A brother may not be a friend, but a friend will always be a brother.

Emma&Nathan ♥ || Happy bday NattyPie

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    Emma Lewis
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    Era il compleanno di Nathan e lei si stava sentendo una stronza. Era metà pomeriggio ed aveva ignorato ed evitato il ragazzo praticamente tutto il giorno e con il fatto che non vi fossero state le lezioni, le era risultato ancora più difficile, visto che non aveva la scusa per non parlargli. Aveva sempre cercato di rintanarsi dove lui non potesse trovarla, quindi prevalentemente nel bagno della sua camera. Aveva organizzato una cosa speciale solo per loro due. Voleva organizzargli una festa sorpresa ma erano tutti troppo presti a studiare chi per i MAGO, chi perché il terzo anno era impegnativo, chi per altri motivi, quindi alla fine aveva optato per stare da sola con lui. Gli voleva proprio un'infinità di bene e non vedeva l'ora di renderlo felice con quella piccola sorpresa, oltre che scusarsi per non avergli nemmeno fatto gli auguri. Oddio, come si stava sentendo in colpa. Scosse la testa cercando di pensare ad altro e riprese a percorrere in lungo ed in largo la Stanza delle Necessità. Non aveva ancora preparato nulla, troppo persa nelle sue colpe, ma doveva darsi una mossa se voleva che tutto fosse pronto entro le 18 di quella sera. Chiuse gli occhi ed immaginò che apparissero dei pouf blu elettrico in un angolo della stanza, una tv gigante proprio davanti ad essi con tanto di svariate console ed un sacco di dvd. Immaginò ogni lineamento di ciò che voleva, ogni singola sfumatura e... quando riaprì gli occhi, ecco là davanti quello che aveva chiesto. Evviva! Una parte era stata fatta, ora doveva solo pensare al resto. In breve tempo, apparse un grosso tavolo in legno di mogano lucido ed apparecchiato per due. Aprì quindi il suo cesto da pic nic magicamente espanso e distribuì su alcune ciotole, svariati tipi di patatine e pop corn, caramelle e dolciumi di vario genere, lasciando sul fondo una torta che aveva fatto lei personalmente, ma voleva tenerla per dopo. Aveva portato anche un po' di cibo sgraffignato dalla cucina, ma anche quello voleva tenerlo al caldo. Si arrampicò su una sedia ed appese sul fondo della stanza, uno striscione con scritto "Tanti Auguri NattyPie", con sotto un cartellone con tutte le foto che si erano fatti in quei mesi ed un sacco di cuoricini disegnati da lei. Sopra al tavolo, c'erano anche diversi thermos con: thè al limone, alla pesca e the verde, cioccolata calda ed addirittura del caffè, con attorno alcuni piattini con piccoli e tondeggianti biscotti al burro, sempre fatti da lei. Prese il suo magifonino e gli inviò un semplice messaggio: "Nella stanza delle Necessità tra quindici minuti, ho bisogno di parlarti...". Erano le 18 in punto. Sul tavolo erano anche disposti diversi pacchettini piccoli, per la precisione, uno per ogni anno che aveva, come erano diciotto le candeline ancora sul fondo della propria borsa. Aprì una borsa -anche quella magicamente espansa- dalla quale uscirono un centinaio di palloncini gonfiati ad elio che andarono a coprire praticamente tutto il soffitto. Sperava davvero che tutto quello gli piacesse; non aveva molti soldi, infatti si era dovuta arrangiare -stava risparmiando per Natale- ma confidava nel fatto che per l'altro fosse cosa gradita. Il suo piano era quello di mangiare qualche schifezza, cenare insieme, guardare qualche film e giocare ai videogiochi. Tanto l'indomani sarebbe stata domenica, non avevano nessuna fretta e potevano fare le ore piccole, anche addormentarsi sul divano -che fece apparire affianco ai pouf- sempre con il rivestimento azzurro. Era veramente emozionatissima e non fece altro che sedersi su una sedia, aspettando che l'ora scattasse e che lui, quindi, entrasse nella stanza. Oltre a tutto il resto, sarebbe stato carino parlare con lui un po' di tutto, conoscerlo ancora meglio e fargli taaante coccole. Insomma, era o non era una delle persone alla quale teneva di più, in quell'accademia? Aveva addirittura portato il suo arco con la freccia speciale di Phoebe, oltre che aver fatto apparire il karaoke -sì adorava cantare- ed altre cose che avrebbero potuto fare insieme.
