Volti famigliari

Joanne&Mayra

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    Denrise
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    Si era persa. Di nuovo. Si era persa di nuovo per Londra e non aveva nessuna intenzione di chiedere aiuto. Era immensa quella città e poteva anche dire che c'erano veramente troppe persone, specialmente nei quartieri pieni di turisti babbani che non facevano altro che spendere i loro soldi in grandissime cazzate. Quella volta si era spinta oltre il centro e si era anche spinta oltre ogni sua capacità di resistenza alla socievolezza, ed infatti, alla fine della fiera, si era cacciata nei guai. L'unica stronza che riusciva a infilarsi in situazioni ambigue in una terra che già considerava fin troppo straniera. Comunque, le avevano dato un cazzotto in faccia e rubato la sua borsetta. Per carità non c'era niente e la bacchetta ce l'aveva in tasca, senza contare che non poteva in nessun modo cacciarla per difendersi perchè in una zona piena di babbani. Maledetta Regina e il suo giubileo. Possibile che doveva essere così acclamata ed alla fine neanche si faceva veramente vedere? Si morse il labbro e non disse niente fino ad arrivare ad un posto che sapeva benissimo che si poteva smaterializzare nell'unico punto che le venne davvero in mente: il San Mungo. Una volta li attese seduta su di una sedia con le lacrime agli occhi ed arrabbiata con se stessa. Aveva anche rotto uno dei suoi pantaloni preferiti. Ma quello poco male, alla fine un tocco di bacchetta e sarebbero tornati come nuovi, il problema era il sangue che scorreva veloce dalle ferite sul suo ginocchio completamente sbucciato e pieno di sassolini. Non le faceva molto male, ma l'umiliazione subita era troppo forte. Le gemelle alla reception le avevano detto di aspettare li e che appena qualcuno si fosse liberato sarebbe arrivato direttamente da lei. Chiuse gli occhi, in quel posto si sentiva quasi al sicuro, posò la nuca sul muro ed attese. Era qualcosa che detestava, quel sentirsi debole ed impotente, come se nella vita lo era stata abbastanza e che adesso non voleva veramente più essere in quel modo. Ma cosa poteva fare? Erano sempre di più contro lei! Che poi lei si era avvicinata a quel gruppetto solamente per difendere una persona anziana ed alla fine? Ecco come era finita, era stata picchiata lei e la signora anziana che aveva comunque accompagnato all'ospedale, dopo però averle curato le ferite con un tocco di bacchetta. Era troppo vecchia per ricordarsi le cose e comunque non le sembrava una persona che parlava o che poteva essere creduta. Il che era ancora peggio. Si morse il labbro ed attese, si asciugò una lacrima dal viso rendendosi conto che si era comunque sporcata di sangue. La mano destra era completamente rossa. Forse aveva un taglio. Si, certo si era difesa, ma non era stato comunque abbastanza.
    Joanne Nilsson

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    Joanne Nilsson - 23 anni
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  2. Mayra Ellis
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    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Aveva scontato la sua pausa caffè molto tempo addietro quel giorno e già ne sentiva la mancanza. Ne avrebbe volentieri bevuto un’altra tazza, ma, per sua sfortuna, lavorare al San Mungo (come in tutti gli ospedali, d’altronde) significava dover reclinare offerte di condivisione e sacrificare tempo libero per i propri pazienti – a cui, è meglio sottolinearlo, Mayra teneva tantissimo. Non poteva fare a meno di unire alla sfera meramente lavorativa una dimensione più umana, fatta di sorrisi, cordialità, a volte anche di chiacchierate o ascolto di sfoghi. Non si pentiva di aver fatto quella scelta nella sua vita, perché i volti della gente del suo villaggio, morta per le diverse malattie che l’aria insalubre comportava, erano ancora vividi nella sua mente, come quello della sua unica sorellina, Edith. A volte, non poteva fare a meno che pensarci: tutto le ricordava lei. Ricordava di non aver mai visto il suo faccino dopo la triste notizia della sua morte: i suoi genitori avevano preparato il funerale della bambina in fretta e furia, seppellendola, senza troppe cerimonie, all’interno del cimitero di Jaywick Sands. Fino a quando aveva abitato lì, prima che fosse cacciata di casa, si era recata presso la tomba ogni giorno, pulendola dalle foglie secche che vi erano cadute sopra e cambiando l’acqua ai fiori di campo che era solita deporre nei vasi ai suoi piedi. Ricordava il suo sorriso innocente, la sua gioia, le sue marachelle che le mancavano da morire, seppur, al tempo, la facessero arrabbiare parecchio. Sua figlia, da questo punto di vista, le assomigliava molto.
