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Foresta del Congo

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    Waterbending

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    [Ad un certo punto nel mese di Giugno, Foresta del Congo]

    Smarrita, come al solito. Aveva completamente perso di vista il docente che doveva essersi allontanato dopo averla avvisata, come lui si ostinava a dichiarare, ma senza verificare che lei avesse realmente capito.
    Come al solito.
    Ma è mai possibile! ...?
    Avrebbe giurato di aver sentito un rumore, cosa non improbabile trattandosi della Foresta del Congo, non esattamente il parco giochi sotto casa. Chiuse la bocca lentamente, come se anche solo quel gesto potesse rischiare di attirare l'attenzione su di lei. Era già abbastanza spaventoso sapere di essere seguiti da scimmie di ogni tipo, per non parlare dei serpenti. Tanti serpenti. Conosceva una o due persone che sarebbero state entusiaste, ma lei decisamente non era fra quelle.
    Portò una mano alla cinghia della borsa di cuoia che indossava a tracolla, l'altra poggiata direttamente sulla sua apertura, come temesse che qualcuno potesse infilarci il naso. Là dentro conservavano mesi di ricerche, oltre che appunti e stream of consciousness, non se li sarebbe fatti soffiare da sotto al naso troppo facilmente.
    Com'è che era? Evitare di favorire le imboscate? E come lo capisco se sto favorendo un'imboscata?
    Non era mai stata davvero brava in quel genere di cose. Le avevano insegnato ad arrampicarsi sugli alberi durante gli anni di scuola, ma quello non significava fosse capace di prevenire un agguato, al contrario, il suo mestiere consisteva esattamente nel far scattare le trappole e disattivarle.
    Sbuffò, poi strinse le labbra. Si passò una mano fra i capelli sentendo la mancanza della lunga treccia che avrebbe avuto in quel momento. Li aveva tagliati dopo un mese in quella foresta, quando l'umidità perenne aveva reso impossibile gestirli e sopravvivervi, ma erano da sempre stati il suo antistress, quindi a volte li cercava inconsapevolmente. Una sorta di arto fantasma. Adesso erano corti fin sopra le spalle, parzialmente coperti da una bandana che aveva l'unica utilità di aiutarla contro il sudore.
    Sollevò il capo provando a cercare eventuali animali molesti, poi si guardò intorno per provare ad indovinare da che parte fosse andato il professore, ma non ottenne un bel niente, a quel punto non le restava che ricorrere alla magia, mezzo che avevano volutamente cercato di evitare per via degli indigeni. Non potevi mai sapere dove e quando sarebbero saltati fuori e l'ultima cosa che potevano permettersi di fare era infrangere le Leggi del Ministero oltreoceano. Fu per quello che si trattenne e ci ripensò.
    Ripiegò la mappa che aveva tirato fuori per verificare se non potessero esserci luoghi interessanti per il suo professore preferito, poi imboccò il percorso a sinistra costeggiando gli alberi. Di solito si andava da quella parte se si voleva uscire dai labirinti, o così aveva sentito in un film una volta.



    Privata.
    Vylandra Rosier
     
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    Vylandra Rosier | Shaman

