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Louise De Maris.
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LOUISE DE MARIS
L’ultima lettera che le era stata consegnata era, sorprendentemente, di suo zio, Evrard Boyer. Non si aspettava che l’uomo potesse mettersi in contatto con lei, aveva sempre pensato che sarebbe spettato a sua zia quel compito, considerato da loro “rognoso”. Eppure, da quanto aveva potuto comprendere dalle poche righe che il Boia le aveva scritto, ormai, la sua educazione era diventata una sua priorità.
Se ti scrivo questa lettera, è solo perché diversi fattori mi costringono a farlo. Di certo, non è mia intenzione scambiare convenevoli inutili, soprattutto quando si tratta di te.
Quell’ultima frase fu un’ennesima pugnalata al cuore per la ragazzina: avvertire di essere disprezzata era un conto, ma sentirselo dire tutto un altro e di certo faceva più male.
Viste le condizioni in cui siamo immersi ora, con l’imminente matrimonio di Alton Mckinley e la mia alleanza con lui, sono costretto ad avere riguardi circa la tua educazione. Non mi perderò in ulteriori chiacchiere: devi spedirmi una lettera, il prima possibile, su come stanno andando i tuoi studi e dirmi in quale casata sei stata smistata. Ti conviene scrivere la verità: se non lo fai, la verrò a sapere. Ho contatti all’interno della scuola che mi dicono di ogni tuo passo falso, quindi, stai attenta a quello che fai.
Evrard Boyer
P.s. Spero per te che tu non sia stata smistata ad Ametrin o a Dioptase, altrimenti sai quali saranno le conseguenze.
Una lettera avrebbe dovuto rincuorare, ma quella era tutto fuorché rincuorante: l’aveva solo avvilita e portata al panico. Era stata smistata ad Ametrin. Ma come l’avrebbe detto? E, poi, chi era la spia che la controllava? Sapeva che non sarebbe mai stata al sicuro dai suoi zii, nemmeno a scuola. Perciò, non avrebbe dovuto fidarsi di nessuno, tantomeno di coloro che facevano parte dell’alta società e che frequentavano i salotti e le feste dati nella loro tenuta.
Mentre la mano scriveva sulla pergamena sgombra, la sua mente sembrava ancorata ad un dubbio assillante: dire la verità o dire una bugia? Se avesse scelto la prima opzione sarebbe seguito un caos; se avesse scelto la seconda non sarebbe stata salva comunque. Quindi, meglio dire la verità subito.
Caro zio,
Le parole erano tremolanti nella scrittura, a causa di un pennino poco fermo, tenuto tra dita che vacillavano nel loro compito e la carta cominciava a impregnarsi di inchiostro sbavato. Il cuore le batteva a mille e aveva paura.
Come avrebbe dovuto continuare?
mi dispiace.Io sonoE’ stata scelta Ametrin come casata di appartenenza. Ma ve lo posso giurare, io non volevo! Ho chiesto di essere smistata a Black Opal, ma non mi ha ascoltato!Non è colpa mia.
Le lezioni vanno bene, come vi aspettate. Spero che questo colmi la vostra delusione.
Louise De Maris
Non poteva scrivere altro. Aveva già terrore di spedire quelle poche righe che aveva gettato di pugno. Aveva pensato che, forse, usare la formalità che il Boia le richiedeva quando non era presente alcun ospite, l’avrebbe calmato un poco.
Il giorno seguente aveva camminato avanti e indietro per tutta la sua stanza, pensando che, forse, sarebbe stato meglio ritardare l’invio di quella lettera. Ma quando aveva pensato che se l’avesse fatto più tardi le conseguenze sarebbero state peggiori, si decise a prendere coraggio. Raggiunse a passo svelto la guferia: prima l’avrebbe fatto, prima sarebbe finito l’incubo. Tutto questo fino a quando, in cima alle scale, non si era scontrata con una ragazza, cadendo entrambe a terra, mentre la lettera che Louise aveva in mano volò fino a poggiarsi sul pavimento, a qualche metro da lei.
Gemette per il dolore al fianco e girò il capo verso colei che aveva colpito.
- Giada! – esclamò, in stupore. Ma si riprese subito, cambiando l’aspetto del suo volto e assumendo un’aria aristocratica. E se fosse stata lei la spia?
