Keep holding on - pt.2

Elisabeth

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  1. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Non gli sembrava vero. Josh non era mai stato il tipo di persona che si soffermava a fantasticare su ciò che sarebbe potuto accadere con una ragazza, lui di solito agiva e andava incontro alle conseguenze, fregandosene altamente di eventualità negative.
    Eppure, dopo il mese di agonia appena trascorso, aveva iniziato ad immaginarsi spesso con Elisabeth sotto vari punti di vista, ma mai avrebbe osato sperare di poterla stringere a quel modo e di sentirsi dire quelle parole.
    Si prese il suo bacio sul collo, lasciandosi sfuggire un sospiro mentre chiudeva gli occhi e inclinava lateralmente il capo, in modo da garantirle un più facile accesso e vittima di un brivido incontrollato. Si prese il bacio sulla guancia e quello sul naso, prima di risollevare le palpebre per guardarla nuovamente in quegli occhi che, a differenza del passato, gli mostravano qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
    Josh sollevò entrambe le mani e le posò delicate sul suo viso, portandola ad abbassarlo lievemente per permettergli di lasciare un bacio a fior di labbra sulla sua fronte. Ciò che lei non aveva ancora capito, probabilmente, era che Josh fosse suo da un po', ormai.
    L'aveva sentita affermare con decisione di non voler dimenticare nulla di quel giorno, di quel periodo appena trascorso e lui acconsentì, solo per permetterle di restare calma. Non voleva farla piangere, non voleva farla agitare e se tenere bene a mente quei momenti l'avesse resa felice, lui lo avrebbe fatto. Era disposto a tutto, e in ogni caso non avrebbe potuto dimenticare neppure volendolo.
    «Io lo sono, lo sono già da un pezzo...»
    Le iridi di ghiaccio scesero di poco, soffermandosi sulle labbra della ragazza che moriva dalla voglia di baciare.
    Ma non lo fece. Le aveva promesso che non le avrebbe messo fretta e dentro di sé avrebbe tanto voluto convincersi del fatto che l'avrebbe baciata solo quando e se lei si fosse convinta di voler scegliere lui. Purtroppo, per come stavano le cose, non ci sperava un granché e Josh per primo era fermamente convinto, perché tutt'altro che egoista, che Lucas sarebbe stata la scelta migliore per lei.
    Ma quella sera, solo per quella sera, lei sarebbe stata sua.
    «Torna in camera e mettiti qualcosa di pesante addosso. Ci vediamo nell'osservatorio di Astronomia,»
    Poi abbandonò la presa su di lei e si avviò verso la porta, camminando all'indietro in modo da non perdere di vista Elisabeth.
    «Tra un'ora, Lynch, non un minuto di più.»
    Le disse con un sorriso, prima di voltarsi e correre verso la Sala Comune degli Ametrin.

    Aveva corso come un matto in quei sessanta minuti. La prima tappa di quella gara contro il tempo era stata la sua camera; nell'entrare sperò di non doversi rovinare il momento incontrando Lucas, a cui non avrebbe comunque detto niente per il bene di Elisabeth, ma fortunatamente non trovò nessuno ad aspettarlo. Svuotò sul letto la propria borsa, aprì il baule e recuperò una coperta in pile ancora mai usata e afferrò dal letto quella più pesante. Infilò tutto nella tracolla e, seppur un lembo della seconda coperta ne fuoriusciva, si preoccupò di sfilarsi la divisa e indossare un paio di jeans abbastanza pesanti, una felpa, la giacca e il berretto con la visiera al contrario. Infine corse fuori dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.
    Scese i gradini due alla volta e si diresse verso le cucine, dove pregò gli elfi di dargli qualcosa da mettere sotto i denti.
    «Ma signorino, Blinky non può darle da mangiare. E' quasi ora di cena!»
    Supplicò quell'elfo per quasi dieci minuti, prima che gli occhi della creaturina iniziassero a lacrimare e, accondiscendente, gli desse un sacchetto con dei biscotti al cioccolato e un paio di fette di crostata. Lui, per tutta risposta, gli baciò la fronte pelata e si dileguò, controllando l'orologio.
    Alla fine era arrivato in anticipo, così da avere il tempo di chiudersi la porta alle spalle e iniziare a preparare.
    Il freddo non era ancora micidiale in quel mese, ma il sole era calato da più di mezz'ora e le prime stelle iniziavano a farsi strada in un cielo macchiato qua e là da minacciose nuvole di pioggia. Poco male, si disse, poiché qualcosa si poteva ancora scorgere.
    Recuperò la coperta più leggera e la posizionò sul pavimento, nel punto in cui il cielo era perfettamente visibile e al di sopra delle loro teste avrebbero avuto solo le stelle. Il sacchetto con le cose da mangiare posizionato su un angolo della seduta e la seconda coperta, quella più grande e calda, in attesa di essere utilizzata.
    Prese posto nel punto da lui scelto, piegando un ginocchio su cui poggiò l'avambraccio; la schiena e la nuca contro il freddo parapetto in pietra e un sospiro ad aiutarlo a ritrovare la calma. Il cuore gli batteva veloce, forse per la fretta con cui aveva preparato il tutto, forse a causa della tachicardia o forse perché si stava chiedendo se Elisabeth sarebbe davvero arrivata.
    Non le aveva dato neppure il tempo di dargli una risposta.
    Rimase fermo e in silenzio, ignorando i morsi della fame mentre tutti i suoi compagni si stavano probabilmente preparando per la cena. Rimase lì, a fissare le stelle, afferrando dalla borsa il magifonino e le auricolari, portandosele entrambe alle orecchie e avviando la playlist.

    «Parlato» - Pensato - Ascoltato | Scheda PG - Stat.