    La simbiosi con la natura non era mai stata un impegno da mantenere, per Vylandra, quanto più appropriatamente definibile come un dono da preservare e coltivare. Era cresciuta insieme a lei, evolutasi con l’evolversi della sua anima tormentata, fino a raggiungere il massimo picco d’intensità con l’alienazione della Rosier dalla civiltà moderna.
    Il ritorno all’incontaminato mondo naturale aveva esaltato ogni senso favorito dalle sue abilità, le aveva ripulito lo spirito da ogni più superficiale contaminazione, esaltando solo e soltanto quell’essenza pura che l’aveva resa da sempre un’autentica Figlia della Foresta.
    Erano ormai trascorsi anni dal suo arrivo in Congo, aveva esplorato quella foresta al massimo delle facoltà possibili, aveva conosciuto le tribù che vi abitavano, fino a scegliere di stanziarsi in un rifugio scavato dal vento e dagli animali selvatici ai piedi di un agglomerato roccioso. Una grotta, per usare la più blanda delle definizioni, o più accuratamente casa per lei.
    Aveva abbandonato ogni sovrastruttura, semplificato le abitudini quotidiane, dedicato così tanto tempo alla meditazione da poter credere adesso di non essersi mai conosciuta tanto bene prima d’allora. Quella totale immersione nella Madre Terra più inviolata le aveva permesso anche di acquietare tutti i tormenti della psiche, calmare le sinapsi e ritrovare finalmente un silenzio che pareva esserle stato precluso anni addietro. Sapeva comunicare in molti modi, la Natura, ma non violava mai i sacrosanti confini della mente.
    Fu forse per questo, o per una sensibilità che aveva del primordiale, che quando una vibrazione più umana dell’aspettato si insinuò in lei a Vylandra non fu concesso di ignorarla. Fu dapprima un guizzo, poi un tremolio indistinto, finché qualcosa di tremendamente simile ad un ricordo non finì per materializzarsi di consistenza dietro ai suoi occhi chiusi di concentrazione.
    Emerse dal proprio rifugio su passi felpati, silenziosi, i pochi lembi di pelle e cuoio che le coprivano il corpo sapevano accompagnare fedelmente ogni movimento. Gli occhi si riaprirono sulla fascia di carbone nero che truccava la parte alta del viso, riducendosi a due pozzi abissali mentre le cellule cerebrali tentavano di mettere meglio a fuoco i più vicini stimoli.
    Seguendo solo l’istinto, la più selvatica delle Rosier puntò una sequoia vicina, iniziando ad arrampicarvisi su con la discrezione di un primate a caccia. I colori del vestiario e del trucco le permettevano di mimetizzarsi, ed i muscoli da sempre allenati non sembravano compiere sforzo alcuno nel saltare da un fusto all’alto, guidati dalle percezioni come un segugio sulla scia giusta.
    Giunse nell’area macchiata da invasori entro una manciata di minuti, dall’alto osservò e studiò la figura femminile in movimento ricalcandola col sapore delle reminiscenze che continuavano a balenarle in mente, insistendo nell’analisi finché una vertiginosa folgorazione non minacciò di farle perdere l’equilibrio dal ramo su cui si era acquattata.
    Andrea Doorn, senza l’ombra di un solo dubbio a confonderne i contorni. Se il suo corpo era maturato, la sua aura psichica non era mutata di un solo guizzo: Vylandra l’avrebbe riconosciuta in mezzo a mille.
    Quel che dapprima era un sibilo ora divenne un urlo lancinante tra le tempie, disseminato di dubbi e interrogativi che non sapevano trovare appagamento.
    Perché era lì?
    Come aveva fatto a trovarla?
    Chi le aveva chiesto di rintracciarla?
    I denti stretti fino a scricchiolare sulle mandibole, Vylandra seppe che l’unico modo per accaparrarsi quelle risposte era andarsele a prendere, proprio com’era sempre stata abituata a fare. Inspirò dunque l’ultima folata d’aria per poi trattenere l’ossigeno nei polmoni, gli occhi affilati a prendere la mira e le gambe abbronzate a spiccare lo slancio ben calibrato.
    Si lasciò planare con la sicurezza di un felino, atterrando morbida sulle caviglie forti appena un passo più indietro della vecchia conoscenza.
    Se non fosse stata fermata o anticipata in qualche modo, avrebbe allora tentato di cingerla in una morsa ferrea delle braccia, una mano che saliva a premerlesi sulla bocca e l’altra che tentava di immobilizzarne la qualsiasi reazione.
    «Troppo rumorosa, Andy
    Un sibilo a denti stretti che l’avrebbe raggiunta direttamente nell’orecchio, mentre con pochi strattoni Vylandra avrebbe tentato di condurre entrambe fuori dal sentiero, al riparo dietro un tronco sufficientemente largo, là dove avrebbe potuto accertarsi di non dover badare ad altri imprevisti.
    «Con chi sei? Quanti siete?»
    La voce più profonda del solito, disabituata alla parola, e l’allerta più viva che mai a proteggere quel personale angolo di pace a cui non era ancora pronta a rinunciare.


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    Andrea Doorn | Waterbender

