Beer and diatribes

Jamie&Cameron

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    James "Jamie" Mors ( ) - Auror - Stat - Neutrale Malvagio
    «Facilis descensus Averno»
    Si infilò all’interno del locale mentre la porta stava quasi per chiudersi, scivolando contro lo stipite e lasciandosi avvolgere dall’aria calda e speziata dell’interno. Il Canto della Sirena era esattamente come ci si poteva immaginare dall’esterno: umido, affollato, intriso di birra e caotico. Decisamente non il posto migliore per uno come James, che soffriva di una forma lieve di sociopatia, che lo rendeva a tratti allergico a qualsiasi essere umano presente sulla faccia della terra, alle volte lui stesso compreso.
    Non sarebbe andato lì se non fosse stato obbligato o se, come in quel caso, non avesse avuto una motivazione valida che lo portasse fino a lì. Aveva aspettato quel momento a lungo, aveva cercato di trovare il momento migliore per agire, non si era lasciato fregare dalla fretta di avere la sua vendetta e aveva aspettato pazientemente tutto il tempo necessario.
    James raccoglieva informazioni sul suo patrigno, Alan Cohen, da quando aveva 17 anni, con l’obbiettivo di vendicarsi per tutto ciò che gli aveva fatto, per avergli fatto passare l’inferno per una colpa che non aveva. Non era così difficile trovare le informazioni legate ad un Babbano, e non aveva dovuto aspettare poi così tanto per ottenere quel che voleva, eppure c’era qualcosa di soddisfacente nell’osservarlo da lontano, nel vedere come viveva la sua vita, spensierato, e progettare il momento in cui avrebbe accuratamente distrutto ogni cosa. Quando era riuscito a capire che cosa l’uomo stesse facendo della sua vita, era già finito in carcere e James aveva dovuto posticipare i suoi piani: aveva pensato alla possibilità di presentarsi in prigione, di distruggere la sua vita in un posto dove non avrebbe potuto sfuggirgli, ma non c’era niente di cui godere sapendo che la sua vita, al momento, non era poi così speciale. Aveva aspettato fino a quel momento, poteva aspettare ancora per un po’ se questo avrebbe aumentato il piacere causato dalle sue azioni.
    E poi aveva pensato a Cameron. Ricordava suo fratello, o meglio ricordava quel bimbetto che lui aveva provato a far tacere strozzandolo brutalmente, ovviamente senza ottenere nessun genere di risultato, se non segnare la sua vita per sempre. Ricordava di aver desiderato ardentemente di ucciderlo, quella era stata la prima volta in cui aveva usato la sua rabbia e la sua forza per agire concretamente contro qualcuno, fino a quel momento era sempre stato un bambino taciturno e rancoroso ma non se l’era mai presa con nessuno. Eppure quel bimbetto aveva tirato fuori la parte peggiore di sé e ricordava bene la scena di sé stesso che provava a zittirlo una volta per tutte premendogli il cuscino sulla faccia.
    Non aveva idea nemmeno di quando fosse nata quell’idea o dove avesse preso ispirazione, leggeva parecchio quando era bambino, era curioso e attento a qualunque dettaglio, ma non era molto sicuro di dove avesse reperito un’informazione come quella, come fosse stato capace, all’età di sette anni, di sapere come soffocare qualcuno. Ad ogni modo aveva fallito, Alan lo aveva punto a dovere e avere finito per portare Alan e sua madre ad allontanarsi, e alla fine si erano trasferiti in Scozia e non aveva più visto Cameron e il suo patrigno. Non che gli fosse dispiaciuto, ricordava quel bambinetto dai capelli castani con un certo disprezzo e, dopotutto, James non era certo conosciuto per riuscire a crescere e superare la sua rabbia o vecchi rancori. A distanza di anni continuava a pensare che quel ragazzo fosse stato l’inizio della sua infanzia terribile, quando era nato tutto aveva cominciato a distruggersi ed era ovvio che non lo avesse mai perdonato.
