Carillon

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    Black Opal

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    Blake Barnes
    Black Opal | 18 anni
    Parlare con Annie era la benedizione di Blake. Non c'era niente da fare, come riusciva lei a capirlo non ci riusciva nessuno, forse neanche suo fratello. Quello perchè lui ed Annie erano più simili di quanto si potesse pensare, di quanto entrambi erano disposti ad ammettere. La rossa era incendiaria in un modo e lui in un altro, ma entrambi avevano quell'indole esplosiva e dinamica che nessuno avrebbe mai capito se non persone come loro. Non era tornato a scuola, o meglio era tornato a scuola solamente per qualche minuto, giusto per dire alla preside che sarebbe stato fuori per alcune visite mediche fino al 20 marzo. Per quanto Annie si fosse impegnata ed era stata tempestiva a curargli qualsiasi ferita, Blake aveva il naso ancora dolorante ed un livido sulla pancia gonfio e che gli faceva un male cane, oltre al fatto che aveva ancora il labbro spaccato. Il permesso fu semplicemente accordato - qualsiasicosa avesse fatto Blake non era successo in accademia, quindi non era possibile non dargli un permesso che gli spettava, in quanto, alla fine seppur un danatissimo incendiario, era quello che non aveva mai saltato neanche una lezione per scherzo ne era stato più di due giorni a casa sua - e lui non aveva nessuna voglia di stare a contatto con persone che avrebbero semplicemente chiesto come stava e cosa gli fosse successo. Non era il momento migliore per essere amici del piccolo e tenero cucciolo di Barnes - ovviamente c'è dell'ironia nelle parole della narratrice - e meno che mai aveva voglia di incontrare Lilith. Non voleva vederla perchè non era pronto ad essere completamente indifferente a non andare li a baciarla, o sfotterla in qualsiasi modo potesse, o semplicemente toccarla si morse il labbro e si fece male. Ma appunto, non era pronto a far finta di niente, anche perchè lui l'amava e gli era stato detto che lasciarla andare non era proprio la dimostrazione giusta per farle capire il suo punto di vista. Alla fine, visto che Blake era tante cose, ma non di certo una persona orgogliosa, andò nella sala da thè, a quell'ora non c'era nessuno, erano tutti a lezione e per fortuna, e posò sul tavolino a sud-ovest, quello riservato ai prefetti dei dioptase, una busta un pacchetto ed un Ipode. Adesso doveva capire solo come far arrivare li Lilith, senza chiamarla lui direttamente, si guardò intorno vide un ragazzino del primo anno e con un fischio lo richiamò. Vuoi guadagnarti 100 sterline facilmente?Chiese poi cacciando 100 sterline per fargli capire che non stava bleffando. Chiama il tuo prefetto, Lilith Clarke e falla venire qui. Non dirle che sono stato io a chiedertelo e non ti presentare neanche. Dalle solamente un appuntamento qui, tra una mezz'ora... non so dille che hai bisogno urgente di una mano con i compiti di difesa contro le arti oscure. Il ragazzino annuì e si prese i soldi. Sull'iphode c'erano tre canzoni che aveva scritto lui per lei, ma che non gli aveva mai fatto sentire. Blake era sempre stata una persona difficile ed esprimere quello che pensava e quello che provava era qualcosa che avrebbe voluto tenere segreto per sempre a tutti, perchè se essere innamorati faceva così male, allora lui non voleva esserlo. Non lo stava facendo per farle cambiare idea, ma perchè era giusto che lei sapesse cosa provasse.
    Carillon, i Fiori di Chernobyl, Amati Sempre,Tutto quello che ho, Le canzoni erano state scritte in tre momenti differenti della loro storia.
    Nella busta avrebbe trovato un indirizzo e la pinatina di una casa con una fotografia, e dentro un bigliettino con la grafia di Blake bella ma comunque disordinata, esattamente come la sua testa con scritto- perchè la nostra storia è in queste cose in ciò che non si dice ma rimane- . Blake non pensava veramente che ci fosse bisogno di una spiegazione a quella foto, era ovvio che era una casa che avrebbe voluto che non fosse solamente sua, ma loro, ma era sicuro che lo avrebbe capito da sola, Lilith non era una ragazzina che aveva bisogno di didascalie. E poi nella scatola c'era il suo dolce preferito, lo aveva fatto la sera prima con tutta l'intenzione di darglielo di persona, ma no... davvero non era pronto a vederla, non dopo solamente due giorni, consapevole che aveva comunque infranto la promessa che le aveva fatto e con i chiari segni di una rissa, o meglio un pestaggio a sangue su tutto il corpo. Era tutto. Uscì dalla sala da thè, dalla scuola con il suo permesso e andò direttamente al San Mungo, Annie glielo aveva imposto e Blake non aveva scelta quando Annie diceva qualcosa.
    RevelioGDR
     