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    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    Io lo sono, lo sono già da un pezzo. Quella frase venne ripetuta in loop nella sua mente, persino quando Joshua l'aveva lasciata sola nell'aula di storia dandole appuntamento entro un'ora all'osservatorio di Astronomia. La gallese si era mossa solo quando il viso illuminato di Evans non sparì dietro la porta che aveva riaperto, sentendo i suoi passi veloci allontanarsi da lei. Era crollata. Si era accucciata sotto un'ampia finestra, richiamando le ginocchia al petto e nascondendovi il viso. I capelli lunghi erano ricaduti su quel corpo fragile come una coperta pronta a nasconderla al mondo. Si sentiva divisa. Da una parte c'era Jug, con il suo essere così simile a lei. Diretto, osservatore, silenzioso. Lui che aveva così tante foto di lei da bastarle per una vita. Era però riuscita ad interrompere quegli scatti in solitaria invitandolo a condividere l'obiettivo di una fotocamera. Quelle quattro diapositive di loro erano finite nel libro che lui le aveva regalato, ma che non aveva avuto ancora modo di leggere. Quelle foto, però, le aveva un po' consumate a furia di guardarle, nei giorni seguenti rispetto a quando erano state scattate. Vi leggeva complicità, comprensione e l'incertezza di quella che era tutto sommato la prima volta. Prima volta che si lasciava liberamente toccare da qualcuno. Prima volta che aveva incontrato il sapore di qualcuno che non fosse lei. Ancora arrossiva al pensiero di come si era allontanata dalle sue ginocchia, sconvolta di come lui le avesse rubato il primo bacio. Eppure era tornata indietro e gli aveva chiesto solo una cosa: insegnami. E il ragazzo l'aveva fatto. Cosa significava per lei quello scambio di saliva? Non lo sapeva con certezza. Certo il cuore le batteva all'impazzata ogni volta che le loro labbra si incontravano, il calore si irradiava in tutto il corpo e finiva sempre in riserva di ossigeno. Erano una coppia? Non lo sapeva. Non aveva avuto modo di darsi il tempo per comprendere, per accettarlo e eventualmente affrontarlo.
    E poi... e poi c'era stato Joshua che tediandola come ogni volta da quando si conoscevano non le aveva rivelato di essere interessato a lei. Era rimasta sorpresa fortemente della cosa, credendo che fosse un nuovo modo per torturarla, ora che erano cresciuti, ma lui le aveva iniziato a dimostrare il contrario già nella stessa sala lettura, aiutandola con il tema di pozioni, mantenendo però quella terribile faccia da schiaffi. Viso che aveva compreso di come le fosse mancato quando lui era arrivato per prima nel salvarla dalle grinfie di Naga. Ai suoi occhi Joshua stava dimostrando in ogni modo possibile come ci tenesse davvero a lei, compresa quella sfuriata iniziale che c'era stata in quella stessa aula. Sollevò il viso, posando il mento sulle ginocchia e osservando il banco dove aveva scelto di sedersi. Poteva ancora vedere quello sguardo carico di risentimento che le aveva rivolto, quel pomeriggio, così simili agli altri che l'avevano investita da quando era tornata. Più di una volta aveva cercato di avvicinarsi al ragazzo per parlare, ma vuoi per la troppa gente, vuoi per la presenza fissa di Jones al suo fianco aveva sempre finito con il desistere. Quel giorno però sembrava che si stesse verificando una strana congiunzione astrale, con lui in solitaria e lei libera di passare almeno un attimo da sola. Un attimo che si era trasformato presto in qualcosa di più profondo e complesso. Sono una persona orribile... Si ritrovò a pensare mentre ripercorreva i passi che l'avevano riavvicinata ad Evans. Parole forti erano state dette, gesti ancor più seri erano stati compiuti. Per un attimo, quando lei si era scostata da lui che aveva finito con l'investirla con il suo sguardo diamantino aveva avuto l'impressione che volesse baciarla. E non di certo uno di quei casti baci che si erano scambiati fino a quel momento. Quelle labbra però andarono a sigillare quella promessa di un attimo sulla sua fronte, lasciandola in balia di sentimenti contrastanti. Da una parte c'era la delusione, profonda, di non aver avuto modo di perseguire fino in fondo quello che una parte di lei voleva fortemente. Dall'altra c'era il sollievo, perché cedere a quell'istinto avrebbe finito con il complicare le cose ancor di più di quelle che già erano. Sospirò, forte, vedendo come il sole ormai non illuminasse più la stanza. Quanto tempo era passato? Sentiva gli arti dolerle, dopo il tempo prolungato nella stessa posizione. Si rialzò, facendo leva con i palmi delle mani prima sul pavimento e poi sui fianchi. Guadagnò l'uscita dall'aula con passi lenti, sentendo il sangue fluirle più veloce agli arti. Si tirò dietro il battente, chiudendolo, poggiando la schiena su di esso. E ora cosa faccio? Si trovava ad un bivio. Un bivio perfetto per la sua vita: se i suoi piedi si fossero mossi nella direzione in cui sorgeva il sole avrebbe raggiunto i piani inferiori, magari fino alla Sala Grande, dove significava incontrare Jughead; se avesse preso la direzione opposta sarebbe salita più su, verso la torre dell'Osservatorio Astronomico, dove ad attenderla c'era Joshua. Chiuse gli occhi e si lanciò, con un solo pensiero ad accompagnarla. Perdonami, se puoi.

    Non si era cambiata, non indossava nulla oltre la sua divisa ed il pesante mantello. Poteva sentire il freddo sul suo corpo man mano che saliva i gradini. Si concedette qualche istante, per recuperare il fiato, prima di spingere la porta che permetteva l'accesso al luogo dell'appuntamento datole da Joshua. Al piano riservato alla biblioteca aveva lasciato tutte le eventuali paturnie che l'avrebbero potuta cogliere impreparata in quel momento, preferendo fidarsi del suo istinto e di quello che voleva. Si era ripromessa di smetterla di fare quello che gli altri si aspettavano da lei, di essere troppo rigida nel rispetto delle regole che spesso si auto-imponeva, di fare qualcosa che al momento sapeva che l'avrebbe giovata. Per gli eventuali danni ed effetti collaterali, per una volta, ci avrebbe pensato dopo. Risoluta aprì la porta, venendo investita dal freddo che aveva solo assaporato nella scalata. Certo, non era qualcosa di insopportabile, ma con la sola parte superiore ben coperta avvertiva distintamente il freddo alle gambe. La richiuse alle sue spalle, accompagnandola con dolcezza questa volta, facendo poi un passo per scoprire dove diavolo fosse l’ametrino. Lo trovò dopo un paio di passi, seduto su quello che le parve un plaid e il busto posato sul muretto che lo divideva dal vuoto. Lo stesso muretto dove l’anno prima si era avvicinata a Blake, colto sul fatto mentre fumava quello che poi scoprì essere proibito, e da dove aveva avuto modo di scorgere la foresta al chiaro di luna. Al solo pensiero della massa informe di alberi senti il corpo irrigidirsi, con il respiro che diveniva sempre più frammentato. Sei lontana, sei in alto, sei al sicuro cercò di tranquillizzarsi, puntando lo sguardo sul ragazzo. Aumentò il passo, arrestandosi solo quando trovò l’ingombro della coperta, inginocchiandosi poi, pronta a dare le spalle alla vista che sarebbe potuta rientrare nel suo campo visivo. Da vicino si rese conto di come l’altro avesse degli auricolari nelle orecchie che conducevano al suo magitelefonino, dove poteva sentire distintamente il ritmo di una canzone, senza però riuscire ad identificarla. Qualora Josh si fosse mosso l'opalina avrebbe posato l'indice sulle sue labbra, usando poi quella stessa mano per afferrare la coperta più pesante -così simile nella fattura a quella che aveva lei nel suo letto a baldacchino anche se di colori diversi- per coprire entrambi, scivolando anche lei con la schiena sul muretto. Si sarebbe poi sporta verso di lui solo per sfilargli l'auricolare opposto a lei, per sistemarlo poi all'orecchio più vicino all'Ametrin. Aveva apprezzato quanto l'altro avesse messo su, in poco tempo, un'atmosfera romantica, nonostante il cielo leggermente nuvoloso ma che permetteva comunque alle stelle più luminose di brillare e con una colonna sonora che avrebbe fatto da sfondo ai ricordi che in quel momento stava costruendo. Nonostante il profumo di dolci fosse giunto a solleticarle le narici, complice il sacchetto a non troppa distanza da lei, la Lynch non era certa che quello che provava in quel momento fossero i morsi della fame.