    D’altro canto non sapeva nemmeno che fine avesse fatto, fino a qualche tempo prima, e non si era mai soffermato a pensare al fatto che forse, crescendo, le cose sarebbero cambiate o che avrebbe potuto anche ricredersi, conoscendolo. Aveva fatto una certa fatica a comprendere quali fossero le sue abitudini, per riuscire a trovarlo fuori da Hidenstone, in un posto neutrale e possibilmente da solo. Su quell’ultimo punto non avrebbe comunque scommesso granchè, dal momento che al Canto della Sirena non ci si andava di certo per rimanere da soli tutta la sera.
    In quel momento James era avvolto dalla sua giacca di pelle, chiusa fino a sotto il mento, a coprire la maglia che indossava al di sotto. Non aveva indossato nessun altro colore oltre al nero, e forse quegli abiti scuri non facevano altro che accentuare i suoi occhi di un blu ghiaccio e i capelli dorati, lasciati crescere un po’ più del solito.
    Lanciò una rapida occhiata all’interno del locale, non sapeva bene che cosa aspettarsi, aveva visto Cameron da lontano e in qualche foto –aveva ottenuto le sue informazioni in un modo non troppo legale, quindi su quello era meglio soprassere- ma non ci aveva ovviamente parlato e James non era esattamente un campione nella socializzazione. Sapeva usare la sua lingua a suo favore, ma non era molto bravo con le relazioni interpersonali.
    Non era nemmeno sicuro di cosa volesse ottenere, forse avrebbe dovuto ucciderlo e finire quello che non aveva fatto anni prima ma era innegabile che sentisse la necessità di capire chi fosse, di che cosa avesse sempre avuto più di lui, perché Alan lo avesse amato mentre aveva odiato lui così tanto.
    Sì sistemò in uno degli sgabelli al bancone e ordinò una birra, giusto per cominciare. Continuò a guardarsi intorno e continuò più volte a controllare l’ingresso, in attesa di vedere Cam spuntare da un momento all’altro, avrebbe deciso sul momento come agire di preciso, ammesso e non concesso che il suo fratellino non intendesse precederlo.
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    Cameron Cohen
     
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    Cameron Cohen
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    Era da giorni che nei sogni di Cam appariva una testa di cappelli biondi a cui associava uno strano sorriso, ma non riusciva a capire a chi appartenesse. Eppure era costantemente nella sua testa a turbarne i pensieri e soprattutto il sonno. Doveva capire chi era, perché a Cameron non pareva di averlo mai visto... o sì? Scrollò più volte la testa sotto il getto freddo del lavandino. Era mattina ed era stato svegliato da quel sogno sempre più rincorrente che gli faceva seriamente mettere in dubbio la sua sanità mentale. Si spostò lasciando che l'acqua scrosciasse contro il lavandino per un altro po', dopodiché spense l'acqua e si guardò allo specchio. Non aveva mai avuto un viso così tirato e delle occhiaie così profonde. Forse avrebbe dovuto chiedere a Mia un fondotinta. Scosse il capo lasciando che lo specchio si imperlasse di goccioline. Dopo quella notte, alla stanza delle necessità, non sapeva più cosa pensare, quindi si maledisse per aver pensato che Mia avrebbe potuto aiutarlo. Si maledisse anche solo per aver pensato di chiederle aiuto. Ad ogni modo, finalmente era il weekend e il dioptase sarebbe potuto uscire da quelle mura oppressive e farsi un giro a Denrise, chissà che non trovasse qualche bella gnocca da rimorchiare. Un sorrisetto si dipinse sul suo volto pallido, dopodiché uscì dal bagno riservato alla sua casa ed andò in cerca di qualcosa di decente da poter mettere. Avrebbe voluto essere al quinto anno, sarebbe mancato così poco alla fine... ed invece era lì, bloccato tra stupidi mocciosi che a malapena sanno di essere al mondo, al primo anno. Strappò con violenza una maglietta dalla gruccia alla quale era appena e la guardò. Era pulita, quindi sarebbe andata più che bene. Si mise quindi una maglia bordeaux col taschino sul pettorale destro ed un paio di jeans neri, per poi chiudere il tutto con le stesse vans nere del ballo e con un giubbotto in pelle... sempre nero, occhiali da sole ed era pronto ad uscire. Prese un sacchetto con qualche galeone ed imboccò l'uscita.