    Con questi pensieri per la testa, si era recata presso l’ala dedicata al Pronto Soccorso: lo sguardo leggermente assente si fece in un batter d’occhio nuovamente lucido e attento. Era ora di lavorare, non di perdersi in malinconici ricordi… Osservò le persone presenti: sembravano essere tutti in codice verde, ma, anche lì, avrebbe dovuto fare una scelta, cominciando proprio da colui o colei che sembrava stesse più male, seppur non le piacesse operare delle differenze. La sua attenzione fu pienamente presa dal volto di una ragazza in lacrime. Perché mai le sembrava che assomigliasse così tanto a… lei? Era sicuramente una coincidenza ed era probabile che fosse ancora sotto l’effetto della malinconia che l’aveva scombussolata fino a qualche attimo prima. Era sporca di sangue, persino il suo volto ne aveva traccia.
    Si avvicinò a lei con passo scoperto e volto corrucciato dalla preoccupazione: non poteva farne assolutamente a meno. La ragazza sembrava assente, come se fosse totalmente assorta nei suoi pensieri. Il suo corpo era teso, i suoi piedi erano rivolti verso l’uscita, cosa che indicava che, probabilmente, non si sentisse a suo agio di fronte a tutta quella gente.
    Una volta al suo fianco, le posò una mano sulla spalla, dolcemente.
    - Signorina, è il suo turno – le disse, con tono caldo e pacato. Sembrava proprio che avesse bisogno di gentilezza, oltre che di cure.

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    Denrise
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    A volte sentiva seriamente il peso del mondo sulle sue spalle. A volte era come se non riuscisse a respirare davvero, come se quel mondo non gli appartenesse. Non riusciva a trovare una sua identità da nessuna aprte, non riusciva a sentirsi a casa neanche nei suoi stessi vestiti. Poteva cambiarli e comprarne di nuovi, ma ultimamente era irrequieta. Era andata a Londra perchè gli piacevano le persone, gli piaceva il fatto di stare sempre insieme a qualcuno, di poter sentire nuove parlate, nuove culture. Di vedere le ragazze della sua età spensierate e sempre con il sorriso sulle labbra. Gli piaceva anche il fatto che delle volte le persone guardandola sorridevano e basta, come se di fronte a loro avessero qualcosa di bello. Si sentiva apprezzata eppure, ogni volta che raggiungeva il culmine di una felicità, di un senso di appartenenza c'era sempre qualcosa che la spingeva completamente giù. Era incredibile come tutto quello si ripetesse ciclicamente. Non amava tutta quella tensione e non sapeva neanche poi così tanto sopportarla. Si morse il labbro e cercò di ricacciare, ancora una volta le lacrime. Sospirò appena e poi sobalzò quando sentì quella mano sulla sua spalla. Sgranò gli occhi e quasi cadde dalla sedia pur di tirarsi indietro. Io non so come... Non sapeva cosa dire esattamente. Quando vide quel viso, però, per la prima volta davvero sentì un senso di pace. Pace che non aveva neanche mai aveva provato prima, come se un'ondata di calore la invadessero. Ma si ricompose semplicemente prima di alzarsi appena. Non so se sono veramente in grado di camminare. Ho mal di stomaco, mi fa malissimo qui. si puntò da sola una costola. Forse era rotta? Incrinata? Sapeva solamente che non riusciva a guardare seriamente in viso quella donna. Era qualcosa di strano, ma piacevole. Si, forse ce le aveva prese veramente, ma veramente forti. Era incredibile come delle volte il destino ti mette sulla tua strada nelle maniera più impensabili!
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  4. Mayra Ellis
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    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Osservò il viso pallido: si stava mordendo il labbro, il che era una pessima abitudine quando si trattava di trattenere le lacrime. Era, infatti, secondo Mayra, sempre meglio piangere, non solo perché le lacrime eliminavano alcune tossine, contrastando batteri e disintossicando l’organismo, favorendo la sua protezione, ma soprattutto perché diminuiva lo stress e rendeva sicuramente più calmi e lucidi, seppur fossero sensazioni accompagnare da spossatezza e sentore di vuoto interno. E sembrava davvero che la giovane ragazza ne avesse bisogno.
    Non si aspettava una reazione così improvvisa, ma allontanò le mani con tranquillità, evitando di esser brusca in qualsiasi modo. Stese le braccia lungo i fianchi.
    - Mi dispiace, non volevo spaventarti… - si scusò, con un sorriso sulle labbra, dandole del “tu”. Il suo obiettivo era quello di metterla a suo agio e un eccessivo formalismo avrebbe fatto accadere il contrario. Ascoltò attentamente la prima spiegazione della ragazza sul suo stato di salute fisico. Mayra pensò che avrebbe potuto benissimo essere stata coinvolta in una rissa furiosa, abbastanza strano per una ragazza, visto che, generalmente, erano i maschietti ad essere i protagonisti di tali “avventure”. Nel corso della sua carriera ne aveva curati a bizzeffe e non aveva esitato ad usare un tono più duro con coloro che continuavano a fare gli sbruffoni, seppur fossero in un luogo dove era gradito rispetto per chi stava davvero male. In quelle occasioni, avrebbe voluto cacciarli via a pedate, ma si era costretta a mantenere la calma.
