Wide eyed and vulnerable

Arwen&Hec

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  1. Hector Lambert-Silverbane
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    Hector Lambert-Silverbane
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    Aveva scoperto che gli piaceva passare del tempo a Denrise, in mezzo ad un ambiente così rustico e lontano sia dalla frenetica Londra che dal sofisticato Giappone da risultargli quasi alieno: amava camminare per i campi, esplorando il bosco – senza mai spingersi troppo in profondità, certo – e osservare la vita di animali magici e non. Gli piacevano soprattutto l’aria pulita e il silenzio che permeavano quei luoghi, un’aura di tranquillità che lo aiutavano a riflettere – il lavoro all’Ufficio di Cooperazione Magica non era tutto rose, fiori e party a casa di questo o quell’ambasciatore purtroppo – e a concentrarsi sullo studio. Stava dimenticando gli ideogrammi, e sedersi sul pendio che portava dalla foresta al villaggio con qualche libro, carta e una buona matita portamine babbana: aveva scoperto che scrivere in ideogrammi con penna d’oca e calamaio era un calvario, i pennelli erano scomodi da portarsi ovunque, e che il mondo babbano offriva tutta una serie di opzioni non troppo costose che permettevano di scrivere decentemente. Dunque anche quel giorno, appena staccato dal lavoro e dopo essersi cambiato, Hector si era trovato sotto il solito albero – uno degli ultimi della foresta – sul pendio di Denrise, l’album sulle gambe, impegnato a ripassare i kanji di tutto ciò che vedeva. Alberi, erba, case … come aveva imparato in Giappone cercò di viaggiare con la fantasia: quali parole potevano essere anche solo collegate al paesaggio che vedeva? All’interno di quelle casupole semplici, cosa avrebbe potuto trovare? E le persone, a cosa mai pensavano gli abitanti di Denrise, sempre presi da questioni private e da quelle tradizioni che incuriosivano il biondo Lambert-Silverbane?
    La luce è ciò che vi guida a casa, il calore è quello che vi tiene lì. | Scheda | Stat.
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    Aspettava quel momento da quando si era trasferita a Denrise.
    Tra il trasloco e tutti gli impegni che sua zia le aveva lasciato con la sua partenza per ricerche di un qualche tipo, oltre al colloquio per insegnare all'accademia di Hidenstone, non era riuscita a mettere neanche un piede in quella meravigliosa e sconfinata natura.
    Aveva sentito il suo richiamo fin da quando era arrivata al villaggio. L'aveva chiamata sempre più forte finchè non aveva ceduto e aveva colto l'occasione di raccogliere alcune erbe per delle pozioni, per iniziare la sua esplorazione.
    per sua fortuna, aveva sì lasciato la sua amata "casa" immersa nel verde, ma si era trasferita in un posto altrettanto immerso nella natura, dove non le sarebbero certo mancate montagne, foreste e soprattutto mare oltre a fiumi e laghetti nascosti qua e là che non vedeva l'ora di scoprire.
    Quel giorno voleva avvicinarsi alla montagna ma non scalarla, sarebbe rimasta nella foresta sul pendio; così si coprì il giusto per restare comoda ma anche al caldo visto il freddo e l'umidità autunnale.
    Presa la borsa a tracolla che usava sempre per raccogliere gli ingredienti, stava per partire quando si fermò sull'uscio.
    Era indecisa se portarsela dietro, infondo andava là "solo per lavoro"...
    Cedette alla tentazione.
    Tornò dentro e dal cassetto di camera sua tirò fuori un "cimelio" di famiglia, trovato in soffitta tra le vecchie cose di sua madre, prima che sparisse. Con delicatezza lo infilò in una custodia protettiva e la mise in borsa, per poi finalmente mettersi in cammino.
    Non le ci volle molto per arrivare alla foresta e trovare ciò che cercava per le sue pozioni.
    In poche ore la borsa pesava già il doppio di quando era partita.
    Soddisfatta saltellava zizzagando tra gli alberi, completamente a suo agio in mezzo alla Natura e a quei posti selvaggi dove l'uomo, babbano o mago, non avevano osato metter mano.
    Ogni tanto tirava fuori dalla custodia l'oggetto "speciale" che si era portata dietro e non le ci volle molto a capire come funzionasse, merito anche di un video trovato su Internet... Che invenzione tanto strana quanto utile avevano fatto i babbani per collegarsi in ogni posto e momento al "mondo".
    Eppure non avrebbe sostituito quella lunga camminata, lontano da tutto e da tutti, con nient'altro.
    Nessun video di gattini buffi o l'ultimo gossip dei VIP più famosi avrebbe mai attirato la sua attenzione più della Natura nella sua perfezione così libera e indomata.
    Stava cercando di seguire il suono dell'acqua che scorreva in quello che doveva essere un fiume poco distante quando sentì il cinguettio di un uccello che non aveva mai sentito. Non le sembrava un usignolo, e poi era difficile ce ne fossero in quella stagione e nel pendio di una montagna. Incuriosita lo seguì fino ad arrivare ad un albero piuttosto alto, alzò lo sguardo e vide un uccellino dai colori vivaci che mai si sarebbe aspettate di trovare in un luogo simile.