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    LILITH CLARKE
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    Erano passati due giorni da quella orribile giornata dove lei e Blake si erano lasciati. Aveva cercato di evitare il ragazzo quanto più potesse, saltando le lezioni, anche, cosa che non era assolutamente da lei. Si era rinchiusa in biblioteca: aveva studiato, letto libri, ricopiato mille volte i suoi appunti, fatto ricerche. Tutto quello che poteva occupare la sua mente, lo aveva fatto. Tornava in Sala Comune ed era talmente stanca e vuota che si buttava nel letto e dormiva fino al giorno dopo, con le coperte fin sopra la testa, per poter non essere vista da nessuno, mentre si addormentava piangendo.
    Non era mai stata male per una rottura, non aveva mai sofferto per un ragazzo, forse perché non aveva avuto mai idea di quello che significasse veramente essere innamorati di qualcuno.
    La mancanza di Blake la stava distruggendo, ma sapeva che sarebbe stata solo una cicatrice indelebile sotto la sua pelle.
    Il solo pensiero di incontrare l'Opale e non avvicinarlo, vederlo circondato dalle arpie che non aspettavano altro che la loro rottura, probabilmente proprio con Mia. No... non lo avrebbe retto.
    Quando gli altri erano a lezione, lei rimaneva in Sala Comune, indisturbata da chiunque potesse girare in quello spazio e più di una volta aveva pensato a cambiare Accademia, ad andar via da lì, dove ormai tutto era compromesso.
    Ogni cosa gli ricordava Blake, anche il semplice quaderno dove lui le aveva scarabocchiato sopra un "Sei una secchiona". Strappò quella pagina e la buttò nel fuoco, quello stesso fuoco le ricordava Blake e dei suoi incidenti più frequenti.
    Strinse i pugni e prendendo la propria roba era pronta a tornare in camera.
    Lo fece, sbattendo a terra i libri e ficcandosi di nuovo nel letto, senza nemmeno aver ritegno di aver lasciato tutto in disordine.
    Disordine che non era una sua caratteristica, lei che era sempre stata perfettamente ordinata, adesso trasportava fuori quello che aveva dentro: disordine e confusione, che si mescolavano a quella sensazione di vuoto che non sembrava volerla abbandonare, ma che continuava ad avvolgerla in maniera prepotente.
    E fu in quel momento che sentì bussare alla sua porta insistentemente e chiamare il suo nome. Riconobbe la voce del ragazzino del primo anno «Riky, non sto bene, se è per Difesa, giuro di non riuscire a fare niente.» però il ragazzo era insistente e la stava supplicando di aiutarlo. Tirò un respiro profondo e lanciò via il lenzuolo, quando lui le diede l'appuntamento, sospirò «A dopo.» rispose semplicemente.

    {Mezz'ora dopo}

    Era entrata nella Sala da Tè, facendo un saluto col capo a Scopina e iniziò a guardarsi intorno.
    Dove diavolo era Riky? Sospirò, trascinandosi fino al tavolo dei prefetti, per potersi sedere, visto che si sentiva una pezza.
    Ma fu proprio avvicinandosi che trovò qualcosa a quello che era sempre il suo posto.
    Aggrottò la fronte e quasi incerta sfiorò le cose che erano sul tavolo.
    Si guardò attorno, un paio di volte, alternando lo sguardo dal tavolo alla sala. Quell'iPod lo conosceva.
    Blake?
    Lo cercò con lo sguardo ma lui non c'era e nemmeno Riky.
    Solo allora capì che quella di Riky era stata una scusa per trarla in trappola.
    E Blake? Dov'era?
    Si sedette, lasciandosi cadere sulla poltroncina, quindi prese l'iPod e lo mise nelle orecchie, facendo partire la prima canzone.
    «Tra tutte le persone solo tu mi conosci davvero...»
    Sentire quella voce proferire quelle parole, fu una pugnalata in pieno petto.
    «Voglio ventiquattro ore, ma tu non chiedermi il perché
    Ventuno delle quali, sai ti porterei con me
    [...]
    Un'ora per pensare alle ventuno prima insieme a te.»

    Ogni singola nota, ogni singola parola, la stava prendendo a pugni. Lo stomaco si era bloccato, il cuore era in gola e sentiva accaldarsi le guance e gli occhi, che bruciavano.
    «Tu insegnami a sognare, non so più come si fa
    Vorrei vivere ogni ora come fosse l'ultima
    Ma so che c'è un posto per me
    Ma nulla ha senso se poi non ci sei te
    Vieni via con me»

    Sentì una lacrima scendere, mentre la canzone continuava a suonare fino all'ultima nota.
    «Io sarò sempre qua, io sarò sempre qua
    Sarò sempre al tuo fianco, nessuno ci dividerà.»

