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Louise De Maris.
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LOUISE DE MARIS
L'appuntamento che le era stato dato da Harry era per quel giorno dopo colazione, nel giardino dell'Accademia. Così, si era alzata di buon mattino, si era fatta una doccia rilassante e, dopo essersi vestita, decise di raggiungere la sala per fare colazione. Non voleva abbuffarsi, quindi, optò per qualcosa di abbastanza leggero: una buona tazza di Pure White Tea e qualche fragrante biscotto. Più che una colazione, agli occhi degli altri sarebbe sembrato il pasto dell'ora del thè, ma Louise non riusciva ad abituarsi alle abitudini inglesi. Dopo aver preso l'ultimo sorso, raccolse la piccola borsetta di pelle marroncina, portandosela in spalla e si avviò verso l'uscita del castello. Il sole splendeva alto e la lieve brezza accarezzava l'erba e le acque del Lago Vaan, increspate in leggere onde. L'abito di mussolina bianca spiccava sulla sua pelle leggermente abbronzata e le maniche a campanellino scendevano dolcemente lungo i suoi polsi. D'un tratto, una farfalla colorata le si posò su un dito, facendole allungare le labbra in un dolce sorriso.
- Oh, ma ciao piccolina! Sei proprio bella, sai? -
La osservò svolazzare di qua e di là, poggiandosi ogni tanto su qualche fiorellino campestre. Adorava la natura: nella sua semplicità, era straordinariamente meravigliosa. Non si poteva aver paura di confidarsi, lei sarebbe sempre stata lì ad ascoltare le parole, i singhiozzi di pianto, le risate. Era una fedele compagna d'avventura. Certe notti si affacciava alla finestra, volgendo gli occhi alla Luna, e parlava al satellite come si faceva ad un caro amico. Ma quel giorno sarebbe stata in compagnia di due confidenti: la natura ed Harry. Vide in lontananza la sagoma scura e si avvicinò con aria felice, mentre lo salutava con una mano.
- Buongiorno! - disse. La sua voce non mostrava affatto gli eventi dei giorni precedenti ed, in particolare, quello che le era accaduto dopo esser ritornata a casa dalla fuga da suo zio.
- Grazie per avermi invitata! Sono felice che tu l'abbia fatto -.
Ancora una volta, spuntò un sorriso gentile sul volto sereno.
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LOUISE DE MARIS
Quel bacio sulla guancia era stato davvero inaspettato, molto di più rispetto all’invito ad incontrarsi: Louise si era aspettata che, prima o poi, l’avrebbe cercata, ma quel gesto così gentile e intimo l’aveva presa alla sprovvista, facendola arrossire in volto. Ricambiò l’abbraccio con un leggero imbarazzo.
- Oh, sto bene! – affermò in risposta alla domanda, ringraziando per il suo complimento.
Quando il ragazzo parlò di suo zio, facendole ritornare alla mente quell’evento così spiacevole che avevano passato, le sue guance si fecero scarlatte dall’imbarazzo e si portò le mani al volto per cercare di nascondersi dietro di loro, seppur sapendo bene che non ci sarebbe riuscita.
- Mi dispiace così tanto per l’altro giorno – rispose con voce più stridula del normale.
– Oh, che imbarazzo! – sussurrò.
Come era stato il suo ritorno a casa? Una domanda davvero di facile risposta, ma difficile da esplicare verbalmente: rientrata a casa in punta di piedi, per evitare la figura di suo zio, almeno fino a quando non si fosse preparata a difendersi, si era meravigliata di non esser stata accolta dalla sua violenza. Aveva percorso le scale il più silenziosamente possibile, levandosi le scarpe all’ingresso, in modo tale che non fosse udita la sua presenza. Aveva sussultato quando il legno di un gradino scricchiolò, bloccandosi in ascolto di probabili presenze.
Pensava di averla fatta franca per ancora qualche momento. Si diresse verso la sua camera: poggiò le sue lunghe dita pallide sulla maniglia, torcendola lentamente in senso antiorario in modo tale che si aprisse sommessamente. Ma le sue membra si fecero di ghiaccio, paralizzandosi, quando vide suo zio esser seduto su una sedia, sbracciato e con i talloni sulla scrivania, mentre una mano brandiva la tanto temuta bacchetta. Immancabile era il sorriso sadico che risaltava sul volto pallido dell’uomo.
