ohi maria... ti amo!

privata ata ata

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    Si schiacciò il cuscino sulla faccia, sperando che il rumore che proveniva dalla bocca del suo compagno cessasse. Quel rumore non era umano; ne era certo quasi al cento per cento. Nei giorni prima aveva pensato a come, senza farsi scoprire da nessuno, poteva ammazzarlo nel sonno. Perché erano quasi quattro mesi che non dormiva come cristo comandava. E chiunque lo conoscesse, sapeva che Jawaad diventava un tantinello scontroso quando non dormiva le sue settordici ore a notte. Era stato sul punto di chiedere al suo caposcuola di cambiargli la stanza ma purtroppo era così orgoglioso, che non aveva avuto le palle di andare a parlare con quel ragazzo. Così si era morso la lingua e aveva continuato a farsi riposini pomeridiani pur di non commettere un omicidio. Ma quella sera era qualcosa di disumano, constatò.
    Sbuffò e, lanciando il suo cuscino ai piedi del letto, guardò il compagno di stanza che bellamente se la russava come se non ci fosse un domani. Si vestì e, pensò, magari si sarebbe messo a dormire sulle scale e/o in sala comune. Tutto, pur di non ammazzare quel povero cristiano che, al mondo, non serviva ad un emerito cavolo. Però, aveva pensato poco prima, se era nato un motivo ci sarà stato. L'una e quaranta. La notte era lunga ancora.
    Quando ebbe la divisa messa addosso alla ben e meglio, si avvicinò al letto del suo compagno e lo fissò dall'alto come nei peggiori film horror babbani.
    Rimase lì per qualche minuto, ascoltando quel russare micidiale uscire dalla bocca del suo compagno e, stringendo gli occhi, disse: tu devi ringraziare che non ti sto ammazzando nel sonno, sotto specie di demonio. E stringendo i pugni, inforcò il mantello e uscì dalla sua stanza sbattendo non troppo delicatamente la porta. Se era sveglio lui, perché gli altri dovevano dormire?
    Per più di un'ora si rigirò sul divano della sala comune, ma non riuscì a dormire. Era fin troppo sveglio, maledetto bastardo di un compagno di stanza. Senti in lontananza il campanile del paesello vicino suonare le tre. Ma il sonno non era ancora arrivato e, per questo, si incazzò come una bestia. Ah ma domani avrebbe parlato con il caposcuola. Non gli interessava dell'orgoglio, ma se lui non si faceva una dormita di dodici ore come minimo veramente lo ammazzava.
    E come se fosse più normale del mondo, uscì dalla sala comune.
    Venne subito ribeccato da uno dei quadri, che per il rumore che aveva creato facendo aprire la porta, lo aveva svegliato. Ehm zio, torna a marcire invece di rompere i coglioni a me. Blaterò, guardando un vecchietto che se ne stava a dormire seduto ad un tavolo. Cioè, lui poteva capire del perché dei quadri parlanti e che si muovessero. Ma che senso aveva aver un deficiente che stava seduto ad un tavolo con una brocca di vino? Erano più le volte che si ubriacava quel quadro, che le volte che diceva una cosa di senso compiuto. Lo sentì inveire dietro di lui finché non salì le scale che portavano alla torre di astronomia. Salì le scale per la torre due a due, quando arrivò su, da bravo mentecatto qual era, tornò giù perché erano dispari. E a lui, quelle cose del demonio non piacevano. Doveva fare le cose come cristo comandava sennò ci diventava imbecille. Il fatto che non si preoccupasse minimamente che erano le tre di notte e che se un caposcuola e/o prefetto lo beccasse, non gli interessava minimamente. Incacchiato com'era in quel momento, se solo avesse beccato qualcuno dei prefetti, come minimo se lo mangiava. Perché non potevano pretendere da lui che rimanesse nella tana dell'orso Yoghi. Che dio ti fulmini, Winchester. Bofonchiò masticando bile a go-go e salendo l'ultimo gradino si guardandò intorno. Non era la prima volta che infrangeva le regole, ma doveva ammettere che il silenzio che c'era in quella scuola gli metteva i brividi. Era qualcosa di disumano, per i suoi gusti. Anche ad Hogwarts aveva fatto quelle cose, ma ogni tanto aveva incontrato qualche fantasma o professore.
    Stringendosi il mantello sul petto, prese una sigaretta e un accendino ed uscì fuori dalla torre. Il vento gelido di dicembre lo investì come una tormenta in piena, ma oltre al brivido che ebbe sulla schiena, si mise a sedere sul muretto. Accese la sigaretta e fece una lunga boccata per poi buttarla fuori, facendo del cerchi con la bocca.
    Se doveva infrangere le regole, almeno doveva infrangerle bene. Di lì a qualche minuto, si sarebbe fatto anche una cannetta: magari sarebbe riuscito a dormire.

    narrato - pensato - parlato


    "ahhh.. esticazzi..?"

