Una scommessa è una scommessa

Cameron&Mia

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    Cameron Cohen
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    Erano passate parecchie settimane dall'ultima volta che aveva incontrato la biondina in biblioteca ed ora era circa metà dicembre, era stato da poco comunicato loro che l'Accademia avrebbe organizzato un ballo. Ecco, non era un'occasione di festa come per molti studenti, anzi per lui era solo una scocciatura, sebbene persino ad Hogwarts fosse stato invitato da un sacco di ragazzine e quindi avesse avuto parecchie occasioni di andarci, non si era mai divertito. Lui considerava i balli scolastici delle cose totalmente inutili. Infatti era tentato di restarsene in dormitorio a fare cose più produttive, come per esempio assolutamente nulla. Ed era fermamente convinto di questo mentre sfogliava un libro di Pozioni, distrattamente. Non avrebbe avuto una lezione di quella materia prossimamente, ma tra le mani gli era capitato quel libro e, non avendo nulla da fare, lo stava guardando senza realmente leggerlo. Ma un pensiero lo fulminò proprio in quel momento e lo fece alzare dal lungo tavolo in sala Grande sul quale era seduto. Ma certo, a fronte della scommessa con Mark, avrebbe potuto invitare proprio quella biondina saccente, sebbene non la sopportasse. Ma una scommessa è una scommessa, no? Le avrebbe anche preso un regalo, e che regalo! Abbandonò il libro sul tavolo -tanto era piuttosto sicuro che gli elfi domestici glielo avrebbero riportato in dormitorio- e si diresse fuori dal Castello. Era un sabato, quindi poteva andare a Denrise senza problemi. Voleva comprarsi un abito degno della serata e voleva comprare il famoso regalo per Mia. Con un ghigno percorse tutta la strada che lo separava dal villaggio non troppo grande di Denrise -se paragonato alla sua Oslo- e ben presto si confuse con la moltitudine di persone che camminava per strada chi per acquistare i regali di Natale, chi per ammirare il paesaggio, chi semplicemente perché non aveva nulla da fare. Scrollò le spalle intorpidite dal freddo non appena arrivò a destinazione, ovvero un negozio di vestiti per maghi. Entrò facendo sì che il campanello sopra la porta producesse un rumore alquanto fastidioso, ma almeno il tepore di quel posto riscaldato ad arte, fece sì che il gelo svanisse poco a poco dal suo corpo. Una volta fatto ciò, si guardò attorno. Era pieno zeppo di vestiti, cosa che da un lato lo infastidiva perché avrebbe passato ore a trovare ciò che gli interessava. In realtà, però, adocchiò subito il vestito che avrebbe comprato per Mia, chiedendole di metterlo al ballo. Sogghignò mentre si avvicinava. L'unico problema è che non sapeva la sua taglia. Non voleva prendergli un vestito troppo largo o troppo stretto. Chiuse gli occhi e pensò alla sorella. Era piuttosto sicuro che Arya e Mia avessero le stesse taglie più o meno e lui conosceva quelle della sorella. Quando era viva, erano inseparabili... sembravano gemelli, se non fosse stato per la piccola differenza di età. Trovò il vestito, se così lo si poteva chiamare, adatto a lei e non ci pensò due volte a comprarlo. Successivamente andò a cercare qualcosa per lui che, senza troppe difficoltà, trovò. Fortunatamente quel negozio -o almeno, quei vestiti che aveva preso- non costava molto e se la cavò con poco. Ovviamente quello per Mia se lo fece mettere dentro una scatola molto carina. Lanciò uno dei suoi sguardi alla commessa, che probabilmente continuò il suo lavoro sbavando. Forse... forse avrebbe dovuto comprare qualcosa di simile anche a Nimue? Si leccò le labbra e tornò a voltarsi verso il negozio. Tuttavia non aveva voglia di ributtarsi in quel caos, perciò pensò che glielo avrebbe fatto un altro giorno, quindi con i vestiti in una borsa, tornò verso Hidenstone. Nella strada del ritorno si comprò un hamburger; era ormai passata l'ora di pranzo ed aveva fame.