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  3. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Avrebbe voluto parlarle di moltissime cose, raccontarsi come non aveva mai fatto con nessuno, poichè quella sera stava accadendo qualcosa di particolare, qualcosa che si sarebbe potuto realizzare solo se una di quelle stelle visibili nel cielo appannato di nuvole avesse deciso di brillare per un'ultima volta, cadendo chissà dove e lasciando che qualcuno esprimesse un desiderio su di lei.
    Il desiderio di Josh per quella sera si era già realizzato, nonostante sarebbe durato solo pochi minuti.
    Attese senza timore, nonostante fosse trascorso qualche minuto dall'ora prevista, perché sapeva che Elisabeth sarebbe arrivata e non si sorprese infatti nel sentire la porta dell'aula cigolare, segnale evidente che chi stava aspettando fosse ormai arrivato a destinazione.
    La vide avvicinarsi con la coda dell'occhio ma non disse nulla fino a che lei non si inginocchiò al suo fianco.
    Non gli era sfuggita l'espressione di lei nello scorgere l'oscura foresta a breve distanza fra loro e gli occhi di Josh si fecero improvvisamente tristi. Lei non era felice, non come lo era stata un'ora prima in quell'aula e tra le sue braccia. Aveva fatto forse male a lasciarla? Aveva davvero rischiato di non vederla arrivare?
    In quella storia, si rese conto, non c'era nulla da dare per scontato.
    «Lyl, va tutto-»
    Il dito della ragazza gli si poggiò delicato sulle labbra, costringendolo a restare in silenzio, mentre prendeva posto al suo fianco e si preoccupava di coprire entrambi con la seconda coperta da lui portata. Josh la seguì con lo sguardo, in silenzio, conscio di non avere freddo: il brivido che percepì fu dovuto unicamente al contatto tra il lato destro del suo corpo con il sinistro di lei.
    Notò come non avesse indossato nulla di più pesante rispetto a prima, nonostante lui glielo avesse suggerito. Dunque, restava poco da lasciare all'immaginazione: aveva davvero rischiato di non averla lì.
    Era questo a cui sarebbe andato incontro da quel giorno in avanti.
    Distolse finalmente lo sguardo da lei e lo puntò al di là del parapetto, fissando un cielo talmente buio da rendere quelle poche stelle dei fari nella notte. Poggiò la nuca contro la fredda pietra, sfilandosi il berretto e passandosi una mano tra le ciocche scure di capelli che stavano iniziando a diventare troppo lunghi, prima di sospirare profondamente e chiudere gli occhi.
    Si era promesso di darsi una possibilità, solo per quella sera. Il giorno dopo sarebbe tornato tutto alla normalità, ma per quelle poche ore o per quei pochi minuti, lui voleva non pensare a niente, solo alla ragazza che aveva di fianco.
    Voleva bene a Jesse, era stato felice di condividere con lui quel momento, ma non voleva pensare a lui in quell'istante. Sapeva che anche la mente di Elisabeth fosse impegnata a pensare a qualcun altro, terrorizzata di ferirlo... la capiva, lo accettava per quanto ne soffrisse -da quando era così improntato su di lei?- ma si erano fatti una promessa solo un'ora prima.
    Con quella consapevolezza riaprì gli occhi e inclinò il capo verso di lei, mentre questa afferrava una cuffietta e se la portava all'orecchio, senza dire una parola.
    Lui mosse la mano destra e la avvicinò a lei, sotto la coperta che ne nascondeva la visuale. Cercò le sue dita e si fece spazio con le proprie, siglando una presa che non avrebbe abbandonato per nessun motivo. Le carezzò il dorso di quella mano col pollice, in gesti lenti e circolari, mentre le iridi di ghiaccio cercavano imperterrite di imprimere nella memoria il suo profilo, illuminato dal chiarore delle stelle e della luna, ancora bassa in cielo.
    Poi, finalmente, trovò il coraggio di parlare.
    «Solo per questa sera non pensare a lui.»
    Lo disse a bassissima voce, in quella che non voleva essere un'imposizione né una supplica, ma solo un consiglio affinché non stesse male.
    «In questo momento, che ci siamo ritagliati da tutto e da tutti, non pensare a cosa hai dovuto affrontare, a cosa dovrai scegliere... non importa cosa deciderai, accetterò qualunque cosa.»
    Non voleva che avesse paura della foresta, perché con quella mano la teneva ancorata a sé e non l'avrebbe lasciata andar via. Avrebbe davvero accettato qualunque cosa: lui non amava mentire, ciò che diceva era sempre e solo la verità e se si era spinto a dire che avrebbe accettato l'idea di lei con Lucas, allora lo avrebbe fatto.
    «Ma solo per questa sera permettimi di essere un po' egoista: pensa a me e a nessun altro.»
    Restò a fissarla per altri pochi e brevi attimi, quando finalmente riportò lo sguardo davanti a sé e iniziò a parlare.
    «Sono cresciuto insieme ai miei genitori e a mio fratello più grande. Mia madre è la donna più dolce e più testarda che abbia mai incontrato, mentre mio padre è un santo a riuscire a sopportarla. Mio fratello, Daniel, è un tipo in gamba, mi ha insegnato a fare a botte.»
    Disse ridendo, pensando di non essere allenato come Blake, ma di certo abituato a incassare e a dare. Le raccontò di sé come se fosse la cosa più normale al mondo, ma per lui non era così facile. Josh era estroverso, era socievole, ma non parlava mai di sé, con nessuno.
    «Sono stati bravi, sai, a sopportare la mia malattia. E' difficile credere che non sia poi così grave quando ci sono casi che dimostrano il contrario. Tuttavia loro sono forti, sono in gamba e in qualunque circostanza so che sapranno cavarsela. »
    Buona parte degli studenti sapeva che fosse malato, in fondo i docenti dovevano pur giustificare le sue lunghe assenze e gli amici meritavano di sapere, ma nessuno ne conosceva la gravità o le eventuali implicazioni, come la viveva la sua famiglia, come la viveva lui. Si era messo a nudo tante volte e con tanti partner differenti, ma non lo aveva mai fatto in quel modo, con tutti i vestiti addosso e una gran paura di aprirsi e raccontare tutto di sé.
    «Non sono un tipo facile da gestire, Lyl. Un po' mi conosci: non ho inibizioni, non voglio averne, preferisco vivermi la vita con tutto me stesso e questo comporta anche una certa libertà sotto alcuni punti di vista. Ho frequentato tante ragazze, qualcuna me la sono portata a letto e, insomma, con nessuna di loro ho mai avuto un grande coinvolgimento ma... voglio essere sincero: non sei l'unica ad avere il cuore spezzato a metà.»
    Sarebbe potuta scappare, avrebbe potuto rinunciare, lui lo sapeva e aveva accettato di raccontarle tutto. Ne aveva paura, certo, ma temeva un'altra cosa: che lei scoprisse tutto da qualcun altro e pensasse di non valere nulla per lui.
    Era tutto il contrario.
    «C'è una persona a cui tengo molto, moltissimo. Non pensavo fosse così o forse non ci sarei stato... io non voglio illudere nessuno, credimi, ma ero così arrabbiato, frustrato... io non sono così, Lyl, non voglio essere così.»
    Voleva poter essere un ragazzo normale, senza la costante paura di deludere o far soffrire gli altri. Voleva commettere i propri errori senza preoccuparsi delle conseguenze, voleva giocare a Quidditch, voleva fare così tante cose...
    «Non voglio metterti a disagio, voglio solo che tu sappia... tutto di me. Quindi fammi qualsiasi domanda. Ti giuro che avrai solo la verità.»
    E attese. Attese una sua reazione, qualunque fosse stata.