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    Notte. Non era raro che la giovane corvina si svegliasse di soprassalto dopo uno dei suoi incubi che, da più di un mese a quella parte, disturbavano i suoi sogni. Aveva sognato nuovamente di essere sul fondo di un pozzo dal cui bordo la osservavano i suoi amici e suo figlio senza che lei potesse farci nulla. Ma almeno Alex dormiva tranquillamente, estraneo all'orrore vissuto da sua madre e da tutti i suoi amici. Essere quasi morta, per Jessica, era stato ciò che le bastava, una specie di piccola spinta, per legarsi ulteriormente a quelle persone che amava, anche se inizialmente dopo lo scontro, l'avevano evitata per lungo periodo. Inoltre, quella notte, c'era un'altra cosa che la turbava enormemente. L'immagine del suo professore così dolce, così vicino a lei... scosse forte la testa, con convinzione. Non poteva esserci nulla tra loro e lo sapevano bene entrambi, ma purtroppo è impossibile controllare i propri sentimenti. Avrebbe dovuto evitarlo, quello era chiarissimo. Ma come avrebbe potuto, visto che le sue lezioni doveva frequentarle? Forse avrebbe potuto farsi togliere dal corso di Astronomia? No, impossibile. Non le risultava che fosse una lezione facoltativa, perciò volente o nolente doveva andarci perché continuare a fare assenze non era la scelta migliore e ne era consapevole. Nonostante ciò, si ritrovò in piedi in sala comune con addosso i suoi short e la sua maglietta a mezze maniche con il preciso intento di dirigersi verso l'osservatorio di Astronomia dove diverse sere prima, il docente l'aveva salvata da una morte certa. Ormai i piedi la guidavano senza che lei dovesse collegarli al cervello, tanto conosceva quella strada a memoria. Nel corridoio, tutto taceva. Quel silenzio inquietante era rotto solamente dal vento gelido che sferzava le vetrate, ma fortunatamente, era fuori, anche se una volta entrata nell'osservatorio, non sarebbe stata così fortunata. Eppure non si era coperta nemmeno un po'. Perché? Beh, perché era una grandissima testa di cazzo. Mentre camminava, osservò le torce poste a distanze regolari sulle pareti proiettare ombre sinistre al suo passaggio, quasi fosse seguita da qualcuno. Ma era sola; doveva esserlo. Non aveva mai provato quella sgradevole sensazione, eppure era senz'altro frutto della sua immaginazione. Usò la torcia del cellulare per farsi ulteriore luce. Sì, perché usare Lumos con la bacchetta era troppo vecchio stile. Inoltre il telefono faceva decisamente più luce. Ormai era a pochi metri dalle scale, quando una finestra che sbatteva la fece sobbalzare di brutto. Ci mancava poco che se la facesse addosso, ma fortunatamente era solo il vento. Si apprestò a salire le scale una ad una, fino ad arrivare in cima alla rampa, dove vi era la vecchia porta mal ridotta che conduceva all'osservatorio. Evidentemente ancora non si erano decisi a sigillarla per sempre. Forse qualcuno doveva morirci davvero prima che si decidessero a farlo. Esercitò una lieve pressione sulla porta e questa si aprì, protestando con uno scricchiolio. Si aspettava di non trovarci nessuno, non a quell'ora della notte. Ma come poteva pensare, la corvina, che in una scuola come Hidenstone gli alunni rispettavano le regole? Lei era la prima ad infrangere il coprifuoco una notte sì e l'altra pure! Vide un ragazzo seduto sul muretto poco fuori la torre, al freddo e con una sigaretta in mano. Aguzzò lo sguardo e riconobbe un ragazzo dioptase del primo anno che aveva incrociato sulla nave, durante lo smistamento e alle rade lezioni combinate che aveva fatto il secondo anno con il primo. Rimase per qualche attimo ad osservarlo, indecisa sul da farsi. Da un lato non voleva disturbarlo, magari era in cerca di tranquillità e solitudine, dall'altro potevano ricercare la solitudine insieme. Ed inoltre, da quando in qua a Jessica Veronica Whitemore fregava qualcosa di disturbare le persone? Si stava davvero rammollendo, in tutti quei mesi ad Hidenstone. Ciao tentò, sperando che non si spaventasse cadendo quindi di sotto. Si avvicinò quindi al muretto e con un agile balzo, andò a sedersi accanto a lui, senza che lui la invitasse o altro. La ragazza non aveva certo bisogno del permesso per fare quello che voleva, quando lo voleva. È tardi. Disse con ovvietà, quasi fosse la cosa più intelligente del mondo da dire. Nemmeno tu riesci a dormire? chiese con una scrollata di spalle. Dopodiché si sarebbe allungata a prendere quella sigaretta che lui stringeva tra le dita e se la sarebbe portata alle labbra, se lui avesse deciso di non scansarla.
    Jessica Veronica Whitemore-Scheda- -Stat.-
    "Parlato" - "Pensato"- "Ascoltato"