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    «Ehi, amico che ne diresti di andare giù al villaggio a bere qualcosa? Sai oggi è il mio c-» Aveva fermato uno degli ametrini che si apprestava a lasciare la Sala Comune incurante che avesse una pila di libri a nascondergli il viso. «Scusa King, ma ci hanno riempito di una valanga di compiti... magari il prossimo weekend? Okay? Bene, ciao!» Neanche il tempo di poter replicare che il biondino se n'era andato via lasciandolo da solo nel bel mezzo del viola e del giallo. «Che compleanno de merda!» Okay, non aveva messo i manifesti sul che giorno fosse ma da qui ad essere palesemente ignorato da tutti fu un duro colpo per l'ego del bostoniano. Mogio si era diretto in camera sua, aveva arraffato un giubbotto pesante, una manciata di galeoni ed era sceso in solitudine fino al villaggio, con la speranza di incontrare qualche viso familiare. Sapeva già che alla lista mancava Foster, impegnato coi doveri da Prefetto; Amelia, che sicuramente avrebbe incontrato in biblioteca o in chissà quale angolo a studiare; Jessica, che l'aveva avvisato su una sua visita dell'ultimo minuto a Londra da suo figlio, ed Emma. Ecco, Emma era stato il colpo più duro da accettare. Non l'aveva vista neanche a colazione, così come Jones, e non le aveva neanche risposto ad un simpatico messaggio di buon giorno dove l'aveva invitata a trascorrere del tempo insieme a Denrise. Ma nulla, neanche la visualizzazione a quella sua proposta. Così, con l'animo un po' sbattuto, il ragazzo aveva trascorso buona parte del suo diciottesimo compleanno in compagnia di sconosciuti con cui aveva condiviso una burrobirra, qualche chiacchiera, e molto risentimento sfogato con una studentessa del quarto anno di cui non ricordava neanche il nome.
    Fu mentre aveva ripreso la strada per tornare al castello, con l'intento di morire satollo nel suo letto, che il cellulare riprese magicamente vita -complice anche l'aver superato i cancelli di Hiddenstone- segnalando come la Principessa Emma desiderasse la sua regale presenza nella Stanza delle Necessità per parlargli. «Eccerto, ora che avrà finito col fidanzatino si ricorda di me...» Il messaggio gli era stato inviato una decina di minuti prima, per cui non ne rimaneva che cinque per giungere a destinazione.
    Animato dalla frustrazione il ragazzo si affrettò in direzione della stanza che l'aveva visto protagonista con Jessica -e qualcun'altra- nel corso dei mesi, creando però l'immagine mentale della piccola e tenera Lewis che lo stava attendendo probabilmente con i suoi grandi occhioni inumiditi dopo l'ennesimo litigio con Lucas. «Avanti, via il dente, via il dolore. Cosa ti avrebbe detto di brutto stavolta?» Le dava ancora le spalle -così come alla stanza- cogliendo l'opportunità per cogliere la porta prima di fulminarla con lo sguardo. «Io delle volte mi chiedo se tu sia masochista o semplicemente inge-» Le parole gli morirono in gola, andando ad alimentare quel fastidiosissimo senso di colpa che aveva iniziato a provare quando si era ritrovata una Emma emozionata seduta ad un tavolo apparecchiato per due, con tanto di quel cibo che sarebbe potuto scoppiare solo a guardarlo, mentre sul fondo c'era uno striscione con tante piccole foto sotto un'enorme scritta fatta apposta per lui. «Oh, Follettina!» In due falcate il castano arrivò davanti all'Ametrina, afferrandola per una mano e tirandosela contro per abbracciarla. «Hai fatto tutto questo per me? Merlino! Che idiota che sono stato...» E la strinse un po' di più, posandole il mento sulla testa e sospirando di felicità. «Oh, piccola Em, ti voglio proprio tanto bene...» Mormorò, lasciandole un bacio tra i capelli e continuando a stringerla in un abbraccio caldo e sentito. «E non lo dico solo perché hai organizzato una piccola festicciola per me -okay, anche un po' per quello- ma perché... come si potrebbe fare diversamente? Sei adorabile, mi hai sempre teso la mano sin dal primo giorno, mi hai fatto sentire a casa anche se casa è distante un intero mondo...» La allontanò di poco, quel tanto che avrebbe permesso loro di specchiarsi l'uno negli occhi dell'altra, sorridendo teneramente. «Quindi è per questo -indicò con un cenno del capo la stanza che si era adattata ai desideri della biondina- che mi hai evitato per tutto il giorno?» Tornò a stringerla nuovamente a sé. «Sappi che ti ho odiata profondamente!» E rise, sincero, ben sapendo che l'altra non si sarebbe risentita per quella sua ammissione.