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    Elisabeth Lynch
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    Joshua Benjamin Evans era un caleidoscopio di sensazioni. Almeno per lei. Rabbia, rancore, ira, ironia, furia, superbia, repulsione, fastidio, dolcezza, simpatia, accortezza, tentazione, eccitazione, affetto. Per lei quel Grifondoro fino al midollo era sempre stata una spina nel fianco, ma doveva pur esserci un motivo se ora si trovava lì, davanti a lui, in ginocchio e con un suo dito a bloccare il movimento di quelle labbra che avevano cercato di assicurarsi che tutto andasse bene. Non pensava di poter sobbalzare al contatto del suo dito freddo con quelle labbra morbide e calde, e non solo per una opposizione di temperature. In silenzio prese posto accanto a lui, coprendo entrambi con la pesante coperta, con lui che liberava i capelli ribelli da quel berretto che si costringeva a voler indossare a tutti i costi. Aveva forse un feticcio per gli Ametrini con il cappello perennemente incollato alla testa? Probabile. Ma quello, almeno per il momento, fu l'ultimo pensiero che si permise di rivolgere a Lucas, in nome di una promessa. Indugiò un po' troppo sul profilo della mascella di Evans mentre sfilava la cuffietta che indossò prontamente. Il suono di un pianoforte le arrivò nitido, insieme a quelle mani che si incontrarono, celate al mondo intero. La strinse, lasciando che anche lui fosse libero di fare ciò che più voleva. La testa venne posata sulla spalla del ragazzo, con il viso rivolto verso il suo collo, mentre il suo respiro vi si infrangeva contro. Gli occhi chiusi, la voce delicata di una ragazza descriveva quello che lei sentiva. Il cuore era accelerato, colori improbabili e opposti come le loro divise di Hogwarts e di Hidenstone mescolate, una promessa che veleggiava tra loro, ed una domanda che forse era più per lei che per lui. Il coraggio non era una caratteristica pregna dei Grifoni? Riaprì il suo sguardo sul mondo, sentendo la sua voce bassa interrompere quella della ragazza. Una promessa è una promessa. No, in quel momento il viso di Lucas non era ancora arrivato a tormentarla. Un po' come quella canzone che sembrava una dichiarazione da parte del ragazzo: la paura di lasciarsi andare, di donarsi a qualcuno e permettere a qualcuno di viverlo davvero... e l'amore. Gli occhi si chiusero nuovamente, mentre il suo naso sfregò un po' contro il suo collo, mentre una gamba si spostò per arpionare quella del ragazzo. Un modo per sentirlo più vicino, ancor di più rispetto a quelle dita intrecciate che ancora non venivano slegate. E dubitava che lo avrebbe fatto molto presto. Josh... Il suo nome era un sussurro, delicato, così come la mano libera che si era posata sul viso di lui per indurlo ad abbassarlo verso il suo, non più posato sulla sua spalla. Voleva perdersi in quegli occhi grigi, ammaliata da quel lato così fragile del moro, messosi un po' a nudo per la prima volta con lei. E no, non parliamo di una mera nudità fisica che in tanti avrebbero potuto goderne, ma quella dell'anima, decisamente più bella, più pura, più fragile. Siamo solo io e te, qui. Solo io e te. Lasciò che le dita scivolassero morbide lungo la sua mandibola, per poi scendere sul suo petto, coperto dalla coperta spessa. Sfilò le sue mani dalle sue, solo per un attimo e per compiere pochi lesti movimenti. Sfilo la cuffia, porgendogliela, finendo per strusciare con lo scostare la coperta, mettersi per un attimo carponi, spostando la gamba del ragazzo per creare uno spazio tra le sue. Si sarebbe seduta nel mezzo, con le gambe che sarebbero state poste al lato del busto del ragazzo, finendo con l'avvolgere la coperta entrambi, chiudendone i lembi sulla schiena di lui. Una posizione un po' strana quella, ma la migliore che le permettesse di avere una visuale completa del suo viso. Voleva imprimere nella sua memoria ogni espressione, ogni sospiro, ogni battito di ciglia. Cercò la sua mano, per lasciare che le loro dita giocassero mentre lui schiuse ancora una volta le sue labbra. E ancora una volta quel ragazzino la sorprese, iniziando a parlare di quella che era la sua famiglia, lasciandosi sfuggire un'occhiata di rimprovero, mitigata però da un sorriso, quando la informò che Daniel gli aveva insegnato a fare botte. Credo che potrei andare molto d'accordo con lui. Non so perché, ma ho la netta impressione che potrebbe fornirmi tanto di quel materiale per prenderti in giro. Stava davvero parlando di cose future? Di mondi che aveva reputato così distanti ma che avrebbero potuto finire con il collidere? Il suo sguardo si addolcì, quando citò la sua malattia. Aveva notato sempre che qualcosa non andasse: il pallore, i vari periodi di assenza, l'abbandono del Quidditch, tanti piccoli tasselli che aveva sì messo insieme, ma che non era ancora riuscita a dare un senso. Ma quella sera sembrava la sera dei senza-armatura e lei, lei voleva conoscere meglio quel ragazzino pestifero capace di sconvolgerle sempre più la sua vita. Anche io voglio sapermela cavare. Era vero il messaggio che si celava dietro quelle parole che aveva messo una dietro l'altra in un sussurro. Non solo avrebbe significato dare un nome a quella malattia, ma anche che sapere cosa fare implicava passare del tempo insieme, non solo per essere istruita, ma per continuare a viversi. Lei non lo voleva perdere, qualsiasi risposta sarebbe uscita da quelle sue labbra. Io non so quale sia, ma se vorrai io vorrei essere lì per non stare lì senza saper cosa fare, per cui... aiutami a farlo. Aiutami ad aiutarti. Lo investì con il suo sguardo, mordicchiandosi poi le labbra. Non sarebbe mai tornata indietro, neanche se tra loro si sarebbe aperta una nuova strada. In quelle settimane di lontananza che avevano passato dopo il suo rientro, la Black Opal aveva sentito fortemente la mancanza della sua insolenza, delle sue frecciatine, di lui. E non voleva perderlo. Non poteva permetterselo.
    La sua lingua schizzò verso il suo diastema, giocandovi nervosamente mentre le parole successive del ragazzo iniziarono un po' a schiacciarla. Oh, sapeva che lui fosse un tipo, come dire... libertino, e nulla da dirgli contro, ma quell'accozzaglia di parole sembravano un rifiuto a un qualcosa che sarebbe potuto andare oltre quella notte, come se avesse paura di qualcosa, oltre che di un cuore spezzato e sofferente. Ma anche... Anche lui ha qualcun altro nel cuore? Si ritrovò a razionalizzare un attimo primo che l'altro lo confermasse. Abbassò lo sguardo, che fino a quel momento era stato puntato su di lui, verso quei colori resi ancor più cupi dall'assenza di luce. Dalle sue parole sembrava come fosse sua la colpa che l'aveva portato a finire tra le braccia di un'altra persona, perché dopo quell'ammissione in biblioteca non c'era stato modo di parlare, prima che vedesse quella parvenza di bacio con Jones. Sospirò. Non era arrabbiata. Non poteva neanche esserlo con lui. Al massimo avrebbe potuto prenderla con se stessa, se proprio voleva trovare un capro espiatorio. Ma ce n'era davvero uno in tutta quella matassa di relazioni? Forse il destino vuole dirmi che per noi non ci sarà mai futuro... Un pensiero quello che finì con lo stringerle le viscere, in una morsa di dolore, come se quel pensiero fosse completamente sbagliato. Con lentezza sollevò il suo sguardo, mentre la mano libera andò a posarsi sulla coscia di lui, stringendola per un attimo. Grazie... Un sospiro, prima di riprendere a parlare in quello che sarebbe stato più un flusso di coscienza. Grazie per essere stato sincero con me. Una nuova pressione venne fatta dalle sue dita sul dorso della mano. Io... io non voglio che tu ti senta più così. Non per me, non per colpa mia Josh. Gli occhi iniziarono a bruciarle in quella che ormai era diventata una familiarità per lei, nell'ultimo periodo, come se tutte quelle lacrime che non aveva permesso di scendere per anni avessero trovato una crepa in cui fluire. La crepa del suo cuore. Io... non posso pretendere che scelga tra me e... Dovette fermarsi, perché la sua voce aveva ceduto. La persona cui tieni... Non posso farlo, non sono così egoista come mi piacerebbe essere. Anche se lei egoista lo era davvero, visto che non riusciva a scegliere tra i due compagni di stanza. Però, ecco, voleva sapere contro chi se la sarebbe dovuta vedere per avere Joshua, sperando che fosse qualcuno che odiasse già e che non avrebbe voluto iniziare ad odiare chi stava iniziando ad albergare nel cuore del ragazzo che le era di fronte. Posso sapere... chi è? Aveva tentennato, perché quel nome non era ancora pronta ad ascoltarlo. Ma se lui era sopravvissuto nel vedere lei e Lucas insieme, poteva riuscirci anche lei, no?