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    Era così carino con quel piumaggio giallo e blu che non resistette e, dopo aver verificato che l'enorme albero fosse abbastanza robusto e ramificato per raggiungerlo, assicurò la borsa e iniziò ad arrampicarsi.
    Si legò la giacca a vento ai fianchi restando solo con la maglia a maniche lunghe, così da aver più libertà nei movimenti e, concentrata, un piede dopo l'altro, iniziò la salita.
    Testava prima ogni ramo che sceglieva sia per aggrapparsi sia per poggiarci il piede, non era la prima volta che scalava un albero, da piccola era solita arrampicarsi ovunque e su qualsiasi cosa glielo permettesse, anche suo padre (quando era molto molto piccola).
    Aveva perso il conto delle cadute, tagli e lividi che si era fatta da quando aveva sentito il legame con la Natura, tutto merito di sua madre e delle lunghe giornate passate al lago della Contea vicina, e nella foresta che si estendeva nel terreno di proprietà della sua famiglia.
    Forse aveva ereditato quell'amore proprio da lei... infondo i suoi genitori si sono incontrati per la prima volta proprio sulla riva dell'amato lago che erano soliti visitare.
    Dicevano che era un lago "magico" e lei ci credeva veramente, era proprio vicino ad esso che aveva trovato la sua adorata gatta nonché famiglio Kary, il cui nome in gaelico significa proprio "sulla riva".
    Cercava di avvicinarsi all'esserino facendo meno rumore possibile, non era una cosa molto facile considerati gli accidenti che si mandava da sola ogni volta che sentiva uno scricchiolio sinistro che non sembrava promettere bene.
    Come non fosse volato via già ai primi rami rotti, ancora se lo chiedeva.
    Era riuscita finalmente a raggiungere il ramo esattamente parallelo a quello dell'uccellino, solo il grosso tronco li divideva.
    Con estrema attenzione tirò fuori dalla borsa il suo "nuovo" tesoro: una macchina fotografica che essendo ancora di quelle vecchie, sperò funzionasse benchè "il campo magico anti-tecnologia babbana"...
    Quell'oggetto non poteva esser considerata tecnologia, era più simile ad una scatola con un rullino dentro e delle lenti!
    Non aveva neanche il flash e se ce l'aveva, forse non funzionava perchè non le era sembrato di vedere lampi di luce improvvisi quando prima scattava le foto al paesaggio e alla vegetazione.
    Si sedette su quel ramo all'apparenza abbastanza resistente da reggere il suo peso (non tanto, considerato quanto fosse magra, molto più della metà delle donne di Denrise), appoggiando i piedi in modo da restare in tutta sicurezza e si guardò attorno.
    Alla fine non era poi così alto, se fosse caduta da lì non ci sarebbe rimasta secca, sicuramente rotta qualcosa e un livido grande quanto lei, ma di morirci non vi era il rischio (forse).
    Dovette fare le proprie valutazioni sull'altezza a cui si trovava, guardando il terreno e gli altri alberi poco distanti, poichè la chioma era così fitta (e dovette ammettere anche variopinta considerata la stagione) che non vedeva minimamente la fine del tronco.
    Se fosse caduta, dopo quanto avrebbe visto la terra su cui si sarebbe schiantata?
    Tolse dalla testa quei pensieri.
    Ormai aveva fatto la cazzata, tanto valeva non vanificare quel "tentato suicidio non voluto" stando a supporre quanto avrebbe fatto male cadere da lì... E poi perchè doveva cadere? Avrebbe scattato qualche foto e sarebbe scesa così come era salita, magari con qualche preghiera in più alla Dea Madre e agli Spiriti di non spedirla all'altromondo prematuramente.

