Wanna fight with me?

Kurt & Daniele

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  1. Kurt S. Johanston
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    Kourtney Sophie Johanston

    ex gryffindor | falmouth falcons seeker | Wanna fight with me?


    Era assurdo come le mancasse il legno sotto le mani e contro la pelle, sostituito, per quella sera, dal gelido vetro di un boccale di birra che di tanto in tanto si portava alle labbra con un gesto quasi annoiato e terribilmente lento. Non aveva alcuna fretta, rilassata e accasciata sulla sedia di un tavolinetto anonimo sul lato sinistro di quel locale poco conosciuto e nascosto chissà dove tra i vicoli oscuri di Nocturn Alley. Era da tempo, ormai, ch’era costretta a cercarsi questo tipo di luoghi, questi pezzi di mondo nascosti agli occhi di chiunque, lontani dalle luci di una vita sin troppo luminosa. Lei, poi, che era come una stella luminosa di una costellazione sin troppo famosa e visibile, finiva sempre per avere bisogno di quei buchi celati, di quei rifugi in cui abbandonare gli abiti della fama e indossare quelli di un ragno libero da qualsiasi cosa, lontana dalla realtà che, in quei momenti, appariva sin troppo pesante. O almeno ci provava, dato che non era mai stata brava a nascondere la sua indole, né quando era bambina, né una volta cresciuta, finendo per mostrarla anche da adulta, in momenti che finirono per procurarle descrizioni relativamente compromettenti su vari giornali, magazine e social di vario genere.
    Decisamente no, non era una di quelle persone che riuscivano a fingere o, ancora peggio, passare inosservate. Sin dai tempi di Hogwarts non faceva altro che mettersi in mostra con quel suo essere una perenne ribelle - tanto da far perdere i punti che lei stessa aveva guadagnato - oltre che una provetta giocatrice di Quidditch - nonché capitano della squadra di Grifondoro -. Una volta conclusa la scuola, le cose erano andate solo peggiorando: le liti che normalmente faceva da ragazzina (dove spesso volavano fatture e pugni) divennero vere e proprie risse. Certo, all’inizio nessuno si accorgeva di niente ma con il tempo, e con il suo diventare famosa, tutto questo venne sempre più a galla con il risultato di farla poi sembrare una tipa particolarmente violenta - cosa che era, in realtà, ma v’era ben altro oltre a quello, cose che tuttavia la maggior parte della gente non riusciva a vedere. In compenso, però, ritrovarsi ad avere un’immagine ambigua - dalla simpatica e bella Johanston alla violenta e scontrosa Cercatrice dei Falcons - era quasi divertente, anzi, in fondo altro non era che un modo - il suo solito modo - per nascondere tutto ciò che affogava nelle profondità di quel fuoco di sangue e oro che le scorreva nelle vene inondandole il cuore. Eccola, la sua anima, laggiù, nascosta tra le fiamme che divoravano ogni cosa, ogni singolo pezzo di lei che, quella sera, tuttavia, si perdeva nell’ammasso di un corpo abbandonato su un’anonima sedia di un altrettanto anonimo locale.
    Amava perdersi nell’illusione di essere lontana dalla fama, lì, dove tutti sapevano chi fosse ma nessuno osava avvicinarsi: chi per paura della sua reazione, chi per paura di disturbarla, chi semplicemente non era interessato e chi, invece, preferiva guardarla da lontano solo per poter bisbigliare cose come: «Ma guardala, è una star del Quidditch e si ritrova qua da sola, senza lo straccio di nessuno come una povera sfigata». Lo sapeva, sapeva che v’era chi parlava, era consapevole che non poteva estraniarsi davvero dall’essere, per alcuni, al centro dell’attenzione in modo così materiale, quasi fosse lei stessa un oggetto che chiunque poteva usare tramite le parole più varie, così come era si era abituata a tutte queste cose, cucitele addosso come ogni elemento della sua immagine: dall’aggressività che le si ricamava perfettamente attorno, all’apparenza androgina che s’intrecciava ai fili di abiti di vario stile e genere - a volte troppo, secondo alcuni, maschili, altri troppo femminili e sfrontati.