    Dopo diverso tempo, scorse all'orizzonte il profilo della scuola ed affrettò il passo, stanco ed infreddolito. Nella strada per tornare dentro, passò per i giardini che erano affascinanti in quel periodo -anche se non lo avrebbe mai ammesso- e passò anche vicino alle serre. Stava per snobbarle, quando si accorse di una chioma bionda che ben conosceva. Infatti all'interno delle probabilmente umide serre, si trovava una ragazzina. Una ragazzina saccente e fastidiosa che Cameron proprio non sopportava. Gli dava proprio fastidio, ma era intenzionato a portare avanti il piano. Quella ragazzina era proprio Mia Freeman.
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    In quell’ultimo periodo Mia avrebbe fatto di tutto pur di tenersi impegnata. Se il primo incontro con la Morte aveva lasciato il segno, lo scontro con Naga non aveva fatto altro che peggiorare le cose, ora la sua testa era un caos indistinto, tanto che anche lei faticava a saltarci fuori. Era piena di pensieri contrastanti, sensi di colpa, dubbi e domande che sapeva non avrebbe mai trovato risposta e aveva paura di finire col perdersi in tutto quello che le passava per la testa. Era tornata a frequentare le lezioni dopo un periodo di degenza non troppo breve, e anche se fisicamente era tutto a posto sapeva che psicologicamente era ben lontana dall’essere come prima. Ammesso e non concesso che potesse tornare davvero ad essere come prima, lei aveva qualche dubbio al riguardo.
    Era vero, Naga non era altro che l’ennesima esperienza traumatizzante della sua vita, Mia sembrava una ragazzina spensierata, guardandola da fuori chiunque avrebbe potuto immaginare la storia fantastica della sua vita, magari figlia di una famiglia perfetta, di quelle che si vedevano solo nei film Babbani. Era sempre stata brava a nascondere i suoi traumi, tanto che quando si era trovata a raccontare la sua storia –quelle poche volte che lo aveva fatto- molti avevano finito per non crederle o per minimizzare quel che le era successo, solo perché lei odiava pesare sugli altri e scaricare su persone esterne il peso di ciò che aveva vissuto. Forse Charles era davvero l’unico che poteva capirla, e comunque conosceva solo una parte di tutto ciò che aveva vissuto, c’erano cose che non aveva mai raccontato nemmeno a lui.
    Non era nuova a quel tipo di pensieri o quel tipo di dolore, sapeva di dover essere paziente, di darsi tutto il tempo di cui aveva bisogno per riprendersi, senza forzarsi a fare nulla, ma era difficile combinare il suo bisogno di pace e tranquillità con la vita ad Hidenstone. Per quanto potesse avere bisogno di calma, d’altro canto voleva anche essere utile per i suoi compagni, fare la sua parte, impegnarsi perché anche gli altri stessero bene, per quanto possibile.
    Il fatto che Naga fosse morta aveva solo in parte alleggerito il peso di quella faccenda, ma se non altro sperava che nessun altro con le sue idee si sarebbe preso presentato a reclamare chissà che cosa. Comunque c’erano momenti in cui le immagini di quella notte o i pensieri peggiori sembravano tediarla più del solito, ed era in momenti come quelli che aveva bisogno di trovare qualcosa da fare che la tenesse davvero impegnata. Aveva provato con la cucina, cosa che di solito riusciva a rilassarla, ma non sembrava bastare nemmeno quella. Aveva pensato di chiudersi in biblioteca a leggere qualcosa ma sapeva già a memoria i suoi preferiti e aveva constatato di non riuscire a rimanere concentrata abbastanza a lungo.
    Alla fine aveva optato per il giardinaggio. Mia era appassionata di qualunque cosa, o meglio era attratta da tutte quelle materie e quelle attività che richiedevano studio e attenzione, per tanto studiare le erbe e le piante, officinali o meno, era qualcosa che se non altro la interessava. Certo, non si era mai applicata in qualcosa del genere, non si poteva dire che avesse il pollice verde, ma era affascinata dalle piante, da ciò che la natura riusciva a creare con quello che sembrava uno sforzo minimo. Non erano i fiori in sé a colpirla, quanto il modo in cui crescevano, come nascessero gli ibridi tra una specie e l’altra, quali proprietà potessero avere queste o quelle foglie. Decisamente il mondo della botanica la intrigava, e quel giorno fare qualcosa di nuovo e diverso da solito poteva essere un modo per riuscire a staccare dai suoi pensieri e isolarsi dal mondo.