    Nathan Parker
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    Emma si era tanto impegnata per rendere perfetta quella stanza, per ricreare tutto quello che sarebbe potuto servire per una piccola festa e sperava davvero che all'amico, piacesse. Si sentiva davvero malissimo per il fatto di aver ignorato il ragazzo per buona parte della giornata, abbandonandolo proprio il giorno del suo compleanno, quello che avrebbe dovuto essere un giorno speciale. Sperava almeno che Erik e gli altri ametrini, lo avessero reso felice e sperò anche che non pensasse troppo a quanto lei fosse stata una persona orribile ad ignorarlo e addirittura evitarlo per tutto il giorno e forse non era stato nemmeno il comportamento giusto da tenere. Il fatto era che era la primissima volta che faceva una sorpresa di quel tipo, la prima volta in assoluto che avesse un migliore amico che dimostrasse davvero di tenerci a lei e che non avesse deciso di tagliare i rapporti dopo pochi mesi. Infatti da quel giorno al porto, avevano intessuto un bellissimo rapporto che, per ora, non aveva ancora visto screzi o litigi particolarmente pesanti... o litigi in generale, in effetti. Forse perché era difficile arrabbiarsi o non voler bene alla biondina, forse perché lei stessa cercava di non dar modo agli altri di arrabbiarsi.
    Fatto fu che gli mandò un messaggio quando tutto nella stanza era pronto, ovvero alle 18. Quindi il tempo passò e passarono anche i dieci minuti che lei aveva prefissato, eppure del suo migliore amico, nemmeno l'ombra. L'ametrina si morse con forza l'interno guancia, già pronta a smontare tutto e tornarsene mogia mogia in camera, abbattuta e triste per aver probabilmente ferito una delle persone più importanti che aveva, là dentro. Solo quando sentì l'eco della sua voce, si illuminò... prima di captare con precisione le parole e sgonfiare l'entusiasmo che era cresciuto dentro al suo petto. Si spostò rapidamente da un piede all'altro, in evidente disagio. Ma veramente, io... iniziò, gli occhi ormai lucidi e sull'orlo delle lacrime, ferita da quel tono che sapeva di meritarsi ma che non voleva sentir uscire dalle labbra di Nathan. Si era alzata dalla sedia per andargli incontro ma alla fine sembrò ripensarci, timorosa di fronteggiare un Natty arrabbiato -o almeno così pensava lei. Però in quel momento il bostoniano sembrò accorgersi di tutto ciò che c'era in quella stanza, ora finalmente che l'aveva guardata, e parve che il suo tono severo, sparisse. Strinse la sua mano in quella più grande e calda di lui, quando la raggiunse e la tirò a sé. Le sue esili braccia si avvinghiarono attorno alla vita del castano, cercando di chiudere la circonferenza. Quell'abbraccio sapeva veramente tanto di casa. Sì l'ho fatto per te perché anche io ti voglio bene e... volevo che passassi la serata del tuo compleanno nel miglior modo possibile con me, sempre se ti va. Aggiunse in un pigolio appena udibile, temendo che per lui l'ideale di serata perfetta, fosse ben altro. Si godette il suo profumo per qualche istante prima di replicare, di dire qualsiasi cosa. Io ho cercato di esserci sin dal primo giorno e cercherò di esserci sempre perché da subito sei diventato speciale per me ed in pochissimo abbiamo