    Scese le scale che lo avrebbero portato al piano terra e poi al portone principale, cercando di non pensare a quella figura avvolta nel mistero se non per una zazzera bionda, un ghigno e due occhi dalle sfumature crudeli. Sbuffò sonoramente perché proprio non riusciva a non pensarci, insomma non era così semplice. Comunque, finalmente poté mettere piede fuori dall'Accademia e subito una ventata d'aria gelata lo colpì in faccia, così si strinse al collo la sciarpa di sua sorella e proseguì finché Hidenstone non fu solo una macchia alle sue spalle, per quanto un castello di quelle dimensioni potesse rimpicciolirsi tanto da essere considerato una macchia.
    La sciarpa gli trasmetteva un calore fantastico, ma lo investiva anche con tanti ricordi che avrebbe voluto davvero accantonare nell'angolo più remoto della sua mente. Sua sorella che si suicidava e lui che non poteva far altro che guardarla da lontano con le gambe tremanti. Si maledisse per non aver mai imparato a nuotare.
    Con un sospiro, adocchiò il vicolo lungo il quale avrebbe trovato l'ingresso per "Il Canto della Sirena", posto abituale che aveva scoperto qualche weekend prima e ci andava ogni volta che poteva perché lì difficilmente avrebbe trovato noiosi studenti o qualcuno che lo conosceva della scuola. Là bastava che pagasse ciò che ordinava e nessuno gli faceva domande. Girò a destra e mosse qualche passò in quella stradina decisamente più buia della principale e si ritrovò davanti la grossa porta in legno dell'osteria. La schiuse quel tanto che bastava per infilarsi nella fessura. Era magro, non aveva certo bisogno di aprirla troppo, anche perché meno la porta si spalancava, meno lo avrebbero notato. Una volta dentro, si guardò in giro alla ricerca di un tavolino libero e possibilmente isolato. Non avrebbe condiviso il suo spazio con qualche ubriacone. Sfortunatamente, erano tutti occupati, quindi dovette virare verso il bancone. Si sedette sull'unico sgabello libero tra una ragazza decisamente poco coperta e... un ragazzo dai capelli biondi. Ora che era riuscito a non pensare per due secondi al suo sogno, si trovava davanti un tizio dai capelli biondi. Il fato lo stava davvero prendendo per il culo. Ad ogni modo, ignorò entrambi ed ordinò una birra, estraendo dalla tasca il suo magifonino, nell'attesa della bevanda. Aveva tre chiamate perse di Mark. Alzò gli occhi al cielo. Era il suo migliore amico ma sembrava quasi che non riuscisse a fare un passo senza di lui e probabilmente ora era nel panico perché non trovava Cameron da nessuna parte e, dal canto suo, Cohen si era ben guardato dall'invitarlo. Voleva un pomeriggio di completa solitudine, senza la parlantina di Mark -unita al suo egocentrismo- a disturbarlo. Ultimamente aveva iniziato a vantarsi di una sua conquista di Hogwarts, di una ragazzina che era caduta ai suoi piedi come un'allocca. Gli avrebbe tirato un sonoro schiaffo certe volte. Però non poteva fare a meno di chiedersi di chi stesse parlando e se lui la conosceva.
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    James "Jamie" Mors ( ) - Auror - Stat - Neutrale Malvagio
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    Non aveva ancora elaborato un piano preciso da attuare con Cameron, sapeva di volerlo incontrare e di volerci parlare, ancora non avrebbe saputo dire di che cosa o in che modo avrebbe potuto approcciarlo, sapeva solo di volerlo conoscere, seppur non nel modo sano e costruttivo che qualsiasi altra persona avrebbe potuto augurarsi. James aveva quasi sempre detestato Cam, dal primo respiro di quel ragazzino dai capelli scuri, anche se la colpa non era tanto sua quanto del suo patrigno.