    Bevve di nuovo, sperando che l’alcool le bruciasse le parole che aveva incastrate in gola, in una ricerca di controllo malsana che, almeno per il momento, sembrava funzionare. Posò il boccale sul tavolo, in un rumore che echeggiò appena, sbattuto ma non abbastanza da attirare attenzioni se non quelle di coloro che già la guardavano, già la studiavano. Una risatina la raggiunse, era un altro tipello di quel gruppo di cinque o sei ragazzi che continuavano a squadrarla e fare commenti poco carini come quello precedente, sottolineando questioni stupide come: «I Falcons dovrebbero trovarsi un vero maschio come Cercatore, non una donna che non si capisce se sia un maschio mancato o una prostituta». Ma ancora nessuna reazione, ancora l’alcool riusciva a calmarla, così come l’atmosfera rilassata di quel locale dalle luci quasi soffuse e una vaga melodia rock in sottofondo. Era fiera di ciò che era, di dove era arrivata, raggiungendo le vette di quello sport che amava e che la rendeva davvero libera se non per quelle catene che ritrovava una volta con i piedi a terra, come i fan, le interviste e… quelli.
    Quelli, gli idioti che continuavano a cercare di innervosirla, o forse semplicemente sfruttavano il fatto che sembrasse così maledettamente distrutta da poterle tirare addosso qualsivoglia parola, qualsivoglia pensiero. Sì, decisamente non erano fan dei Falcons, e lo si notava dalla sciarpa dei Cannoni di Chudley di uno, o dalla spilletta dei Puddlemere United che un ennesimo aveva sul petto. Eppure, continuava a perdersi lei, in pensieri e chissà cosa, come se loro non fossero altro che un ronzio appena fastidioso di sottofondo. Tuttavia continuarono anche loro, in effetti, e per un po’, tanto che sarebbe potuta andare così per tutta la serata se non fossero finiti non solo per insultare i Falmouth Falcons in generale, ma anche i Montrose, descrivendoli come: «Un ammasso di idioti che vincono solo perché la Cercatrice è gnocca e la fanno vincere di proposito». Parole, quelle, che scivolarono sotto pelle, a solleticare le vene abbastanza da farle prudere le mani. Fastidio. Un enorme fastidio le assalì la mente, offuscandola più di quanto stesse facendo quella dannata birra che venne sbattuta per la terza o forse più volta sul tavolo. Un suono simile al precedente, più forte e accompagnato da quello di una sedia spostata nel movimento della Cercatrice che si alzò in piedi prima di voltare il capo e rivolgersi a loro: «Okay, adesso mi avete rotto.» Un commento che si gettò fuori dalle sue labbra al ritmo di una frusta contro la schiena. Secca e rotta, secca e violenta.
    Forse no, forse non avrebbe retto l’intera sera, soprattutto quando il tasso d’alcool nel corpo aveva oltrepassato la soglia della calma e aveva raggiunto quella dell’eccitazione, nonché della quasi ubriachezza. Quasi, perché in effetti appariva piuttosto lucida in quello sguardo d’un ghiaccio bruciante, di quelli che avrebbero potuto corrodere ogni cosa e che in quel momento stava cercando di corrodere loro. Loro che le rivolsero sorrisetti osceni, ricolmi di quella sottospecie di cattiveria disgustosa di chi riusciva a sentirsi forte e grande solo se affiancato da altri, solo se ritrovatosi in gruppo e in un apparente superiorità e vantaggio.
    Quanto sarebbe stato divertente umiliare la stella dei Falcons?
    Quanto sarebbe stato soddisfacente far abbassare la cresta a quella gasata di una Cercatrice?