legato e... farei di tutto per te e per la nostra amicizia. Non si oppose quando la allontanò e puntò il suo sguardo brillante, in quello di lui. Sì è proprio per questo! Annunciò, sprofondando per una seconda volta tra le sue braccia, sentendosi davvero al sicuro. Lo immagino... mi dispiace mi dispiace mi dispiace! T^T Non volevo farti pensare di essermi dimenticata di te o del tuo compleanno, solo che sai... è la prima volta che organizzo una sorpresa e non sapevo esattamente come comportarmi, ma spero che tu ora apprezzi. Buon compleanno, Nathan! Esclamò quindi alla fine, mentre la sua triste vocina, riacquistava un po' di colore. Ho preparato un sacchissimo di cose che possiamo fare insieme, ma siccome ancora non abbiamo mangiato... là sul tavolo c'è tutto ciò che tu possa volere. Pizzette, muffin, patatine fritte, biscottini al burro, poi c'è the, caffè, acqua... cose così! Si staccò a malincuore dal suo corpo e tornò ad avvicinarsi al tavolo, disponendo elegantemente tutti i regali uno affianco all'altro e ad una prima occhiata, avevano la grandezza di action figure. Ed in effetti lo erano, reperite al negozio dove lavorava part time il fratello maggiore. Spacchettando, Nathan avrebbe potuto trovare le statuette dei suoi personaggi Marvel preferiti. Emma era un po' come le nonne quando gli si diceva che una cosa era buona e te la facevano a profusione. Ecco, lei una volta venuta a sapere della sua passione per la Marvel, si era realmente fissata. Ovviamente un Baby Groot aveva il posto d'onore, in quella schiera. Lui doveva solo aprire i pacchetti e scoprire che cosa ci fosse al loro interno.
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    Il tempo era relativo, soprattutto se di mezzo finivano con l'esserci i sentimenti. In questo caso quelli presi in esame quel giorno ruotavano intorno all'amicizia e a come delle volte un legame scattasse subito, quasi qualcuno avesse premuto sul tasto on della corrente, chiudendo il circuito. Così era successo con Emma Lewis, la biondina al secondo anno ma più piccola di lui, che con le sue dolcezze, unicorni e cuori svolazzanti era riuscito a penetrare in quel muscolo inutile di King. La ragazzina, che pian piano stava sfoderando le unghie, si era dimostrata essere qualcosa più di un'amica e un po' meno di una sorella; questo solo perché lui i fratelli non sapevano neanche cosa fossero. Lui i fratelli se li era scelti al primo anno ad Ilvermorny e sembrava star compiendo lo stesso anche qui, ad Hiddenstone. Ed eccolo lì, tra palloncini e dolcetti, a stringere il corpicino della biondina tra le sue braccia. Una dimostrazione d'affetto priva di qualsivoglia malizia e non perché non fosse bellissima -lo era- quanto più per il tipo di legame che li univa. «Ma certo che voglio stare con te», mormorò tra i suoi capelli dopo che lei, in un tenero pigolio, lo mise al corrente su quanto fosse spaventata alla possibilità che lui non apprezzasse il suo gesto. «Anche io, Follettina. E non lo dico tanto per dire, lo sai. Come potrei non far di tutto per te?» E il tutto lo disse carezzando con tenerezza la chioma per tutta la sua interezza, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal ritmo dei loro respiri e dei loro cuori.