    [Fermo lì, piccolino. Ora ti faccio una bella foto.
    Me lo merito un premio per aver rischiato tanto pur di immortalarti! E mi aspetta ancora la discesa...]


    Lentamente, sia per mantenere il silenzio, sia per non spaventare il pennuto, sfilò la macchina fotografica dalla sua custodia nella borsa e con la cordina ad essa legata, se la mise al collo, per esser sicura che non le scivolasse dalle mani per sbaglio; infine posizionò l'occhio dietro al mirino, inquadrò per bene l'uccellino, cercando di metterlo a fuoco girando l'obiettivo con cui si era impratichita per tutta la camminata... e scattò.
    Non se lo sarebbe MAI immaginato.
    Come poteva saperlo, se fino a quel momento non era mai andato?
    Un improvviso bagliore di luce intensa scaturì dalla macchina fotografica, abbagliando la povera creatura che subito scappò via, ma soprattutto fece venir quasi un colpo ad Airwën che non se lo aspettava minimamente.
    Il salto dello spavento che provò con quel flash improvviso e inatteso, le fece involontariamente spostare i piedi e le gambe dall'appiglio sicuro che aveva trovato, sbilanciandosi con la schiena all'indietro, il sedere scivolò dal tronco in avanti... Cadendo.
    I rami che incontrò lungo la "discesa precipitosa" le rallentarono la caduta, ma le causarono anche botte ed escoriazioni su gambe e braccia dove il tessuto dei pantaloni e della maglia lunga si era sollevato e/o lacerato, mostrando la pelle nuda al rapido e cruento contatto con la corteggia ruvida e ben poco delicata.
    Mentre cadeva, la reazione più spontanea della ragazza fu di chiudersi a riccio per proteggere organi interni e la testa, ma anche la macchina fotografica, ricordo di sua madre che non voleva assolutamente rompere.
    Quanto durò la caduta?
    Probabilmente secondi, qualche battito di ciglia, ma per Airwën erano sembrate ore, persa com'era nel tentativo di proteggersi e l'unica cosa che le uscì dalla bocca, urlato come le riuscì fu:

    << Ahhhhh! Fuck ag fuck! Beidh sé a dhéanamh ar coileach dona!>>

    =Ahhhh! Cazzo cazzo! Farà un cazzo di male!


    Eppure l'impatto catastrofico che si aspettava non arrivò.
    Anzi dovette ammettere di farsi Sì male, infondo si era schiantata a terra, ma era finita contro qualcosa di più o meno morbido.
    Non ebbe il coraggio di aprire gli occhi e muoversi.
    Restò un attimo rannicchiata su sé stessa chiedendosi se era ancora viva o era morta appena toccato il terreno e neanche se n'era accorta, cavandosela con "solo" dolori in tutto il corpo, e una epica fitta dove aveva colpito il suolo e qualcosa di non-duro.
    Quando sentì una voce, distorta dal fischio che persisteva nella testa, decise di aprire gli occhi.

    Davanti a lei vi era un ragazzo, biondo, occhi azzurri, decisamente carino.
    Era forse un angelo? Era finita nel paradiso dei Cristiani?
    Ma lei non era credente (a parte per la sua cultura-religione Druidica) che ci faceva lì?
    Nel momento in cui il suo cervello tornò rapido a ragionare, non le ci volle molto a capire cos'era successo: gli era letteralmente caduta addosso, aveva attutito lui la sua caduta.
    La faccia le divenne paonazza dalla vergogna e imbarazzo...

    [Oh Dea Madre... Fammi MORIRE ADESSO, ti prego!]