    Erano domande che artigliavano l’anima della Grifondoro tanto quanto erano incise negli occhi dei ragazzi. Sospirò appena, lasciando sfuggire aria che si perse in quella rarefatta del locale tra respiri trattenuti e bisbigli. No, non era caduto il silenzio e non cadde nemmeno quando ella si avvicinò al tavolo degli sconosciuti, tuttavia l’attenzione si era focalizzata, per la maggior parte, su di lei, su quella figura tanto famosa quanto sconosciuta al contempo. «Dite ancora una parola sui Falcons, sui Montrose o sulla loro cercatrice, e giuro che dovrete pregare Merlino perché abbiate nuovamente i vostri connotati al posto giusto» No, non si preoccupò di prendere la bacchetta, lasciandola nell’apposita struttura legata attorno alla coscia sinistra tramite due lacci neri di pelle che si abbinavano perfettamente alla giacchetta - anch’essa di pelle - lasciata sullo schienale della sedia. Ai piedi anfibi bassi del colore opposto rispetto alla t-shirt bianca che teneva infilata nei pantaloni e su cui v’era disegnato il simbolo di una qualche band rock magica e famosa. Non che importasse molto, in quel momento, in effetti, anche perché i ragazzi non lo notarono nemmeno, troppo impegnati a trovare qualcosa da dire, qualche altra offesa da proporre in modo falsamente carino.





    Daniele Salvatore
     
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    Daniele Salvatore ( ) - Stat. - Prof Astronomia- 33 anni - Ex Grifondoro
    «Le strade della lealtà son sempre rette. »
    Se voleva un posto dove rilassarsi, un posto dove stare nettamente meglio, aveva proprio sbagliato tutto. Daniele che non era per niente un pianta rane e che in genere era più una persona da una bella birretta tranquilla con gli amici di sempre, si era ritrovato nel posto sbagliato nel momento ancora più sbagliato. Il problema era che ultimante non ce la poteva fare, il suo modo di operare era completamente diverso da qualche anno fa. Solo il fatto che aveva pomiciato allegramente con una sua alunna la diceva lunga. Lui che era una di quelle persone con una morale solida, un'etica invidiabile si stava ritrovando in una situazione molto più grandi di lui, molto più pericolosa di quanto lui immaginasse all'inizio. Lui che aveva sempre seguito le regole in maniera corretta, lui che era un sostenitore attento delle buone maniere e sopratutto che non amava le persone che tenedevano a trasgredire solamente per il gusto di fare, si stava ritrovando ad essere un fort trasgressore e di qualcosa che non riusciva a controllare: la sua attrazione fisica e mentale per una cazzo di ragazzina. Bevve una birra tutta d'un sorso. Il problema ancora più insidioso era che non aveva idea di come risolvere quella situazione se non con il spezzare il cuore a Jessica e a se stesso. Poteva mai dire alla ragazza che la cosa non si poteva fare solamente perchè era moralmente ed eticamente scorretto? Gli avrebbe riso in faccia per tre giorni di fila e poi sarebbe tornata praticamente allo stesso punto. Insomma non era una cosa pensabile ne possibile quella di tornare indietro ma la verità era che non si poteva andare neanche avanti in quel modo. Daniele non era uno che riusciva a convivere con quelle situazioni e non era il tipo di persona che riusciva a mentire a se stesso ed agli altri per quel genere di cose. Lui che era sempre stato una persona integra moralmente si ritrovava a voler andare a letto con una sua alunna. Si, era un casino, un vero casino. Ed ecco perchè non si rese neanche conto di quante birre aveva buttato giù quella sera. A farlo tornare sul pianeta terra non fu tanto la situazione ma quello che sentì provenire da qualche tavolo più distante da lui, fino a che non ricobobbe la cercatrice dei Falcons, nonchè sua ex compagna di casata, e gli venne da ridere per come quei cretini la stessero sottovalutando. Forse aveva riso troppo ad alta voce? Fatto si era che non si sarebbe sottratto alle chiacchiere con una vecchia "amica" e quindi decise di prendere la sua birra e di andare verso la sua ex compagna dei Grifondoro. Ovviamente lei fece prima ad andare da quei tipi e soprattutto a minacciarli come solo lei sapeva fare ed allora lui non potè che seguirla. Io se fossi in voi... non vorrei pregare Merlino ne nessun tipo di divinità. Non fatela incazzare! Si stava schierando dalla sua parte perchè era un grifondoro, perchè era una donna o semplicemente era ubriaco? Bah, lo scopriremo solo durante la serata! Si voltò verso Kourt. Certo che passano gli anni ma non cambi mai! Dai, vieni a sederti! Le disse poi sorridendole in maniera amicale per poi farle segno con il capo di andarsi a sedere insieme a lui e lasciare perdere quei coglioni. Allora, mi fai un autografo? Le chiese poi sorridendole ancora. La ricordava veramente con grande simpatia, non c'era che dire!
