Sociopatico

Evan&Mayra

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    Lo aveva rifatto. Le serviva assolutamente Annie. Entra entrato nel suo studio ed Annie non c’era si era spazientito, aveva litigato maledettamente con Wendy, quella racchia della reception del San Mungo e gli era stato intimato di calmarsi – davvero si chiedeva ad un sociopatico, violento, manipolatore e bugiardo, di calmarsi? – che avrebbero chiamato un’infermiera per medicarsi e che non serviva agitarsi in quel modo. Evan aveva sgranato gli occhi più di una volta e soprattutto aveva cercato di appellarsi al suo piccolo buon senso di non farsi scoprire, per non uccidere quell’incompetente. Perché è di quello che si trattava. Evan era un assassino e non era neanche uno dei più docili. Si morse il labbro, venne condotto in una stanza, precisamente quella delle infermiere e lo lasciarono da solo. Davvero? Lo avevano fatto accompagnare da un ragazzino che era terrorizzato nell’avere una persona piena di sangue sulle mani – evidentemente non suo – in testa e soprattutto con il viso da completo folle e lo avevano addirittura lasciato da solo. Prese un pezzo di ferro che era li per terra e decise che visto che l’incompetenza di quell’ospedale era oramai ben radicata, e soprattutto che il suo medico aveva deciso di sparire, poteva benissimo distruggere tutto. Inoltre era in preda ad un attacco di ira pazzesco, oltre che di pochissima lucidità. Davvero quel tizietto voleva andare via? Sicuro che non si era già registrato la sua faccia, come in effetti era successo? Insomma qualcosa non stava andando nella sua testa e di conseguenza stava reagendo. Sogghignò e poi con lo stesso pezzo di ferro decise di fermarsi, reciderlo con la bacchetta e cominciarsi a tagliare sulla gamba. Non c’era niente da fare, quel tipo di disturbo passava da picchi di violenza sugli altri veramente assurdi ad autolesionismo assoluto. Era impossibile anche solo pensare a qualsiasi cosa, era impossibile ragionarci. Quando e se l’infermiera fosse riuscita ad arrivare, lo avrebbe trovato per terra, in una pozza di sangue., tra il suo e quello di chissà chi.
    Evan Jack Parker