    Si poteva dire che, durante la gestazione, James non avesse fatto altro che vagare incuriosito, come ogni bambino che si rispetti si era mostrato interessato e sorpreso di fronte ad un processo che non aveva mai avuto modo di osservare prima. Si era abituato a convivere con la madre e Alan, quest’ultimo non sembrava averlo mai adorato troppo ma nei primi anni della sua vita si era dimostrato tollerante se non altro, almeno fino a che non aveva scoperto la verità. Per quanto al momento fosse difficile pensarlo, Jamie era stato anche un bambino come altri, intenzionato a guadagnarsi la stima e l’affetto di quello che per lui era un padre, e che si era ritrovato dispiaciuto una volta che aveva compreso che mai sarebbe stato in grado di conquistarne le attenzioni. Alan era un uomo severo, con lui, lo era diventato ancora di più quando aveva compreso di non essere suo padre naturale, i suoi sentimenti erano inversamente proporzionali a quelli di sua madre: se Alan lo detestava per non essere altro che un mago purosangue, diverso da lui in un modo che non comprendeva, la madre lo adorava per questo, per rappresentare una perfetta linea di continuità per la famiglia Mors, oltre che il frutto del suo amore proibito. James aveva capito solo in parte le ragioni di quell’odio da parte dell’uomo con cui condivideva la casa, era un bambino sveglio ma alcune dinamiche le aveva comprese solo una volta cresciuta, e ai tempi non aveva fatto altro che accumulare una serie di traumi che si era poi portato dietro per tutta la vita.
    L’arrivo di Cameron aveva ovviamente peggiorato le cose, e se già Alan aveva cominciato a trattarlo nei modi peggiori, quando la madre era rimasta incinta di suo figlio –questa volta per davvero-, l’uomo si era dimenticato ogni serie di freno inibitorio e aveva cominciato a comportarsi sempre peggio con quel figliastro che non aveva mai voluto. Non c’era da stupirsi se il suo cervello da bambino avesse collegato Cam con tutto l’odio e la rabbia che si erano riversati su di lui, e avesse cominciato a detestarlo di conseguenza. Anche dopo anni, non si era mai tolto dalla testa dubbi e domande nati nell’istante in cui quel bambinetto urlante e piangente aveva fatto capolino nella sua vita. Se in parte aveva capito quanto fosse innocente, comunque continuava ad accusarlo per avergli rovinato ulteriormente la vita: se Cam non fosse mai esistito, lui non avrebbe forse subito le angherie di Alan prima, e della famiglia della madre poi, che lo avevano trascinato agli obblighi e le leggi di una vita perfetta che non aveva mai fatto per lui. Aveva imparato a cavarsela, cosa per cui ringraziava unicamente sé stesso, ma la sua rabbia non si era mai estinta del tutto e dal momento che, per il momento, raggiungere Alan in prigione era ancora complicato, riversare tutta quella rabbia su Cameron gli era sembrata l’unica soluzione.
    Forse era solo frutto di un suo problema personale, come se sistemare ogni cosa del suo passato, cancellare le cause dei suoi demoni, potesse anche eliminare questi ultimi. Erano pensieri che non si rendeva nemmeno conto di avere, aveva smesso di cercare di analizzarsi e per lo più tendeva a seguire il proprio istinto, ovunque lo portasse. In quel momento lo aveva portato in una birreria relativamente squallida, ad aspettare un ragazzo di cui aveva una vaga immagine mentale, sperando che la sua serata potesse dirsi proficua.
    Stava osservando l’ingresso con un certo impegno quando qualcuno che somigliava abbastanza a chi stava cercando fece la sua entrata all’ingresso. James drizzò la schiena all’istante, facendosi più attento, e fu per una volta grato al caso che lo portò a sedersi al suo fianco. Bene, ora veniva la parte difficile. Non era un asso nelle relazioni interpersonali o meglio, sapeva essere un asso se si trattava di portare a letto qualcuno, in quel caso era davvero bravo,ma per tutto il resto non era così portato. Dopotutto a lui la gente nemmeno piaceva…!
