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.LILITH CLARKEDioptase - PrefettoCode ©#fishbone
Erano passati due giorni da quella orribile giornata dove lei e Blake si erano lasciati. Aveva cercato di evitare il ragazzo quanto più potesse, saltando le lezioni, anche, cosa che non era assolutamente da lei. Si era rinchiusa in biblioteca: aveva studiato, letto libri, ricopiato mille volte i suoi appunti, fatto ricerche. Tutto quello che poteva occupare la sua mente, lo aveva fatto. Tornava in Sala Comune ed era talmente stanca e vuota che si buttava nel letto e dormiva fino al giorno dopo, con le coperte fin sopra la testa, per poter non essere vista da nessuno, mentre si addormentava piangendo.
Non era mai stata male per una rottura, non aveva mai sofferto per un ragazzo, forse perché non aveva avuto mai idea di quello che significasse veramente essere innamorati di qualcuno.
La mancanza di Blake la stava distruggendo, ma sapeva che sarebbe stata solo una cicatrice indelebile sotto la sua pelle.
Il solo pensiero di incontrare l'Opale e non avvicinarlo, vederlo circondato dalle arpie che non aspettavano altro che la loro rottura, probabilmente proprio con Mia. No... non lo avrebbe retto.
Quando gli altri erano a lezione, lei rimaneva in Sala Comune, indisturbata da chiunque potesse girare in quello spazio e più di una volta aveva pensato a cambiare Accademia, ad andar via da lì, dove ormai tutto era compromesso.
Ogni cosa gli ricordava Blake, anche il semplice quaderno dove lui le aveva scarabocchiato sopra un "Sei una secchiona". Strappò quella pagina e la buttò nel fuoco, quello stesso fuoco le ricordava Blake e dei suoi incidenti più frequenti.
Strinse i pugni e prendendo la propria roba era pronta a tornare in camera.
Lo fece, sbattendo a terra i libri e ficcandosi di nuovo nel letto, senza nemmeno aver ritegno di aver lasciato tutto in disordine.
Disordine che non era una sua caratteristica, lei che era sempre stata perfettamente ordinata, adesso trasportava fuori quello che aveva dentro: disordine e confusione, che si mescolavano a quella sensazione di vuoto che non sembrava volerla abbandonare, ma che continuava ad avvolgerla in maniera prepotente.
E fu in quel momento che sentì bussare alla sua porta insistentemente e chiamare il suo nome. Riconobbe la voce del ragazzino del primo anno «Riky, non sto bene, se è per Difesa, giuro di non riuscire a fare niente.» però il ragazzo era insistente e la stava supplicando di aiutarlo. Tirò un respiro profondo e lanciò via il lenzuolo, quando lui le diede l'appuntamento, sospirò «A dopo.» rispose semplicemente.{Mezz'ora dopo}
Era entrata nella Sala da Tè, facendo un saluto col capo a Scopina e iniziò a guardarsi intorno.
Dove diavolo era Riky? Sospirò, trascinandosi fino al tavolo dei prefetti, per potersi sedere, visto che si sentiva una pezza.
Ma fu proprio avvicinandosi che trovò qualcosa a quello che era sempre il suo posto.
Aggrottò la fronte e quasi incerta sfiorò le cose che erano sul tavolo.
Si guardò attorno, un paio di volte, alternando lo sguardo dal tavolo alla sala. Quell'iPod lo conosceva.
Blake?
Lo cercò con lo sguardo ma lui non c'era e nemmeno Riky.
Solo allora capì che quella di Riky era stata una scusa per trarla in trappola.
E Blake? Dov'era?
Si sedette, lasciandosi cadere sulla poltroncina, quindi prese l'iPod e lo mise nelle orecchie, facendo partire la prima canzone.
«Tra tutte le persone solo tu mi conosci davvero...»
Sentire quella voce proferire quelle parole, fu una pugnalata in pieno petto.
«Voglio ventiquattro ore, ma tu non chiedermi il perché
Ventuno delle quali, sai ti porterei con me
[...]
Un'ora per pensare alle ventuno prima insieme a te.»
Ogni singola nota, ogni singola parola, la stava prendendo a pugni. Lo stomaco si era bloccato, il cuore era in gola e sentiva accaldarsi le guance e gli occhi, che bruciavano.
«Tu insegnami a sognare, non so più come si fa
Vorrei vivere ogni ora come fosse l'ultima
Ma so che c'è un posto per me
Ma nulla ha senso se poi non ci sei te
Vieni via con me»
Sentì una lacrima scendere, mentre la canzone continuava a suonare fino all'ultima nota.