    - Va bene, allora, ora facciamo una bella cosa: non posso visitarti qui e non credo che tu voglia essere portata nel mio studio in barella, vero? – le disse, scherzandoci su. Estrasse la bacchetta dalla tasca della sua casacca azzurrina, che aveva modificato apposta in modo tale che fosse sempre a portata di mano, ma prima di puntarla sulla paziente, preferì avvertirla della prossima mossa che avrebbe compiuto. Era un approccio valido, che usava con chiunque, perché aiutava l’altro a sentirsi consapevole di quello che sarebbe accaduto e, quindi, sarebbe stato sicuramente più sereno, evitando isterismi a cui, a volte, persone spaventate potevano dar vita.
    - Ma prima di tutto: come ti chiami? -
    Le porse la mano e si presentò: - Io sono l’infermiera Mayra Ellis! In realtà, il mio nome è Maurine, ma puoi chiamarmi Mayra -.
    Sapere i nomi l’una dell’altra aiutava a creare un clima di fiducia.
    - Come stavo dicendo prima, ora proverò a lanciare sulla zona toracica un Incantesimo Ripara Fratture. Se la costola sia rotta, allora si risalderà insieme, altrimenti, non sentirai praticamente nulla. -
    Aspettò che le parole penetrassero nella mente della giovane e che si tranquillizzasse.
    - Allora vado -
    Puntò la bacchetta verso la zona che le aveva indicato e esclamò decisa: - Brachium Emendo! -.

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    MAYRA-ELLIS
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    Edited by Mayra Ellis - 6/6/2022, 21:17
     
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    Denrise
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    Non avrebbe mai capito perchè delle volte si sentiva così fragile ed inappropriata. Ci stava seriamente provando a fare tutto quello che serviva pur di non cadere di nuovo nel vittimismo, ma gli sembrava vivere in un incubo: ogni volta che la sua vita sembrava andare meglio, allora c'era il destino a ricordarle che doveva rimanere in basso, il più possibile. Si morse il labbro ancora ed ancora e quando quell'inferimera si avvicinò e le schizzò in quella maniera si sentì ancora più sciocca. Poi sorrise timidamente ed anche intimorita dalla situazione. Si, aveva qualcosa di famigliare, ma non disse assolutamente niente. Non voleva sembrare ancora più stupida di quello che già si sentiva. No, non preoccuparti, sono io... Non ce la fece, scoppiò a piangere mentre si teneva la costola. Ed allora si mise ancora la mano sulla costola tenendosela come se tutto quello gli comprimeva la gabbia toracica e le faceva ancora più male. Forse si meritava quel dolore, forse doveva solamente morire e smetterla con quella vita patetica. Alla fine non aveva nessuno che le voleva veramente bene. La sua famiglia,da quando se ne era andata di casa, non si faceva ne vedere ne sentire, come se l'avessero completamente dimenticata, non aveva un fidanzato e Jason era sempre a lavoro. Era da sola e in quel momento desiderava davvero la morte. (Lu ti ho trovato una migliore amica! - Blake sta zitto!) Poi la sua gentilezza la fece un pò riprendere e con il dorso della mano si asciugò le lacrime prima di sospirare. Annuì più volte a quello che la ragazza le disse come se fosse una cosa importante e cercò di respirare più e più volte per calmarsi. Poi quando l'infermiera le sorrise e la invitò ad andare con lei, Joanne si alzò semplicemente e la seguì. Joanne. Ma puoi chiamarmi Joe! Rispose cortese. Forse non lo era mai stata nella sua vita e forse si stava anche chiedendo il perchè con lei le era venuto così spontaneo farlo. Non disse niente fin quando non arrivarono al suo studio, poi si mise stesa su quel lettino e tra un singhiozzo ed un altro cercò di riprendersi. Annuì di nuovo. Non sapevo neanche che mi avessero colpita li! Disse semplicemente prima di fare un respiro profondo e sentire un leggero crack alla costola. All'inizio fu fastidioso, ma una volta finito l'incanto sembrava andare molto molto meglio. Il ginocchio era ancora pieno di sassi e soprattutto le faceva ancora mel tutto. Ma come era possibile?
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    Joanne Nilsson - 23 anni
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  6. Mayra Ellis
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    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Le dispiaceva davvero molto che la ragazza stesse piangendo: non era una magipsicologa ma, comunque, aveva capito che ci fosse di più rispetto al cosa avesse procurato tutte quelle ferite. Non avrebbe voluto che Joanne si sentisse a disagio tra tutta quella gente: avrebbe preferito che la giovane donna potesse avere un po' di privacy nel suo studio, ma non riusciva a camminare, evidentemente per quella costola incrinata o rotta. Aveva dato il meglio di sé stessa con la sua gentilezza perché pensava che la cara Joanne ne avesse bisogno e non soltanto di quello. Non appena udito il crack, osservò come quel dolore avesse mozzato il fiato alla giovane. Aveva sicuramente provato quella sensazione strana di qualcosa che si muoveva in un movimento improvviso all’interno del proprio corpo, che non era esattamente comune.
    Non pronunciò parola quando disse di esser stata colpita, ma si limitò ad assimilare quella informazione e a metterla da parte, in un angolino del proprio cervello. Cerco di mettere ordine tra i pensieri che cominciarono ad affollarsi, puntellati da mille interrogativi, l’uno più pressante dell’altro. Chi l’aveva colpita? E perché?