    Sospirò piano e si ricordò che non poteva certo sperare che fosse Cameron a parlare per primo. “Se volevi una birra decente, forse questo non è il posto migliore. Hai l'età per bere, almeno?!” buttò lì, sperando che potesse bastare per cominciare una vaga conversazione.
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    Cameron Cohen
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    Se ora si trovava in quella abbastanza squallida birreria, era per bere e non pensare ai suoi incubi, non pensare a quella chioma bionda che non conosceva ma che lo tormentava e che il ragazzo affianco, involontariamente (o almeno, così credeva) gli stava ricordando. Non aveva davvero idea di dove potesse averla vista, non aveva idea di cosa stesse a significare per lui, eppure lo tormentava. Come se non bastassero già gli incubi ricorrenti di sua sorella! Cameron non era mai stato un bambino troppo tranquillo; fin da piccolo era vivace e turbolento -non in senso troppo negativo, era comunque un bravo bambino- ma da quando suo padre aveva picchiato per la prima volta la madre, quasi ammazzandola, qualcosa si era rotto in lui ed era andato peggiorando sempre di più. Oramai non risolveva più nulla con le parole, preferendo usare la violenza e le minacce, non più il dialogo costruttivo. Gli eventi della sua vita lo avevano portato a credere che quello fosse l'unico modo per risolvere le questioni che si sarebbero potute risolvere in mille modi diversi. E sicuramente quello optato da lui, era il peggiore e il più insensato. Ma a lui non interessava affatto. Lui voleva solo essere lasciato in pace, voleva che i suoi demoni sparissero, voleva poter vivere come un ragazzo normale e con le problematiche di un ragazzo normale, non col pensiero di una sorella morta, di una madre invalida e di una cazzo di persona dai capelli biondi che gli appariva nei sogni e che non riusciva a collocare! Odiava non capire le cose, quindi quella situazione lo mandava fuori di testa. Strinse la mano così forte attorno al calice della birra appena arrivata, che le nocche diventarono bianche. Non poteva perdere il controllo in quel posto, non poteva provocare una rissa là che -suo malgrado- avrebbe perso. Era solo un diciottenne in mezzo a gente decisamente più grossa di lui. Era allenato, e molto, ma quegli omaccioni avevano dei muscoli più grandi della sua testa.
    Prese un sorso dalla sua birra che, doveva ammetterlo, non era proprio il massimo ma era abbastanza dissetante e fresca da giovare sulla sua gola riarsa. Sembrava che non bevesse da secoli e che fosse in mezzo al deserto, da quanto era assetato, anche se il motivo esattamente non lo sapeva. Osservò quel liquido dorato chiedendosi da dove provenisse quella birra, prima di farne un altro sorso. Ne aveva davvero bisogno, per quanto non fosse ottimale. Cosa che confermò anche una voce alla sua sinistra. Voltò lentamente la testa e si trovò a puntare le iridi nocciola contro quelle ben più chiare del suo nuovo interlocutore. Inarcò un sopracciglio, senza però prestargli troppa attenzione. Chi era costui e perché si arrogava il diritto di rivolgersi così a lui? Fece un altro lungo sorso e così finì la bevanda che aveva ordinato. Un'altra chiese al barista, prima di tornare a concentrarsi sull'altro ragazzo. Girò la testa lentamente verso di lui. Ho diciott'anni, grazie per l'interessamento commentò, con estrema freddezza. Saranno anche scadenti, ma qui sono sicuro di non incontrare nessuno che conosco. Asserì, tornando a concentrarsi sulla nuova birra che l'uomo gli aveva portato davanti. Non ne aveva voglia in realtà e non sapeva perché l'avesse ordinata, fu un gesto automatico. Quella capigliatura gli aveva ricordato, ancora una volta, quella figura misteriosa che gli appariva in sogno fin troppo spesso nell'ultimo periodo. Tu non hai nulla di meglio da fare che scocciarmi? Tipo rimorchiare continuò, indicando con il mento la donna-poco-vestita seduta affianco a lui. Prese un altro sorso di birra e serrò le labbra, chiuse gli occhi e cercò di isolarsi da tutto quello, pensare ad altro. Non voleva più vedere nessuno, sentire nessuno. Desiderò avere un foglio per fare un origami e tranquillizzarsi, come faceva sempre quando era nervoso. Sperò che quando avesse aperto gli occhi, il ragazzo se ne fosse andato, avesse perso interesse in lui. Chi diavolo era e perché gli aveva rivolto la parola?