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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Gli sembrava di essere fuori dal mondo, totalmente rapito e pervaso da quelle emozioni che mai nessuna ragazza -o ragazzo, sembra lecito aggiungere a questo punto della sua vita- gli aveva mai fatto assaporare. Era, in quel momento, saturo di sensazioni, di quelle vere che si ha la fortuna di saggiare solo rare e importantissime volte nella vita.
    Aveva tenuto stretta la mano di Elisabeth nella propria, l'aveva sentita poggiare la testa contro la sua spalla e rivolgergli un'occhiata di sbieco, che lui intercettò con la coda dell'occhio; la punta del suo naso contro la pelle del collo lo fece fremere, costringendolo a stringere maggiormente la presa sulla sua mano, mentre parlava, si raccontava e si apriva come non aveva mai fatto con nessuno in tutta la sua breve vita.
    Sentirle dire che fossero solo loro due fu un toccasana per lui, un balsamo che gli permise di restare sereno, calmo per quel lasso di tempo che avevano rubato agli altri e al mondo intero, per restare da soli. Quello sarebbe stato l'unico momento che avrebbe significato davvero qualcosa per loro e Josh aveva in mente tante di quelle cose da dirle, tanti di quei baci da darle, che la sua sola vicinanza gli doleva, di un dolore talmente agrodolce da renderlo felice e al contempo assuefatto.
    Era quello il sapore della felicità?
    La sentì alzarsi e quasi protestò quando percepì la stretta di lei sulla mano affievolirsi, salvo trattenersi nel vederla sistemarsi davanti a sé, seduta tra le sue gambe con le proprie a cingergli i fianchi. Si scostò dal muretto per permetterle di avvolgere la coperta intorno a entrambi, per poi poggiarsi nuovamente e fungere da fermo. Allargò le gambe in modo da permetterle di stare più comoda e le mani le sfiorarono la vita, avvicinandola ancora di più a sé.
    Una posizione estremamente intima, ma perfetta per poterla sentire vicino. Inutile spiegare il tipo di reazione che la sua vicinanza ebbe sul fisico del ragazzo, ma c'erano cose più importanti da affrontare. Lasciandosi sfuggire un sorriso, la mano sinistra di Josh afferrò il proprio cappello e, facendosi strada tra le pieghe della coperta, glielo sistemò sul capo, con la visiera rivolta verso il panorama che lui poteva osservare. Lasciò che dalle sue labbra fuoriuscisse una flebile risata, mentre le mani andavano a intrecciare le dita sulla schiena di lei e lo sguardo osservava il cielo, curioso di riscontrare ciò per cui l'aveva condotta in quel punto.
    «Sono sicuro che gli piaceresti. Lui è più testardo e fastidioso di me, ma adora chiunque riesca a mettermi in difficoltà. E tu, signorina Lynch, tu sei in grado di farmi andare letteralmente fuori di testa.»
    Lo disse con tono grave ma dolce, mentre si avvicinava al suo viso per sfregare la punta del naso freddo contro quello più delicato e sottile di lei.
    Quando si passò a parlare della malattia, Josh non si aspettò una risposta simile. Nessuno gli aveva mai chiesto cosa si potesse fare per lui, come poterlo aiutare. Le palpebre sbatterono un paio di volte prima che lo sguardo si focalizzasse nuovamente su di lei. Cosa avrebbe dovuto risponderle? La vide mordersi le labbra e le sue si schiusero come per riflesso, mentre la lingua le inumidiva. La mano destra abbandonò la compagna per andare a posarsi delicata sul mento di lei, esercitando una lieve pressione col dorso della dita affinché la smettesse di tormentare il labbro inferiore.
    «Si chiama LES, Lupus Eritematoso Sistemico, che mi costringe a letto per diversi periodi e mi procura aumenti di pressioni ingiustificati, anemie, febbre, debolezza o perdite di peso inspiegabili. Non è un granché bello, me ne rendo conto, ma c'è di peggio.»
    Disse stringendosi tra le spalle mentre le regalava un sorriso e riprendeva a guardarla negli occhi, distogliendo le iridi dalle sue labbra.
    «Non c'è nulla che tu possa fare e nulla che io voglio che tu faccia. Non mi sono mai sentito tanto bene e normale come in questo momento, credimi.»
    La sua presenza era già abbastanza e la cosa buffa era che non lo aveva mai considerato possibile, fino a quella sera.
    La vide distogliere lo sguardo quando lui trovò il coraggio di dirle che ci fosse un'altra persona importante per lui e ascoltò le parole che ne seguirono. Avrebbe voluto fare e dire tanto, ma non riuscì in nulla, se non a poggiare le mani sulla sue gambe e a staccarsi nuovamente dal parapetto, avvicinandosi maggiormente a lei.
    «Io ti ho già scelto, Lyl. Ti ho scelta nel momento in cui mi hai tirato quel calcio in biblioteca...» disse in uno stralcio di risata mentre cercava il suo sguardo. «Quando ho pensato di averti persa e oggi, ti ho scelta ancora. Ti scelgo sempre.»
    Voleva che lei lo guardasse, voleva che lei capisse ciò che intendeva dirle.
    «Sei tu che non puoi scegliere me. Non devi.»
    E finalmente lo disse apertamente.
    Si lasciò nuovamente cadere contro la pietra fredda, mentre le palpebre si abbassavano sugli occhi stanchi e il cuore gli batteva a mille. Aveva evitato per giorni quel momento, credendo ingenuamente non dovesse arrivare mai, e invece la domanda giunse.
    Avrebbe potuto non svelarle nulla, mentire o semplicemente dirle che non si sentiva pronto a rispondere. E invece le aveva promesso solo la verità per quella notte, consapevole di poterla perdere definitivamente.
    «E' Jesse.»
    Nel pronunciare quel nome, qualcosa dentro di lui si infranse, lasciando riecheggiare tra le pareti del suo cuore il rumore del vetro che cade in frantumi. Voleva tacere, lasciare a lei la scelta di restare o andarsene, e invece infierì, perché voleva sapesse tutto.
    «Sono andato a letto con lui pochi giorni fa. E no, non mi piacciono i ragazzi se te lo stai chiedendo, ma lui... non so, lui è diverso.»
    Lo era davvero. Ma quando si rese conto di ciò che aveva fatto, di ciò che le aveva detto, lasciò che il busto si riavvicinasse al suo, percependo la sua stessa voce come roca e rotta dal rimorso. Non voleva che fraintendesse, non voleva che soffrisse, non voleva destinarla a questo. Entrambe le mani le sfiorarono il viso, mentre la bocca si avvicinava al suo orecchio e gli occhi iniziavano a bruciargli.
    «Ehi, mi dispiace... mi dispiace...»
    Le sussurrò più e più volte, mentre le lacrime gli annebbiavano la vista. Perché doveva essere così dannatamente sbagliato? Lasciò che la mano sinistra scivolasse lungo il suo collo, afferrando delicatamente il colletto della camicia, mentre le labbra scendevano sulla sua pelle, per muoversi e sussurrare su di esso.
    Lui sapeva quale fosse la verità. Sapeva esattamente ciò che voleva, persino in quel momento, quando una stella cadente li illuminò di striscio, accompagnando ciò che poteva essere considerato un desiderio. Il tono affranto, la voce roca, il respiro caldo che si estingueva in un unico sospiro, conclusosi con una serie di baci su quel collo che da settimane sognava.
    «Io non voglio altri che te. Solo te.»