    Le poggiò nuovamente la mano sulla spalla, che strinse con tocco leggero.
    - Vieni, Joanne, andiamo nel mio studio – esclamò. Il tono di voce era gentile.
    - Riesci a camminare ora? -
    Era una domanda abbastanza lecita: la ragazza, infatti, avrebbe continuato a sentir dolore, ma aveva bisogno che andassero nel loro studio per una porle una fasciatura sulla zona interessata: l’osso era stato ricomposto, ma, onde evitare che la debolezza della costola si manifestasse in una nuova frattura se fosse stato fatto un movimento brusco o si fosse stati vittima di una brutta caduta, sarebbe stato meglio fasciarle la zona e mantener le bende per tutto il periodo necessario alla ricostituzione di quella parte di cassa toracica.
    Le porse la propria spalla.
    - Se hai bisogno, non esitare a poggiarti a me, mi raccomando! – le intimò. Le avrebbe comunque mantenuto un braccio vicino alla zona centrale della sua schiena, per coglierla se non avesse retto. Raggiunsero lo studio di Mayra, dopo aver attraversato una serie di corridoi (ed era questo che l’infermiera criticava: non potevano affidarle in prestito uno studio vicino al pronto soccorso per quei pazienti che avessero avuto bisogno di cure imminenti?).
    Aprì la porta d’ingresso e fece accomodare prima Joanne, che accompagnò verso il lettino.
    - Mettiti comoda, fa come se fossi a casa! -
    Sorrise.
    - So che non è proprio come casa, ma giuro che quel lettino è abbastanza confortevole! Ti assicuro che, più di una volta, mi ci sono addormentata sopra durante i miei turni di notte – scherzò, ridacchiando. Cercava di distrarla, in qualche modo, da tutti quei pensieri, ma la vide ancora singhiozzare.
    Si avvicinò a passo normale, in modo tale da non allarmare la ragazza, nuovamente al lettino: vi si sedette, prendendo posto in un angolino libero, e raccolse la mano della ventiquattrenne nella sua, con delicatezza, senza farle pressione per prenderla. Se non avesse voluto, sarebbe stata in grado, senza arrecare alcuna offesa, di toglierla.
    - Cosa c’è che non va…? – le domandò.


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    Denrise
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    Tutte quelle sensazioni gli stavano cominciando a levare il respiro. Doveva ammettere che non si era mai sentita in quella maniera, ma soprattutto non aveva mai davvero capito come le persone riuscissero a fidarsi in maniera così assoluta a delle altre persone. Eppure in quel momento sapeva che nelle mani di quella donna non gli sarebbe accaduto assolutamente niente. Era come se le sue mani fossero sue amiche ancor prima di conoscerla. Non le era mai capitato e cominciava a pensare che in realtà quella sensazione fosse perchè provava attrazione per le donne. Era possibile una cosa del genere? Eppure no, non era eccitazione, era vero e proprio senso di appartenenza. Si morse il labbro questa volta in maniera più tranquilla e poi si strinse nelle spalle. Non voleva poggiarsi a lei non voleva sentirsi ancora più debole di quello che era in quel momento e non voleva neanche che lei l'aiutasse e non perchè fosse lei la cattiva ma perchè non aveva imparato niente dannazione! Sospirò appena e poi, alla fine, comunque si lasciò avvolgere da quel braccio che non fu per niente pressante, anzi, ancora una volta sentiva quasi un senso di famigliarità. Era così disperatamente sola che non sapeva neanche più distinguere quello che gli succedeva intorno? Quello che avrebbe dovuto provare per davvero? Cercò di non pensarci ed alla fine arrivarono nel suo studio. Joanne rimase comunque in silenzio tra le sue paure, pensieri e frustrazioni, si mise stesa sul lettino e poi sospirò. La vide mettersi affianco a lei, ad un angoletto senza far rumore o dare fastiio. E a quella domanda, con la mano nella sua le fece tornare le lacrime agli occhi. Cercò di trattenersi ma niente, alla fine riscoppiò in lacrime, questa volta non si trattenne. Era inutile cercare di essere una persona diversa da quello che era realmente. Doveva smetterla di illudersi di essere speciale. Cosa stava facendo? Come si permetteva anche solo di pensare di uscire dal quel suo guscio. Si sentiva come i Malavoglia: volevano espandere il loro commercio di pesce ed alla fine persero sia il nuovo che il vecchio. Verga lo insegnava. Chi nasceva pescatore non poteva morire con uno status differente. Eppure lei si era impegnata per tutto quello, davvero. Non c'è niente che vada come dovrebbe andare. Sono andata a vivere da sola, forse per sentirmi voluta dalla mia famiglia, ma adesso neanche mi parlano più, come se non fossi figlia loro. Non ho amici, ne avevo solamente due e non si fanno ne più vedere ne sentire... sono sola. E sinceramente certe volte... Si fermò. Perchè lo stava dicendo proprio a lei? preferirei essere morta. Ecco. Lo aveva detto.
