Ma non mi dire!?!

Andrew&Erikir

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    Colui che può trovare la sua strada al chiaro di luna e vedere l'alba prima del resto del mondo
    Stava impazzendo. I tizi dell’ultima missione erano tornati ed erano tornati talmente mal conci che non
    sapeva veramente come riuscire a dormire. Era sparito, lui stava ancora con i postumi di quella rissa,
    continuava a ricevere minacce, adesso aveva anche preso a vedere quel ragazzino e non voleva, in nessun
    modo metterlo in pericolo. Ma in pericolo serio non quello che pensava lui. Era a casa, aveva ripulito
    quell’appartamento in maniera assurda, se mai fosse tornato a casa non avrebbe riconosciuto quel posto
    per quanto pulito, ordinato e decisamente personalizzato era. Aveva appeso delle loro foto ad Dumstrag,
    aveva ripittato tutta la casa, scrostato le padello, aveva ricomprato alcune cose e ne aveva buttato altre.
    Insomma era seriamente impazzito. Andrew era una persona sempre molto calma, ma Erikir lo stava
    seriamente facendo impazzire in maniera assurda. Come cavolo gli veniva anche solo in mente di partire
    senza dirgli assolutamente niente. Era agosto, faceva un caldo assurdo, Andrew era in giro con un
    pantaloncino corto, a dorso nudo, aveva rifrescato l’aria con un incantesimo, i fiori erano rigogliosi sul
    davanzale della finestra. Aveva acceso la musica, stava scrivendo un post sul suo blog, aggiungendo una
    bella ricetta per una pasta particolare, con il pesce e le verdure, inoltre, aggiornava la sua pagina di
    instagram andando a fare l’oroscopo del giorno, specialmente ai babbani piacevano un sacco quelle cose,
    tutto quello sempre guardando la porta nell’attesa che, forse, prima o poi quello stronzo sarebbe rientrato.
    Tutto quello lo stava seriamente uccidendo. Non erano stati abbastanza lontani? Non avevano sofferto
    abbastanza? Allora a lui non era bastato e forse le cose si erano spezzate tanti anni fa. Solo il pensiero lo
    faceva stare veramente, ma veramente triste, solamente il pensiero lo stava uccidendo. Possibile che lui
    non riuscisse a capire che tutto quello era sbagliato? Possibile che a lui non interessava niente di come lo
    faceva stare, posò le mani sul tavolo lasciando il mouse. Diede un pugno alla superficie dello stesso. Stava
    ricominciando a non essere più quello che voleva, e lasciarsi dominare da quella violenza che sempre gli era
    stata insegnata.
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    ANDREW BARBER
    Felici sono coloro che sognano dei sogni per i quali sono pronti a pagare il prezzo per far sì che si realizzino
     
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    In tutta la sua vita si era sempre lamentato di Denrise, della capacità soprannaturale di quel posto di tenere i suoi abitanti ancorati a sè, del fatto che nessuno riuscisse mai ad andarsene per davvero e ora gli sembrava quasi di non conoscerlo nemmeno, quell'ammasso di case, barche e tanfo di salsedine che aveva sempre disprezzato.
    Avrebbe voluto sentirsi sollevato a quella vista, o anche solo sentirsi dilaniato dalla sconfitta di essere ritornato lì ancora una volta ma al verità e che quando riuscì a mettere a fuoco le grotte famigliari sulla spiaggia non provò niente, se non un vuoto freddo e insondabile che gli provocò l'ennesimo conato di vomito.
    Non aveva nemmeno idea di come ci fosse finito, in quel posto e in quelle condizioni, era abbastanza certo di non essere nella sua migliore forma fisica, di non essere in grado di nuotare o anche solo camminare per lunghe distanze, ed era sicuro di provare dolore a muscoli e ossa che non sapeva nemmeno di possedere.
    Non aveva idea neanche del motivo per cui fosse finito lì, se doveva essere onesto: gli ultimi mesi erano stati infernali - Mesi? Settimane? Per lui erano durati anni interi in ogni caso-, ne aveva ricordi fumosi, per lo più ricordava dolore, paura, ansia e un senso profondo di mancanza che non sapeva collocare. Se avesse dovuto dargli un nome avrebbe affermato, pur vacillando, che era stato il suo istinto a trascinarlo a Denrise, una vocina nel fondo della sua testa che gli ripeteva in maniera assillante che solo lì avrebbe trovato la pace e da nessuna altra parte.
    Si trascinò quindi su dalla spiaggia, spostandosi lentamente verso il villaggio, evitando accuratamente di incrociare qualunque passante, una parte di lui che lo metteva in guardia nei confronti di chiunque potesse anche solo vederlo, come se il mondo intero fosse una minaccia.
    Era stanco, provato da innumerevoli notti insonni, tutt'altro che lucido e forse in quel momento non sarebbe stato nemmeno capace di dire come si chiamasse o dove fosse stato. Stava seguendo l'istinto, l'abitudine forse, qualunque parte di lui capace di guidare i suoi piedi ad inseguire una strada che, almeno una parte di lui, pareva conoscere a memoria.
    Annaspò diverse volte lungo la strada, in parte immaginava che non fosse normale ma che cosa poteva mai esserlo in quel momento? I suoi vestiti erano abbastanza consumati e sporchi che era impossibile pensare che fosse stato in un viaggio di piacere, e a completare il quadro i capelli disastrati e la pelle segnata dalla fatica, da diverse ferite e dal mix di sole e sale di certo non gli stavano regalando un aspetto piacevole. A dire il vero era consapevole anche lui che se qualcuno lo avesse intravisto in quel momento probabilmente lo avrebbe allontanato o avrebbe dato l'allarme, eppure quella consapevolezza non riuscì a fermarlo dal collassare contro una porta dall'odore confortante, portando il suo corpo a rilassarsi contro il legno duro e provato dal sole come se ne avesse tutto il diritto.