    Era convinta che questa volta avrebbe funzionato: aveva cambiato posto, aveva cambiato attività, chi poteva mai arrivare a disturbarla? Certo, se avesse incontrato qualcuno dei suoi compagni, Jessica magari o Adamas, ne sarebbe stata forse anche felice, ma sperava davvero di poter passare un pomeriggio indisturbata, e ci riuscì pure almeno per un po’.
    Non aveva preso in considerazione Cameron Cohen, come biasimarla dopotutto? Si era impegnata per evitarlo il più possibile, e di certo un giardino come quello non sembrava il posto adatto per il ragazzo. Si era pensata al sicuro, protetta da quelle piante che stava meticolosamente osservando e curando, ed era così tanto concentrata su quello che stava facendo che subito nemmeno si accorse di essere osservata. La sensazione cominciò a insinuarsi silenziosa sotto la sua pelle, fino a che non si arrese, alzò lo sguardo e si fermò. Cameron era proprio davanti a lei, con quella solita faccia da schiaffi, per un attimo sentì il bisogno impellente di urlare, fosse anche solo per lamentarsi con l’universo per averle affibbiato una simile punizione. Che cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto quello?!
    Invece di urlare, però, unì le mani in grembo e tornò in ginocchio, guardandolo dal basso con aria fredda e distaccata. “Ti serve qualcosa, Cohen? Hai perso la strada?” domandò diretta, sperando che il ragazzo non avesse intenzione di importunarla di nuovo. Forse non era nemmeno lì per lei…no?

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    Cameron Cohen
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    Cameron si muoveva sinuoso in quelle stradine non esattamente tenute con cura, attento a non inciampare. E intanto pensava. Pensava. Perché doveva a tutti i costi vincere la scommessa? La scuola era stracolma di fighe spaziali che avrebbero superato Mia in tutto e per tutto. Quindi perché lui si ostinava a voler invitare proprio lei al ballo? Una ragazzina bionda dai capelli simili a spaghetti, bassetta e persino piatta. Chi glielo faceva fare? Nemmeno lui sapeva rispondere a questo interrogativo. Forse gli ricordava la sorellina, minuta e con le forme poco definite, intelligente e svelta, anche se qualche volta ricadeva nel vizio di fare la saccente. Ma in fondo, amava sua sorella con tutto il cuore. Ma ora non c'era più. E non c'era più a causa di un professore figlio di puttana. Si ritrovò, involontariamente, a stringere i manici della busta che aveva tra le mani. Se avesse avuto qualcosa -o qualcuno- vicino, gli avrebbe tirato un pugno, a costo di scorticarsi una mano contro il muro. I suoi occhi nocciola lampeggiavano d'ira, finché incontrarono, girata di schiena, la persona oggetto dei suoi pensieri. Mia Freeman, la biondina scialba. Restò a fissarla, aspettando che fosse lei stessa ad accorgersi di lui. Temeva che dalla propria voce uscissero cattiverie gratuite all'indirizzo di quella ragazza che nulla aveva fatto di male se non trovarsi sulla sua strada quel giorno. Preferì aspettare di calmarsi definitivamente, per quanto fosse difficile. La osservò mentre si prendeva cura di quelle piante che, a parere suo, erano insulse ed orribili. Scrollò le spalle nell'istante stesso in cui lei si girava. Aveva il viso imperlato di sudore, per quanto fosse in contrasto con il freddo mese, e lo guardò con una freddezza nello sguardo che a Cameron ricordò quasi una scheggia di ghiaccio conficcata addosso.