- Si… lo è stato. Conoscendolo, non aspettava altro… -
Louise abbassò la testa, gli occhi rivolti verso il terreno.
- Sono stata io stupida, non avrei dovuto alimentare il fuoco scappando così! Conosco bene mio zio: se non l’avessi fatto, lui sarebbe stato duro, sì, ma non come lo è stato quella sera… -
Gli ematomi e le ferite che le erano comparsi sul corpo non erano stati curati successivamente, ma Evrard aveva preferito lasciarglieli per far sì che ricordasse la lezione e le aveva tolto la bacchetta fino a quando non avesse dovuto partire per Hidestone, in modo tale che non li guarisse neanche lei. Ma una volta giunti nella sua nuova stanza dell'Accademia, aveva provveduto a far sparire ogni segno di quella crudeltà.
- E’ stato meraviglioso, soprattutto il viaggio in nave e la vista del castello di sera! Non ho ancora avuto modo di stringere molta amicizia, ma, per il momento, mi sto trovando bene! -
Non gli aveva detto che era rimasta con l’amaro in bocca per non essere stata smistata in Black Opal, non tanto per sé stessa, a cui non importava di dove sarebbe finita, quando per i suoi zii, che l’avevano pesantemente minacciata in caso quello che era accaduto davvero fosse successo.
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Harry si stava davvero sporgendo con tutti quei suoi complimenti e Louise aveva intuito potesse esserci interesse da parte sua nei suoi confronti, non che non ne fosse felice, anzi, era un bel ragazzo, persino dolce e romantico, ma non avrebbe potuto instaurare una relazione per tre motivi: prima di tutto, non lo conosceva ancora abbastanza; in secondo luogo, non era innamorata e lei credeva che per avere un ragazzo bisognasse provare un sentimento forte; infine, c’era tutta la faccenda dei pretendenti e del suo futuro marito. Non poteva confidargli quei dettagli, non voleva coinvolgerlo più di quanto avesse già fatto.
La mano morbida del ragazzo accarezzò una sua guancia: Louise non si mosse al suo tocco, ma si poggiò ad esso, come un gattino che fa le fusa, sorridendo di un ammaliante sorriso.
- Vorrei davvero non dire niente, è già abbastanza brutto ricordarlo. Scusami, mi fido di te, tu ci sei stato più di tutti i miei parenti messi insieme, ma… è troppo complesso parlarne per me in questo momento -.
Cosa gli avrebbe dovuto raccontare? Delle maledizioni, delle torture e delle percosse che l’avevano fatta quasi svenire dal dolore? Non poteva sfuggire a quelle violenze, non ancora.
Era contenta che il ragazzo avesse cambiato argomento: le pupille si illuminarono di entusiasmo quando Harry la invitò ad una sorta di primo appuntamento romantico: guardare il castello al chiaro di Luna.
- Oh, sì Harry, sarebbe bellissimo! – rispose, battendo le mani in un applauso eccitato. – Verrò molto volentieri, basta che mi dici giorno e orario ed io ci sono sicuramente! -.
Di amici non ne aveva molti, ma le bastavano Harry, Julian, Ben e Giada per il momento: aveva stretto parecchio con i primi due, mentre dei secondi si poteva parlare di conoscenti profondi, ma niente di più.
- Sono felice che mi consideri tua amica! E sì, sei stato d’aiuto per me sin da principio, a dir la verità. E non saprò mai come ringraziarti abbastanza -.
Sentì dei passi avvicinarsi a loro, così si girò dando le spalle al ragazzo e si scostò i capelli portandoli in avanti, sul suo petto, lasciando il retro del collo scoperto. Evidentemente era stata una allucinazione uditiva oppure era stato qualche animale a proporre un rumore simile a quello di piedi che calpestano l’erba.
- Louise, ma quel livido che hai sul collo è opera di tuo zio per caso? -
- Cosa? -
Si girò di scatto, portando una mano sul punto in cui avrebbe dovuto esserci un livido che le era sfuggito alle cure improvvisate, sibilando dal dolore quando le sue dita entrarono in contatto con esso.
“Cazzo” pensò, sentendosi come se fosse un guaio che ora Harry avesse visto. Quando le mostro la foto sul magifonino, non disse una parola poiché sentiva come se le sue labbra fossero sigillate.