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    Non si era mai chiesto che cosa sarebbe successo se tra lui e Cam le cose fossero partite in modo diverso, si era focalizzato sull'odio che provava nei confronti di quel bimbetto che gli aveva portato solo guai e non era mai andato oltre. La verità era che Jamie aveva vissuto una vita in solitaria: prima odiato dal patrigno, era poi passato sotto le ali iperprotettive di una famiglia più interessata alla purezza del suo sangue che a lui come individuo. Era chiaro che non fosse abituato a tenere al prossimo, non aveva un buon rapporto con la propria famiglia e con l’idea di avere dei rapporti profondi con qualcuno basati sul sangue.
    Aveva pensato a Cameron diverse volte, ovviamente, ma mai in modo positivo, mai per qualcosa di diverso alla sua vendetta personale. Non aveva mai pensato a lui come una vera e propria persona, era piuttosto una presenza nefasta nei suoi ricordi, l’ombra di un bambino che gli aveva rovinato l’infanzia e che aveva causato in lui rabbia e rancore, niente di positivo.
    Non aveva mai pensato al loro eventuale primo incontro, non si era mai chiesto che cosa sarebbe potuto succedere, che cosa avrebbero fatto, di cosa avrebbero parlato. Jamie non contava nemmeno di parlarci, nel concreto, non pensava certo che Cameron fosse una persona interessante o con la quale avere conversazioni, sentiva solo la necessità di vederlo nuovamente con i suoi occhi.
    Non sapeva nemmeno lui che cosa sperasse di ottenere, era andato lì solo perché sapeva che lo avrebbe trovato, con ogni probabilità, ma non si era spinto a pianificare il resto. Pensava che si trattasse di una sorta di incontro di boxe, era più semplice affrontare quella situazione se si concentrava unicamente su quell’aspetto: se Cameron era il suo nemico, il suo sfidante e colui che avrebbe dovuto battere, era più semplice rimanere concentrato e non lasciarsi distrarre.
    Cosa sperava di ottenere? Forse le prove del perché quel ragazzetto fosse stato, a suo tempo, così speciale, che cosa lo avesse reso più degno di lui di amore e affetto, che cosa avesse fatto per meritarsi una famiglia diversa, aspettative diverse. Di certo la madre di Jamie non aveva mai smesso di ripetergli quanto Cameron fosse poco degno di qualsiasi attenzione, se era riuscito a pianificare la sua morte quando era appena un bimbetto di certo non era qualcosa di banale o superficiale. In quel momento non avrebbe saputo dire nemmeno lui che cosa desiderasse, forse voleva solamente dimostrargli quanto fosse superiore a lui, quanto si ritenesse ampiamente migliore.
    C’erano diverse cose che non riusciva a tollerare, non sopportava per nulla l’idea di avere un rivale, qualcuno che minacciasse il suo ego e la sua autostima. Si trattava di un confronto diretto con il suo passato, in quel momento stava incontrando la causa di molti dei suoi mali eppure non sapeva comunque che cosa farci. Come avrebbe dovuto comportarsi? Che cosa avrebbe dovuto fare?
    Non potè evitare di fare un sorriso sghembo quando ricevette da Cameron la risposta e il tono che si aspettava. Si era fatto un’idea ben precisa del fratellastro, era abbastanza sicuro che potesse essere un idiota, per lo più, forse pensava addirittura che fosse troppo stupido per riuscire a tenergli testa, ma non poteva evitare di apprezzare qualcuno in grado di rispondere, quantomeno, a tono. Se non altro non si sarebbe annoiato, e lui non era nessuno per evitare di rispondere a sua volta a qualcuno che lo apostrofava così. Era sicuro che,se non altro, valesse la pena infastidirlo un po’ e che forse si sarebbe rivelato meno noioso e deprimente di quanto temeva.