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LOUISE DE MARIS
- Abbastanza di fretta – rispose, nascondendo l’accortezza della sua voce in un timbro più caldo, che Giada avrebbe riconosciuto come il tono che era solito utilizzare in sua presenza.
- Sto bene, grazie. Mi dispiace di averti presa in pieno, non era mia intenzione. Semplicemente non stavo guardando dove mettere i piedi. Tu lo sai che spesso sono con la testa tra le nuvole! – fece una risatina. In realtà, non era per nulla goffa e non aveva mai la testa per aria. Era soltanto preoccupata e dire che stesse bene era un eufemismo: il fatto che la salute non le mancasse in questo momento era solo presagio di quello che sarebbe accaduto una volta che suo zio avesse posato gli occhi su quella misera lettera dalle parole tremolanti.
- E tu come stai? -
Era una domanda di cortesia, non che in quel momento le interessasse davvero, visto che la ragazza poteva essere la pedina perfetta per il Boia. Le passò per la mente il dubbio sinistro che non fosse una coincidenza averla trovata lì.
Guardò la ragazza con sospetto quando raccolse la lettera che le era sfuggita dalle mani e la osservò con aria curiosa. Non gliela strappò da sotto il naso solo per non destare litigi e occhi di falco.
“Non ti dirò un centesimo di nulla!” pensò.
Accettò la mano che Giada le offrì per rialzarsi in piedi: si spolverò le vesti, pregando che non si fossero sporcate, visto che quella era una Guferia e non era di certo un posto famoso per la sua pulizia immacolata. Potevano benissimo esserci escrementi di gufo sul pavimento.
- Sto bene, non mi sono fatta nulla. Ti sei fatta male? -
Raccolse la lettera, spolverando anche quella. Avrebbe potuto farsi una grossa risata pensando alla faccia di suo zio se si fosse trovato un bell’escremento appioppato sulla carta, ma, sfortunatamente, questa non si era sporcata.
- Grazie – disse, - Oh, è soltanto una lettera a mio zio! -.
Sarebbe stato meglio dire la verità senza approfondire il suo contenuto. Ed era anche arrivato il momento di spostare l’attenzione da sé stessa all’altra interlocutrice: conosceva la ragazza e il suo egocentrismo, a volte. Sapeva che le piaceva parlar molto di sé stessa e dei suoi amori perduti o conquistati.
- E tu? A chi hai scritto? A qualcuno che ti piace? – chiese, ammiccando. Tutta una mossa, in effetti.
- Ma, alla fine, hai attuato il tuo piano subdolo con quel ragazzo di cui mi parlasti alla festa a casa mia? -
Edited by Louise De Maris - 29/9/2021, 22:28. -
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Almeno il discorso era stato dirottato sulle stagioni: autunno, inverno, estate, primavera... non che avessero molta importanza nella mente di Louise. Ora il tempo sembrava sfocato, il susseguirsi delle stagioni non aveva più una netta distinzione, tutto pareva sfociare in altro, come ci fosse una nebbia ad oscurare la vista. Alcune volte, la ragazza pensava che stesse venendo meno la sua lucidità mentale, in quanto molti ricordi le parevano sbiaditi e con il passare dei mesi non riusciva più a ricordare distintamente il tatto delle carezze di suo padre, la voce di sua madre.
Da bambina, ogni stagione le portava al suo piccolo cuoricino un'emozione diversa.
- Personalmente non ho una stagione preferita. Ognuna ha la sua specialità, mi piacciono tutte quante - rispose semplicemente, senza troppi giri di parole. Se avesse affermato ciò che pensava davvero, probabilmente le sue parole sarebbero state: "Quando ero bambina, mia mamma mi ripeteva sempre che ad ogni tempo rispondeva una bellezza e, per gioco, mi faceva indicare tutte le "bellezze" che trovavo per strada: così, al cominciare dell'autunno, indicavo le foglie secche sparpagliate sui sentieri, le pozzanghere piene d'acqua, il mio riflesso in esse, le nuvole che scorrevano veloci, portate via dal vento, verso luoghi sconosciuti; al cominciare dell'inverno puntavo il piccolo indice verso i primi fiocchi di neve, le guance arrossate dal freddo, l'odore delle arance a natale, il profumo d'agrumi; al cominciare della primavera raccoglievo mazzi di fiorellini da portare a mia mamma e rimanevo meravigliata dagli ingredienti di pozioni che si potevano raccogliere con papà e, infine, al cominciare dell'estate indicavo le acque del lago dove ero solita fare bagni limpidi, purificanti e rinfrescanti, gli animaletti che si avvicinavano ad abbeverarsi, il sole che scaldava la pelle. Grazie a mia madre ho imparato ad apprezzare tutto quello che mi circonda".