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    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    Erano vicini, molto vicini. Poteva sentire il suo calore, il suo profumo avvolgerla ancor più dell'abbraccio un po' forzato della coperta su di loro. Erano stretti, erano vicini come mai erano stati o come mai avevano permesso di farlo. Soprattutto lei. Quante altre cose mi sono persa per il mio essere spocchiosa? Si interrogò vedendo il sorriso illuminarsi sul volto di Evans, non riuscendo a resistere dal ricambiarlo. Che fai, ora mi copi le battute? Un chiaro riferimento al fatto che lei, poco più di un'ora prima avesse ammesso come il ragazzo non avesse fatto altro che fotterle la testa. E anche un po' il cuore. Perché dannazione se non aveva preso a batterle freneticamente, come impazzito, quando l'altro le diede il bacio degli eschimesi. Erano tutti gesti romantici, delicati, così come le sue mani che avvertiva intrecciate dietro la sua schiena. Si sporse verso di lui, raggiungendo con le labbra il lobo del suo orecchio. Mi auguro che riusciremo a farlo ancora per molto tempo. Sussurrò, in quella che sembrava un'altra promessa, priva di data di scadenza. Una cosa reciproca e non unidirezionale. Promesse ed aspettative che continuarono ad aleggiare tra di loro quando lui parlò della sua malattia. É per questo che non ti lasci avvicinare davvero da nessuno? Reagì di istinto ma di quello puro, quello che si accettava fino in fondo, quello che non avrebbe mai e poi mai rimesso in discussione per tutta la sua vita. Una cosa che l'aveva presa alla sprovvista, così tanto da farle compiere un piccolo modo per auto-torturarsi. Sollevò lo sguardo su di lui, complice anche la mano che venne posata sul suo mento, inducendola a fermare quel piccolo mordicchiamento. Si lasciò andare contro il palmo della sua mano, continuando ad ascoltarlo mentre elencava tutto quello che aveva già notato. Si limitò ad annuire, senza alcuna traccia di pena e compassione -personalmente, li odiava tantissimo e credendo di conoscere un po' anche lui, quello non avrebbe che potuto fargli piacere- con lo sguardo che vagava dalle sue iridi chiare a quelle labbra che si muovevano, rapendola come fa una sirena con il suo canto con i suoi marinai. Le sue mani si mossero veloci, risalendo lungo il collo, fino ai suoi capelli per avvicinarlo un po' di più a lei, che si era sbilanciata con il busto verso di lui in quello che era un abbraccio. Non vorrei copiarti, ma... anche io. Dopo tanto tempo sentiva che stava finalmente tornando pian piano a reindossare i suoi panni, a riprendere il cammino che la vita le presentava, pieno di rettilinei, salite, discese, ma anche incroci e biforcazioni. La vita era fatta di tante piccole scelte, anche quelle più banali. Ma anche quelle più difficili come quella di rimanere lì ed ascoltarlo parlare di un'altra persona che non era lei. E si sentì piccola, molto più della sua età, quando aveva cercato di essere matura e non capricciosa come avrebbe potuto. Si era mostrata fragile quando l'aveva implorato nel rivelargli che anche lei non avrebbe fatto pressione alcuna per essere scelta, ma ancora una volta Benjamin la sorprese. Sentiva la carne delle sue cosce fremere sotto il caldo delle sue mani, mentre lui... lui diceva di averla già scelta. Confusione comparve sul suo volto. Tu non sei niente e nessuno per dirmi cosa devo fare. Il tono le uscì forse più duro di quel che credeva. Se voglio sceglierti io lo farò. E se ti sceglierò non sarà per un capriccio, perché mi lasci guidare solo dalle sensazioni o da quello che eventualmente la gente possa pensare di me. Il petto le si muoveva su e giù frenetico, mentre lo sguardo, da liquido, si era improvvisamente fatto fiamma. Io ti sceglierò, anche se tu non mi vorrai più. Io ti sceglierò perché sono io a volerlo. E continuerò a sceglierti ogni singolo giorno, anche quando vorrò solo prenderti e ucciderti a mani nude. Le guance si erano colorate di rosso, in quella scelta ipotetica che aveva espresso. Un discorso che sarebbe valso non solo per lui che le era davanti, ma anche per Lucas. La scelta spettava a lei soltanto, anche se avesse significato con il trovarsi con un pugno di mosche in mano, perché una scelta di comodo non era affatto nelle sue corde e mai lo sarebbe stato.
    E poi... e poi semplicemente il momento più brutto arrivò. Quel nome. Quel nome che mai avrebbe voluto sentire dalle labbra dell'ametrino, non ora che con il collega e concasato stava iniziando un rapporto basato non solo sullo scambio della bacchetta -o forse dovrebbe dire bacchette- del loro amico in comune, ma anche su una convivenza che andava ben oltre quella standard richiesta dalla spilla che indossavano.
    Si sentì morire dentro. Jesse Lighthouse non era uno qualunque per l'Ametrin. Jesse Lighthouse stava entrando nel suo cuore e il moro neanche se ne rendeva conto. E lo poteva comprendere. Jesse era uno di quei ragazzi gentili, sempre disponibili, con alti livelli di pazienza -normale se si aveva a che fare con Blake Barnes- ed era una persona che, pur volendo, Elisabeth Lynch non avrebbe mai potuto odiare. Lo stimava, non solo per la spilla che indossava, per i bei voti e il suo bel faccino, ma anche e soprattutto per la personalità. Anche lei, probabilmente, al posto di Joshua avrebbe scelto il biondo prefetto degli Opal, tenendo se stessa a debita distanza. Perché ogni cosa che toccava sembrava che la rovinasse, persino prima di venire al mondo. Provi... provi qualcosa per lui?
    Chiuse gli occhi, forte, sentendo le prime lacrime scendere, con le mani di lui a sfiorarle il viso, forse per avvicinarla a lui solo per scusarsi, in quella che sembrava una litania. Una strana sensazione di umido venne avvertita sul suo collo e non era come quella delle labbra, che umettate, baciavano la sua pelle. Sta piangendo anche lui! Si scostò da lui, cercando il suo sguardo diamantino e trovandolo speculare al suo, nelle condizioni, la ragazza iniziò a scuotere con forza la testa, perdendosi solo per un attimo quando lui rimarcò come volesse solo lei. Avrebbe voluto dirgli che se Jesse era entrato nella sua vita era perché forse lei non era abbastanza importante come poteva credere. Ma non lo fece. No, no, no! Le sue mani veloci andarono a finire sulle sue guance, cercando di spazzare via quelle lacrime amare. Per favore, smettila di piangere... Buffo che lo dicesse quando le sue non facevano altro che offuscarle la vista, rendendo tremula l'immagine del ragazzo. I loro nasi erano vicini e se solo si muoveva di qualche millimetro in più le loro labbra avrebbero finito con l'incontrarsi, ma quel che più le premeva era di potersi perdere in quegli occhi, sbattendo freneticamente le palpebre, per cercare di frenare quelle lacrime. Josh Benjamin Evans, io vorrei solo una cosa... Non riusciva a parlare, a completare quella frase. Dovette fermarsi per un lungo attimo. Vorrei che per una volta, una singola volta, non pensassi a startene dietro quella barricata che ti sei creato... Le iridi si alternavano tra le sue pupille a quelle labbra schiuse, mentre le dita erano rimasta intrecciate ai suoi capelli. E non importa se sarà con Jesse, con qualcun altro o con... me... La destra scivolò sul profilo del viso, con la barba che le pizzicava il palmo della mano, in quella che era una carezza. Ma... Vivi, a fondo e non con il freno tirato. Lasciò che le loro fronti tornassero ad incontrarsi. Perché per quanto crederai di sapere cosa vuoi, di avere il controllo sulla tua vita, di tenere tutti lontani da te non sarà mai così. Ed era quello che era successo a lei: credeva che sarebbe diventata una giocatrice di quidditch professionista, senza un amico e con il cuore a batterle per Lucas... ma poi era stata rapita, senza una vera meta per il suo futuro professionale e con il cuore diviso a metà, perché Evans in realtà l'aveva un po' rosicchiato dall'interno per tanti anni.