    Joanne Nilsson

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    Joanne Nilsson - 23 anni
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  8. Mayra Ellis
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    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Mayra era sempre stata una ragazza empatica: non sapeva spiegarsi il perché o da cosa fosse nata quella sua sensibilità, tuttavia, aveva cercato di ricondurla al suo aver dovuto fare da madre ai suoi fratelli. Forse, era stato proprio quello che aveva scoccato nel suo cuore la freccia dell’amore, come le piaceva chiamarlo. Lei non faceva distinzione: ogni suo paziente era nel suo cuore e, se qualcosa lo feriva, non poteva fare a meno che ascoltarlo, dargli conforto e consiglio. Non sarebbe stato tanto diverso con Joanne: lei aveva sempre preferito un rapporto più diretto, meno professionalizzante, ma, soprattutto, più umano. Quell’occasione, poi, richiedeva un preciso “intervento”.
    Le strinse la mano per farle capire che lei era lì, qualunque cosa lei avesse avuto bisogno. La rattristava l’evidenza che la ragazza si fosse tenuta molto dentro – ed era comprensibile dal fatto che si stava sfogando con una perfetta sconosciuta! -, ma, d’altro canto, era felice che avesse trovato il coraggio di sfogarsi ed esprimere i propri sentimenti, anche se a lei, anche se avrebbe dovuto essere semplicemente la sua guaritrice del Pronto Soccorso.
    Ficcò la mano nella tasca della sua casacca e raccolse un pacco di fazzoletti che porse alla ragazza. Ascoltò attentamente quel che aveva da dire: la sua situazione le ricordò vagamente ciò che era stata costretta a passar lei, il che le fecero passare per il volto uno sguardo angustiato e comprensivo. Quante volte nella sua vita aveva desiderato morire? Tante, forse anche troppe. Se si era salvata era solo grazie a sua figlia. Lei era divenuta il perno della struttura della sua intera vita. Se non ci fosse stata lei… avrebbe sicuramente raggiunto la sua sorellina, molto presto rispetto a quanto le persone avrebbero potuto pensar di lei.
    - Capisco… - esordì dolcemente. – E’ dura, molto dura, a volte fin troppo. Lo so… non è per niente bello avere dei genitori che non ti trattano da figlia. Ma posso dirti una cosa: non costruire la tua vita in funzione degli altri, Joanne. La vita è tua e devi esserne padrona tu. Non so… vorresti imparare qualcosa? Imparala. Vorresti essere diversa? Cambia te stessa. Vorresti essere sempre quella che sei? Rimani così come sei. Impara a non indugiare, a prendere saldamente decisioni che pensi ti farebbero star bene, senza se e senza ma. La vita è una e non può esser sprecata per persone che non hanno un briciolo di umanità… -
    Erano parole forti, ma proprio quello che servivano alla sua paziente. Le accarezzò il dorso della mano con il pollice.
    - Ora ti rimettiamo in sesto, mmh? E, poi, se ti va, ovviamente, ci prendiamo qualcosa da bere, tanto io – guardò l’orologio al suo polso – smonto da lavoro proprio tra cinque minuti! -
    Non era professionale, ma le regole potevano andare a farsi fottere.
    - Ho bisogno di sapere: dove sei ferita? Oltre al ginocchio intendo -



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    DIFFIDENTE
    Abitualmente scettico o sospettoso nei confronti degli altri e delle loro azioni.
    Il problema principale di quella situazione era che Joanne aveva paura, paura di aprirsi, paura di essere amica di qualcuno e di essere quella sempre bisognosa di attenzioni. Non ne aveva mai ricevute ed ogni volta che qualcuno faceva un passo avanti verso di lei, lei si affezionava a quella persona neanche fosse la migliore del mondo. Non aveva termini di paragoni e di conseguenza non aveva contezza di chi la prendeva solamente in giro e di chi, invece, aveva solamente buone intenzioni per farla stare meglio. Era come se Joanne vivesse costantemente sul filo del rasoio, ed ogni volta che cercava stabilità in qualche rapporto, qualsiasi esso sia, veniva trattenuta giù o tirata nel baratro da dove cercava di uscire. Non sapeva esattamente il perchè dovesse succederle una cosa del genere, ma era convinta che tutto quello che le stava capitando era perchè aveva fatto qualcosa a qualcuno e lei non lo sapeva. Era una persona molto religiosa, e di conseguenza credeva molto nelle punizioni divine, ma niente. Non riusciva veramente a piegarsi perchè tutto quello dovesse capire proprio a lei. Si, ok, era forte e doveva esserlo, ma adesso si stava esagerando. Si morse il labbro alle parole della sua medimaga di fiducia di quella sera e poi ritrasse appena la mano dalla sua, come se sapesse benissimo che si sarebbe lasciata andare in confidenze e che non voleva aggravare ancora di più la sua situazione. Ci provo. Ed ogni volta che ci provo finisco sempre a terra. Ed allora mi rialzo e ricomincio a combattere, ma non ce la faccio più. Io non ho mai chiesto niente dalla vita! I miei