    Ascoltò le sue parole e scosse la testa, facendo comparire sul proprio volto quel ghigno divertito e canzonatorio che non lo abbandonava mai e che, quel giorno, sarebbe servito allo scopo di nascondere la tempesta che aveva dentro, sebbene il pugno al muro lo avrebbe volentieri dato. Stai tranquilla, Freeman. Rispose, imponendosi una voce calma. E ci riuscì, perché in tutti quegli anni di dolore trattenuto, aveva imparato a celare bene i suoi veri sentimenti agli occhi degli altri, secondo lui non degni di penetrare nel suo cuore. Come di consuetudine si passò una mano tra i capelli ribelli, prima di proseguire. Sono venuto qui solo per farti una proposta. Si avvicinò lentamente, le lunghe gambe però gli permisero di non metterci che pochi passi per entrare in quella serra calda ed umida. Vuoi venire al ballo con me? Non era stata una proposta romantica, non ne aveva l'intenzione. Glielo chiese e basta. Sempre che il tuo amichetto Barnes non mi abbia preceduto. Sentì dentro di sé un'irritazione non meglio identificata che però attribuì alla rabbia di poco prima. Si sedette su uno dei lunghi tavoli presenti nella serra, spostando qualche piantina accatastata qua e là. Prima che tu possa rifiutare iniziò, guardandola con occhi seri, senza più la traccia di ironia che poco prima era malcelata nel suo sguardo. Ti prometto che se verrai con me al ballo, non ti disturberò più. Cameron Cohen, per te, sarà solo un ragazzo sullo sfondo in un'accademia gigantesca. Fosse stata una normale ragazza, si sarebbe scandalizzata ad una proposta del genere, ma sapeva che per la bionda era un'offerta allettante e che ci avrebbe pensato su due volte prima di rifiutare. Inoltre, ti ho portato un regalo proseguì il ragazzo, porgendo a Mia la grossa scatola bianca contenente quel particolare... vestitino che lui le aveva preso. Potresti indossarlo al ballo, se ti piace. Un altro piccolo ghigno divertito si stagliò sulle sue labbra, anche se lui era davvero convinto che sarebbe potuto piacerle, a pensare alle ragazze cui era abituato. Che te ne pare? Non puoi rifiutare! ciondolò le gambe oltre il bordo del tavolo, in attesa di risposta.
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    Mia ancora non riusciva a spiegarsi perché Cameron Cohen avesse puntato proprio lei, fra tutte. Non riusciva a spiegarsi la ragione per cui uno con quel carattere e quell’atteggiamento potesse volerle ronzare intorno, o perché una persona qualunque avrebbe dovuto desiderare stare intorno a qualcuno che non sopportava o non stimava continuando a ribadirlo. Per quanto Mia fosse comunque una ragazzina di sedici anni, e per tanto comunque solita a sbalzi di umore e ad antipatie adolescenziali, aveva sempre cercato di essere gentile con chiunque, di emanare solo energie positive per quanto possibile. Non aveva mai permesso a sé stessa di pesare su qualcuno con i suoi problemi e le sue domande, se qualcuno le stava particolarmente antipatico semplicemente cercava di evitarlo e di farsene una ragione. Proprio perché si impegnava così tanto nei confronti degli altri, era inevitabile aspettarsi che anche i suoi compagni facessero lo stesso, e quando questo non accadeva faticava a farsene una ragione.
    Con Barnes alla fine si era data una spiegazione più o meno sensata per il suo comportamento, ma Cameron rimaneva ancora un enigma irrisolto. L’unico dettaglio che continuava a metterla in allarme era il fatto che lui e Mark fossero tanto amici, le sembrava un legame impossibile da ignorare e una coincidenza troppo sospetta per essere fortuita. Non le pareva logico che casualmente il migliore amico di Mark, che non sembrava in grado di smettere di tormentarla più o meno personalmente, avesse cominciato a girarle intorno con così tanta insistenza.
    Certo, c’era da dire che non lo aveva più incontrato “da solo” dopo il loro primo incontro in biblioteca ma si erano già visti a lezione, sfortunatamente più di una volta, e per quanto certe cose fossero inevitabili non poteva davvero evitare di pensare che il ragazzo avesse un qualche secondo fine e qualunque fosse lei avrebbe voluto volentieri levarselo di torno il prima possibile. In quel momento in particolare avrebbe voluto davvero evitare di averci a che fare, se di solito il suo caratterino le impediva di fargliela passare liscia, ora era così stanca che se si fosse lasciata andare sarebbe scoppiata a piangere supplicandolo di andarsene. Chissà, forse davanti ad una sua crisi di nervi in piena regola avrebbe davvero finito per lasciarla in pace.
