Giovani menti curiose

Isaac nello studio di Lancelot.

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    Isaac Callahan
    Dioptase | 16 anni


    Avevano concordato giorno e orario con uno scambio di gufi (che Isaac conservava gelosissimamente nelle pagine della sua agendina verde foresta, riposta al sicuro nel suo cassetto del comodino nel dormitorio dei Dioptase) e lui, in anticipo di una decina di minuti sull'orario stabilito, aveva percorso il corridoio del primo piano che conduceva all'aula di Rune Antiche. Per l'agitazione aveva saltato il pranzo e aveva ammazzato il tempo sistemandosi in maniera maniacale la cravatta e la giacca dell'uniforme scolastica, sino a renderle assolutamente perfette. Sul bavero sinistro della stessa, nell'asola che sarebbe destinata ad accogliere un bottone in realtà inesistente sull'altro lato della giacca, aveva appuntato la spilla della sua Casata, in modo che rilucesse e che fosse ben evidente. Sulle spalle aveva appoggiato lo zaino con i libri necessari alle lezioni del pomeriggio.
    Isaac si fermò davanti all'ingresso dello studio del docente. Deglutì nervosamente e sbirciò l'orologio che portava al polso: un pregiato orologio che i nonni gli avevano donato per la sua promozione ai G.U.F.O. di Hogwarts qualche mese prima: “Oh, no! Sono in anticipo.”, bisbigliò tra sé e sé. Rimase quindi a fissare la porta di legno, lasciando che la sua mente vagasse e rincorresse pensieri uno dopo l'altro. 'Che cosa spero di ottenere da questo incontro? A parte quello che è più ovvio: un bell'elenco di libri e di manuali di Rune Antiche da leggermi nel tempo libero. A Hogwarts ho sempre amato parecchio questa materia, non vedo perché qui debba essere diversa. Sì, ma poi? Che altro? Perché io sono qui, effettivamente?'. Erano interrogativi che Isaac non aveva smesso di porsi nei giorni precedenti e che si erano fatti sempre più insistenti nelle ore precedenti – man mano che l'incontro si avvicinava sempre di più. Avevano rischiato, oltretutto, di farlo deconcentrare durante le lezioni della mattina: era diventato sempre più nervoso man mano che il tempo scorreva inesorabilmente e, addirittura, durante l'ultima ora prima della pausa pranzo la sua mano tremava quando prendeva appunti. Per fortuna che stava utilizzando quelle stranissime piume babbane che aveva comprato da Kenna il giorno del suo arrivo: i tubicini di plastica che avvolgevano le cartucce impedivano alle dita di macchiarsi di inchiostro e quella mattina lo avevano di sicuro salvato da un disastro assoluto (che, al contrario, avrebbe di certo combinato se fosse ricorso ai tradizionali metodi di scrittura in uso presso i maghi).
    Aprì ambedue le mani, che sino a quel momento aveva tenuto strette a pugno, e le strofinò più volte contro i pantaloni della divisa, in un chiaro gesto di nervosismo. Inspirò profondamente e tentò invano di calmare i battiti del suo cuore: esso minacciava di saltargli fuori dal petto, squassandoglielo. Deglutì un paio di volte a vuoto: gli occhi scuri tradivano un certo nervosismo, che aleggiava non solo sull'espressione del volto del ragazzino ma che si annidava anche in un leggerissimo rossore che gli tingeva le gote e la pelle chiara del viso ancora da adolescente, acerbo e anonimo. Passò le dita della mano destra tra i capelli ma, con un sospiro spazientito e frustrato, rinunciò in partenza a risistemarli: sembravano cobra impazziti d'un morbido castano scuro, arruffati eppure invitanti – facevano venir voglia di infilarci le mani in mezzo.
    “Anche se sono in anticipo, ormai mancano solo un paio di minuti. Non è poi così maleducato, no?”, si chiese alla fine di un'attesa quasi estenuante: sembrava esser stato cotto a lungo, molto a lungo, su una graticola. Ormai era diventato insopportabile fissare il legno scuro della porta dello studio di Lancelot e così, chiusa a pugno la mano sinistra, batté contro essa con le nocche. Il gesto era deciso ma al medesimo tempo non insolente né irruento: tre tocchi ben distanziati l'uno dall'altro per farsi udire da chi era all'interno della stanza. Riabbassò la mano e la riportò lungo il fianco. Si costrinse a trarre un altro profondo respiro, purificatore, e attese con il cuore in gola e il pensiero che volava – con sin troppa insistenza – verso gli occhi chiari del biondo Insegnante di Rune Antiche.

    Narrato - "Parlato" - 'Pensato' | Isaac Callahan || Stat.
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    Lancelot Olwen
     
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