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  3. Kurt S. Johanston
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    Kourtney Sophie Johanston

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    Era proprio vero, i sentimenti piegavano e sporcavano l’anima di chiunque li provasse, e l’amore, re tra essi, distruggeva il cuore come un veleno lento e maniacale, in quella che diveniva un’ossessione silenziosa per quel legame che sarebbe diventato il filo spinato con cui ognuno finiva per impiccarsi. Una sorta di magia, amavano definirlo, una magia che, probabilmente, era la più grande e spaventosa di tutti, nel suo essere tanto ignota quanto dannatamente sentita. Era lì, visibile a tutti, sulla pelle quanto su quell’organo vitale che veniva inciso, attimo dopo attimo, da quell’emozione perversa che colava in ogni crepa, riempiendola di quel falso oro, quel falso miele, che avrebbe finito per bruciare via ogni cosa. Era romantico, a tratti poetico, lasciarsi consumare da tutto questo, maledicendo la propria stessa anima e sacrificandola all’altare di qualcosa di così comunemente puro. No, l’amore non era puro, non lo era per niente, in quell’oscenità che portava i cuori a tradire e tradirsi, a stuprare l’orgoglio e spezzare la moralità solo per quell’attimo di soddisfazione che, tuttavia, aveva il sapore d’eternità. Anche lei, anche lei così falsamente lontana da tutto, in realtà covava una bruciante quanto malata passione, nell’indecenza della violenza stessa e di quell’odio che s’impossessava di ogni cosa, persino della lucidità e dell’onore tipico di chi apparteneva a quella casa dai colori così imponenti. E imponente era lei stessa, in quel muoversi, in quello sfilare in mezzo al locale trascinandosi dietro il boccale che andò a posare con un tonfo sul tavolo di coloro che aveva osato troppo. Gli stessi che la osservavano in attesa, con quei sorrisetti beffardi di chi, schifosamente, sapeva di potersi permettere tutto, di chi non era solo, di chi avrebbe vinto contro un’unica persona, per di più femmina. Ah, il maschilismo, il maschilismo ovunque, persino nel mondo dei maghi dove, oltre ad esso, non mancava quella dose di razzismo che, ancora dopo così tanti anni, non si era ancora completamente estinto. Eppure non le interessava, indipendentemente da chi fossero davvero quei ragazzi, ciò che era uscito dalle loro bocche bastava a lei per definirli degli emeriti coglioncelli che sprecavano fiato in cose altrettanto idiote. Ma quella sera, che era davvero iniziata in modo tranquillo, tra alcool ed esagerazioni, avevano portato la bionda a muoversi, ad agitare quel fuoco interiore che le ribolliva il sangue nelle vene mentre lo sguardo, d’un cielo cristallizzato nel ghiaccio, finiva per farsi ancora più freddo, ancora più distante, ancora più brutale. I ragazzi, dal canto loro, erano sul punto di rispondere se non fosse intervenuto Daniele con quella che sembrava una sorta di avviso nei loro confronti a favore invece di Kurt. Il perché? Non importava, nemmeno a lei che alzò appena le sopracciglia accompagnandole con le spalle mentre si riportava il boccale alle labbra per bere l’ultimo sorso di quell’ennesima birra. Quante ne aveva già bevute? Oh, non le aveva contate, ma era ancora lontana dall’essere completamente ubriaca, al massimo era definibile brilla, con la testa che iniziava vagamente a girarle ma niente di