    Stava già per replicare, fermandolo prima che potesse dire troppo e farle saltare i nervi del tutto, ma il ragazzo la precedette con una proposta che le fece aggrottare le sopracciglia. Ora, in una qualsiasi altra occasione, non avrebbe fatto altro che rifiutare qualsiasi proposta da parte di Cohen, ma in quel momento e con quella premessa non riuscì davvero a fare finta di niente e rispondergli male. Sarebbe stato da ipocriti dire che non la stesse tentando, da un lato Mia non aspettava altro che liberarsi di lui e se bastava “così poco” per poterlo allontanare forse poteva anche pensarci. In realtà Mia non pensava di voler andare al ballo, non contava che qualcuno la invitasse e non era nemmeno qualcosa da lei: non amava le feste, sapeva muoversi ma non era il tipo a cui piaceva mettersi in mostra e non aveva davvero intenzione di infilarsi in una situazione come quella. Aveva già in programma di passare la serata in camera a leggere un libro, di starsene in disparte a farsi i fatti propri, e faticava ad immaginare di cambiare i suoi piani per qualcuno come Cohen.
    Era chiaro che non la stesse invitando per caso, sarebbe stata stupida a pensare che fosse magnanimo o che avesse fatto anche la fatica di comprarle un regalo per convincerla a fare qualcosa che la portasse a liberarsi di lui. Ancora una volta le sue scelte avevano ben poco senso, ai suoi occhi, e non aveva intenzione di accettare a scatola chiusa, senza prima vederci chiaro. Drizzò la schiena e si fece più attenta, osservando confusa il pacchetto che aveva in mano per cercare di capire cosa contenesse. Non si intendeva di quelle cose, non sapeva se fosse prassi, a lei faceva solo strano ricevere un rgealo per di più da qualcuno che nemmeno riteneva suo amico.
    “Perché, Cohen? Dimmi solo perché.” rispose in modo pacato per quanto composto, cercando di ripetersi che se tutto fosse andato per il meglio forse avrebbe potuto davvero liberarsi di Cameron, anche se temeva non potesse essere così facile.

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    Cameron Cohen
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    Forse era riuscito a calmarsi, forse la voglia di picchiare qualcosa o qualcuno, stava lentamente scemando in lui. Ma con Cameron Cohen, non si poteva mai dire. Proprio per quello cercò di andarci cauto con la Freeman, non voleva che si innervosisse e che gli dicesse qualcosa in modo da farlo incazzare ancora di più. Insomma, con le parole ci stava andando piano, quanto al regalo... beh aveva fatto una pessima scelta, anche se lui mica poteva sapere che non era una delle solite sgualdrine a cui piace vestirsi in un certo modo e soprattutto per compiacerlo. Il ragazzo, quindi, aveva agito -più o meno- in buona fede, senza pensare che magari alla ragazza non avrebbe fatto piacere il suo regalo.
    L'unico regalo veramente calcolato, fatto con consapevolezza e soprattutto con il cuore, era stato quello a sua sorella. L'ultimo suo compleanno prima che... prima che succedesse ciò che era successo. La ragazza era un'artista nata, sapeva dipingere, disegnare e persino scrivere in modo sopraffino. Quindi Cameron aveva messo da parte tutti i suoi risparmi per regalarle quel cavalletto e quella tavolozza di colori che non era certo stata una scelta economica. Dopo di quello, tutti i regali che aveva fatto -sua madre esclusa- non erano stati dettati dai sentimenti ma da mere convinzioni sociali, da classificazioni delle persone in una determinata categoria. E per ora, per lui le ragazze rientravano tutte nella categoria delle oche, tanto da convincerlo a credere davvero che quel regalo fosse perfetto per lei, che lo avrebbe sfoggiato con superbia. Il ragazzo si passò una mano tra i suoi capelli castani, tirandoli leggermente, con fare nervoso. Era ancora una molla pronta a scattare, pronta ad inveire verso chiunque, persino contro chi di male aveva fatto meno di zero. Ma quando lei gli fece quella domanda, puntò le sue iridi nocciola sulle sue azzurre e cercò di ritrovare il solito tono pacato e senza emozioni. Ma cosa poteva rispondere? Non sapeva nemmeno lui il vero motivo per il quale la stava invitando.