    Un'immagine troppo melensa per due come loro e così Parker, tralasciando solo per qualche secondo tutto quel ben di Dio disposto sul tavolo, si ritrovò a pensare alla musica, al suono ritmato di una batteria, seguita da un basso e una chitarra elettrica. Dimentico di come quella stanza fosse magica quasi sussultò nel sentire un crescendo, dal lato opposto rispetto a dov'erano, di giri di chitarra che portarono ad un'intro veloce quanto risvegliante, inducendo il ragazzo a sciogliere l'abbraccio ma solo per afferrare le mani dell'amica e tirarsela indietro verso una pista da ballo improvvisata. «Mi fa l'onore di questo ballo?» proprio quando Mendes cantava "I wanna let her take control". Se l'avesse seguita avrebbe allargato le loro braccia, solo per avvicinarsi e scontrare i petti per poi allontanarsi di nuovo, saltellando sul pieno del ritornello e, lasciando solo la destra ad unirli, avrebbe provato a far fare una piroette. «Baby, there's nothing holdin' me back. You take me places that tear up my reputation...»
    Nathan Parker
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    Nathan era quel tipo di persona al quale Emma non poteva che voler bene. Poteva fare il duro quanto voleva, ma la biondina sapeva che avesse un cuore buono. Forse a lezione non rigava sempre dritto e doveva rimproverarlo, forse non era perfetto... ma a lei andava bene così. Era il suo amico speciale, una persona che non trovi tutti i giorni e che non avresti mai lasciato. Questo era Nathan per Emma, forse l'amico che aveva sempre cercato e mai trovato, il parabatai di una vita.
    Il suo abbraccio sapeva di casa, di sicurezza e di conforto. Fin dal primo giorno aveva capito quanto potenziale avesse il loro rapporto. Fin da quando al porto gli aveva detto "spero che sarai un ametrino". Ed ora erano lì, amici più che mai. Lui l'aveva aiutata in diverse occasioni, come al labirinto quando quei bulletti se la stavano prendendo con lei o come durante la notte di Halloween in compagnia delle zucche grandi quanto smart babbane, durante la quale l'aveva sempre incoraggiata a dare il meglio di sé, dicendole che era coraggiosa e che sapeva cavarsela da sola, le bastava solo tirare fuori le unghie. Ecco, lui era una delle poche persone che aveva sempre creduto nelle sue potenzialità, senza difenderla sempre a spada tratta come se fosse incapace di difendersi da sola, no. L'aveva semplicemente spronata a dare di più.
    Le sue parole sciolsero il suo cuoricino di burro così come le sue carezze, che la facevano stare bene come poche altre volte era successo in vita sua, con così poche altre persone. Il suo conforto era importante. Se solo avesse saputo che esattamente in quella stanza, anche se arredata in modo diverso, avesse saputo che il suo ragazzo aveva detto alla Lynch che l'amava ancora, non sarebbe stata così tranquilla ed avrebbe risposto diversamente alla domanda dall'altro posta al suo ingresso.
    Improvvisamente delle note travolgenti iniziarono a risuonare per la stanza, come se qualcuno le avesse richiamate, spaventandola per un secondo, prima che lui sciogliesse l'abbraccio e se la trascinasse dietro. Riconobbe immediatamente la musica, individuandola come una delle sue canzoni preferite di Shawn Mendes. Certo acconsentì arrossendo e prendendogli la mano, iniziando a ballare sulle note di quella canzone. Si scontrarono con delicatezza, per poi allontanarsi e rimanere uniti solo tramite la mano destra e fece una piroetta, ascoltandolo cantare e continuando la canzone con la sua bella voce. ...Manipulate my decisions. Baby, there's nothing holdin' me back, There's nothing holdin' me back, There's nothing holdin' me back... era entusiasta di come si stesse svolgendo la serata, del loro ballare insieme che andò avanti ed andò avanti tra altre piroette, salti qua e là nella stanza e parole cantate a squarciagola, certi che nessuno avrebbe potuto sentirli in quel loro momento di euforia totale, manco avessero assunto della Scream&Shout poco prima della festicciola che lei gli aveva organizzato. I capelli erano leggermente appiccicati al viso della bionda, il corpo accaldato per via dei movimenti, quindi quando la canzone esaurì le sue note, si fermò barcollando appena. Con due mani, afferrò il bordo della propria maglia bianca e lo sfilò, rimanendo con una canottiera nera dalle spalline sottili e la gonna che aveva scelto per quel giorno. Ovviamente abbinata a delle scarpe da ginnastica, fosse mai che si metteva quelle col tacco o qualcosa del genere. Woa che caldo che ho ora! Esclamò, anche se non se ne stava lamentando, buttandosi sull'enorme divano e facendogli cenno di distendersi accanto a lei.