    Chissà, forse Cameron poteva ancora riservargli qualche sorpresa. Si era abituato a figurarlo come estremamente inferiore a lui, tutti gliene avevano parlato come qualcuno che non meritava alcuna attenzione e che, per via del suo sangue, di certo non meritava di mischiarsi con lui. La madre lo aveva dipinto come un figlio maledetto, la causa di ogni sua sventura, e non aveva mai smesso di ripetere a James che era colpa di Cameron se lui non era stato un bambino tranquillo e felice. “Figurati, non si sa mai. Sarebbe stato un peccato doverti denunciare.” osservò con estrema tranquillità e un sorriso sghembo, sarebbe stato difficile dire se fosse serio o meno.
    Di certo il ragazzo gli offrì diversi spunti per continuare con la sua missione, qualunque essa fosse. Ridacchiò divertito, scuotendo piano la testa. “C’è davvero qualcuno che rimorchia persone interessanti qui dentro?!” domandò senza troppi mezzi termini perché di certo non aveva intenzione di girarci intorno. “ Tu riesci anche rimorchiare, qui dentro?! Non conosci nessun posto migliore?” continuò poco dopo, alzando un sopracciglio con aria di sfida.

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    Cameron Cohen
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    Cameron andava spesso in quella sottospecie di taverna, poiché era difficile se non impossibile incontrarvi un altro studente, cosa che appunto il castano voleva evitare come la peste. Non sopportava le chiacchiere dei suoi coetanei, né dei ragazzi più piccoli o più grandi, in realtà. Lui preferiva stare solo e riflettere; sebbene riflettesse solo su argomenti altamente distruttivi come la sorella morta o la madre invalida a causa del padre. Cosa che lo portava a bere di più o a comportarsi peggio con gli altri, tutto pur di dimenticare quella tragedia che aveva macchiato di rosso la sua vita per sempre. Ma ora vi era un altro fatto che lo teneva sveglio la notte, assieme ai soliti incubi. Quella dannata chioma bionda e quel sorrisetto che davvero non si spiegava a chi appartenessero, gli davano su i nervi. Altro motivo per andare in quella locanda a bere. Prima o poi avrebbe voluto scoprire chi fosse, ma avrebbe dato tempo al tempo.
    Era lì proprio perché non voleva pensare a niente e nessuno fuorché una bella birra da quattro soldi... al resto avrebbe pensato più avanti. Non si aspettava certo che il suo tentativo di non pensare, fosse interrotto da un ragazzo più grande di lui, un ragazzo biondo che gli portava alla mente proprio quella chioma che tanto disperatamente stava tentando di capire a chi appartenesse.
    Un sorrisetto sghembo apparve sulle labbra del diciottenne a sentire quelle parole. Non credo che al ministero freghi qualcosa se un ragazzo con meno di diciott'anni, beve commentò, con un'alzatina di spalle. Non hanno fatto un cazzo nemmeno quando l'Accademia -quel castello laggiù in fondo- specificò, facendo un gesto vago della mano verso destra, dove idealmente si trovava Hidenstone. è stata attaccata da una strega centenaria concluse, con una mezza risata. Era vero, a quanto ne sapeva, durante la battaglia era presente solo un auror ed era proprio il fratello della Freeman. C'erano altri londinesi, di quello ne era certo, ma non gli pareva lavorassero per il ministero. Charles, così si chiamava, aveva anche rischiato la morte pur di proteggere la sua adorata sorellina.
    Alla sua frase successiva, si girò con un mezzo sorriso divertito. Io no di certo, ma con tutti gli ubriaconi che girano... beh, non mi stupirei se con l'enorme mole di alcol che hanno in corpo, trovino interessante persino questi sgabelli. Replicò, tornando poi a concentrarsi sull'ultimo sorso di birra che era rimasto sul fondo del boccale. Fece una smorfia e lo spinse via, schifato da quel residuo che era sicuramente la parte peggiore della birra.