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  7. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    La situazione stava loro sfuggendo di mano, ormai era una cosa appurata. Da ché quel pomeriggio Josh aveva avuto tutte le intenzioni di tenerla alla larga da sé, di evitarla come aveva fatto fino ad allora, si era ritrovato a desiderarla più di qualsiasi altra cosa, a tenerla stretta fra le sue braccia, a sfiorare la sua pelle con la bocca e a bramare in maniera quasi viscerale le sue labbra. Ma le aveva solo ammirate, convinto del fatto che non avesse alcun diritto di esercitare pretese su di lei, neppure quella.
    Alla sua domanda, il ragazzo si ritrovò ad annuire. Non voleva entrare nei dettagli, spiegandole che, se anche le probabilità di morte per via del Lupus erano piuttosto basse, quella possibilità esisteva e lui ci conviveva da anni, ormai. La sua famiglia ci conviveva e tutti coloro che gli erano più vicini, che non avevano potuto scegliere altrimenti. Lei e chiunque altro avrebbe ancora potuto farla una scelta diversa e lui avrebbe capito, avrebbe accettato senza alcuna remore.
    Avrebbe dovuto immaginarlo, si disse mentre la fierezza di quella giovane donna si faceva largo fra le parole a cui aveva appena dato voce. Lui non era nessuno per dirle cosa avrebbe dovuto o non dovuto fare, e su questo nulla da dire. Doveva immaginare che Elisabeth non avrebbe mai accettato una situazione di quel tipo, ma era pur vero che anche lui aveva un certo margine di decisione in quella faccenda e, se anche lei lo avesse scelto, lui non avrebbe accettato. Forse il fatto di non voler farla soffrire era la verità, o magari una scusa per mascherare il terrore di essere lui a restarci male, la paura di una relazione stabile che gli avrebbe decisamente cambiato la vita.
    Eppure, se provava ad immaginare le mani di qualcun altro sul corpo di lei, andava fuori di testa. Gli venne alla mente una domanda, spontanea come la necessità di acquisire aria per respirare. Lei aveva detto che Lucas le aveva rubato il suo primo bacio ma, a quel punto, le aveva forse preso altro? Le dita si strinsero di rimando sul vitino sottile della ragazza, reso esile dal mese di prigionia, mentre le sue labbra iniziarono a bramare più feroci il collo di lei. Elisabeth gli aveva posto una domanda molto precisa, ma lui gliene pose un'altra di rimando, molto più marcata e carnale.
    «Dimmi che nessuno ti ha avuta.»
    Era una richiesta impellente la sua, un qualcosa che doveva sapere a ogni costo. Ma quando il suo animo si placò, si costrinse a risponderle; d'altronde glielo aveva promesso, no? Solo la verità, a qualunque domanda lei avesse scelto di porgli.
    «Vuoi sapere se ne sono innamorato?»
    Si lasciò sfuggire con la voce rotta da un mix di sentimenti che non riusciva più neanche a decifrare, impegnato com'era a cercare ancora una volta lo sguardo di lei.
    «No, Lyl, no... Tengo a lui, più di quanto ritenessi possibile, ma è tutto così strano per me, così nuovo e diverso. Non provo ciò che credi e penso che lui lo sappia.»
    In uno scatto avvicinò le gambe l'una all'altra e sollevò la ragazza per i fianchi, facendola così sedere sulle proprie cosce e avvicinandosela in modo che i due busti collimassero l'uno con l'altro. Il suo profumo era e sarebbe diventato una droga, già ne era consapevole, ma decise di godere appieno di quella vicinanza, stringendola a sé senza però smettere di guardarla.
    «Ciò che dovresti chiedermi è cosa provo per te. Perché francamente dopo questa sera non lo so più nemmeno io.»
    Terminò la frase con voce spezzata, mentre la frustrazione di quella situazione lo assaliva, cogliendolo completamente impreparato. Mai prima d'allora aveva ritenuto possibile che una ragazza potesse portarlo a vivere determinate sensazioni e mai avrebbe pensato di poter odiare tanto l'idea di non poter stare con lei.
    «Ma io voglio che ti importi. Che sia con Jesse, con qualcun altro o con te... io voglio che ti importi.»
    Sentiva il cuore battergli a un ritmo forsennato, certo che persino Elisabeth potesse sentirne i rimbombi contro il proprio. All'improvviso, l'aria fredda della sera non fu difficile da sopportare, poiché un'ondata di inspiegabile calore parve impossessarsi di lui.
    Non posso farlo...
    Ma la voleva. La voleva tanto da star male e fu con quella consapevolezza che le sue mani iniziarono a muoversi sulla schiena di lei, la destra a cercare la base della nuca mentre le dita si infilavano tra le ciocche dei lunghi capelli, e la sinistra si spostava sul fianco, fino a incontrare un lembo di pelle nuda che, a contatto con la sua, gli parve di sentir fremere.
    Non posso, non con lei...
    Non avrebbe mai saputo dare un nome a ciò che lo spingeva verso la diciassettenne, alla sete che la sua bocca aveva di quella ragazza, quelle stesse labbra che si accanirono sul suo collo, prima di risalire in superficie e fermarsi a un soffio dalla sua bocca.
    «Se devo iniziare a vivere fino in fondo, allora permettimi di farlo con te.»
    E se lei non si fosse scostata, le labbra di Josh avrebbero cercato le sue in un bacio disperato, colmo del desiderio che nutriva nei suoi confronti, del sentimento che lo avrebbe spinto ad accettare qualunque condizione pur di starle accanto. Le labbra si sarebbero schiuse e la lingua avrebbe cercato l'altra, in un contatto che gli avrebbe sottratto il respiro e lo avrebbe fatto ansimare contro di lei.
    Dio, quanto la voleva.
    E fu un sussurro quello che ne seguì, un sospiro sulle labbra della ragazza che lo stava facendo impazzire come nessun'altra era mai riuscita a fare.
    «Sii mia.»
    Voleva fare l'amore con lei.

