Erin Brighid Murphy ☼ Ametrin
Erano giorni che Meala si comportava in modo bizzarro; era irrequieta, sempre nervosa, particolarmente ribelle. Non mostrava comportamenti tanto ingestibili dai tempi dell’adolescenza, quando si ostinava ad infilarsi nelle pantofole di sua nonna provocando puntualmente all’anziana dei veri e propri attacchi cardiaci. Sembrava come se qualcosa la agitasse, impedendole di rispettare quel codice di docile obbedienza che ormai da anni le permetteva di affiancare Erin nel ruolo di compagna più fidata.
Era una vipera dal cuore buono, Meala, golosa di briciole di carne essiccata ed appassionata di penne, utili a dilettarla quando sceglieva di attorcigliarvi intorno i suoi modesti ventisette centimetri di corpo. Tendeva a non disturbare mai la sua protetta durante i compiti, sempre timida davanti agli estranei, e apprensiva guardiana della testiera del letto durante le notti di pioggia.
Quel giorno Meala era scomparsa.
Neppure quello succedeva più, a dire il vero, l’animaletto pareva aver trovato facilmente un suo comfort persino negli estranei ambienti di Hidenstone, seguiva Erin a lezione arrotolandolesi al polso ed a stento si lasciava notare dagli osservatori limitrofi. Il fatto che quel pomeriggio l’irlandese non riuscisse a trovarla da nessuna parte confermò l’esistenza di qualche fenomeno che il famiglio doveva trovare disturbante.
«Un tempismo perfetto per mettersi a fare i capricci, complimenti!»
Lo urlò al vuoto assoluto della scalinata che stava discendendo, Erin, esasperata da una ricerca sfiancante che la stava costringendo a sacrificare un pomeriggio di studio dalla preziosità inestimabile. Quella sensazione di non essere mai abbastanza al passo con il livello accademico dei coetanei la portava a sfruttare ogni pausa dalle lezioni in biblioteca, il naso nascosto dietro qualche vecchio tomo e la scrivania invasa da appunti d’ogni tipo. Niente che dovesse avere a che fare con la folle ricerca di un serpentello dispettoso, insomma.
Talmente presa da quei rancorosi pensieri, la Murphy peccò presto della disattenzione che nella vita la portava costantemente ad inciampare, saltare appuntamenti, o incappare in ritardi di sorta. Una sbadataggine totalmente ingenua, la sua, che qualche volta però poteva costarle conseguenze irreversibili.
Non si interrogò più del necessario, infatti, in merito a quel tragitto in discesa costellato da candelabri, a dire il vero non si interrogò affatto, continuando piuttosto a perlustrare ogni angolo tra gradini e corrimano in cerca dell’evasa.
Inutile specificare, dunque, che non si rese neanche lontanamente conto di essersi appena addentrata nella parte più accessibili delle segrete.
Si ritrovò a stringersi le braccia al petto quando l’umidità iniziò a pungerle le ossa, fastidiosa e pungente in quel sentiero di roccia che sembrava non dover portare a nessun posto in particolare.
«Hai intenzione di farmi saltare anche la cena o pensi di venir fuori prima che mi arrabbi sul serio?!»
Era abituata a rivolgersi alla creaturina come se quella potesse effettivamente comprendere ogni singola sillaba, e di solito finiva per farlo con ancora più enfasi quando aveva bisogno di sfogare qualche emozione troppo forte con qualcuno che non le facesse avvertire il peso di quell’abbassamento di guardia.
Intanto l’umidità aumentava, le fiaccole si facevano più rade, ed ogni svolta pareva allontanarla sempre di più dal brusio che aveva lasciato al piano superiore.
Fu allora che un vago senso di inquietudine scese come un velo a solleticarle la nuca, una ragnatela di brividi a farle accapponare la pelle, e la sensazione di aver appena commesso un errore che le strisciava nello stomaco agitandola d’angoscia.
Dove diavolo era finita?
Strinse i denti tra loro per non sentirli tremare, sapeva che sarebbe successo, la solitudine non le piaceva neppure nel mondo normale, figurarsi in quell’intestino di strade anonime ed isolate. E quelle poi cos’erano, celle?
«Dio, no...»
Annaspò in un singulto di terrore, spalancando gli occhioni verdi nel realizzare quel che aveva intorno. Quindi si voltò, Erin, intenzionata a tornare indietro per rimandare la ricerca ad un luogo meno inquietante di quello, solo per rendersi conto che indietro la strada appariva irriconoscibile quanto quella che aveva di fronte. Era finita in una specie di labirinto sotterraneo, troppo buio e silenzioso per poter sembrare confortevole, ed apparentemente privo di una via di fuga abbastanza evidente.
In altre parole, secondo ogni possibile previsione, Erin si era appena persa.