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    Se quel giorno non era interamente da buttare bisognava ringraziare quel buon cuore di Emma Lewis. La sua follettina non solo aveva preparato tanto di quel cibo sufficiente a sfamare un intero reggimento per un mese, ma era anche e sempre più una presenza costante nella sua vita, con tanto di conferma come punto fermo per lui in quell'isola sperduta. Riconoscere meriti era piuttosto facile e, stranamente, le parole di Olwen sul conoscere le persone e il loro caleidoscopio di emozioni e manifestazioni di essere tornarono a fargli visita proprio quando saltellava felice insieme alla bionda. Si sentiva completo, libero, senza alcuna spinta a voler trascorrere del tempo con lei per il solo scopo di entrare nelle sue mutandine, quanto più per il piacere reale di condividere il suo tempo con lei.
    Sono quelle scelte che prendi inconsapevolmente, quei legami che si creano perché dettati da uno sguardo complice fatto nel peggiore dei momenti, una risata soffocata per paura di essere arsi vivi da qualche docente, rincorrersi per i corridoi anche quando era espressamente vietato. Insomma tutte quelle cose che fai perché privo di razionalità e senso del dovere che ti spingono giù con le loro pesanti catene, impedendoti di volare e di esprimerti come più possa piacere alla tua personalità.
    Emma era tutto quello, un sapore nuovo, una ventata fresca nella sua esistenza e da cui non si sarebbe mai più separata. Sempre ci sarebbe stato per lei, lì pronto a supportarla ma mai a intralciare la sua strada, a prevaricare con voce grossa o mostrando muscoletti. E qualcosa in effetti stava cambiando: certo l'ametrina era ancora un po' la ragazzina che aveva deciso di affrontare il labirinto piuttosto che i suoi detrattori, accusandola di qualcosa che per lui non stava né in cielo e né in terra. «E sicuramente Olwen penserà che siano pure più intelligenti di me, tsk», pensò seguendo la Lewis e fissandola divertita quando rimase con una sola canotta. «Oddio, ma ti sono cresciute le tette o hai fatto qualche incantesimo di estensione?» e chissà se quello avrebbe funzionato anche sulla sua di appendice, ovviamente quando avrebbe avuto novant'anni e la scorta di viagra fosse finita. In ogni caso non guardò la scollatura dell'amica con chissà quale bava o danza degli ormoni verso il suo unico cervello pensante, bensì con effettiva curiosità quasi a voler capire con uno sguardo un intero processo di crescita chiamato pubertà. Che poi la Lewis non era leggermente in ritardo? Pff, non ne capiva poi così tanto di anatomia umana, soprattutto al femminile. Lui era più ferrato in quella da mettere in pratica e non puramente nozionistica. «Su, spostati, fammi spazio». Invero non fu la ragazzina a spostarsi, bensì il divano ad ampliarsi fino a risultare un letto con tanto di braccioli. Le si buttò accanto, ma al contrario, con le sole teste vicine e lui che soffiava in direzione dei suoi capelli chiari come il sole. «Dovremmo farlo più spesso, è così liberatorio, non trovi?» Come se nulla fosse prese ad attorcigliarsi attorno all'indice sinistro una ciocca della sua lunga chioma, recuperando fiato e asciugando il leggero velo di sudore che aveva ricoperto la sua fronte. «Magari potremmo mettere su il club studentesco del ballo e del karaoke senza senso. Già me li immagino alcuni...» Poi, quasi avendo un'epifania si voltò eccitato verso la sua amica. «Oddio, te lo immagini Ensor con un tutù rosa che canta la Traviata?». Non aveva la benché minima idea del perché avesse accostato proprio un banalissimo vestito da ballerina classica ad un'opera lirica di quella portata, ma doveva ammettere a mani basse che ad immaginare un professore come quello di Difesa in quelle vesti fosse decisamente interessante. «La Burke la voglio vestita interamente in latex, che twerka sul tavolo della Sala Grande su qualche canzone di Balvin!»
