo dolce, a tratti, troppo ingenuo, troppo loquace e alle volte abbastanza idiota da fare sciocchezze, eppure…eppure eccola lì, che gli dava corda, ascoltava ogni sua singola parola e non aveva nemmeno voglia di andarsene e fare qualcos’altro. Forse l’aveva drogata?
    In quel momento non era sicura nemmeno che quel dettaglio fosse così importante. Forse quella situazione le piaceva abbastanza da accettare anche quella possibilità, almeno ora che il calore del corpo del ragazzo era così vicino e lei si sentiva avvolto dal suo profumo, muschiato e intenso. Non era certo la prima volta che si trovava in una situazione simile con qualcuno, anche se puntualmente dimenticava quasi ogni cosa perché per lei non avevano alcun valore. E invece questa volta non appena le labbra di Nathan si scontrarono con le sue venne invasa dalla certezza che quel bacio fosse differente, che non avesse niente a che fare con tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento. Non era raro che provasse disgusto, imbarazzo o banale apatia, spesso cercava di tagliare corto e capitava alle volte che durante il sesso cercasse di evitare i baci ad ogni costo perché li reputava superflui e disgustosi, con alcuni. Ma quella volta… oh beh, quella volta non avrebbe più voluto fermarsi. Nell’istante in cui le loro labbra si scontrarono tutto il resto scomparve: si sentì avvolta da Nathan, ogni sua singola cellula concentrata solo su di lui e un brivido le percorse la schiena, portandola a spingersi contro di lui. Portò le sue mani sui suoi fianchi quasi subito, nel tentativo di spingersi contro il suo petto. Non avrebbe mai voluto che Nathan se ne accorgesse, ma il ragazzo avrebbe potuto sentire decisamente il suo battito accelerato sotto le dita e la foga impadronirsi di lei. Se avesse teso le orecchie avrebbe potuto sentire non proprio un gemito ma un ansito appena trattenuto -che per la Farley era comunque un traguardo- poco prima che prendesse e mordergli e succhiargli il labbro inferiore, infilando una mano sotto alla sua maglia, sulla schiena.


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    Ametrin
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    Da qualche parte aveva letto come il ghiaccio potesse bruciare. Per diverso tempo, quando il pensiero lo accarezzava improvvisamente, aveva creduto che ricordasse male. Andiamo, come può qualcosa di gelido, ma di un freddo davvero profondo, bruciare come le fiamme vive? Eppure quando le labbra della Farley impattarono contro le sue Nathan Parker King pensò che quella dannatissima informazione fosse vera.
    La sua Ghiacciolina era fuoco, vivo, puro. Sotto quella coltre di ghiaccio c'era un corpo caldo, vivo, lussurioso. Sorrise sulle sue labbra mentre sentiva la pressione che la strega cercava di esercitare sul suo petto con il suo, ma erano le sue mani a rendere le sue gambe di gelatina. Non aveva bisogno di esser in piedi per comprendere come stesse sciogliendosi come neve al sole sotto al suo tocco. Era qualcosa di diverso, una sensazione che aveva sfiorato, a volte rincorso, ma mai come in quel momento. Voleva Amelia Farley ma non solo per la brama di un ragazzino di diciotto anni. Fremette al tocco di quella mano fredda che, superando la barriera delle sue vesti, andò a posarsi dritta sulla sua carne nuda, rovente. La mano che aveva sul suo fianco fece sì che le dita lo avvolgessero nello stesso ritmo del suo ginocchio che sfiorava quello della ragazza, per poi afferrarlo con la mano che aveva sul collo per alzarlo fino a superare la sua anca, mentre il suo gemito finì con il morire nella sua bocca, complice un labbro inferiore carico di attenzioni della Dioptase.