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    Elisabeth Lynch
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    Avrebbe dovuto immaginarlo. Un attimo non era un qualcosa di statico e ben definito. Un attimo poteva provocare un effetto valanga, poteva stravolgere una vita e forse ben più di una. In quell'attimo egoistico che i due ragazzi si erano voluti ritagliare ben quattro sarebbero state le persone a pagarne le conseguenze. Quanto poteva portare l'attrazione -anche se forse qui, non è solo quella- a divenire distruttiva? L'avrebbero scoperto presto quei due ragazzini, che al momento, ignari sotto le stelle si lasciavano trascinar via dal beat dei loro cuori, dai loro pensieri sconnessi e dall'istinto. Un po' come quella che l'aveva portata ad infervorarsi sul fatto che lei -e lei soltanto- avrebbe deciso chi scegliere, se mai una scelta sarebbe rimasta ancora a lungo ad aleggiare intorno a lei. Così, come senza risposta era rimasta quella sua domanda che sapeva l'avrebbe ferita nella sua relativa risposta, perché Evans scese un'altra carta con una affermazione che racchiudeva in se una domanda ed anche una speranza. Solo che... lei aveva davvero ben compreso a cosa l'altro si riferisse? Elisabeth era vergine. Non solo non aveva mai avuto un rapporto sessuale completo, ma neanche quello che si potrebbe definire petting, preliminari o limonata dura. Poco era il tempo passato da quando Jug aveva impartito le sue lezioni su come si baciasse, ancora meno quello che aveva avuto per esercitarsi. Quindi no, Elisabeth Lynch era ancora una donzella inesperta tout-a-court. La stretta di lui sui suoi fianchi, anche lì dove c'era una macchia a ricordarle la sua ferita fisica, le sue labbra su quel collo che sembrava esser diventato troppo, davvero troppo sensibile. Ne-nessuno. Era una risposta giusta o sbagliata, la sua? Ma non c'era stato l'attimo per preoccuparsene visto che lui si lasciò sfuggire una domanda che lei aveva posto in maniera diversa e, soprattutto, senza mettere di mezzo un termine così importante come l'innamoramento. Si ritrovarono con i loro sguardi, con l'attesa che la stava distruggendo internamente. E poi... quel no. Quel no che le permise di tornare a respirare. Da quanto era creta nelle sue mani? Quando esattamente gli aveva dato tutto quel potere? Io... Venne interrotta dall'irruenza del ragazzo che la sollevò, facendola sedere cavalcioni su di lui, facendo scontrare i loro busti. Cercò di frenare la caduta, posando le mani sulle sue spalle, trovandosi ancor più vicini. Una vicinanza che le faceva perder ancor di più il residuo di controllo che le era rimasto. Cosa? Strabuzzò gli occhi, lasciando che le braccia puntassero alle sue spalle per recuperare la coperta che in quel momento era caduta. Avrebbe avvolto nuovamente entrambi, anche perché lei non smetteva di tremare. Ma forse, quello, non era dovuto al freddo di novembre. Cosa provi per me? Articolò meglio quella domanda, sospirando profondamente prima di lanciarsi in quello che sembrava un consiglio per la vita. Come aveva detto la frase che le Ivanova le aveva indirizzato, stava cercando di iniziare, in un certo senso da qualcosa.
    Credi che se non me ne importasse, di te, sarei qui ora? Ribatté piccata, un po' risentita, tirandogli i capelli che erano rimasti incastrati nelle sue mani. Dannazione, Ben -il diminutivo del suo nome di battesimo le divenne improvvisamente più facile da pronunciare, perché il pensiero che altri invocassero il nome principale era un'immagine che non avrebbe mai voluto accostare a sé- perché non lo capisci? Il cuore ormai sembrava un cavallo lasciato libero di galoppare in vaste praterie, un cavallo di quelli purosangue che correva verso la libertà, un po' come le mani del mago che dalla sua schiena risalivano lentamente, arrestandosi chi sul collo, alla base dell'attaccatura dei capelli, e chi sul fianco, facendola fremere al contatto con la sua pelle nuda per come lui l'aveva issata per farla accomodare sulle sue gambe. Ma furono le labbra a darle il definito colpo di grazia. Labbra che si fermarono sulla sua bocca in quello che sembrava un andare oltre quell'attimo che si erano ritagliati.
    Le sembrava di trovarsi su un precipizio, pronta a saltare giù, ma non sapeva se ci sarebbe stata una corda, o un elastico, a cui potersi aggrappare; come non sapeva se alla fine del salto avrebbe trovato uno di quegli enormi e voluminosi tappeti salva vita o l'abbraccio della morte. Era giunto il momento, molto prima di quanto avrebbe mai immaginato.
    In un primo istante era rimasta immobile nel sentire le labbra di lui che cercavano le sue, ma un paio di battiti di cuore dopo si ritrovò a morire in quel bacio che sapeva di frustrazione, disperazione, lotte di innumerevoli anni e di un traguardo finalmente raggiunto. Moriva nel sentire le loro lingue rincorrersi, cercare di dominare l'una sull'altra, mentre il respiro veniva sempre meno e le sue mani sempre più confuse. Si spinse con il bacino verso il ragazzo, facendo aderire i loro addomi, mentre non voleva porre fine a quel bacio che sapeva le avrebbe reso le gambe molli qualora fosse stata in piedi. Ma come tutte le cose, anche quel bacio vide la fine, lasciandola ansimante e con lo sguardo sperduto che si riaprì su quel viso. Sii mia. La data di scadenza era arrivata. Quello che avrebbe detto o fatto da quel momento in poi non poteva più essere reso e rimborsato.
    Io non voglio essere come le altre -o gli altri- Ben. Scostò la coperta, cercando di posizionarsi meglio sulle sue gambe. Se io sarò tua, tu dovrai essere mio. Non sono per la condivisione, non in questo. Il suo sguardo era tremendamente serio, nonostante le labbra rosse per quel bacio che ancora le faceva battere forte il muscolo più importante per vivere. Quello però non significava che lei avesse sciolto il dubbio su chi, tra i due compagni di stanza, avrebbe voluto al suo fianco. Ma tu, sei sicuro di volerlo davvero? Non era qualcosa di carnale quello che la giovane opale aveva compreso di volere. E da quella risposta, ormai ne era certa, dipendeva il destino di ben quattro persone. E a lui, non restava altro che essere sincero.


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  9. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Una goccia di pioggia si infranse sulla sua guancia destra, costringendolo a riporre lo sguardo su quelle nuvole di un grigiore impossibile da scorgere nel chiarore della sera. Goccia dopo goccia, il cielo scagliava i secondi che avrebbero dato una fine a quel momento che i due ragazzi avevano sottratto al resto del mondo, scegliendo di essere egoisti, anche solo per una volta.
    Non gli era mai importato il fatto che una ragazza fosse andata a letto con altri prima di andare con lui, in fondo che diritto ne aveva? E sapeva di non poter vantare nessun altro diritto neppure sulla ragazza che aveva tra le braccia, eppure su di lei pareva volerne avere. Le chiese, senza alcuna remore, se qualcun altro l'avesse avuta, se l'avesse sfiorata, conscio per la prima volta in vita sua di quanto gli importasse che non fosse di altri. Né di Lucas né di chiunque altro.
    Alla sua risposta, gli venne spontaneo lasciare che un sospiro si infrangesse sulla sua pelle, mentre gli occhi chiusi si concentravano su altro rispetto all'immagine di Elisabeth in compagnia di qualcuno che non era lui. Poggiò la fronte sulla sua spalla e rimase fermo e in silenzio, abbracciandola fino a quando non sentì l'urgenza di averla più vicina.
    Quando una seconda domanda compromettente arrivò, Josh si rese conto di essere stato lui a chiederle di porgliela. Eppure non mentiva. Non sapeva realmente cosa provasse per lei, sapeva solo di non aver mai provato niente di simile per nessun'altra.
    «Io... io non lo so. So solo che se ti penso con qualcuno che non sia io, mi sento morire.»
    Aveva promesso di dirle tutta la verità e questo avrebbe fatto, d'altro canto lui era il tipo di ragazzo che rispettava la parola data. Dal mattino seguente non le avrebbe mostrato più alcun cenno di sofferenza su tale argomento, non le avrebbe più rivolto lo sguardo freddo e disinteressato di poche ore prima e, soprattutto, non avrebbe più osato palesare il desiderio che aveva di lei, non se non fosse stata Elisabeth a volerlo. Fino a quando, però, non era dato saperlo.
    Ne era innamorato? Quel concetto era talmente lontano dalle sue corde che non lo prese neppure in considerazione, fermamente convinto che l'amore nascesse stando insieme. Ma che fosse infatuato perdutamente di quella ragazza, beh, su quello non aveva più alcun dubbio.
    Le sentì dire che le importava di lui, e a interrompere il flusso di emozioni che lo colsero furono altre gocce, via via sempre più frequenti, fino a quando si rese necessario usare la coperta per ripararsi dalla pioggia. Eppure non lo fece, lasciando che entrambi si bagnassero per qualche attimo.
    Un sospiro spezzato lo colse quando si separarono l'uno dall'altra dopo quel bacio, un bacio che aveva desiderato per anni, ma che solo in quel momento comprese di aver immaginato per giorni interi. Non vi furono aspettative da rispettare, poiché fu meglio di quanto avesse mai osato sperare. Si sentì trascinare da quell'involucro di passione mista a un sentimento a cui non riusciva ancora a dare un nome, poggiò una mano sulla guancia di lei e ne accarezzò lo zigomo con dolcezza, mentre muoveva la propria bocca su quella di Elisabeth, mordendole delicatamente il labbro inferiore, sfiorando la punta della sua lingua con la propria, per poi prenderla con più foga e perdere il respiro in quel bacio che si alternava da dolce a dannato.
    Quando si staccò era senza fiato, respirava a fatica e il cuore gli batteva a mille, lo sguardo languido reso tale dal desiderio che aveva di lei.
    E poi un'altra domanda.
    E l'ennesima consapevolezza di non poterle dare ciò che voleva.
    «Lo voglio.»
    Ed era la più pura e semplice verità, ma c'erano troppe variabili di mezzo.
    «Ma voglio anche che sia tu a volerlo più di qualsiasi altra cosa.»
    La pioggia si faceva via via sempre più fitta, bagnandogli i capelli e la giacca, bagnando ciò che di lei non era tenuto nascosto dal berretto. Lui le raccolse una goccia dalle labbra con il dorso dell'indice, prima di spostare nuovamente le iridi di ghiaccio sulle sue.
    «Sei bella sotto la pioggia.»
    Le disse, portandosi a posarle un bacio a fior di labbra, sulle quali sospirò un'ultima frase prima di riprenderne possesso vorace un attimo dopo.
    «Sei bella sempre.»

    «Parlato» - Pensato - Ascoltato | Scheda PG - Stat.

    RevelioGDR
     
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