Rimase sbalordita quando sentì che suo padre gli avesse dato un ceffone.
- Un ceffone?! Cavolo, immagino benissimo la reazione di tuo padre. Fosse stato il mio, penso che ci sarebbe stato ben più di un ceffone. -
Come tutti i padri, Pacome De Maris ci teneva alla propria figlia e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di difenderla e far si che nessuno le facesse del male. Almeno quando era ancora vivo.
- Spero, comunque, che abbia imparato la lezione. E, dimmi, c'è qualcuno che ti piace al momento? - disse, con un sorrisino furbo sulle labbra. Era il continuo della sua strategia.
Edited by Louise De Maris - 30/9/2021, 18:11. -
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- Penso che tu abbia travisato le mie parole. Intendevo dire, che mio padre avrebbe dato più di un ceffone a colui che mi avesse fatto del male, ma con me non si sarebbe arrabbiato, ovviamente. Non sarebbe stata colpa mia per la situazione -.
Storia totalmente diversa sarebbe stata con suo zio, Evrard, il quale le avrebbe attribuito qualsiasi colpa, anche quella per il tradimento da parte del suo futuro marito: le avrebbe sicuramente detto che non era abbastanza moglie, che non si comportava come tale, che non dava attenzioni a suo marito. E, a quel punto, avrebbe alzato le mani. Non che Louise non ci fosse abituata. Ma non poteva dire quel dettaglio a Giada.
- Sicuramente avrà imparato la lezione. Mi dispiace, ma non credo che tornerà da te, secondo me è troppo spaventato da tuo padre per provare solo a parlare con te. Però penso che ci siano ragazzi senza ombra di dubbio migliori e uno, in particolare, che ti attende. Un po' come la favola del principe azzurro, sai? -
Erano ragazze e si sapeva che queste avessero una concezione dell’amore molto romantica e favolistica: per quanto alcune l’avrebbero potuta prendere in giro, Louise non si vergognava di questo suo puro sogno. Era bello pensare che qualcuno l’avrebbe aspettata, per giorni e per notti, di stagione in stagione e che quando si sarebbero incontrati lui le avrebbe potuto dire che l’aveva cercata così tanto.
Ma quando Louise sentì il nome di Julian, la sua bocca si spalancò in stupore e gli occhi assunsero uno sguardo più duro. Non riuscì a trattenersi dal dire: - Julian?! Ti piace Julian? Quel Julian?! Julian Miller? -
Non voleva che quella ragazza avesse una cotta per colui che l’aveva salvata. Era quasi gelosa, anche se non voleva ammetterlo a sé stessa. Julian era solo suo, nessuno poteva strapparglielo dalle mani. Era una delle persone più vicine che aveva avuto da quando si era trasferita in Inghilterra, uno dei pochi a sapere la sua situazione e non avrebbe permesso che Giada diventasse per lui ciò che lui era per lei.
Comunque, si ricompose, schiarendosi la voce.
- Sono rimasta scioccata, scusami per la mia reazione. Conosco Julian Miller di vista e so quanto sia altolocato, forse più di entrambe messe insieme. Sei proprio sicura di riuscire nel tuo intento? E lui lo sa? -
Dopo aver posto quelle domande, attese che la ragazza rispondesse. Dopo aver annuito, con un falso sorriso, guardò l’orologio e disse: - Scusami, Giada, è stato un piacere parlare con te. Dovremmo farlo più spesso -
“Solo per scoprire cosa combini, piccola mostriciattola succhiasangue o, dovrei dire, succhiaragazzi”.
Consegnò la lettera ad un gufo con l’ordine di darlo nelle mani di Evrard Boyer e salutò la ragazza, proseguendo la sua vita con l’intento di tenerla sott’occhio.
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