    Edited by LadyShamy - 21/11/2019, 02:45
     
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  3. Hector Lambert-Silverbane
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    Hector Lambert-Silverbane
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    Non era porprio stanco del suo lavoro, quanto della sua vita. Gli mancava l’esistenza pacifica che aveva condotto in Giappone, sempre intento a decifrare Kanji e ad apprendere cose nuove. Il fruscio della carta di riso, il profumo dei libri antichi, il fascino impossibile – almeno per lui – da contrastare che esercitavano storie e leggende antiche quanto il mondo … Hector tornava bambino, nel sentire una bella storia. Tornava ad essere il ragazzino che ad Hogwarts si rifugiava negli anfratti più nascosti, assetato di conoscenza e armato solo della sua fantasia, più distante che posato. C’era tutto un mondo, nella sua testa, un reame sterminato che era stato costruito pezzo per pezzo durante cene interminabili e lezioni di etichetta, un luogo che faceva della parola scritta la sua legge. Hector era un mago purosangue, nato e cresciuto in mezzo alla magia, eppure le storie dei babbani non avevano mai cessato di affascinarlo: c’erano incantesimi più potenti di quelli di qualunque bacchetta, intrappolati fra le pagine dei libri babbani; formule arcane che si dipanavano una pagina dopo l’altra, mostrando all’improvviso un mondo tutto nuovo che nessun mago o strega sarebbe mai riuscito a creare. C’era poco fantasy, nella letteratura magica. Pochi racconti epici, poche opere di fantasia. Era sempre tutto concentrato sul qui e ora secondo i maghi … e, alla fine, ci si perdeva quella semplice magia che invece sembrava permeare il mondo dei babbani. Era quello che l’aveva affascinato dell’Iliade, la magia delle parole che rendevano immortali i loro protagonisti e di riti antichi quanto il mondo stesso; anni dopo era tornato su quelle stesse pagine alla ricerca di informazioni, ma da ragazzo … Hector si lasciò sfuggire un sorriso, il pennino e i fogli ormai abbandonati in grembo, osservando il paesaggio attorno a lui e godendosi la natura. Da adolescente non era mai stato un gran amante dell’aria aperta, preferendo di gran lunga l’aria polverosa di una biblioteca e il calduccio del camino all’ambiente esterno; ma in Giappone aveva passato molto tempo immerso nel verde e nel marrone delle montagne, e ricordava con piacere i momenti di meditazione passati a gustarsi l’aria pulita e fretta di Mahoutokoro. Cosa non avrebbe dato per essere di nuovo alla scuola giapponese, invece che bloccato al Ministero e in Inghilterra! Poteva tornare là volendo, eppure …
    No. Ho fatto una promessa
    Una promessa di cui si pentiva magari, ma pur sempre una promessa. Aggrottò le sopracciglia, l’impressione che quella giornata fosse stata irrimediabilmente guastata dal pensiero proibito numero uno … e qualcosa – qualcuno – gli cadde addosso. Non fece neanche particolarmente male, Hector in fondo era seduto e la persona che gli era caduta addosso era molto leggera, ma lo shock per poco non gli fece prendere un infarto: che diavolo era appena successo?!
    Hey!
    Era rimasto un po’ sorpreso, ma questo non gli impedì di emettere un leggero suono di protesta per essere stato usato come punto di atterraggio, per quanto non voluto. Insomma, chi diavolo era la … ragazza? Donna? Hector batté le palpebre, cercando di mettere a fuoco nonostante lo shock – e anche un po’ di dolore, in fondo una persona adulta gli era appena caduta addosso da chissà quale altezza – e realizzando solo dopo qualche istante che la persona che era precipitata su di lui forse si era anche fatta male.
    Ehm, stai … bene? Si? Devo chiamare un medico?
    Ma c’erano medici, a Denrise? In ogni caso, gli pareva che la ragazza non si sentisse troppo bene.
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    by Lance
     
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    Airwën restò un attimo immobile, incapace di capire se era effettivamente morta e il ragazzo davanti a lei fosse un angelo.
    Rimase così intontita finchè non lo sentì parlare, allora l'imbarazzo ebbe il sopravvento e desiderò esser veramente morta.
    Il suo cervello si riattivò e in pochi secondi comprese cos'era accaduto, non tanto la caduta, quella le era abbastanza chiara come fosse successa, ma di esser finita letteralmente addosso a lui.
    Tornata a ragionare, tornò anche la percezione dei sensi, un dolore generale in tutto il corpo si fece sentire, pretendendo l'attenzione che meritava dopo una simile botta.

    << Ahi... il mio povero sedere... ho male al fianco... ovunque!>>

    Ricordandosi di non esser da sola, divenne ancora più paonazza, non solo per la figura pessima appena fatta tra caduta e commento, ma si aggiunse la preoccupazione che lesse sul volto e che sentì nel tono di voce del ragazzo, dopo averle chiesto se stesse bene o avesse bisogno di un medico.
    Era tra le braccia di lui, se così si poteva dire, o comunque era sopra le sue gambe, più o meno, così tentò di scattare in piedi facendo forza sulle gambe, per non pesargli più addosso e allontanarsi, ma una fitta al fianco e alla coscia dove aveva toccato terra (o lui) le ricordò di non esser certo scivolata da un arbusto.