    " Idiota. Se ti trovano ti fanno a pezzi. Cosa cazzo ci fai qui a riposarti?! Non è un posto sicuro. Missione abortita. Trova un rifugio." provò a ripetersi ma il suo corpo sembrava elemosinare un momento di pace, un secondo per riprendere il respiro e contegno prima di ripartire. Un secondo solo sarebbe bastato, ripeteva in loop il suo stesso corpo, e lui non aveva più le forze per ribattere.
    Si concesse di appoggiare la testa contro lo stipite e ansimare piano, socchiudendo gli occhi pur senza mai abbassare la guardia, i capelli che gli ricevano disordinati sulla fronte, più lunghi di quanto ricordasse di averli mai portati.
    "Fanculo" imprecò a mezza voce al nulla, cercando comunque di fare meno rumore possibile.
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    Avete presente quella sensazione che vi prende allo stomaco prima che succeda qualcosa di estremamente felice e funesto allo stesso momento? Andrew, quella mattina non riusciva veramente a trovare pace. Era come se fosse irrequieto per qualcosa, come se sentisse che da un momento all'altro potesse capitare qualcosa di atroce e bellissimo allo stesso tempo. Ovviamente pensò ad Erikir, e subito guardò la porta, poi si alzò per prendere un goccio d'acqua e sporgersi dalla finestra della cucina, per vedere se magari era in strada e si era preso un altro appartamento. Si, forse doveva essere in quel modo, se no non era possibile. Si rifiutava veramente di pensare che gli fosse capitato qualcosa di brutto e che non lo avrebbe mai più rivisto. Ogni volta che pensava ad una cosa del genere sentiva lo stomaco contorcersi, chiudersi e fargli veramente, ma veramente male. Si morse appena il labbro e tornò a scrivere, ma nello stesso momento in cui stava per mandare l'ultimo click per aggiornare definitivamente il suo blog personale, sentì dei rumori, da prima sotto al loro portoncino, poi qualcuno che saliva le scale a fatica. Si alzò, silenziosamente ed andò verso la porta,per aprirla e vedere chi fosse. Insomma strano che a quell'ora potesse essere qualcuno. Ma, il respiro, i passi, e tutto quello che si poteva udire con l'orecchio umano avevano solamente un nome: Eirikr! Sussurrò spalancando la porta e vedendolo ancora appoggiato allo stipide della porta, intendo a non fare rumore e soprattutto... Sgranò gli occhi. L'avrebbe voluto buttare giù dalle scale per la paura e l'ansia che gli aveva fatto prendere in tutti quei mesi, voleva prenderlo davvero a calci in faccia, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu portargli un braccio sotto l'ascella e trascinarlo in un appartamento lindo e pinto. Lo fece stendere sul divano. E lo osservò, attanemtante, facendo avanti ed indietro. Dove sei stato? Perchè ti hanno ridotto in questo modo? Chiese con un'unica vera e bramosa voglia: abbracciarlo. Corse in cucina a prendere un pò d'acqua. In quel momento Andrew sembrava una casalinga impazzita a dire la verità.
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    Non si era reso conto di quanto fosse davvero stanco fino a che non aveva toccato il suolo e tutta la stanchezza accumulata gli era caduta addosso. All'improvviso gli sembrava impossibile riuscire a camminare anche solo per un altro passo, o anche solo respirare regolarmente o ragionare. La vista gli si era appannata parecchio tempo prima, tutto quello che lo circondava aveva cominciato ad avere ben poco senso e non sapendo a che cosa appigliarsi finì per provare a chiudere gli occhi, ignorare quella vocina nella sua testa e concedersi un attimo di pace.
    Quel posto era silenzioso, questo era indubbio: isolato, lontano dal caos e dall'odore salino del mare che ormai cominciava a dargli la testa. Ora che l'aria che respirava non era del tutto satura di salsedine gli sembrava di riuscire a recuperare, granello dopo granello, un po' della sua lucidità. Sarebbe stato un processo lento, poteva già dirlo, ed era abbastanza sicuro che fosse colpa: ad un certo punto doveva aver trovato l'interruttore per spegnere ogni cosa, cervello ed emozioni comprese, abbastanza da non provare più nulla, ora però non sapeva come ripristinare il tutto. Non era nemmeno sicuro di rivolerle indietro, certe sensazioni, si ritrovò a pensare che l'incosapevolezza non fosse poi qualcosa di così negativo in certe circostanze.
    Avrebbe pagato per qualche ora di sonno anche lì, sotto quel porticato, qualcosa dentro di lui gli suggeriva che lì non avrebbe corso troppi rischi, almeno per il momento. Eppure quando pensava di potersi lasciare andare, o almeno provarci, cominciò a sentire dei passi e una voce fin troppo vicina, portandolo a tendersi all'istante, improvvisamente di nuovo vigile.