genitori non mi hanno mandata a scuola, hanno deciso che non ero neanche degna di imparare, ed allora l'ho fatto da sola, ed allora loro mi hanno dato più lavoro! Insomma tu parli semplice, hai un posto di lavoro, sei bella, magari i tuoi colleghi ti rispettano ed avrai anche un fidanzato che ti aspetta tutte le sere a casa, o comunque qualcuno che lo faccia. Io NO. Nessuno. Se in questo momento morissi, nessuno se ne renderebbe conto o comunque sentirebbe la mia mancanza!Anche le sue erano parole forti, ma doveva ammettere che era quello che sentiva veramente, quello che era vero. Le parole che più rispecchiavano il suo stato d'animo, il suo malessere sia fisico che sentimentale, e forse più morale ed emotivo che fisico. Si morse ancora il labbro e prese un fazzoletto, poi si asciugò le lacrime, anche se era convinta che ancora non sarebbe riuscita a trattenerle del tutto. Aveva accumulato troppa rabbia, troppa solitudine e malinconia. Annuì quando lei gli disse che potevano prendere qualcosa insieme. Non voglio disturbarti. Ma se ti va a me farebbe piacere. Ammise timidamente, singhiozzando per cercare di riprendere il controllo del suo respiro ed anche di raccimolare un pò di dignità. Credo che ho qualcosa sulla guancia. Una ragazza mi ha dato un pugno. Io volevo solamente aiutare una signora in difficoltà, ed invece hanno picchiato sia me che quella signora. Solo che quest'ultima sono riuscita a curarla io, è una babbana, non ci ha capito niente... ma dovevo andare via da li e l'unico posto che mi sembrava giusto era questo. Nessuno glielo aveva chiesto, ma era giusto che quella ragazza così gentile e dal volto famigliare, sapesse esattamente quello che le era successo.
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    DENRISIANA
    ARCIERA
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    Joanne Nilsson
    Diffida di tutto, tranne di quello che ti dice il tuo cuore.
     
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  10. Mayra Ellis
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    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    Mayra capiva benissimo la situazione in cui versava la povera giovane e non era estranea ai sentimenti che stava esternando, per quanto lei volesse dire. Ma la guaritrice sapeva che quelle parole non erano state dette con cattiveria o malizia, perciò non se la prese affatto. Lasciò che la ragazza ritirasse la sua mano dalla propria, perché comprendeva che poteva sentirsi a disagio, dal momento che lei era una totale sconosciuta. Con una leggera titubanza, per timore che potesse far qualcosa di sbagliato, avvicinò il palmo della mano al capo di Joanne e le accarezzò i capelli.
    - Mi dispiace che sia così… - rispose, con voce quasi sussurrata, dolce. – È difficile, lo so… a volte vorresti solo che tutto finisse. -
    Lei lo sapeva. Tante volte aveva voluto farla finita con la sua vita, seppur avesse una creaturina in grembo. Era stata quest’ultima ad averla salvata: era stata la spinta giusta per trovare la forza di andare avanti, nonostante tutto. La prima volta in cui aveva pensato che, forse, sarebbe stato meglio non vivere più era stato il giorno del funerale di sua sorella: Edith, seppur molto più piccola, era stata un punto fisso per lei, un perno saldo, l’unica con cui poteva davvero giocare, anche se erano giochi da infanti. Ma quando era andata via, Mayra aveva voluto solo raggiungerla in cielo, come diceva sempre.
    Vide Joanne cercare di trattenere i singhiozzi e le lacrime.
    - Su, vieni qui! – esclamò, spalancando le braccia e tirando la ragazza in un forte abbraccio. Ne aveva bisogno e aveva assolutamente bisogno anche di piangere e sfogarsi.
    - Non aver paura di piangere… ti farà bene… -
    Erano le stesse identiche parole che aveva voluto sentirsi dire quando era stata male lei, ma nessuno di era preso la briga di confortarla. Aveva sempre dovuto essere forte, stringere i denti, evitare di piangere o farlo di nascosto, mentre dentro si sentiva letteralmente morire. Le accarezzò la schiena e non l’allontanò mai di sua spontanea volontà. Avrebbe dovuto farlo da sola.
    Non appena la giovane donne avesse ripreso il controllo di sé stessa, Mayra avrebbe proceduto a curarle le ferite. Si avvicinò ad un mobiletto, bagnò un pezzo di cotone in acqua pulita e lo passò sulla guancia della ragazza con delicatezza.
    - Perdonami se ti faccio male, ma devo pulire la zona dal sangue per valutare la ferita -
    Una volta pulito, ispezionò il danno.
    - Fortunatamente – o sfortunatamente – è solo un livido. Ora ci metto un unguento e passerà subito -
    Ne prese un barattolo, lo aprì e cominciò con i polpastrelli a spalmare un po' di quella pomata.
    - Non fa male – cercò di rassicurarla. In quello stato, tutto avrebbe potuto spaventarla.
    Poi, rivolse la bacchetta verso il ginocchio ed enunciò un secco – Emplastrum – che consentì alla ferita di rimarginarsi.