    Quello che voleva -con quella mossa- era averla seduta su di lui, sperando che non avesse nulla da ridire sul rigonfiamento presente nei pantaloni, con le sue mani che si unirono alla base della sua colonna vertebrale fino a risalire alle scapole, spingendola ancora di più verso di lui. Sentiva le labbra voluminose, turgide; se avesse viso il suo riflesso su qualche superficie specchiante avrebbe potuto vedere le sue iridi languide, illuminate da una scintilla che era fermamente convinto non avrebbe mai visto su di lui. Amelia, era Amelia a farle quell'effetto. Sempre e solo lei. Intrecciò le dita della mancina con le sue ciocche argentee, esercitandovi poi una pressione per allontanarla quel poco da permettergli di riprendere un po' di ossigeno e perdersi in quelle iridi particolari. Ed incatenando i loro sguardi, King provò a dirle quanto con le parole non era riuscito -oltre al terrore di aprir bocca e finire col rovinare tutto- a dire: era felice, emozionato, si sentiva vivo come non mai; che voleva che quel momento non finisse più. E che avrebbe fatto di tutto per avere quella sensazione il più a lungo possibile. Lo suggellò con un leggero bacio a stampo, strofinando il naso con quello alla francese, per poi rituffarsi avido sulla mandibola, lasciando che la punta che si occupava dell'olfatto lo anticipasse in quel percorso fino al lobo che strinse tra le labbra gonfie per poi scendere giù lungo il suo collo. Si fermò lì dove il battito del suo cuore era forte, sentendolo accelerato e probabilmente assestato alla stessa lunghezza del suo. Vi lasciò un bacio dopo aver grattato quella porzione di pelle con gli incisivi, per poi tornare al suo viso. Lo carezzò, studiandone ogni centimetro non solo con la vista, ma anche col tatto.
    Gli mancava però il suo sapore, misto a quello profumato della cioccolata e del sapido dei panini imbottiti; gli mancava così tanto che non ci pensò su due volte nel piegare le ginocchia affinché avvicinasse ancora più i loro bacini e mentre la bocca si rimpossessava della sua. Amelia Farley era una droga. Ma non voleva trattarla come ogni sua conquista, finendo la serata tra gemiti ed ansiti -non che non volesse entrarle nelle mutandine, dannazione!- ed una serie di orgasmi, quello che voleva era costruire tutto, passo dopo passo. Senza fretta, facendo crescere il desiderio e la voglia di lei. Per cui dopo un ultimo intreccio di lingua avrebbe cercato di scostarsi e di sfilarsi da lei, spostandola un po', recuperando una posizione eretta ed allungando una mano nella sua direzione. «Mai ballato quassù?» Invero non era dotato di uno stereo -si appuntò di rubarlo la prossima volta dalla sala multimediale- ma lì, sotto le stelle, con il crepitio della fiamma delle candele ed i loro respiri mischiati a quelli della natura che li circondava, avevano una musica unica ed irripetibile. «Ti va di ballare?» Ed una fossetta contribuì a rendere il suo aspetto ancora più tenero, a prova di Ghiacciolina. O almeno così sperava.
    Nathan Parker
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    The biggest misunderstanding about me is that I'm just a bratty, gobby idiot.
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    Dioptase
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    Amelia Farley
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    Cominciava a pensare che la ragione per la quale era così attratta da Nathan era il fatto che il ragazzo non le stesse dando quel che lei voleva. Era abituata ad ottenere sempre qualsiasi cosa desiderasse, era lei quella che si faceva bramare in genere e adorava vedere come chiunque cadesse subito ai suoi piedi, finendo per diventare uno dei tanti che lei ignorava anche solo per noia. Nathan invece sembrava intenzionato a non cedere, fin dal primo momento aveva giocato il suo stesso gioco, con regole tutte sue, ed era anche perché non sapeva perdere una sfida in partenza che era ancora lì, pronta a seguirlo anche a quello che aveva tutta l’aria di essere un appuntamento.
    Non era il tipo da accettare cose del genere, ogni secondo che passava c’era qualcosa che in un momento normale l’avrebbe portata ad alzarsi e andarsene, ma non con lui. Se era rimasta fino a quel momento, ora che le sue labbra avevano incontrato quelle del ragazzo non aveva alcuna intenzione di staccarsi, per nessuna ragione al mondo.