    Non riuscì comunque ad alzarsi, scoprì di non averne più le forze, e si ritrovò ad imprecare a mezza voce, cercando la bacchetta -rovinata anche lei- nella tasca interna della giacca, senza avere troppo successo. Si sarebbe ritenuto spacciato se solo gli occhi del ragazzo che gli stava di fronte non avessero brillato di quella che sembrava...preoccupazione? Lo osservò corrucciando appena le sopracciglia, confuso, e provando un famigliare calore alla bocca dello stomaco: lo conosceva, in quel momento riconosceva a malapena il proprio nome ma lui e quel ragazzo si conoscevano. Poteva fidarsi? Forse, di certo non ebbe scelta quando l'altro lo trascinò dentro di peso, portandolo a gemere piano per il dolore mentre cercava di opporre resistenza senza troppi risultati.
    Anche solo quella breve strada lo portò ad ansimare, una volta raggiunto il divano, mentre cercava di riprendere fiato e mettere a fuoco l'ambiente circostante, per individuare eventuali pericoli.
    "Certo, come se sapessi come difendersi ora... non sai nemmeno dove sia la tua bacchetta", "Noi...ci conosciamo vero...?" domandò con voce roca e gracchiante, segno che non aveva parlato troppo di recente.
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    Erikir si era sempre preso davvero cura di lui. Lui era stato il suo migliore amico da sempre, gli aveva dato qualcosa a cui aggrapparsi, gli aveva dato non solo la speranza, ma anche una ragione per vivere e combattere per la sua verità. Da quando era adolescente non avevano fatto altro che stare insieme, non avevano fatto altro che essere uno l'opposto dell'altro ma uno il completamento dell'altro. Si erano sempre spalleggiati e lui gli aveva sempre coperto le spalle anche in quella folle convinzione che non avrebbe mai usato la violenza. Almeno mai più. Quando avevano litigato e le loro strade erano belle che state divise, Adnrew aveva fatto in modo e maniera di reinventarsi, ma alla fine non aveva mai cercato davvero di dimenticarlo, continuando a scrivergli e a dargli sempre notizie della sua vita, delle sue scoperte. Non era ricco, non era una persona che riusciva veramente ad essere spensierata, ma era altruista e sapeva che quello che provava per Er era diverso, era troppo forte per essere solamente amicizia. Forse anche la parola amore era troppo poco, troppo scontata. Fece un respiro profondo vedendolo in quel modo, sentendo la sua voce completamente rauca, sapendo che qualcuno lo aveva conciato in quel modo, sapendo che lui non aveva fatto niente e che addirittura neanche sapeva dove fosse stato per andarlo a prendere. Perchè non riusciva ad essere come Erikir e a capire sempre tutto in tempo, prima della morte? Lui era riuscito a tornare da solo mentre Andrew non faceva altro che maledirlo per averlo abbandonato. Vederlo così gli dava un senso di vomito per se stesso che la metà bastava. Si sentiva in colpa, si sentiva uno stupido bambino viziato che non riusciva a dare al fratello maggiore quello che quest'ultimo dava a lui. Stava per dire qualcosa, quando gli fece quella domanda. Il mondo di Andrew crollò completamente. Non dici sul serio, vero? Ehi... sono Andrew, Andrew Barber il... Era chiaro che non ci stava capendo niente. Lo sapeva che non poteva dimenticarsi di lui. Aveva bisogno di riposo, quindi con un tocco di bacchetta gli preparò un bagno, con dei sali rilassanti, gli levò la maglietta, anche i pantaloni e poi lo fece arrivare fino al bagno, facendolo entrare nella vasca. Devi risposarti. In questo momento l'unica cosa che ti serve sapere è che sei al sicuro. Qui nessuno ti farà del male, puoi giurarci. Disse poi prendendo una sedia e piazzandosi li affianco a lui. Adesso nessuno lo avrebbe smosso da li, se qualcuno voleva ucciderlo, allora era meglio che si preparava a combattere, perchè Andrew non avrebbe mai mollato il suo non parabatai! Possibile che non si ricordava di lui, possibile che era stato così tanto tempo fuori dal mondo che adesso aveva resettato tutto? No, si rifiutava di crederlo e mentre l'acqau della vasca da limpida diventava di un colore nero frammisto al sangue, Andrew guardava il suo amico dai capelli spettinati e lunghi come se stesse cercando un qualche indizio, qualcosa che potesse dirgli chi diavolo fosse stato a fare quello.
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    I suoi ricordi e i suoi pensieri erano ancora lì, da qualche parte, di questo era certo, solo che risultavano difficili da afferrare, e tutti i concetti che pensava di poter elaborare scemavano prima di prendere una vera e propria forma. Se era arrivato lì era perchè ricordava, perchè una parte di lui sapeva che avrebbe trovato rifugio in quel posto e che qualcuno lo avrebbe aspettato, solo che in quel frangente i nomi, le situazioni specifiche, le ragioni continuavano a sfuggirgli.
    Si sentiva nel posto giusto, per lo meno, e nonostante il cuore accelerò il suo passo in un primo momento e la sua mente si sforzò di tenerlo comunque sveglio e attivo, alla fine la sua rigidità cedette in fretta il passo ad una certa arrendevolezza. Grugnì comunque quando l'altro lo trascinò in piedi, portandolo dentro in un appartamento fin troppo ordinato, che la sua mente riconobbe ma solo in parte. C'era qualcosa di famigliare lì dentro, tanto da accentuare quella punta di calore alla bocca dello stomaco, eppure al contempo c'erano una luce e un odore che non riconosceva del tutto.