    L'avrebbe davvero lasciata in pace, poi? Ne dubitava fortemente. Voleva entrare nelle sue grazie? Forse. Ma Cameron Cohen davvero non aveva la risposta pronta in quel momento. Perché ripeté solo, con tono estremamente enigmatico. Non proseguì la frase per un bel pezzo, limitandosi ad osservare la giovane. I capelli biondi, la pelle che luccicava al flebile sole del pomeriggio a causa del sudore... Cam si scoprì a pensare che fosse comunque bellissima. Si riproverò per quel pensiero e tornò a concentrarsi sulla risposta da darle. Non c'è un vero motivo, ragazzina No, non poteva comunque perdere la sua vena canzonatoria. Mi andava e basta, non posso forse essere in grado di fare un gesto galante? chiese con voce lievemente irritata. No Cohen, non ne sei capace. Tu e l'empatia siete due rette parallele, avrebbe dovuto rispondergli. Perché sì, non era stato affatto un gesto disinteressato. Spinse lievemente la scatola verso di lei per farle capire che doveva prenderla, spazientito. Allora, ci stai? propose di nuovo, facendo profondi respiri per non cedere ad uno degli attacchi di rabbia che da anni a quella parte caratterizzavano la sua vita. Si avvicinò alla bionda fin quasi a sfiorarla, tenendo sempre il pacco saldamente in mano. Cameron non era certo famoso per la sua pazienza, gentilezza o disponibilità e temeva che ci sarebbe voluto un attimo per lui a prendere il pacco, mollarlo per terra e mollare persino la bionda, infischiandosene e andando da un'altra parte. Ma forse doveva convincerla con ulteriori parole. Attinse a tutto il carisma di cui era capace e fece un sorriso, di quelli soliti da schiaffi, poi proseguì a parlare. E poi sembra molto più divertente andare a questo ballo, piuttosto che ciò che avevo pianificato in origine. Sbuffò leggermente all'insù, facendo così levitare per qualche secondo il ciuffo che gli era ricaduto sugli occhi. Tese quindi la mano nella sua direzione. Allora, affare fatto? concluse così la richiesta, guardandola con il sopracciglio inarcato, aspettandosi che lei avrebbe accettato senza riserve e che addirittura le piacesse il regalo e lo mettesse la sera del ballo, anche se in cuor suo sapeva essere una pia illusione, perché nonostante le sue convinzioni, la ragazza sembrava avere una luce diversa.
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    Non era abituata a pensarsi come attraente o meritevole di chissà quale tipo di attenzione. Soprattutto dopo ciò che aveva subito, Mia non aveva potuto fare a meno di convincersi che nessuno potesse interessarsi a lei per la persona che era e che chiunque le ronzasse troppo intorno aveva solo cattive intenzioni. Certo, chiunque avrebbe potuto rimproverarla per aver finito per pensare qualcosa dopo una sola e unica esperienza negativa, ma da ragazzina alle prime armi, trovarsi obbligata a fare sesso con qualcuno che lei aveva divinizzato e considerato migliore di tutti gli altri si era rivelato ovviamente alquanto distruttivo. Non era nemmeno colpa sua, la maggior parte del processo era stata inconscia e non era nemmeno così consapevole di avere un problema con l’universo maschile, almeno non finchè non ci aveva direttamente a che fare.
    Cameron era il perfetto esempio del genere di ragazzo da cui Mia aveva cercato di tenersi debitamente alla larga dopo ciò che Mark le aveva fatto. Se si aggiungeva alla lista delle sue caratteristiche principali –egocentrismo, arroganza, senso di superiorità e via discorrendo- il fatto che fosse anche il migliore amico di Mark Sheppard beh ecco che il quadro si completava nel peggiore dei modi: se fosse stata in grado di seguire i propri consigli se ne sarebbe tenuta debitamente alla larga. E invece no.
    Mia non lo avrebbe mai ammesso, ma c’era qualcosa in Cohen che la attraeva terribilmente: il fatto che quel ragazzo sembrasse nascondere qualcosa, il fatto che non potesse essere così idiota senza una ragione, il suo talento innegabile nel farle saltare i nervi, tutto quello la istigava, fosse anche solo per colpa della sua dannatissima curiosità. Voleva capire che cosa lo rendesse così diverso, aveva bisogno di sapere perché Cohen riusciva a farla arrabbiare così tanto. Le sarebbe piaciuto rispondere che si trattava solo del suo carattere di merda, di quel modo di porsi così fastidioso, ma sapeva benissimo quanto sarebbe stata una risposta semplicistica: Mark per primo era insopportabile, ma lui la terrorizzava, o la disgustava per la maggior parte delle volte, con lui era facile ignorarlo o allontanarlo bruscamente e andarsene. Blake Barnes aveva un cipiglio simile, irruento e istintivo come pochi, Mia lo considerava a tratti decisamente autolesionista eppure alla fine aveva trovato in lui qualcosa di quasi piacevole, abbastanza da portarla a volerlo proteggere come se fossero già amici –anche se poi non era finita nel migliore dei modi. Cohen invece le faceva solo saltare i nervi, sembrava capace di toccare i punti di giusti, come se la conoscesse da sempre, e tutto quello la infastidiva abbastanza da volerne sapere di più.