più. Lo sguardo si spostò verso l’altro, tornando ad abbandonare il vetro sul tavolo di quegli estranei mentre regalava tutta la sua attenzione all’ex compagno di casa, quasi come se quegli idioti non esistessero più: «Una persona perfetta come me perché mai dovrebbe cambiare, eh?» e non c’era niente, nel tono usato, nell’inclinazione di quella voce bassa ma femminile, in quell’espressione divertita, che mostrasse una qualche possibile verità: stava scherzando, con quell’auto-ironia solita che sottolineava quanto, invece, fosse il più lontano possibile dalla perfezione, così ricolma di problemi e tratti caratteriali profondamente sbagliati. E non se ne vergognava, o forse sì, ma non importava perché era fatta così e anche lei, come tutti, si meritava un posto in quel mondo così crudele quanto bellissimo. Ridacchiò, dunque, di quelle risate piene di un divertimento che altro non era che il muro che la divideva dagli altri, che la difendeva, che la nascondeva. Si mosse ancora, quindi, con l’intenzione evidente di seguirlo e andarsi a sedere se solo uno di quei ragazzi non aggiunse qualcosa come: «È arrivato il coglione a proteggerla, altrimenti le avremmo fatto abbassare la cresta, mezzosangue di merda. Fu lì, a quelle parole, che si voltò verso chi aveva parlato, in uno scatto che ricordò una di quelle mosse spettacolari del quidditch, una velocità acquisita proprio grazie a quegli allenamenti, a quel suo essere Cercatrice, così come la forza che usò nello sferrare un pugno in piena faccia al povero disgraziato. Un gancio che andò a colpire lo zigomo, il naso e parte del labbro superiore, in quel gesto che era tutto fuorché femminile, fuorché adatto ad una di quelle ragazze tipiche che piacevano a chiunque. Lei no, lei non era fatta per questo, non era fatta per essere elegante, al contrario, era brutale tanto quanto poteva esserlo nel gioco, in quella squadra che le aveva permesso di tirare fuori ill lato peggiore di sé, lo stesso che si stava mostrando in quel momento: «Primo, non ho bisogno di essere difesa da nessuno. Secondo, chi hai chiamato coglione? Terzo, prova a ridire un’altra volta quella parola e giuro che il prossimo colpo non sarà alla babbana e quarto...» esitò quel tanto che le servì per alzare lo sguardo sugli altri che la fissavano con gli occhi sbarrati, irrequieti quanto increduli da quel gesto, da quella bestialità, da quel non avere timore di andare contro un gruppo di ragazzi. «...smettetela di rompermi il cazzo» non era nemmeno una che, quando arrabbiata, evitava parole più scurrili o forti, andando a rimarcare invece quanto pessima sapesse essere. Si voltò nuovamente verso l’altro, lasciando scemare l’ira per far posto alla sua solita aria tranquilla, quasi superficialmente beffarda: «Dicevamo? Ah, sì, l’autografo. L’autografo? Davvero vuoi un mio autografo… ?» le labbra rimasero schiuse, gli occhi puntati su di lui, in quell’espressione di palese attesa che l’altro pronunciasse il proprio nome. Non erano coetanei e non si erano tenuti in contatto, come poteva ricordarsi di tutti? Non poteva, per di più lei, che forse se ne ricordava si e no tre o quattro. Era tornata tranquilla, sì, ma quei ragazzi? Sicuri che non avrebbero fatto nient’altro? E Daniele? Non le importava, era evidente di quanto - almeno apparentemente, unicamente apparentemente - non le interessasse di niente se non vivere la vita così come veniva.