    Non aveva abbastanza energie per occuparsi anche di quei dubbi, però, era già che riuscisse a rimanere sveglio e non aveva tempo per distrarsi con quelle domande senza risposta. Annaspò al suo fianco, incrociando il suo sguardo quando cominciò a spiegargli chi fosse. Andrew... il nome se non altro suonava famigliare, non sembrava sollecitare nessuna reazione negativa e non avendo altro che il suo istinto a cui appigliarsi non poteva che accontentarsi di quella sensazione e farsela bastare.
    Si irrigidì solo quando l'altro fece scomparire i suoi vestiti, sentì la pelle tendersi e leggeri brividi corrergli lungo la schiena. Sgranò gli occhi, suo malgrado, all'improvviso molto più attento ai movimenti dell'altro. Sapeva di non poterlo contrastare sul serio, non in quelle condizioni, e una vocina nella sua testa continuava a suggerirgli di fidarsi quindi non potè fare altro che lasciarsi trascinare in vasca.
    Suo malgrado esalò un mezzo sospiro di sollievo quando l'acqua calda cominciò a sciogliere i suoi nervi tesi e per qualche istante riuscì solo a socchiudere gli occhi e godersi quella sensazione così piacevole, dopo fin troppo tempo di freddo penetrante e umido abbracciato alle ossa. Non poteva comunque permettersi di rimanere immobile, a godersi l'acqua calda, troppo a lungo o sarebbe sembrato un'idiota, così alla fine si tese per recuperare la spugna, mugolando quando la sua spalla destra protestò al movimento. Non si arrese comunque, riuscendo ad afferrare la spugna e provando a passarsela addosso, seppur con movimenti rigidi e arricciando il naso.
    "Mi dispiace..." sussurrò dopo un po', in parte perchè il silenzio stava diventando assordante e in parte perchè non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Come poteva cominciare da qualche parte quando la sua mente non era nemmeno lucida? Sospettava avesse più senso riordinare i propri pensieri, prima, e poi cominciare a costruire un discorso di scuse vere e proprie, piuttosto che mettere assieme qualcosa di sconnesso e improvvisato, ma poteva davvero starsene lì con le mani in mano a godere di quelle attenzioni senza dire nulla? Non gli sembrava né giusto né davvero possibile.
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    Non poteva credere a quello che stava succedendo. Erikir non si ricordava di lui? Non era possibile, quello era davvero un incubo, un incubo che non stava avendo fine: prima qualcuno lo aveva portato via da lui, poi era sparito, poi si erano ritrovati, poi era sparito di nuovo. Adesso, il tutto era culminante. Se il predone non si ricordava di lui, allora la sua vita che senso aveva? Se il metà densiriano non aveva contezza ne memoria dei giorni passati insieme a lui, allora la sua intera vita era da cancellare. Eppure sapeva che non era possibile. Tutto quello non era affatto possibile. Si morse il labbro, decise che tutto quello era difficile da digerire ma che avrebbe fatto in modo e maniera da fargli tornare la mente, perché loro erano un’unica cosa e nessuno, ripeto, nessuno poteva dividerli, neanche e seppur volevano. Andrew si rese cura di lui, cercò di non far caso alle occhiatacce schive dell’amico, cercò di evitare, in tutti i modi di non dar peso a tutto quello, cercare di capire la circostanza, cercare di capire che era normale che si comportasse così, specialmente perché non sapeva chi fosse e dove si trovasse. Ecco, forse il problema non era Andrew, forse era che doveva ricordarsi di chi fosse davvero! Lo infilò nella vasca e rimase li a guardarlo, stava seriamente cercando di non parlare, di farlo rilassare, di riuscire ad avere pietà per i suoi nervi e non inondarlo di domande. Lo vide prendere la spugna a fatica e cercò di aiutarlo, per quanto sapeva, benissimo, che lui non era tipo da farsi aiutare. Ma cosa importava? Andrew amava, letteralmente quel ragazzo, era il suo tutto, la sua famiglia e non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Ancora respirò profondamente, vedendo l’acqua diventare pian piano nera. Bisognava cambiarla. Lo fece di nuovo con un tocco di bacchetta, in maniera tale che l’acqua sporca andasse nel lavandino e quella pulita non lo lasciasse al freddo e nudo nella vasca, poi quel “mi dispiace” gli arrivò dritto in faccia. Fnì di fare quel processo e poi lo guardò, scosse appea il capo e sorrise, solare, come sempre. Non devi dispiacerti per niente, dispiace a me di non essere venuto con te, di non aver fatto niente per evitare tutto questo. Sono il tuo amico e sei sempre stato tu a proteggermi, a dirmi che devo reagire con la stessa moneta e così via… eppure non sono riuscito a fare lo stesso con te. Sono io che dovrei scusarmi per essere stato un pessimo amico. Un pessimo fratello Alla fine abbassò lo sguardo. Si, era quello che pensava. Se lui non avesse questa maledetta mania di uscire presto la mattina per andare a meditare, per andare a prendere la colazione o dei biscotti, allora lui non avrebbe mai avuto la possibilità di lasciarlo in quel modo, senza neanche un biglietto. In quel momento non sapeva se era più arrabbiato con Erkir oppure con se stesso. Ma forse era la stessa, identica, cosa.
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    Non aveva avuto modo di interagire con troppe persone interessate alla sua salute, nell'ultimo periodo, ma si rendeva conto da solo, senza nemmeno bisogno di sforzarsi, di quanto fosse strano spiegare a qualcuno perchè non si ricordasse di lui. Non era una di quelle cose che potevi buttare lì, e di certo non poteva affrontare quel discorso senza spiegargli anche quello che era successo nell'ultimo periodo, qualcosa che non ci teneva particolarmente a rinvangare, non subito almeno.