    Spaventarsi fu che ciò che di più automatico il suo corpo potette manifestare, insieme al braccio sinistra che raggiungeva quello dell'altra che le serrava le labbra mentre veniva trascinata altrove. Chiunque fosse era esile, lo poteva sentire, ma l'altezza non troppo diversa, e quel profumo selvaggio ed a tratti familiare le riempì i polmoni insieme al timore di non poterne uscire intera.
    Poi la voce.
    Il soprannome.
    Smise di tremare, le si annebbiò la vista per un istante, quello che servì a Vylandra per farla accomodare dietro ad un tronco, la schiena coperta della camicia poggiata alla corteccia, gli occhi grigi ora lucidi spalancati sul trucco profondo e sui lineamenti duri dell'altra.
    Vylandra. La sua Vylandra. La più oscura fra le gemelle Rosier.
    Cosa diavolo faceva lì?
    Sollevò lentamente una mano e la portò a spostarle delicatamente una ciocca di capelli, come se toccarla in quel modo potesse confermarle che era davvero lei, in tutto il suo tormento, con tutta la sua irrequietezza e la sua rabbia.
    Ho sempre odiato quel soprannome.
    Impiegò qualche istante a parlare, sia per l'adrenalina che ancora stava correndo impetuosa nelle vene, sia per il fiato corto per lo spavento, sia per il battito accelerato per la consapevolezza di averla lì davanti.
    Ignorò qualche altro istante prima di aprire bocca daccapo, la sorpresa ancora sul volto, le spalle non troppo rilassate, e per quanto avesse voluto stringerla, soffocarla fra le braccia, le sembrava di starsi interfacciando con una pantera, qualcuno a cui non potevi decidere di avvicinarti come se nulla fosse.
    Era Vylandra, eppure non sembrava lei per davvero.
    Due anni.
    Due anni senza tue notizie, Vylandra Rosier.

    Bisbigliò fra i denti, la voce dura, lo sguardo improvvisamente più duro. Avevano vagamente mantenuto i contatti dopo la scuola, ma la mulatta aveva completamente smesso di risponderle, del tutto, da troppi mesi, e non c'era stato verso di rintracciarla in nessun modo. Per quel che poteva averne saputo, poteva essere morta.
    Ma non lo era.
    Sparisci di nuovo e io giuro che ti ammazzo.
    Ancora.

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    Vylandra Rosier | Shaman

    Fu il boato di un’esondazione, quel rombo sordo all’orizzonte che non concede alcun tipo di preavviso: semplicemente esplode.
    Così i pensieri di Andrea finirono per travolgerla, primi in quel tempo indefinito dove per la sua mente non era esistita altro che quiete; sfondarono le difese, abbatterono ogni diga, ed in una manciata di secondi le tempie di Vylandra si riempirono di tutte le verità che la bionda non aveva sentito il bisogno di concederle verbalmente, forse consapevole, come ormai doveva esserlo, di quel canale invisibile che avrebbe sempre permesso loro di diluirsi vicendevolmente le coscienze, i segreti, le anime.
    Fu costretta a socchiudere gli occhi per incassare la violenza di quell’irruzione, Vylandra, i denti stretti a far stridere la mandibola, e la pelle che rispondeva con un’allerta ingiustificata al tocco troppo familiare delle dita di lei. Riportò di scatto gli occhi attenti nei suoi, scostando solo leggermente il capo da quella carezza come avrebbe fatto un felino disabituato alla cattività, senza tuttavia trovare pericolo o minaccia evidente in quella vicinanza.
    Viveva secondo le primordiali leggi della sopravvivenza da ormai troppo tempo, non sarebbe bastato quel fantasma del passato a ricordarle cosa significassero i contatti umani.
    Ammorbidì leggermente la severità del volto solo quando la sentì parlare del soprannome, il suo soprannome, quello che Andrea non le aveva mai concesso ma che Vylandra non aveva mai smesso di baciare sulle labbra, mossa dall’arroganza di possedere ancora qualcosa di lei a cui nessun altro avrebbe avuto accesso.
    Ascoltò senza parlare ogni dettaglio di quel sorprendente quadro del destino, una tela astratta di imprevisti e colpi di scena che continuava a mescolare tonalità sempre nuove e mai viste prima. Non era un’imboscata, quella di Andrea, né una subdola spedizione commissionata da Quinn, a quanto dicevano le sue meningi era in quell’angolo di mondo assurdamente per lavoro.
    «È più facile la vita qui, per me.»
    Lo mormorò in risposta alla minaccia ricevuta, sbattendo lascivamente le ciglia quasi fossero anch’esse stanche di una vita dalla portata incontenibile. Aveva pensato spesso a quanta delusione doveva aver seminato dietro di sé andandosene, agli affetti traditi, alle promesse infrante. Ancora una volta aveva obbedito all’egoismo ricercando un sollievo per se stessa, tagliando fuori tutti coloro che su di lei avevano realmente osato contare.
    «Vieni, non è sicuro qui fuori.»
    Tentò di stemperare il volume eccessivo dei pensieri di Andrea mentre le voltava le spalle, indigena in una vegetazione di cui sembrava la più naturale estensione. Non era certa di volerli rifiutare del tutto, quei pensieri, tornare a sentire il sapore di casa portava con sé un inaspettato retrogusto di conforto. Era come se, nonostante le sue personali certezze, una fetta di mondo l’avesse comunque aspettata, pur andando avanti secondo i ritmi biologici.
    Non si sarebbe mai voltata per controllare se Andrea la stesse seguendo, le sarebbe bastato monitorare la sua vicinanza psichica tra le tempie, avrebbe piuttosto condotto il passo silenzioso verso il proprio rifugio, quell’antro di roccia arredato unicamente da un braciere ed un giaciglio, un fusto vivo da cui spillare acqua e mura di graffiti su cui aveva studiato rune e piani aritmantici mai contemplati nel continente in cui aveva studiato.
    «Perché?»
    Si sarebbe voltata solo una volta raggiunto l’atrio della tana, gli occhi scuri che tornavano a cercare quelli di lei, un’unica domanda a galleggiare tra loro come se Andrea potesse vantare del suo stesso ascolto mentale. Un cenno verso la sua testa, infine, avrebbe aperto la specificazione.
    «I capelli.»
    Il soprannome non era stata l’unica cosa su cui le due avevano sempre lottato, come si potrebbe immaginare, Vylandra aveva amato il modo in cui le onde dorate della Doorn usassero sfiorarle la pelle diafana, ribelli e dispettose un po’ come chi le indossava, curiose, valchirie del vento, eleganti e sensuali. Litigavano ogni volta in cui, quand’erano sole, Andrea si ostinava ad intrappolarne le lunghezze in trecce castigate.
    Era evidente, adesso, quanto quel mondo ancora magnanimo con la sua anima errante ci tenesse a sottolineare che molte cose nonostante tutto finivano sempre per cambiare.