    Mise pausa e prese un tovagliolo che era lì sul tavolo, tamponandosi gli occhi non truccati, rossi e gonfi.

    Premette di nuovo play e ancora quella voce che amava le risuonava nel cervello, come a volerla supplicare di smettere con quel silenzio che stava logorando entrambi
    «Vieni con me, la strada giusta la troviamo»
    Era la seconda volta che le diceva di andare con lei, ma lui non era lì. Dove voleva che andasse? Guardò quella bustina che era accanto all'IPod e l'aprì, cadde sul tavolo una foto e un biglietto. La scrittura era la sua, disordinata e caotica come lui, rise appena tra le lacrime che continuavano a cadere copiose
    «Portami in alto come gli aeroplani
    Saltiamo insieme vieni con me
    Anche se ci hanno spezzato le ali
    Cammineremo sopra queste nuvole
    Passeranno questi temporali
    Anche se sarà difficile
    Sarà un giorno migliore domani»

    Così suonava mentre guardava quell'immagine, ancora non aveva letto il biglietto.
    Non riconosceva quel posto, più ci provava e più le era sconosciuto.
    «Se questa notte piove dietro le tue palpebre
    Sarò al tuo fianco quando è l'ora di combattere
    Portami con te
    Ti porterò con me
    Tu mi hai insegnato che se cado è per rinascere
    Che un uomo è forte quando impara ad esser fragile
    Portami con te
    Ti porterò con me»

    Ogni sua parola le stava entrando dentro come lame affilate.

    La terza canzone iniziò quando prese in mano quel biglietto
    «E sai che in fondo è vero, l'amore va solo immaginato
    è un passo ancora non compiuto
    ed è non farlo, sai, il segreto, ma se tutto resta dentro
    Poi la vita, sai, ti chiede il conto
    E poi mi sembra un po' strano
    Il mondo è un gioco alla mano»

    E le parole di quel biglietto.
    Piangeva ormai da almeno dieci minuti perché la nostra storia è in queste cose, in ciò che non si dice ma rimane.
    Era la prima volta, forse, che Blake faceva qualcosa di romantico per lei e ora capiva perché non era solito farlo: lui faceva tutto in grande, anche questo.
    «Ti avvicini e non so stare a te vicino senza amare.»
    Sgranò gli occhi liquidi a quelle parole, come se per la prima volta stesse sentendo la sua voce parlare di amore.

    Fu il colpo di grazia, l'ultima canzone, quella che la spezzò completamente, facendola crollare totalmente in quel senso di vuoto che provava, ora sapeva cos'era, sapeva che non bastava non incontrarlo per non star male, perché lei apparteneva a lui e lui a lei.
    «Ho avuto tutte le ragazze del mondo ma penso a te
    Ti prego svegliami se è tutto vero
    Oggi ho tutto ciò che serve, tranne la cosa che voglio davvero
    [...]
    Predimi per mano, dai andiamo e scappiamo via
    Mi rimane il tempo di una canzone per farti mia
    [...]
    Ho il tuo nome tatuato sulle palpebre e se chiudo gli occhi poi vedo te
    Mi hanno insegnato a sognare ad occhi aperti ma che faccio se non sei qui con me»

    E lei? Cosa faceva senza lui al suo fianco?
    «Il mio cuore può bastare, parla una lingua universale
    Dice "tu sei tutto quello che ho"
    [...]
    Lo penso spesso e so che noi due insieme siamo speciali e la cosa più bella è che siamo i soli a sapere di esserlo.»

    Ed era vero, loro erano qualcosa di esclusivo, qualcosa che non poteva essere rotto.
    Guardava quella foto e nella testa risuonò fino all'ultima nota delle sue canzoni e le riascoltò ancora.
    Se quella fosse stata la loro casa, a lei andava bene.
    A lei sarebbe andata bene qualsiasi baracca, ma solo se ci fosse stato lui al suo fianco.
    E ora? Perché non c'era? Perché dovevano continuare a farsi del male?
    C'era ancora quella scatola da aprire e lo fece con lentezza, godendosi appena il sapore delle lacrime.
    Sorrise appena guardando quel tortino di cioccolato e fragole. Il suo dolce preferito. Lui ricordava quale fosse il suo dolce preferito?
    Prese una fragola da sopra la torta e l'avvicinò al naso, socchiudendo gli occhi e sentendone l'odore.
    Avrebbe preso quella fragola e poi avrebbe richiuso la torta, perché l'avrebbe portata in camera.
    Doveva cercarlo, doveva trovarlo e mettere fine a quella tortura...

     
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