    Aveva bisogno di tempo, almeno di mettere a tacere la maggior parte dei suoi pensieri, anche solo per qualche ora.
    Avrebbe voluto opporre resistenza, c'era qualcosa di imbarazzante nell'essere un adulto e lasciarsi lavare in quel modo, ma dopo aver lottato per qualche istante si arrese con un mezzo sbuffo, senza protestare più di tanto, anche perchè non aveva alcuna scelta. C'era poco che potesse fare in quel momento, finì quindi per osservare il soffitto o le mani di Andrew, rilassandosi appena sotto di lui e tornando fermo, l'unico modo che aveva per provare a zittire i suoi muscoli doloranti.
    Non si era nemmeno reso conto di quanto fosse stanco fino a che non si era fermato, e nell'acqua calda, in un ambiente così silenzioso, rischiò davvero di addormentarsi, tanto da sussultare appena e aprire gli occhi di scatto quando l'altro rispose alle sue parole. Non si era quasi accorto di aver parlato, ma gli dispiaceva davvero e non era alla ricerca di scuse, solo che non sapeva da dove altro avrebbe potuto cominciare a parlare e gli sembrava la prima cosa vera che potesse dire.
    Non si stava riferendo solo a quello che stavano facendo, non gli dispiaceva solo perchè si stava occupando di lui in modo imbarazzante, ma anche perchè aveva poco da offrirgli se non quelle due parole in croce e pensieri confusi. Sospirò piano, concentrandosi sulla voce dell'altro e sforzandosi di non perdere una parola, anche se la sua concentrazione peccava sotto molti punti di vista.
    SI voltò a guardarlo, perchè sentiva che certi discorsi non si potevano fare senza nemmeno guardarsi in faccia, e corrucciò appena le sopracciglia cercando di confermare o smentire quelle parole, anche se il suo istinto gli suggeriva che fosse davvero così. Non del tutto, era abbastanza certo che anche l'altro a suo modo lo avesse protetto o non si sarebbe sentito a suo agio.
    "Non credo... avresti potuto salvarmi...E' meglio così, tu eri qui... non ti avrei voluto là in mezzo..." provò a spiegare, parlando con calma e mantenendo una voce abbastanza bassa per non sentire anche la gola, ancora ruvida, protestare. Sospirò piano, provando ad elaborare un concetto più elaborato di quello. "Non... mi riferivo a questo. Mi dispiace... credo di essere stanco... so che sono al sicuro... e mi fido... è solo... tutto molto confuso." provò a spiegare, abbassando questa volta lo sguardo e fissandosi le mani per qualche istante, incapace di trovare qualcos'altro di neutro da guardare senza sembrare un idiota. Che cos'altro avrebbe potuto fare? Non aveva alternativa se non aspettare e l'ultima cosa di cui aveva bisogno sospettava essere calma e pace, almeno per un po'.
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    La cosa che più dava sui nervi ad Adnrew era che lui continuava ad insistere e persistere su qualcosa che non poteva sapere. Nonostante lo stesselavando con una cura ed una gentilezza in mano, nonostante si era scusato lui per primo per non essergli stato accanto, lui non lo avrebbe voluto al suo fianco in quello che gli era successo. Andrew lo guardò con una faccia tra lo sgomento e lo spigottito. Lo stava prendendo in giro? Insomma davvero si sentiva nella posizione di dover dire una cosa del genere? No perchè tutto quello era seriamente assurdo. Era vermanete qualcosa di inaudito! Come si poteva permettere di dire una cosa del genere. Mollò la spugna dentro la vasca quasi sbattendola facendo in modo che arrivassero degli shizzi d'acqua in faccia al suo non parabatai e poi si alzò cominciando a camminare avanti ed indietro nella stanza. Continui a tagliarmi fuori da qualcosa! Qualsiasi cosa che ti sia successa io potevo proteggerti o comunque potevo aiutarti. potevamo fare squadra, avremmo vinto noi come sempre! Non stava urlando solamente perchè non gli apparteneva farlo, ma avrebbe davvero voluto perchè adesso era lui quello in subiglio. Ma poi fece un sorrisetto. Le tue parole mi fanno capire che neanche di fronte alla morte riusciresti a cambiare, a pensare che IO ti possa proteggere per davvero! Assurdo. Poi si rimise seduto. Facciamo così. Io ti lascerò dormire, in questa vasca, al caldo, ti farò rilassare, senza farti dire più una parola, ma tu, dopo dovrai dirmi tutto quanto. E non era una richiesta, quella era una pretesa.
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    Sospettava di non essere nelle condizioni migliori per intrattenere una conversazione del genere, ma in quel momento non sapeva come declinare il tutto o spiegare all'altro che non era abbastanza lucido da riuscire a fare dei ragionamenti così complessi. No, era abbastanza sicuro che fosse impossibile vedere quel ragazzo come incapace di difendere qualcuno, se si sentiva così protetto al suo fianco era perchè sapeva che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Non aveva dubbi, nonostante la sua confusione, che l'altro avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, gli bastava vedere come lo stava trattando per intuire che non lo avrebbe lasciato da solo per sua scelta.
    Non si aspettava una reazione del genere, sussultò quando la spugna venne lanciata in acqua, facendogli finire alcune gocce di docciaschiuma negli occhi. Non si lamentò per quello, più che altro venne spaventato dal suo modo di fare e si ritrovò a seguirlo con lo sguardo per la stanza, gli occhi sgranati, la schiena di nuovo tesa e la spalla che protestava leggermente.