    Nathan Parker
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    Se le avessero chiesto di descrivere il suo rapporto con Nathan, lei avrebbe risposto con una serie di aggettivi come "genuinità" o "purezza", poiché la vedeva come un'amicizia vera, in barba a tutti coloro che andavano in giro dicendo che l'amicizia tra maschio e femmina era impossibile perché uno dei due era certamente innamorato. Beh, lei non era innamorata di Nathan ma di Lucas, con il quale era fidanzata, e Nathan non era innamorato di lei ma di quella ragazza platinata dei dioptase. Oddio, forse "innamorato", ancora, era una parola grossa... ma certamente provava un certo interesse nei confronti della ragazzina. Se da una parte, si sentiva felice per lui, dall'altra temeva che prima o poi avrebbero iniziato a passare sempre meno tempo insieme e lei assolutamente non lo voleva. Forse era una visione infantile del mondo, ma lei avrebbe desiderato avere Nathan affianco per sempre.
    Ma scacciò i pensieri negativi non appena l'altro mise la musica, permettendo ad entrambi di ballare come degli scemi, divertendosi e sudando. Quindi si tolse la maglia. Alla sua affermazione, Emma arrossì visibilmente, diventando così un pomodoro, iniziando a balbettare qualcosa senza senso. Io... uhm non... cioè... beh... insomma... non credo esistano incantesimi del genere riuscì ad articolare alla fine, senza minimamente chiedersi se il suo migliore amico fosse serio od ironico. Alla fine, si ritrovarono entrambi con la schiena contro quello che era magicamente diventato un letto, espandendosi quindi per dare tutto lo spazio necessario ad entrambi.
    Così mi rovini i capelli! Protestò, evitando comunque di scostarsi da quella posizione così comoda ed annuendo alla sua domanda. Non posso che darti ragione... ogni tanto è divertente fare qualcosa così e lasciare fuori la propria vita con tutti i problemi asserì, incrociando le braccia dietro la testa e fissando il soffitto con lo sguardo.
    Ti prego, no! Non riuscirò più a dormire, con questa immagine! Però sarebbe divertente, lo ammetto. Ridacchiò alla fine, anche se avere per la testa un Ensor con solo addosso un tutù, era quasi più spaventoso che ritrovarsi nella Foresta Eterea di notte e da sola.
    OKAY QUESTO È TROPPO! Esclamò, alzandosi di scatto e posando entrambe le mani sul petto di King, quasi a volerlo stoppare. Era un'immagine troppo inquietante. Tutto, ma quella vecchia vestita in lattice, no! Simulò un conato di vomito, facendo anche per infilarsi due dita in gola, prima di scoppiare a ridere e rotolare nuovamente sul letto. Che schifo... sospirò, prendendo un po' di fiato e spalancando gli occhi poco dopo, come se la lampadina del suo cervello, avesse iniziato a squillare prepotente. AAAH ho una cosa per te, aspetta! E nel dirlo, si alzò dal letto con un balzo, atterrando in piedi silenziosamente come un gatto, andando a prendere due dei pacchetti che aveva posizionato sopra al tavolo, correndo a portarglieli. Se l'altro li avesse aperti, in uno ci avrebbe trovato un pupazzetto di Capitan America -ormai era il suo soprannome- e schiacciando sullo scudo, avrebbe detto a rotazione, tutte le frasi celebri del personaggio. Mentre l'altro pacchetto, decisamente diverso, si mostrava come longilineo e molto fino; aprendolo, vi avrebbe potuto trovare una freccia -una vera- dipinta dello stesso azzurro dei propri occhi, alla quale coda vi era attaccato un lucchetto a forma di Togepi -il pupazzo che lui le aveva regalato- che in ognuna delle zampette, stringeva una lettera: E ed N. Nella speranza che possa portarti fortuna sempre e comunque... sussurrò, tornando a stendersi e girandosi su un fianco per guardare in sua direzione, posando la testa sulla spalla di Nath.
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