    Un << Ahi!>> le sfuggì dalle labbra, smorzando il tentativo di spostarsi e rimettendola al suo posto iniziale.

    Con estremo imbarazzo alzò lo sguardo su di lui e il suo cuore ebbe un sussulto.
    Era così vicina al suo viso che poteva ammirarne i lineamenti delicati e gli occhi azzurri, capelli biondo chiaro facevano da cornice ad un volto in perfetta armonia che le ricordò tanto l'estate e i suoi colori chiari e luminosi.
    Si mordicchiò il labbro, come quando era nervosa o intrigata/tentata da qualcosa o qualcuno (in questo caso si trattava del primo motivo), per poi trovare finalmente il coraggio di parlare:

    << Ti chiedo scusa! Non era certo mia intenzione cadere da quest'albero e atterrarti addosso!
    Spero di non averti fatto male! Mi dispiace, sono una scema! >>


    Era visibilmente agitata e preoccupata più per lui che per sè stessa, cosa buffa se si considerava che era lei quella piombata giù da un albero abbastanza alto da rompersi un arto se non ci fossero stati i rami a rallentarla e non fosse stata "abituata" agli incidenti stupidi come quelli fin da piccola, sapendo così "come cadere" per limitare di danni.

    << Tutto per una foto...>>

    Il ricordo del motivo per cui era salita lassù la mandò nel panico.
    Allontanò le mani dal petto che ancora stringevano il prezioso tesoro di famiglia e con attenzione lo rigirò controllando non si fosse danneggiato.
    Per sua fortuna era tutto ok, ma non ebbe il tempo per rilassarsi perchè un'altra paura la invase, forse ancora più terribile di rompere la macchina fotografica...

    << Oh Dea Madre, ti prego... fa che non si sia fatta niente!>>

    Farfuglio quella preghiera a voce bassa, ma considerato che era ancora sopra di lui, era impossibile non l'avesse sentita.
    Rapida girò il busto, provocandosi un'altra ondata di dolore, ci fece poco caso, preoccupata com'era, afferrò la propria borsa, l'appoggiò sul ventre e l'aprì.
    Da dentro vi estrasse la bacchetta per controllare che non si fosse rotta.
    Lo fece sotto lo sguardo del giovane, in quei monti nessun babbano si inoltrava, a Denrise se già erano mal visti i maghi-stranieri come lei, figurarsi i non-maghi... C'erano più protezioni anti-babbani in quel villaggio che a casa sua in Irlanda.
    Ugualmente, se fosse stato un babbano, semplicemente lo avrebbe obliverato, così da dimenticarsi di averla vista con un vero strumento magico tra le mani, e sicuramente non le sarebbe dispiaciuta l'idea di fargli scordare anche la sua figuraccia appena fatta.
    Il sollievo di ritrovare la sua adorata bacchetta ancora perfettamente integra la fece sospirare e sorridere.
    Poi non si trattenne più, e una risata le scoppiò direttamente dal profondo dell'anima.
    Strinse la borsa al petto come per darsi sostegno, nascose il volto contro il ruvido tessuto, per nascondere alcune lacrime che le erano sfuggite, era scossa dal ridere e dai singhiozzi... che fossero per la buffa situazione o per il dolore ad ogni singolo muscolo era difficile capirlo.
    O forse era perchè, da una simile altezza, avrebbe potuto veramente battere la testa e morire?
    Quando riprese il controllo, con viso ancora appoggiato alla propria borsa, lentamente lo volse nella direzione del ragazzo e con un timido sorriso, lo guardò, gli occhi della ragazza di un blu intenso, ancora leggermente lucidi, cercavano in quelli di lui il suo perdono.
    Quasi sussurrando, come gli stesse dicendo un segreto, gli disse:

    << Se hai un minimo di amor proprio, abbandonami qui e scappa via da me... più lontano che puoi.
    Non lasciarti trascinare dal mio mondo, potresti perderti.>>


    Senza rendersene conto, lenta e indecisa, aveva sollevato la propria mano (quella più vicina a lui) e l'aveva avvicinata al petto del ragazzo, come per volerlo toccare...
    Voleva ancora assicurarsi fosse vero? O sentiva il bisogno di appoggiarsi a lui?
    Perchè sentiva il bisogno di toccarlo?
    Quando si rese conto di cosa stesse facendo, bloccò la mano prima che potesse anche solo sfiorarlo, a pochi centimetri da lui.