    Cercò di non sembrare troppo spaventato, sospettava che non gli avrebbe fatto piacere, ma non poteva dirsi spiazzato da quel gesto così imprevedibile, sopratutto per uno che fino a qualche istante prima si era mostrato così pacato.
    Il suo sorrisetto lo inquietò ancora di più, mandandogli un brivido lungo la schiena che si sforzò con tutto sè stesso di ignorare. "Non... non ci stavo nemmeno pensando, non è questo il punto. Non ho scelto niente di tutto questo, non avevo modo di avvertirti..." provò a spiegare per poi passarsi una mano tra i capelli, finendo per bagnarli e insaponarli senza volerlo. "Sono comunque tornato qui e... davvero vorrei spiegarti di più, ma non credo di essere in grado di farlo adesso." concluse alla fine, concedendosi di rivolgergli uno sguardo provato e stanco, abbattuto, per poi scuotere la testa alla sua proposta mentre cercava di alzarsi, nonostante la vasca scivolosa e il poco equilibrio non fossero buoni alleati.
    "Non... non è necessario, posso andare sul divano, io... ho solo bisogno di silenzio." finì per bofonchiare, a corto di fiato, cercando di raggruppare le ultime energie che aveva per evitare un conflitto che non avrebbe saputo affrontare e al contempo provare a rimettere insieme i pensieri per potergli davvero dare qualcosa di più concreto il giorno dopo.
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    Non disse altro. Era inutile parlare. Era completamente inutile dire qualsiasi altra cosa. Si vedeva che era provato, stanco e che forse non sapeva neanche cosa stesse facendo o dicendo. Se non si ricordava di lui era grave e di conseguenza doveva attendere. In fondo aveva atteso fino a quel momento il suo ritorno, adesso lo aveva li, non poteva aspettare fino all'alba? Certo che poteva farlo e lo avrebbe fatto. Inutile anche dire che fremeva dalla voglia di abbracciarlo e staccargli la testa insieme. Non era qualcosa di cui andava fiero ma non era neanche qualcosa che poteva evitare. Era una sensazione strana, era una sensazione che non aveva mai provato fino a quel momento, o meglio, l'aveva provata solamente quando lui aveva scelto quella stronza invece di lui. Si morse ancora il labbro. Si ricordava, almeno chi era? Avrebbe voluto seriamente chiederlo, ma non ne ebbe cuore, aveva paura della risposta, quindi alla fine, decise di lasciarlo in pace, decise di aspettare un giorno. Sospirò. Asciugati e va a dormire nella tua camera, hai bisogno di riposo. Domani mattina avrai sicuramente bisogno di energie. Ah, vado a prepararti la cena. Uscì dal bagno, lo lasciò da solo con i suoi pensieri mentre lui si mise a cucinare il suo piatto preferito. Una volta che era uscito dal bagno, Andrew gli fece segno di mangiare qualcosa. Chissà da quanto tempo non lo faceva, chissà se chi lo aveva ridotto così si era divertito anche a torturarlo. E poi pensò a quello che era successo a lui e si sentì maldettamente in colpa. E se era colpa sua tutto quello? E se fossero stati gli stessi aguzzini suoi? Non era possibile, Eirikr era molto più resistente ed era sicuro che si sarebbe ribellato e li avrebbe fatti a brandello. Ne era certo. Sospirò appena e lasciò che mangiasse se voleva e poi lo vide andare a letto. Lui si mise sul divano. Inutile dire che non riusciva a dormire e che di tanto in tanto sarebbe andato a vederlo, nella sua camera. Anche solo per dormire. Era importante per lui, Eirikr era la cosa più importante che avesse e da quel giorno in poi non lo avrebbe mai davvero lasciato da solo.
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    ANDREW BARBER
    Felici sono coloro che sognano dei sogni per i quali sono pronti a pagare il prezzo per far sì che si realizzino
     
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    Forse avrebbe dovuto insistere, ma nel momento in cui l'altro gli concesse davvero un attimo di pausa non riuscì ad opporre alcuna resistenza e si arrese all'istante. Non spiaccicò più nemmeno mezza parola per un po', come se aprire bocca gli costasse ormai troppa fatica, e si trascinò lentamente fuori dalla vasca, dentro dei vestiti puliti e poi in cucina. Non ebbe cuore di dire ad Andrew che aveva lo stomaco chiuso, la testa che pulsava e che la fame era l'ultimo dei suoi problemi, piuttosto si sforzò di mandare giù qualcosa e fargli un mezzo sorriso di gratitudine. Poteva immaginare quanto fastidio gli stesse causando, o quanta rabbia potesse provare nell'occuaprsi di qualcuno che non riusciva nemmeno a dargli delle risposte, ma dopo essersi sforzato di mangiare più di un solo boccone non riuscì a fare di più. Alla fine si alzò da tavola, limitandosi ad un "Grazie, lo finisco domani." strascicato, mentre cercava di trovare un posto dove dormire. Dal momento che Andrew sembrò accaparrarsi del divano non gli rimase altro che la camera da letto, che la sua mente trovò famigliare e assieme sbagliata.