    - È stato davvero nobile da parte tua difendere un’anziana signora! Non tutti lo farebbero, purtroppo… siamo in una società pieno di egoismo e persone come te ce ne servirebbero molte di più… -
    Lo pensava davvero.
    - Se hai bisogno di una doccia, posso farti accedere ad uno dell’ospedale – anche se di nascosto –. Le rivolse un occhiolino. – Ho alcuni miei vestiti di ricambio, pulitissimi e profumati, nel mio armadietto. Potrei prestarteli1 Questi vestiti – rivolse la sua attenzione a quelli di Joanne - hanno bisogno di essere rammendati, ma soprattutto ripuliti e messi ammollo con acqua calda, altrimenti il sangue secco non andrà mai via. Dimmi tu cosa preferisci! Poi, possiamo andare via assieme -




    Madre
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    MAYRA-ELLIS
    Oggi è il giorno in cui la mia vita comincia.
     
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    Abitualmente scettico o sospettoso nei confronti degli altri e delle loro azioni.
    Tenne il punto fino ad un certo momento, poi la voglia di essere abbracciata e sentirsi parte di qualcosa fu talmente tanto forte che quando la medimaga allargò le braccia verso di lei, Joanne non fece altro che sprofondarci dentro e stringersi a lei, come se quelle braccia potessero salvarla da se stessa e da chiunque altro le avrebbe potuto fare del male. Quell'abbraccio non fu solamente riparatore, ma per la prima volta nella sua vita, la dolce Joanne, davvero, si sentì parte di qualcosa, come se l'odore della pelle di quella donna lo conoscesse da sempre. Ma non era quello il momento di pensare a niente. Joanne stava piangendo così tanto e con così tantissima foga che il respiro divenne sempre più corto, il mondo era sempre più buio e gli occhi gli facevano un male intenso. Era qualcosa di allucinante tutto quello, ma una cosa era certa: anche nelle sere più strane e solitarie della sua vita, Joanne non si era mai sentita protetta come in quel momento. Era come se tutto quello fosse qualcosa di magico, come se il senso di appartenenza a quella ragazza fosse così forte da rendere tutto quanto più facile. Tirare fuori ogni sua emozione, ogni sua frustrazione le stava sembrando una cosa così assurdamente spontanea che quasi aveva paura di scoprire che era solamente una sensazione e che tra di loro non c'era nessun tipo di legame. Era incredibile anche solo pensare che tutto quello era semplicemente frutto di una circostanza e niente di più. Ci fu anche un momento, nella sua mente, che aveva pensato davvero che le piacessero le ragazze e quindi quel piccolo filo era per quella situazione. Ma no, era completamente differente. Quando comunque la medimaga si staccò per andare a prendere la medicazione, Joanne si ricompose e fece dei lunghi respiri profondi. Grazie. Sussurrò con voce completamente spezzata dal pianto. Ecco, si sentiva esattamente come la sua voce, in quel momento: rotta. Sorrise appena alla ragazza quando gli disse che nel mondo c'era bisogno di persone come lei e poi si strinse nelle spalle. Sgranò gli occhi per la sua gentilezza gratuita e poi si rese da solo conta che era un medico, era normale che fosse in quella maniera. Eppure non sembrava essere un atteggiamento avuto solamente per un camice. Annuì e poi si strinse nelle spalle. Te ne sarei davvero grata, mi vergogno di tornare a casa così. Sussurrò poi lasciandosi seriamente curare. Adesso era sicuramente più tranquilla. Sei così con tutti? Poteva sembrare davvero una domanda fuori luogo ma... c'era davvero qualcosa che la stava disturbando, come dei ricordi di sofferenza che non facevano altro che voler uscire fuori dalla sua mente, ma non trovavano uno spazio per farlo davvero.
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    Joanne Nilsson
    Diffida di tutto, tranne di quello che ti dice il tuo cuore.
     
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  12. Mayra Ellis
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    PAUSA
    (/pàu·ṣa/) Interruzione temporanea, intervallo.
    - Non c’è bisogno di ringraziarmi… - le rispose sinceramente. Mayra era del parere che il bene andasse seminato per raccoglierne i frutti e lei sognava per sua figlia un mondo sinceramente migliore di quello in cui vivevano. E, poi, rimaneva l’evidenza per cui lei, in qualche modo, si rispecchiasse in quella sconosciuta. Donarle ciò che avrebbe voluto che fosse stato dato a lei al momento del bisogno era come se le togliesse un peso dal petto. E, poi, era ciò che avrebbe fatto se al posto di quella donna ci fosse stata sua sorella. Più volte aveva provato a immaginare cosa sarebbe potuta diventare, se mai ne avesse avuto la possibilità, perché Mayra avrebbe combattuto affinché sua sorella avesse ricevuto le migliori opportunità, un po' come aveva fatto per gli altri suoi fratelli, anche se, forse, per Edith si sarebbe spinta ancor di più. Il volto di Joanne, poi, era come se le assomigliasse… aveva avuto quella sensazione sin dall’inizio di quell’incontro, ma provò a cancellarsela dalla mente e dal cuore, perché non era proprio possibile che lei fosse viva. Era morta, le avevano fatto un funerale, sua madre aveva pianto su quella tomba, almeno il giorno in cui la piccola bara bianca fu posta sottoterra: era vero anche, però, che lei non aveva mai visto il corpicino della bambina.