     
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    Daniele Salvatore ( ) - Stat. - Prof Astronomia- 33 anni - Ex Grifondoro
    «Le strade della lealtà son sempre rette. »
    Non aveva veramente mai capito quel mondo, e forse non era neanche mai veramente entrato a farne parte. Daniele aveva sempre avuto una vita tranquilla in mezzo ad un mondo privo di magia. La sua vita era semplicemente un pò fuori dalle righe, quando gli capitavano degli eventi un pò bizzarri, ma ninete di più Entrare nel mondo magico era stata una cosa quasi del tutto inaspettata per il riccio. Insomma era un qualcosa che gli aveva completamente cambiato la vita! Entrare nei grifondoro, per lui, era stata una di quelle cose pazzesche che non sapeva neanche sèiegare. Ricordava benissimo l'emozione provata in quel momento quando il capello parlante si era appena poggiato sulla sua testa che subito aveva urlato, senza alcuna eistazione: girofondoro! Lui, a quei tempi, non sapeva assolutamente niente di quelle quattro casate, niente dei suoi compagni, niente di voldemort, niente dell'ordine della fenice, niente delle varie rivalità, ed ancora megglio dei vari insulti. Pensava che tutti quanti, come lui, avessero vissuto nel mondo babbano - termine che apprese solamente dopo - esattamente come lui. Sorrise alla ragazza quando sentì il suo tono ironico e fu contentissimo quando lasciò il boccale di birra per seguirlo. Non valeva di certo la pena andare a prendersela con delle persone che, era chiarissimo e palese, non avessero un quoziente intellettivo alto. Chi era il coglione che se la prendeva in quel modo con una donna? Chi si divertiva ad infastidire con insulti una ragazza tanto bella, ma sopratutto con una fama tanto alta? Cosa diavolo c'era di divertente in tutto quello? Daniele non lo sapeva e neanche voleva scorpirlo. Stava per dire qualcosa, ma l'insulto arrivò forte e chiaro alle sue orecchie e prima ancora che riuscisse a fermare la ragazza, il tizio si era ritrovato con uno zigomo spaccato. Era ovvio che ci fosse riuscita solamente perchè lui non era preparato, ma era altrettanto ovvio che dopo lo stupore degli amici, sarebbe arrivato quello che, Daniele conosceva bene in quanto dello stesso genere dei ragazzi di fronte a lui, ma Kurt, completamente ignorante in materia, veniva più comunemente chiamato orgoglio maschile. Se i maschi sono carenti in tantissime cose e da tantissimi punti di vista, esagerano con l'avere quel senso di orgoglio e devozione nella loro forza. Doveva fare davvero a botte? Guardò la ragazza e scosse il capo. Certo che voglio un tuo autografo, ma prima... per cortesia... andiamo via di qui... e non cominciamo con il: io sono forte e posso batterli tutti, perchè sono stronzate e non perchè sei una donna o perchè sei ... mezzosangue? o altre cazzate del genere, perchè in una rissa la quantità risulta essere molto spesso, molto più importante della qualità! Sapeva che stava interaggendo con una ragazza intelligenente e sapeva anche che tutto quel discorso sarebbe stato pressochè inutile, ma era anche vero che Daniele era uno che ci provava sempre prima con il dialogo e la comprensione! Non era parte di lui fare cose impulsive e stupide! Signori... Disse poi prendendo per un braccio la ragazza e portandola via da li. Ci sarebbe riuscito? Certo, se solo non sentì un altro ragazzo di loro dire una cosa che suonò tipo: Cavolo forse è lei che difende lui e non il contrario, ragazzo, dovresti essere tu a portare i pantaloni, non una stupida mezzosanugue! Di nuovo. Di nuovo quella parola, e di nuovo un maschietto ferito nell'orgoglio. L'orgoglio maschile che è capace di guidare la mente di un uomo meglio del proprio pene. Si fermò, si voltò e sogghignò. Sai una cosa?la Johanston ha ragione. Si avvicinò di nuovo a quel tizio che aveva parlato e gli scagliò un altro pugno. Il problema principale della situazione era che li dentro non c'era neanche una persona sobria quindi, prima ancora che riuscissero a fare altro, si si sent'ì picchiettare la spalla da qualcuno. Questa volta però non era nessuno che voleva picchiarlo o altro, ma era semplicemente l'omone che era seduto dietro al bancone e che evidentemente, non aveva nessuna intenzione di vedere il suo locale devastato da 5 coglioncelli quali erano. Daniele si morse il labbro. Ok... ce ne andiamo! Disse alzando le mani, ma di conseguenza ricevette in pieno viso un bel pugno in faccia. Infondo non si poteva pretendere che una persona che riceveva un pugno in pieno viso rimanesse li ferma a prenderle senza neanche reagire. Ma, diciamo, che la rissa venne quasi placata dal fatto che l'omone cacciò la sua bacchetta. Beh, non era proprio il tipo da due chiacchiere quindi Daniele fece un passo indietro, si toccò la guancia. Che male! Non mi ricordavo che prendere pugni in faccia facesse così male! disse poi verso la giocatrice di quidditch facendole segno di andare da un'altra parte!
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