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    Ora, lui non era di certo uno che si ricordava facilmente le cose. Per impararsi tutta Hogwarts ci aveva messo quasi due anni, senza togliere che ce n'era stato per cinque. E sicuro non la conosceva bene come tante altre persone.
    Di certo, ad Hogwarts, non si metteva a girare per i corridoi di notte. Almeno lì un compagno di camera decente ce l'aveva e non doveva alzarsi sempre perché non riusciva a dormire. Mentre, da quando era lì, si ritrovava sempre più spesso ad uscire dalla sala comune di notte. Girava meglio il castello e, fino ad allora, non aveva mai beccato nessun professore e/o prefetto. Non che avesse paura, ma quella cosa lo stupiva particolarmente.
    Si ritrovò ad un bivio: andare verso giù o verso su. Sarebbe uscito dal castello per fumarsi una sigaretta o sarebbe uscito dalla torre per fumarsi una sigaretta. Sapeva però che il portone d'entrata era chiuso. Quindi optò per andare verso l'alto, trovando la torre completamente aperta. Ma possibile che in tutti quegli anni nessuno si era mai ammazzato buttandosi dalla torre? Ma come?
    Lui la usava come battuta e nessuno si era mai cimentato nel farlo davvero? Peccato.
    Non che vedere uno studente sfracellato gli potesse piacere, ma era davvero incuriosito dal fatto che non avevano sbarrato quella torre... Chissà se anche le altre erano aperte. Bah... Lo avrebbe scoperto di lì a qualche notte, sicuramente. I suoi pensieri vennero bloccati da un saluto e si girò a guardare chi fosse. Non ebbe paura perché sicuramente se fosse stato un prefetto, non lo avrebbe salutato. Buona noches. Rispose, continuando a fumare. Poi togliendo che Jawaad non si metteva quasi mai paura, era un altro discorso. Ma non perché non provasse la paura, ma perché era sempre nei suoi pensieri costantemente. E da piccolo faceva certi zompi da toccare le nuvole.... Ma pian piano aveva imparato a non saltare dalla paura ogni qualvolta gli parlavano mentre era chiuso nei suoi pensieri. La guardò mentre saltava per salire sul muretto, facendolo quasi sorridere di tenerezza.
    Era più forte di lui: in ogni ragazza vedeva sua sorella. Sentiva, dentro di se, una sensazione strana che lo rimbambiva come non mai. Ogni volta che vedeva e/o parlava con una ragazza, si sentiva in dovere di non trattarla male perché poteva essere sua sorella. Sapeva benissimo che non era quella ragazza di fronte a lui ad essere sua sorella. Ma in fondo a se stesso sperava sempre che quella sensazione di protezione, uscisse fuori perché davvero di fronte a lui ci fosse sua sorella. Se lo sentiva fin dentro alle viscere che sua sorella aveva bisogno di lui, di essere protetta. Aveva un disperato bisogno di trovarla per poter capire se veramente quel sentimento, era davvero reale. Figo. Ho incontrato il coniglio di alice nel paese delle meraviglie. Dov'è il tuo orologio? Domandò, quasi ridacchiando. Tutte frasi più che ovvie, era normale che cercasse un modo per chiacchierare. In fondo dividevano lo stesso muretto. Da ben quattro mesi, direi. E ringrazia che sono qui, potevo già averlo ammazzato. Disse riferendosi a quel decerebrato mentale del suo compagno di stanza. La vide allungarsi per provare a prendere la sua sigaretta e, istintivamente, si allontanò un poco con la schiena impedendoglielo. La fissò dentro gli occhi chiedendosi perché di tutta quella normalità ma poi gliela fece prendere, avvicinandosi di nuovo. Ti fa male fumare. Quella era una frase ovvia. Ma come dicevo prima, Jawaad aveva un bisogno bestiale di proteggere qualcuno. Che fosse quella ragazza o sua sorella, ma doveva sfogare la sua sensazione. Si accese un'altra sigaretta, stranito un pochino che una sconosciuta si fosse presa la sua sigaretta. Ora, ok che ok... Ma manco si conoscevano. E se magari aveva qualche malattia? Non era normale come cosa.
    La guardò da dietro le lunghe ciglia, fumare la sua ex-sigaretta. Certo che la gente era proprio strana a quel mondo.