    Cercò di pensare il meno possibile, di lasciarsi cadere sul materasso e provare a riposare, anche se era quasi troppo stanco per prendere sonno. Impiegò parecchio a convincersi a non analizzare ogni minimo suono nel silenzio, a non cercare di dare un senso ad ogni ombra nella semi-oscurità, ma alla fine riuscì a chiudere gli occhi solo quando sentì la presenza di Andrew nella sua stessa stanza. Il suo ultimo ricordo era il respiro dell'altro più vicino, e poi riaprì gli occhi con il sole in faccia, i raggi caldi che trapelavano dalle finestre che gli scaldavano il viso e gli uccellini che cinguettavano rumorosamente fuori. Non era stato quello a svegliarlo, piuttosto un incubo che lo aveva riportato alla realtà, il cuore accelerato ma le labbra serrate per non farsi scappare nemmeno un gemito. Si prese qualche istante per rallentare il respiro quando si rese conto di essere ancora in un ambiente sicuro, libero di muoversi - e di scappare, se necessario- in un ambiente famigliare.
    Le poche ore di sonno che si era guadagnato gli avevano regalato un po' di quella tanto sperata lucidità e cominciò se non altro a rendersi conto che era a casa sua, nella propria stanza, anche se non avrebbe saputo dire come ci fosse arrivato. "Andy?" gracchiò piano, con voce roca, mettendosi a sedere sul letto per cercare l'altro con lo sguardo. Era abbastanza sicuro che non fosse così lontano, sapeva di avere parecchie domande arretrate a cui rispondere, ma per il momento tutto ciò che voleva era vederlo, ora che era più presente a se stesso, assicurarsi che stesse bene, che in quei mesi non gli fosse successo niente. Gli Dei solo sapevano quanto si fosse preoccupato per lui, quanta paura avesse avuto di perderlo, ora che era da solo, alla mercè dei suoi aguzzini o .peggio ancora. sulle sue tracce.
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    Alla fine si era messo vicino a lui e si era addormentato. Quante volte lo avevano fatto? Andrew si sentiva così assurdamente al sicuro con Eirikr vicino che non capiva perchè stava facendo quell'andi rievieni dal divano al suo letto. Il predone si era anche potuto scordare di lui, ma Andrew aveva ben in mente chi fosse il predone e non aveva nessuna intenzione di lasciarlo scappare di nuovo. Gli voleva bene ed averlo di nuovo a casa non era altro che un sollievo. Come era sopravvissuto tutto quel tempo senza l'amico vicino? Gli doveva dire così tante cose che non sapeva neanche lui, esattamente, da dove iniziare. Comunque, morfeo aveva fatto la sua parte ed Andrew aveva dormito tutta la notte con almeno una parte del suo corpo appicciata all'amico proprio per vedere se si fosse alzato oppure no, se qualcuno lo andava a prendere oppure poteva finalmente dormire sereno. Era stato sull'attenti fino all'alba, ma alla fine aveva deciso di cedere al sonno e con un mega abbraccio si era addormentato. Ma inutile dire che la colazione doveva essere pronta prima che lui si svegliasse, specialmente visto e considerato che la sera prima aveva mangiato veramente poco. Ecco, sperava davvero che tutto quel riposarsi e comunque le sue coccole lo avessero almeno riportato lucido e gli avrebbero fatto ricordare almeno chi fosse lui. Si morse il labbro sentendolo alzarsi e quando sentì la sua voce roca chiamarlo in quel modo, fece un respiro di sollievo e poi un grandissimo sorriso. Sono un cucina. Vieni! é pronta la colazione! Aveva dormito poco, ma quella non era una novità. Voleva solamente che il ragazzo stesse meglio e che soprattutto gli potesse dare delle spiegazioni, delle vere e proprie spiegazioni. Sapeva che il suo essere un vulcano in piena nel porre domande e nel voler risposte era qualcosa che non sempre faceva sentire a proprio agio il suo ancora non parabatai, ma lui era così e credeva davvero che gli doveva delle spiegazioni, anche solo per placare la sua preoccupazione e la sua anzia. Ti senti meglio? Stanotte sei stato agitato. Che hai sognato? Chiese poi mentre metteva due pancake nel piatto del ragazzo. Era un divinatore, i sogni erano cose facili per lui.
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    Si era preso qualche istante per permettere ai suoi occhi di adattarsi alla penombra, mettendo gradualmente a fuoco i dettagli che lo circondavano. Grazie al pizzico di lucidità che una notte di riposo era riuscita a regalargli, riconobbe quel letto come il suo, così come la stanza in cui si trovava, anche se aveva dettagli diversi dal solito. Appariva tutto meno polveroso, più luminoso e ordinato e quel posto profumava di Andrew molto più di prima. Il letto era ancora tiepido, segno che non aveva dormito da solo, e per quanto fosse una cosa normale per loro due comunque si ritrovò a pensare che il suo cervello non avrebbe mai permesso una cosa del genere, in quel momento, se non con Andrew. Non sapeva se esserne confortato o spaventato, considerato quanto potere e fiducia stesse mettendo nelle sue mani, anche da incosciente.
    Sentire la risposta provenire dalla cucina lo portò a rilasciare un lieve respiro di sollievo, trattenuto senza nemmeno rendersene conto. Raggruppò un po' di energia e si rimise in piedi, liberandosi dal groviglio di lenzuola che era riuscito a creare.
    Dopo tutto quel tempo passato quasi fuori dal suo corpo, in uno stato di coscienza alterato, anche solo appoggiare i piedi per terra e sentire sotto le piante il pavimento freddo era una sensazione nuova, un'ulteriore ancora che potesse legarlo alla realtà. Ogni movimento uscì più lento del solito, ed era abbastanza certo di aver percorso la distanza camera-cucina nel doppio del tempo che impiegava di solito.