     
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  5. Hector Lambert-Silverbane
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    Era sempre stato solo uno spettatore nella vita, Hector. Si era sempre trovato ad essere un po’ spaesato e confuso, incerto sul ruolo che doveva ricoprire nel mondo: non protagonista certo, mai protagonista … eppure gli sembrava che guardare e basta fosse un po’ troppo poco perfino per lui. Doveva muoversi, fare qualcosa. Agire per una volta, mostrarsi deciso o anche solo non del tutto incerto sulle cose. Perfino nei momenti importanti per lui, Hector si era sempre fatto trasportare dalla corrente: lavoro, studio, vita sentimentale e privata … erano stati gli altri a condizionarlo, a muoverlo come una foglia nel vento; e il biondo, docile, si era sempre piegato come una canna di bambù, più che per non spezzarsi per guardare meglio il terreno. No, aveva sempre sentito di non avere alcuno scopo nella vita, e aveva sempre pensato che sarebbe passato in mezzo alle esistenze degli altri senza un sospiro, senza mai intaccarle del tutto, trasparente come un fantasma. Poi. Poi la ragazza che pareva una ninfa, tutta capelli di un rosso così vivido da fare male e occhi blu, gli cadde addosso. Fosse stato una persona meno tranquilla il biondo avrebbe imprecato e si sarebbe lamentato; invece si trovò a guardarla, preso dalla voglia di parlare per ore ed ore con una persona per la prima volta nella sua vita.
    Mi … dispiace?
    Azzardò con un mezzo sorriso di fronte alle sue lamentele: lui non si era fatto granché in realtà, anche se magari avrebbe aspettato ancora qualche minuto prima di alzarsi. E tutto sommato non gli dispiaceva neanche avere la ragazza così vicina: non si era mai sentito altrettanto a suo agio con nessun altro essere umano. Con qualche creatura magica, magari.
    Possiamo andare a cercare un medico se vuoi. Ce ne saranno pure qui …
    C’era un palese dubbio nella sua voce: non era sicuro che i denrisiani avessero medici, o qualcosa del genere. Se non altro lì vicino c’era il castello di Hiddenstone, di sicuro in caso di guai seri non li avrebbero abbandonati a loro stessi. Nel vedere la sconosciuta che provava ad alzarsi il biondo allungò una mano, un “attenta” sulla punta della lingua, timoroso che si facesse male: detto fatto, la donna tornò subito sui suoi passi, crollandogli di nuovo in braccio … e poi agitandosi, parlando di una foto. Quello che attirò l’attenzione del ragazzo però fu l’oggetto che tirò fuori poco dopo, tanto da farlo illuminare.
    Hai una macchina fotografica babbana? Ti piace la fotografia?
    Era una delle cose a cui si era appassionato negli anni passati in Giappone, un piccolo hobby che non pensava di poter davvero condividere con qualcuno nel mondo magico.

    La luce è ciò che vi guida a casa, il calore è quello che vi tiene lì. | Scheda | Stat.
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    Edited by Hector Lambert-Silverbane - 10/12/2019, 13:15
     
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    Gli aveva detto di abbandonarla lì e scappare, eppure lui era rimasto fermo.
    Gli aveva detto di scappare più lontano possibile da lei, invece era rimasto seduto a terra con lei tra le braccia, così vicini che poteva sentire il calore del ragazzo benchè i vestiti.
    Gli aveva detto di non lasciarsi trascinare nel suo mondo, eppure avrebbe voluto perdersi con lui.
    Non sapeva cosa la spingeva a restare lì, tra le braccia di uno sconosciuto, lei che aveva sempre il controllo di ogni cosa, e le volte che si lascia trasportare dall'istinto, era perchè lei lo aveva deciso. Eppure in quel momento, stare così vicina a lui la faceva sentire...bene... come non le succedeva da tempo soprattutto così vicina ad un uomo da letteralmente toccarlo.
    Le aveva sorriso, con un gesto così semplice, che a volte poteva sembrare quasi banale, eppure ultimamente erano così rari i sorrisi sinceri e puri, fatti senza secondi fini, solo per esprimere una sensazione di felicità.
    Gli era caduta addosso, probabilmente gli aveva causato un paio di lividi, oltre a disturbare qualsiasi cosa stesse facendo, eppure le aveva sorriso, invece di imprecarle contro, minacciandole di farle causa per danni fisici e morali, dandole magari della stupida "abbraccia alberi" svitata.
    Si era addirittura preoccupato per lei, chiedendole se stesse bene e se aveva bisogno di un medico.
    A quelle parole una breve risata le scappo dalle labbra, divertita da quella innocente frase tanto gentile.