    Lui era una continua sfida, aggiungeva brace al suo fuoco ardente, non faceva altro che istigarla e portarla continuamente a fare i conti con i propri limiti, stuzzicandola a superarli fosse anche solo per non dargliela vinta. E fu proprio per quello che prese in seria considerazione la possibilità di andare al ballo con lui, e sempre per quello provò un profondo senso di compiacimento quando il ragazzo non seppe darle una vera risposta. Sorrise sorniona e vittoriosa, come se la mancanza di una risposta piccata e al vetriolo da parte sua fosse una vittoria per lei. “No, Cohen, tu e la galanteria non mi sembrate appartenere allo stesso universo.” osservò prontamente, fosse anche solo per avere l’ultima parola in merito, anche perché Mia non era il tipo che aveva mai ricercato quel tipo di attenzioni o di gentilezze, e forse ne sapeva ancora meno di lui.
    Trattenne comunque il respiro quando Cameron si avvicinò pericolosamente a lei, abbastanza da inondarla con il suo profumo e da farle sentire il suo respiro sulla pelle: ancora in ginocchio vicino all’aiuola su cui stava lavorando, non aveva vie di fuga e ringraziò il pacchetto per aver impedito al ragazzo di avvicinarsi oltre. Alla fine fu costretta a prenderlo e appoggiarselo in grembo, fosse anche solo per farlo smettere, e deglutì cercando di nascondere la sua difficoltà. Avrebbe dovuto rifiutare, lo sapeva bene, ma la tentazione di liberarsene la stuzzicava parecchio –o era la curiosità che la stava spingendo, il bisogno di capirlo di più? Voleva davvero liberarsene, mettendo fine a quel gioco?! Studiò la sua mano tesa per un solo istante, poi si convinse a stringerla con decisione, una stretta che raramente ci si aspettava da una ragazzina così minuta e apparentemente “debole”. Annuì anche con decisione, per riconfermare la sua scelta. “Affare fatto. E lo hai detto tu, poi non mi disturberai più.” ribadì con convinzione, per poi arrendersi e abbassare lo sguardo sul pacco che le aveva portato. Non si aspettava un regalo da parte sua, era sicura che non la conoscesse a sufficienza e non si spiegava perché avesse deciso di fare qualcosa del genere quando più volte le aveva ribadito quanto poco la sopportasse. Avrebbe dovuto guardare prima il regalo, sarebbe stato molto più saggio controllare che cosa le avesse portato prima di accettare qualsiasi cosa, il fatto era che Cameron non sembrava nemmeno così tanto strafottente, come se quel regalo fosse qualcosa di normale e innocente. Poteva qualcosa da parte di Cohen essere “Innocente”? Avrebbe dovuto dubitarne molto di più.
    Aprì la scatola alla fine, perché le sembrava di non poter avere molta scelta, e sgranò gli occhi quando capì che cosa aveva davanti. I suoi occhi si posarono su quel che poteva vedere di un completino decisamente succinto, a tema natalizio, finemente piegato e imbustato. Sentò le guance accaldarsi, nonostante per sua fortuna rimasero per lo più pallide, anche se sentì salire non poco disgusto. Non era davvero colpa di Cameron, in quel momento si sentì ancora una volta un mero oggetto sessuale, sporca ben più del dovuto. Avrebbe voluto ritirare la sua promessa, ma era troppo orgoglioso per farlo e non aveva alcuna intenzione di passare per quella debole tra i due. Si sforzò di mandare giù quella sensazione spiacevole e richiuse la scatola. Si alzò impettita, perché non potè impedirsi di cercare di andare più lontano possibile da Cameron, ora non avrebbe più sopportato il suo sguardo addosso, almeno fino alla volta successiva. “Nei tuoi sogni migliori, Cohen.” gli disse avvicinandosi a lui, apparentemente con intenzioni positive, per poi allontanarsi nel tentativo di rimanere da sola e riprendere il controllo.

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