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    Andrea Doorn | Waterbender

    Inselvatichita.
    Così le appariva Vylandra. Come se la linfa stessa della foreste le scorresse nelle vene al posto del sangue.
    Non era certa di averla mai vista più bella di così.
    Non disse nulla alla sua richiesta, si limitò a seguirla senza porsi domande. Non era mai servito, non a loro. Nutrivano una fiducia reciproca che se la Rosier le avesse suggerito che lanciarsi da un'altura non le sarebbe costata la vita avrebbe potuto crederci, senza rimorsi. Non con lei.
    Mai con lei.
    E io che pensavo di avere uno stile minimal.
    Borbottò a mezza voce guardandosi intorno una volta raggiunta la meta. Durante il percorso si era sorpresa di come la mulatta fosse stata silenziosa, perfettamente mimetizzata, estensione stessa della natura circostante.
    Poggiò due dita alla parete carica di iscrizioni, con i polpastrelli sfiorò tutt'intorno al profilo di quelle illustrazioni, un sorriso un po' amaro un po' divertito. Alcune cose non cambiavano, neanche tra le fronde oscure di una foresta africana.
    Alla sua domanda si volse a cercarla, la mano istintivamente alle ciocche bionde.
    Erano un problema qui nella foresta. Si spezzavano, si impigliavano ai rami... Mi mancano, mi manca la sicurezza che mi davano, ma questa spedizione era troppo importante.
    Ripensò al docente disperso chissà dove, poi sospirò e le sorrise facendo spallucce.
    Ricresceranno prima o poi.
    Poi si prese finalmente il tempo che le serviva per guardarla, per vederla. Una forte stretta al cuore le ricordò quanto le fosse mancata, ma l'altra era così cambiata, così sul chi va là, così tesa. Si trovò a chiedersi se fosse ancora lei, se fosse la stessa persona con cui si era aggirata nei Sotterranei per anni, a cui aveva insegnato le stelle, quella con cui si era riscoperta. Chissà se la sua Vylandra era ancora lì, da qualche parte, sotto l'odore della terra e della pioggia, dietro quegli occhi più scuri e brillanti che mai. Non aveva mai avuto segreti per quello sguardo, e lui non aveva neanche mai avuto segreti per lei.
    Perché sei sparita?
    Da quanto non sentiva sua sorella? Non esisteva nessuna persona al mondo che avesse più importanza della gemella per la Rosier, e viceversa. Faticava a credere che fosse scomparsa per due anni anche con lei.
    La guardò, senza giudizi, ma curiosa, forse apprensiva. Non si azzardò a sedersi, non si spostò più di tanto. Rimase fra l'entrata e la strega, vicina alla parete. Avrebbe mentito se avesse detto di sentirsi a casa. Era fuori posto, lì. Andrea non era fatta per restare in nessun luogo, men che meno nella tana di un felino chiuso in sé stesso e dai nervi scoperti.

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