    Si trascinò verso il soggiorno, stropicciandosi gli occhi per la luce troppo forte rispetto a quello a cui si era abituato, e una volta in cucina venne invaso dal sapore dolce e famigliare dei pancakes. Sospettava che fosse un caso che quella mattina Andrew avesse preparato il suo piatto preferito, ma anche volendo esaminare quella scelta tutti i suoi pensieri si concentrarono all'istante sulla figura del ragazzo intento a cucinare. Andrew svettava imponente nella cucina, quasi troppo piccola per contenere entrambi, e con la sua aria sempre solare -come diavolo faceva ad apparire sempre allegro e perfetto anche con due ore di sonno alle spalle?!- e sicura illuminava l'ambiente ancora più del sole timido che filtrava dalle finestre. Era confortante in modo quasi doloroso vederlo muoversi con tanta sicurezza in quell'ambiente, era così famigliare da fare male riconoscere i suoi gesti, sapere che lui lo avrebbe protetto nonostante tutto. Ecco, quel "nonostante tutto" era anche spaventoso, ma provò a non pensarci troppo.
    Sospirò piano, passando lo sguardo anche sul resto della stanza, per quanto a fatica, riconoscendo che qualcosa era davvero cambiato: quel posto emanava più ordine e rigore di quando se ne era andato, ora ne era certo. "Hai riarredato..." sussurrò piano, ma non c'era rabbia o fastidio nel suo tono, solo una piacevole realizzazione, come se quello bastasse a dare un senso alla confusione e all'amnesia della sera precedente.
    Prese posto dove si sedeva da sempre, in modo naturale, senza pensarci, e tornò a guardare l'altro indaffarato nei suoi preparativi. "Grazie per la colazione, non dovevi... avresti dovuto riposare anche tu..." provò a protestare, seppur debolmente: non aveva ancora troppa fame ma il suo stomaco faticava a trattenersi di fronte ai pancakes.
    Non si aspettava comunque da Andrew solo attenzioni e ricompense, poteva solo immaginare quante domande avesse e meritava almeno qualche risposta. Certo, non si aspettava che decidesse di cominciare così.
    Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, palesemente a disagio per quanto provasse a nasconderlo. "Incubi... niente di preoccupante o concreto, per lo più...buio, grotte fredde, ombre..." si strinse nelle spalle, e per lui era già uno sforzo immane aver dato in parte voce a quel che stava provando, senza sviare la domanda con un banale "niente".
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    Andrew era una persona premurosa in generale. Era una persona premurosa con tutti, con lui lo era di più. Con lui era qualcosa che non riusciva a controllare. Non erano legati da rune o da giuramenti, ma Andrew si sentiva legato a lui da qualcosa di molto più profondo. Non sapeva neanche definirlo o forse non voleva veramente farlo. Era qualcosa che non riusciva a capire, ma sapeva che in quei mesi di assenza, gli aveva fatto male. Aveva sentito una fitta al cuore costante, come se il senso di abbandono che sentiva era reale, come se aveva preso coscienza e consapevolezza che prima o poi anche lui se ne sarebbe andato da lui. Di nuovo. Non avrebbe mai più voluto provare quella sensazione. Era tornato e voleva rimanere. Era tornato per restare e non aveva nessuna intenzione di far capitare quella cosa che era successa anni fa. Avevano una placchetta in acciaio, come quella dei soldati, se l’erano fatta insieme e per un motivo così sciocco che forse neanche ricordava, ma era la cosa più importante che aveva e non l’aveva mai tolta. MAI. Senza di quella non andava da nessuna parte. Quando lo vide arrivare in cucina sorrise appena. Certo che doveva fare i pancake. Era importante che lui mangiasse e riprendesse ogni tipo di forza. Si, ho cambiato qualcosa, ho reso qualcosa di nuovo al mercatino delle pulci a Londra. Ti piace? Ho riordinato e pulito… lo sai che l’attesa mi uccide. Borbottò appena l’ultima frase. Non voleva farlo sentire in colpa, ma già che in quel momento lo riconosceva era già qualcosa. Non avrebbe sopportato un giorno di più senza essere nella sua testa, nel suo cuore. Sospirò per quello che disse. Gli incubi. Ecco, mancava anche solo che invadessero anche la sua mente. Senti, facciamo così, non ci pensare adesso, non parliamo di questo, quando riuscirai me ne parlerai. L’importante, adesso, è che tu sei qui e sei con me, al sicuro e non sono stanco, davvero! Oltre al fatto che sono abituato a svegliarmi molto presto… quindi! Non preoccuparti! Aggiunse poi sedendosi e guardandolo per vedere davvero se ci fossero altre ferite da poter curare. Oramai lo conosceva talmente bene che sapeva che doveva prendersi i suoi tempi per parlare, sapeva che gli avrebbe detto tutto, anche quello che lui non voleva sentire, ma aveva bisogno del suo tempo. Quindi per distrarlo decise di cambiare argomento. Credo di aver trovato un collegamento con la mia famiglia biologica. Quando sei sparito ho deciso di tenermi occupato a cercare te e mio padre. Te era impossibile, mio padre sicuramente è meno astuto di te! Stava ancora sorridendo, basta musi lunghi, basta parlare di certe cose. Voleva solamente che quel periodo finisse e che tornassero ad essere quelli di una volta. Aveva tantissime cose da raccontagli. Quindi era meglio parlare di lui e delle cazzate fatte, almeno si sarebbe ripreso prima, o almeno pensava e sperava. Rivolveva il suo non parabatai.
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