«Io sarò sempre qua, io sarò sempre qua
Sarò sempre al tuo fianco, nessuno ci dividerà.»
Mise pausa e prese un tovagliolo che era lì sul tavolo, tamponandosi gli occhi non truccati, rossi e gonfi.
Premette di nuovo play e ancora quella voce che amava le risuonava nel cervello, come a volerla supplicare di smettere con quel silenzio che stava logorando entrambi
«Vieni con me, la strada giusta la troviamo»
Era la seconda volta che le diceva di andare con lei, ma lui non era lì. Dove voleva che andasse? Guardò quella bustina che era accanto all'IPod e l'aprì, cadde sul tavolo una foto e un biglietto. La scrittura era la sua, disordinata e caotica come lui, rise appena tra le lacrime che continuavano a cadere copiose
«Portami in alto come gli aeroplani
Saltiamo insieme vieni con me
Anche se ci hanno spezzato le ali
Cammineremo sopra queste nuvole
Passeranno questi temporali
Anche se sarà difficile
Sarà un giorno migliore domani»
Così suonava mentre guardava quell'immagine, ancora non aveva letto il biglietto.
Non riconosceva quel posto, più ci provava e più le era sconosciuto.
«Se questa notte piove dietro le tue palpebre
Sarò al tuo fianco quando è l'ora di combattere
Portami con te
Ti porterò con me
Tu mi hai insegnato che se cado è per rinascere
Che un uomo è forte quando impara ad esser fragile
Portami con te
Ti porterò con me»
Ogni sua parola le stava entrando dentro come lame affilate.
La terza canzone iniziò quando prese in mano quel biglietto
«E sai che in fondo è vero, l'amore va solo immaginato
è un passo ancora non compiuto
ed è non farlo, sai, il segreto, ma se tutto resta dentro
Poi la vita, sai, ti chiede il conto
E poi mi sembra un po' strano
Il mondo è un gioco alla mano»
E le parole di quel biglietto.
Piangeva ormai da almeno dieci minuti perché la nostra storia è in queste cose, in ciò che non si dice ma rimane.
Era la prima volta, forse, che Blake faceva qualcosa di romantico per lei e ora capiva perché non era solito farlo: lui faceva tutto in grande, anche questo.
«Ti avvicini e non so stare a te vicino senza amare.»
Sgranò gli occhi liquidi a quelle parole, come se per la prima volta stesse sentendo la sua voce parlare di amore.
Fu il colpo di grazia, l'ultima canzone, quella che la spezzò completamente, facendola crollare totalmente in quel senso di vuoto che provava, ora sapeva cos'era, sapeva che non bastava non incontrarlo per non star male, perché lei apparteneva a lui e lui a lei.
«Ho avuto tutte le ragazze del mondo ma penso a te
Ti prego svegliami se è tutto vero
Oggi ho tutto ciò che serve, tranne la cosa che voglio davvero
[...]
Predimi per mano, dai andiamo e scappiamo via
Mi rimane il tempo di una canzone per farti mia
[...]
Ho il tuo nome tatuato sulle palpebre e se chiudo gli occhi poi vedo te
Mi hanno insegnato a sognare ad occhi aperti ma che faccio se non sei qui con me»
E lei? Cosa faceva senza lui al suo fianco?
«Il mio cuore può bastare, parla una lingua universale
Dice "tu sei tutto quello che ho"
[...]
Lo penso spesso e so che noi due insieme siamo speciali e la cosa più bella è che siamo i soli a sapere di esserlo.»
Ed era vero, loro erano qualcosa di esclusivo, qualcosa che non poteva essere rotto.
Guardava quella foto e nella testa risuonò fino all'ultima nota delle sue canzoni e le riascoltò ancora.
Se quella fosse stata la loro casa, a lei andava bene.
A lei sarebbe andata bene qualsiasi baracca, ma solo se ci fosse stato lui al suo fianco.
E ora? Perché non c'era? Perché dovevano continuare a farsi del male?
C'era ancora quella scatola da aprire e lo fece con lentezza, godendosi appena il sapore delle lacrime.
Sorrise appena guardando quel tortino di cioccolato e fragole. Il suo dolce preferito. Lui ricordava quale fosse il suo dolce preferito?
Prese una fragola da sopra la torta e l'avvicinò al naso, socchiudendo gli occhi e sentendone l'odore.
Avrebbe preso quella fragola e poi avrebbe richiuso la torta, perché l'avrebbe portata in camera.
Doveva cercarlo, doveva trovarlo e mettere fine a quella tortura....