    << Siamo nei pendii di Denrise.
    Il massimo di cure che potremmo trovare sono i druidi del villaggio e si dà il caso che io sia uno di loro.>>


    Senza aspettare la sua reazione, probabilmente stupita, iniziò a rovistare nella propria borsa, ancora appoggiata sul suo grembo e ne estrasse una bottiglietta, con un liquido al suo interno color porpora, sopravvissuta miracolosamente grazie al morbido panno protettivo a cui l'aveva avvolta.

    << Me la tieni? - gliela allungò senza aspettare che lui rispondesse - Sarebbe un poco imbarazzante e nuocerebbe alla mia reputazione di druida se mi presentassi da un altro per farmi curare.>>

    Prese la bacchetta che aveva appoggiato poco distante mentre cercava la boccetta e con un gemito di dolore si allungò verso le gambe piegandole leggermente.
    Passò la bacchetta sopra le parte che più le facevano male, seguendo i giusti movimenti degli incanti.
    I gonfiori si attenuarono, le ferite smisero di sanguinare anche se ancora aperte.
    Prese la bottiglietta dalle mani di lui.
    Quando le loro mani si sfiorarono, ricevette una leggera scarica elettrica che quasi gliela fece scivolare dalle dita.
    Restò un attimo bloccata, lo sguardo catturato da quello di lui.
    Era come guardare l'Estate che lei tanto amava. Continuava ad avere la tentazione di allungare la mano verso il suo viso, desiderava farlo da quando le era caduta addosso, ma non era il caso, neanche si conoscevano.

    Con un timido e imbarazzato sorriso, per averlo fissato per l'ennesima volta, aprì la boccetta e versò poche gocce sulle ferite ancora aperte.
    Un nuovo cenno di dolore le distorceva il volto ogni volta che il liquido rosso toccava i tagli, era una pozione curativa che si portava sempre dietro in quelle escursioni, proprio in quei casi di necessità... certo, non avrebbe mai pensato di cadere da un albero...
    Rimise tutto, bacchetta compresa, nella borsa, per poi girarsi verso di lui.

    << Questa - e alzò la macchina fotografica ancora assicurata al suo collo - è la causa della mia caduta. E' un cimelio di famiglia, credo fosse di mia madre. Sono figlia di maghi Purosangue, quindi non chiedermi cosa ci facessi con un tale oggetto babbano in soffitta.>>

    Accarezzò con dolcezza l'oggetto, il viso addolcito dal ricordo del genitore da tempo sparito, per poi continuare:

    << Mi ero arrampicata sull'albero per scattare una foto ad uccellino tutto colorato che era la prima volta che vedevo tra queste montagne. L'avevo usata altre volte, per degli scatti, ma non era mai partito il... "flash"? Credo si chiami così...
    E' partito all'improvviso, facendo volare via quella povera creatura spaventata e sbilanciando me dallo stupore, ho perso l'equilibrio...ed eccomi qui.>>


    Fece un'alzata di spalle.
    Un'altra ragazza probabilmente si sarebbe lamentata dello sporco sui vestiti, le foglie e rametti tra i capelli arruffati, il dolore ancora al fondoschiena, ma non lei. Lei era caduta tante di quelle volte, facendo preoccupare genitori e tate, ma si era sempre rialzata.
    Spesso con un sorriso o una risata.

    << Allora... Non sarà una caduta EPICA a farmi passare la voglia di continuare il mio giro tra questi monti.
    Non ti preoccupare per la mia salute, sono un osso duro, mi serve solo un piccolo aiuto per camminare visto che credo di essermi fatta più di un livido e qualche "taglietto".
    Se mi aiuti a camminare, vorrei seguire il suono del fiume che ho sentito mentre venivo in qua, e intanto potresti raccontarmi qualcosa su di te e cosa ci facevi seduto sulla mia pista d'atterraggio.>>


    Cercò di sfoderare il suo sorriso più convincente benchè avesse ancora parecchi dolori qua e là che rischiavano di mascherarla.

     
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