    - Capisco come ti senti: frantumata in mille pezzi e come se i cocci non possano essere rimessi più assieme… -
    Sospirò. Nonostante il suo percorso di “rinascita”, era sempre difficile parlare del suo passato, anche se solo delle emozioni ad esso connesse. Osservò gli occhi rossi e gonfi della ragazza. Bagnò uno straccio nella bacinella d’acqua fresca che aveva avvicinato al lettino, lo strizzò e lo avvicinò agli occhi della ragazza.
    - È per i tuoi occhi… ti sentirai meglio dopo… -
    Se glielo avesse consentito, lo avrebbe poggiato direttamente sugli occhi della giovane.
    - Non preoccuparti, qui nessuno ti farà del male – provò a rassicurarla. Non vedere poteva essere una esperienza destabilizzante, soprattutto quando ci si trovava in un ambiente sconosciuto.
    L’aveva fatto tante volte per sua figlia: era il lato premuroso di sé che non poteva scacciar via.
    Capì al volo ciò che le voleva davvero chiedere Joanne: in parte sì, in parte no. Di certo, quella cura che stava mostrando a lei non la dava a vedere a tutti. La gentilezza non mancava mai, ovviamente, quando trattava con i suoi pazienti, ma la donna che aveva di fronte, invece, stava sperimentando una Mayra più profonda.
    - Non proprio – rispose semplicemente, ma non le rivolse ulteriori spiegazioni.
    Dopo che ebbe finito di curare le sue ferite e che lo straccio bagnato fosse stato abbastanza tempo da lenire il bruciore degli occhi, affermò: - Ora aspettami qui: corro a prendere i miei vestiti di ricambio e torno subito, ok? Così, poi ti mostro la doccia e faccio da guardia! -




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    C'erano tantissime cose che non avrebbe mai voluto provare, Joanne: prima tra tutti era sicuramente l'umiliazione. Eppure era quella che aveva provato più volte. Si era sentita umiliata quando nessuno si era preoccupata per la sua formazione scolastica, si era sentita umiliata quando non sapeva leggere ed i suoi coetanei addirittura sapevano fare magie, si era sentita umiliata quando le sue amiche ridevano di lei e del suo aspetto, si era sentita umiliata per tutta la vita, tanto da non saper distinguere la gentilezza, dalle prese in giro. Non sapeva ancora se poteva fidarsi davvero di Mayra, non aveva ancora ben chiaro davvero il perchè la riccia fosse così cortese con lei. Possibile che lo faceva solamente perchè era il suo lavoro? Possibile che tutto quello veniva fatto solamente per cortesia? Non ci credeva moltissimo, ma non riusciva neanche a credere al contrario. Era una ragazza troppo carina, era una ragazzina troppo spensierata e soprattutto era stata spontanea. Quindi, alla fine si sdraiò di nuovo e lasciò che lei mettesse la benda suoi suoi occhi e li chiuse, addirittura. Quel senso di famigliarità le faceva paura e le scaldava il cuore allo stesso tempo. Si morse appena l'interno del labbro e poi si strinse nelle spalle quando le diede una sorte di spiegazione. Non ho intenzione di fidarmi davvero di te, ma mi fanno male gli occhi. Non era neanche quello che davvero voleva dire, ma oramai lo aveva fatto. Poi seguì un lungo silenzio ed ancora quella domanda. Uh, e perchè con me sei così? Ecco! Aveva capito il trucchetto, sicuramente era così per prenderla in giro. Se lo sentiva. Ma quando la ragazza, addirrittura le disse che le avrebbe fatto fare la doccia li, ma subito dopo che lei si sarebbe cambiata, Joanne attese, semplicemente, che la riccia se ne andasse a cambiarsi, prima di alzarsi dal lettino e scappare via. Aveva paura e tutta quella gentilezza e quelle sensazioni così assurde la stavano mettendo a disagio. Aveva cambiato idea, voleva solamente sparire ed andare via, voleva solamente tornare a casa sua. Edwards. Voleva lui al suo fianco. Joanne, appena riuscì si smaterializzò nell'unico punto possibile a Denrise e poi, a fatica se ne tornò a casa sua. Dovevano smetterla di illuderla in quel modo, dovevano smetterla di farle credere che c'era qualcosa di bello nella sua vita e che poteva combattere davvero per qualcosa di estremamente importante e costruttivo. Per lei non c'era niente. Era solamente una disadattata che a 24 anni non aveva avuto mai una famiglia, o degli amici, oppure aveva conosciuto l'amore. Era quella la verità e doveva rassegnarsi a tutto quello. Appena tornò a casa si strinse nelle ginocchia e nel buio più totale mandò un messaggio al ragazzo e poi rimase li, a piangere. Non voelva vederla mai più.
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