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    Eccoci di nuovo. La storia si ripete. Non era proprio capace di passare un'intera notte all'interno del suo dormitorio o al massimo nella sua sala comune, vero? Se avesse continuato ad infrangere così il coprifuoco, prima o poi, qualcuno l'avrebbe beccata e magari tolto dei punti. Fino a quel momento, comunque era stata piuttosto fortunata. L'unica volta che era stata scoperta, era stata proprio una notte su quella torre, lei in piedi su quel muretto pericolante, convinta che non ci fosse nessuno. Poi era arrivato lui, i ricci neri e ribelli proprio come i suoi capelli. E le aveva scombussolato la vita, decisamente troppo. Ma avevano un divario di circa sedici anni di differenza, perciò non sarebbe mai potuta funzionare. Quel pensiero era una stretta al cuore ogni volta, eppure doveva smettere di pensarci o sarebbe finita male. Almeno per lei che in quel periodo era fin troppo sensibile, il muro che aveva eretto per difendersi, era stato ripetutamente colpito da diversi avvenimenti che, già più di un anno prima, avevano iniziato a distruggerlo. Eppure testarda, anche quella notte stava andando all'osservatorio che le avrebbe rievocato i ricordi di quella serata che pareva magica. Ma forse non sarebbe andata così, forse la sua mente avrebbe messo da parte i ricordi per concentrarsi sul ragazzo del primo anno con cui non aveva mai parlato e che aveva visto poco, essendo di anni e casate completamente differenti. Salì quindi su quel muretto, dopo averlo salutato.
    Quando lui ricambiò, lo guardò incuriosita. è spagnolo? tentò lei, facendo ancora una domanda piuttosto ovvia. Però lei, fin da piccola, avrebbe desiderato visitare la Spagna e forse presto ne avrebbe avuta l'opportunità. La affascinava come paese, non c'era che dire... Sua madre -una stretta al cuore al pensiero- si era diplomata in Spagna, ma poi si era trasferita a New York, dov'era nata lei. Le sfuggì una piccola risata per la battuta del ragazzo; sebbene non fosse cresciuta tra i babbani, aveva ben presente i film della Disney e le piacevano molto. In risposta, la ragazza tirò mostrò il magifonino che, a sua volta, mostrava l'orario. Ho questo, va bene uguale? scherzò, concedendogli un sorrisetto. Si ravviò i capelli corvini con la mano e si concesse qualche secondo per guardare quel cielo limpido. Non succedeva troppo spesso nelle notti dicembrine, ma quando accadeva, valeva la pena guardarlo.
    Inarcò un sopracciglio e tornò ad osservare il ragazzo che aveva davanti o meglio, affianco. A chi ti riferisci? chiese, curiosa. Non conosceva molti dioptase maschi, perlopiù conosceva ragazze. Ad un tuo compagno di stanza? chiese comunque, perché poteva benissimo riferirsi a qualsiasi persona all'interno dell'Accademia. Dopodiché, adocchiò la sua sigaretta e provò a prenderla. Non fumava regolarmente e assiduamente, ma qualche volta le capitava, lei non ci vedeva nulla di male. Anche se effettivamente non era il passatempo migliore al mondo. Lui, comunque, si scostò un poco impedendogli di afferrare tra le dita quella stecchetta. Poteva essere per mille motivi, tra cui il fatto che fosse eccessivamente possessivo verso le sue cose, seppur per una semplice sigaretta. Comunque non fece tempo a formulare quei pensieri, che il ragazzo si avvicinò nuovamente, permettendole di afferrarla, così se la portò alle labbra prendendo una boccata e soffiando fuori il fumo, prendendosi una pausa prima di replicare. Anche a te fa male disse quindi, semplicemente. Che cosa avrebbe potuto dire? Era vero che faceva male, non lo negava, quindi certo non poteva replicare con nulla di diverso. Lo osservò accendersene un'altra e ridacchiò. Cosa ti porta proprio qui? Fa molto freddo. Sembrava veramente un commento stupido da lei, visto che aveva degli short ed una maglietta a mezze maniche. Magari avresti potuto dormire in uno dei divani della sala comune. Tentò. So che ci sono i thermos di cioccolata calda! Sorrise tornando a guardare il cielo. Da quando era così socievole con gli sconosciuti? Probabilmente da quando era stata ad un passo dal perdere tutto (Leggersi: da quando era rimasta ad 1 pv di vita in una quest potenzialmente mortale), da quando era stata ad un passo dalla morte, da quando la sua cazzo di vita le era passata davanti. La ragazza rabbrividì e non solo per il freddo, ma perché i brutti ricordi tentavano nuovamente di insinuarsi nella sua mente. Ti piacciono le stelle? chiese, improvvisamente, senza nessun nesso logico con il loro discorso precedente.
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