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Louise non poteva che essere più raggiante a quella proposta: non che la intendesse come un appuntamento romantico, alla fine lei e Harry si conoscevano davvero da pochissimo e lo considerava un amico sincero. E, inoltre, non poteva neanche solo essere sfiorata da un pensiero simile visto che, ormai, era stata promessa in sposa e aveva paura che ogni sua mossa fosse un passo falso. Eppure, ogni tanto, si lasciava libera di godersi la vita, nonostante quel momento di pace non durasse molto, perché i rami nell'oscurità penetravano in lei come fosse un veleno lento, ma letale.
- Sarebbe bello se facessimo di lunedì! Almeno possiamo goderci la luna senza pensare al mucchio di compiti che, già martedì, si saranno creati - rispose, con una risatina. Era la verità: nonostante lei fosse davvero precisa e puntuale, spesso, procrastinava i suoi doveri e il martedì, come i giorni a seguire, almeno fino a giovedì, erano terribili.
La questione del livido... beh, non sarebbe mai dovuta capitare. E Louise ammise a sé stessa che non fosse stata così attenta e che era colpa sua se quella serata era stata rovinata.
"Che cretina che sono!" pensò, auto-pungendo il suo orgoglio con parole non molto carine che Harry non avrebbe potuto ascoltare, visto che provenivano proprio dal suo stesso inconscio. Quello che non sapeva la ragazza è che fosse stato il lavaggio del cervello fattole da suo zio a scatenare quella reazione e molte altre, che si sarebbero rivelate nel corso del tempo, di cui Evrard ne sarebbe stato orgoglioso, sapendo di aver lavorato bene e che tutto stesse andando secondo i suoi piani.
Louise si sentiva di spalle al muro. Non poteva non rispondere e se avesse pronunciato un "No", sarebbe stato ovvio fosse una bugia.
- Si - sussurro, con voce piccola. Non voleva aggiungere altro, ma si sentì dire - È stato mio zio -.
Okay... forse lo voleva dire, probabilmente per confidarsi con qualcuno. Dopotutto, aveva sentito spesso dire che parlare aiutava molto.
- Quella sera... dopo il nostro incontro... io l-l'ho trovato seduto su una s-sedia in camera mia, con la bacchetta tra le m-mani... - la sua voce era incrinata.
- Lui... - provò a dire, ma non ce la fece più a trattenere il pianto, che sgorgò in un getto violento.
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Non riusciva a respirare: la sua gola le sembrava stretta in una morsa, mentre i singhiozzi le strozzavano la voce. Non avrebbe mai voluto piangere in quel modo davanti ad Harry, perché la imbarazzava profondamente farsi vedere in quello stato, ma non ce la faceva davvero più. Era stanca di ricordare, di non aver altro ricordo che quelli terribili di suo zio che brandiva la sua bacchetta contro di lei, contro sua nipote, per l’amor del cielo! Era stanca di rimanere senza voce, dopo intense sofferenze, dopo aver urlato per tempo con un incantesimo silenziante su di sé, in modo tale che nessuno la sentisse e chiamasse la polizia, nel caso di babbani, o Auror, nel caso di maghi.
Si portò la mano destra al petto, dalla parte del cuore che batteva all’impazzata, stringendo tra le dita il vestito bianco, prima immacolato, ora pieno di grinze. Non le importava granché che la gente attorno la reputasse una pazza isterica, perché, ormai, sentiva davvero di essere sull’orlo dell’isteria. Harry non avrebbe potuto fare niente per lei, come tutti gli altri. Erano gentili a preoccuparsi di lei, ma non avrebbero potuto fare un fottuto cazzo. Non avrebbero potuto bloccare suo zio dal torturarla, non avrebbero potuta portare via dalla prigione in cui era rinchiusa, dalle idee malate di suo zio e di sua zia. Niente. Non c’era nulla da fare. Non poteva far altro che piangersi addosso.
Cercò di dire qualcosa, di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa le passasse per la mente, ma non riuscì a dire altro che uno stentato - N-non p-posso… scus-sami… -, prima di voltarsi e cominciare a correre via, lontano da Harry, lontano da tutto e tutti. Voleva solo raggiungere la sua stanza e chiudersi lì. Non le interessava che le sue coinquiline sarebbe rimaste fuori dalla stanza. Lei voleva star sola.
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