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    Evan Jack Parker - 28 anni
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  2. Mayra Ellis
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    PAUSA
    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Il suo turno era già cominciato da qualche ora e un bicchiere di carta del suo terzo caffè era stretto tra le sue dita: era sicura che anche una persona comune (o, soprattutto, un nutrizionista) si sarebbe resa conto dell’assunzione spropositata da parte sua di quella bevanda. Lo stress delle giornate che si susseguivano, però, comportava necessariamente che il caffè fosse alla base della sua vita, altrimenti non si sarebbe mantenuta in piedi. Era stressante dover spegnere la sveglia regolarmente alle 5/5:30 del mattino, almeno che non avesse fatto il turno di notte, fare i servizi, svegliare Edith e aiutarla a prepararsi, cucinare la colazione, accompagnare la bambina a scuola e, poi, andare a lavorare. Essere una madre single non era per nulla semplice. Per non parlare, poi, delle spese che doveva affrontare.
    Prese un sorso del suo espresso, caldo, mentre l’aroma zuccherato le pungeva piacevolmente le papille gustative della sua lingua. Chiuse gli occhi per un istante, lasciando che l’oscurità prendesse il sopravvento sul suo sguardo: aveva particolarmente sonno. In quell’istante, sperò che gli effetti della caffeina si facessero vivi al più presto. Rimase così, immobile, fino a quando una voce familiare non colpì i suoi timpani.
    - Medimaga Ellis! -
    Spalancò gli occhi nocciola e un sorriso le si profilò sul volto stanco.
    - Carmen, che sorpresa! -
    Carmen era una addetta delle pulizie di quell’ospedale, una simpatica signora di mezza età, con cui Mayra aveva stretto una profonda amicizia. La giovane donna l’abbracciò stretta e Carmen ricambiò con le sue solite braccia ricordavano di materno.
    - Come stai? È da tanto che non ti vedo! -
    - Eh, signorì – affermò la donna, appellandosi alla medimaga con il solito soprannome – si va avanti. E’ dura la vita… -
    Mayra le rivolse una espressione comprensiva.
    - Lo so, capisco… ultimamente, è dura per tutti, purtroppo… -
    D’un tratto, una seconda voce interruppe il dialogo tra le due.
    - Infermiera Ellis, può venire un attimo? -
    La giovane si girò: era una tirocinante del San Mungo, con cui aveva lavorato una volta o due.
    - Scusami Carmen… - disse alla signora, la quale le fece cenno di andare.
    - Vada, signorì, ci vediamo presto! -
    - Certo che sì! Buon lavoro! – le augurò.
    Si avvicinò alla ragazza a passo svelto e con curiosità.
    - Cosa è successo? – domandò.
    - Mi hanno detto di chiamarla. C’è un giovane uomo che ha bisogno di cure mediche e l’hanno fatto accomodare nella stanza delle infermiere -
    - E non c’era nessun altro ad assisterlo? -
    La tirocinante scosse il capo.
    - Ma è grave? -
    - No, non lo è. -
    Mayra era abbastanza frustrata da quel tipo di comportamenti: con tutto il personale che c’era nell’ospedale, dovevano chiamar proprio lei quando sapevano che fosse il suo momento di pausa?!
    Si diresse verso la stanza con passo celere e l’animo fumante di nervosismo. Tuttavia, prima di aprir la porta, si concesse un respiro profondo pur di calmarsi. C’era un paziente lì dentro e avrebbe dovuto esser gentile con lui. Scolò l'ultimo goccio di caffè e gettò via il bicchiere. Pose la mano sul pomello, che girò, con un “Buongiorno” pronto sulle labbra, che fu presto spazzato via da un – Santo Cielo! – preoccupatissimo. Un uomo sulla ventottina era in una pozza di sangue che colava a dirotto dalle sue ampie ferite sulle gambe. Al suo fianco, un pezzo si ferro tagliente, con cui, suppose Mayra, aveva compiuto quell’atto di autolesionismo. Sperava solo non avesse fatto altro…
    Corse al suo fianco, si piegò vicino al giovane e gli pose due dita sul colo, cercando di capire se ci fosse battito, che trovò subito. Un sospiro di sollievo abbandonò la sua bocca. Diede uno schiaffetto al ventottenne per tentar di farlo riprendere.
    - Signore? Signore? Niente, non si sveglia… Chi cazzo sono quegli incompetenti che l’hanno lasciato da solo e a porte chiuse?! -
    Estrasse la sua bacchetta dalla tasca della sua divisa e la puntò verso le ferite della gamba, che rimarginò con un - Vulnera Sanetur -. Gli strappò via la camicia e controllò che il sangue che aveva sull’indumento non provenisse da qualche ferita mortale. Fortunatamente, il suo busto era integro.
    - Reinnerva! – esclamò, puntando la bacchetta verso il giovane, che avrebbe dovuto rinvenire da un momento all’altro. Lei sarebbe rimasta lì, inginocchiata vicino a lui e pronta a intervenire nel caso fosse stato necessario. Non appena avesse aperto gli occhi e preso coscienza di dove fosse, gli avrebbe domandato.
    - Come si sente, signore? Stordito? Confuso? Sa dove siamo? -


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    MAYRA-ELLIS
    Oggi è il giorno in cui la mia vita comincia.
     
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    Sapeva che era un folle, e sapeva anche che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno e quando sentì aprire la porta decise di fingersi svenuto. Lui non sveniva mai! Figurarsi se si sarebbe spaventato per una cosa del genere. Quando vide quella ragazza rise vedendola così preoccupata. Mi fa ridere questa cosa,non dovresti essere quella che mi dovrebbe calmare? Invece entri più spaventata di un pulcino! rise di nuovo e quando lei solo provò a fare quegli incantesimi lui prese a sua bacchetta e un Protego fece rimbalzare qualsiasi tipo di incantesimo. Voleva curarlo? Allora doveva avvicinarsi. Buttò via l’asta piena di sangue e continuò a guardarla. Certo non era nelle sue piene forze, ma non era stupido, si era tagliato per farsi male, non per uccidersi e quella era la cosa fondamentale. Sorrise ancora a mayra come se non stesse succedendo niente. Era sempre stato in quel modo, era sempre stato veramente un folle e quello non sarebbe mai cambiato. Se proprio mi deve curare, deve prendere una garza, un disinfettante e lasciare la bacchetta. Oppure è uno di quei medimaghi che senza la bacchetta non sa fare proprio niente. Andiamo dottoressa se no morirò dissanguata e lei sarà responsabile della mia vita! Sogghignò. Chi lo doveva dire a Mayra che alla fine della sua giornata lavorativa avrebbe incontrato un pazzo scatenato e folle che il suo unico scopo era quello di mettere in croce la persona che doveva curarlo. Inoltre lei crede che sia più importante un taglio sulla gamba oppure un taglio sulla testa! E si, sono venuto io con le mie forze in ospedale. Lei ha capito cosa sta succedendo oppure è stordita e confusa? Aveva un ghigno assurdo sul viso, come se tutto quello fosse davvero normale, e forse, per lui lo era per davvero.
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2 replies since 16/6/2022, 16:43   53 views
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