    In genere le piaceva farsi desiderare, mostrare qualcosa della sua grinta e della sua passione e poi tirarsi indietro, giusto per aumentare il desiderio e tirare sempre un po’ di più la corda, ma questa volta tutto le sembrò diverso, fin dal primo istante: nel momento in cui cominciarono a baciarsi sentì il bisogno di andare avanti, anche all’infinito se possibile, e si dimenticò del tutto delle sue strategie di seduzione. Finì addirittura per assecondare il movimenti di Nathan, finendogli in braccio e impiegando ben poco ad accorgersi di quanto anche lui stesse apprezzando tutto quello: sentire la sua eccitazione la spronò a spingersi di più contro le sue labbra, strusciandosi contro di lui senza troppi complimenti.
    Lo voleva, in quel momento? Probabile. Per un attimo fu anche sicura che sarebbe bastato ben poco a farlo cedere, pensò di infilare una mano sotto alla sua maglia, o di provare a slacciargli i pantaloni o sfilarsi il vestito… un qualsiasi, minuscolo gesto che avrebbe sicuramente decretato le sorti della serata. Non si era mai sentita così vicina ad un punto di non ritorno come in quel momento: aveva fatto sesso mille altre volte, ma era sempre stata lucida, mai così appassionata se non in rari casi, e comunque aveva sempre scelto ogni cosa, ora invece le sembrava che a governarla fosse un istinto carnale che in genere tendeva a reprimere.
    E non era nemmeno sotto l’influenza della Luna Piena. Le bastò quel pensiero, rapido e casuale, per provocarle un brivido lungo la schiena: dimenticava puntualmente quella parte di sé, la licantropia era qualcosa che cercava sempre di mettere da parte, in un cassetto della propria mente, e scordarsi lì per più tempo possibile. Quel pensiero l’aveva colta così alla sprovvista che non oppose nemmeno resistenza quando Nathan le tirò appena i capelli, portandola ad allontanarsi dalle sue labbra. Ne approfittò anche lei per riprendere fiato e ricacciare quel pensiero sciocco da dove era venuto: non aveva bisogno di pensarci, non sarebbe durata abbastanza da dover affrontare quel problema insieme, no? Non era niente che avrebbe dovuto preoccuparla.
    In quel momento si perse negli occhi dell’altro, tanto da ritrovarsi appiccicata di nuovo alle sue labbra prima di poterlo realizzare. Lo voleva, eccome se lo voleva, era abbastanza sicura di non aver mai desiderato qualcosa prima di quel momento, non così intensamente. Se non fosse stato per Nathan probabilmente sarebbe andata ben oltre, proprio lei che credeva nell’idea che l’attesa aumentasse il piacere e adorava stuzzicare i suoi amanti: in quel momento avrebbe solo voluto avere più pelle da toccare e da baciare, avrebbe voluto sfidarlo a farla ansimare e gemere più forte, qualsiasi cosa pur di averlo…
    E lui le aveva appena proposto di ballare. Si ritrovò a sbattere un paio di volte le palpebre, cercando di mantenere una parvenza di dignità. Era sul punto di dargli dell’idiota, tirarselo di nuovo addosso e tornare a baciarlo, quando sentì le sue labbra rispondere con un “Sì” che alle sue orecchie apparve più deciso, basso e roco di quanto avrebbe voluto. Prima di rendersene conto si era alzata e si era messa in posizione, sfoderando la sua eleganza e la sua bravura nel danzare –che cosa ci si aspettava da una che aveva ricevuto un’educazione impeccabile, in ogni singolo campo? Era una cosa stupida, una cosa che lei non avrebbe dovuto fare, eppure in quel momento le parve quasi logico, essenziale. Portò una mano sulla sua spalla e una su un suo fianco, approfittandone per avvicinarsi a lui forse anche più del dovuto, e si ritrovò a muoversi al ritmo di una musica immaginaria: forse Nathan le aveva messo una qualche strana pozione nel cibo, perché avrebbe giurato di non essere tipo da fare cose simili con nessuno. Tranne lui.

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