    Oh, amico, io non ho nessunissimo bisogno di sforzarmi per rimorchiare, figurati poi se mi metto a farlo in un bar così pessimo. Commentò, onestamente. Era vero, praticamente le ragazze avevano sempre fatto carte false pur di portarselo a letto e ultimamente si stava lavorando la Freeman per vincere la scommessa con Mark, il suo migliore amico. Sebbene, però, stesse iniziando a provare qualcosa di davvero indefinito per la biondina...
    Tu che ci fai qui, invece? Non mi sembri uno studente né tantomeno un densiriano domandò, girando leggermente il busto verso di lui. Se non avesse avuto la birra in corpo, probabilmente non avrebbe perso tempo a parlare con lui. Non che fosse ubriaco, ma si stava annoiando.
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    Di fatto non sapeva niente di Cameron, tranne le informazioni che era riuscito ad ottenere. Si era illuso che quelle bastassero, ma sembrava aver dimenticato che il ragazzo era una persona a trecentosessanta gradi, con degli interessi forse, con un carattere ben definito, che lui non aveva mai avuto modo di esplorare. Fin da quando Cameron aveva aperto gli occhi ed emesso il primo vagito era stato un problema per James, lui lo aveva sempre colpevolizzato di ogni cosa terribile fosse successa nella sua vita, lo aveva odiato cancellando così del tutto la propria innocenza e la propria infanzia. Lo accusava di una serie di colpe che ormai faticava anche a ricordare, eppure mai aveva realizzato che si trattava comunque di una persona, lo aveva sempre immaginato come un’entità malvagia e lontana da lui.
    Suo padre aveva un corpo, un volto che James sognava spesso e che ricordava con una certa lucidità nonostante il tempo fosse trascorso rapido e inarrestabile, dividendoli sempre di più. Avrebbe riconosciuto quell’uomo tra la folla, ricordava ogni cosa, anche la più insignificante, di lui ma non sapeva niente di Cameron e se ne accorse vedendolo in quel momento. Erano cresciuti lontani, in mondi completamente diversi, e per la prima volta oltre la rabbia provò una malsana e sadica curiosità, il bisogno di capire che cosa avesse più di lui, come fosse cresciuto, che cosa gli avesse rubato con il suo essere semplicemente nato e venuto al mondo. Cosa poteva avere mai Cameron Cohen che lui non aveva? Quanto era stata migliore la sua vita rispetto a quella di James? Voleva odiarlo fino infondo, per ogni suo dettaglio, se doveva continuare a detestarlo così tanto, ora voleva dare più consistenza e forma a quel sentimento.
    Non poteva rendersi conto che quello era anche il bisogno di conoscere un membro della sua famiglia che sembrava così lontano dalla dinastia Mors, così reale rispetto al mondo a cui sua madre lo aveva costretto per la maggior parte della sua vita, così diverso.
    Cominciò a trovare interessante quella conversazione, fosse anche solo perché sembrava irritare il ragazzino. Alzò un sopracciglio, annuendo lentamente al suo racconto. “Touchè, in effetti al Ministero potrebbe interessare poco…” osservò, senza specificare di farne parte. Aveva sentito voci circa quel che era successo ad Hidenstone, ma si limitò ad ascoltarlo.< B> “Addirittura una strega centenaria?! Che attacca dei ragazzini?! Non doveva avere niente di meglio da fare.” aggiunse con leggerezza, sorseggiando con calma la propria birra.
    Lui non avrebbe perso tempo per una causa simile, ma lui non era nemmeno una strega centenaria e forse non poteva comprendere le sue ragioni. Di certo Cameron aveva ragione, non era il caso di rimorchiare in un posto del genere e James non riuscì davvero a dissentire. “In effetti è proprio un posto di merda, sicuramente c’è di meglio in giro.” ammise suo malgrado per poi lanciargli un’occhiata piuttosto intensa. Non si aspettava che facesse anche domande, forse reggeva l’alcool meglio di lui. Uno a zero per lui!
    “No, non sono uno studente e non sono un Denrisiano. Sono un Auror a dire il vero.” buttò lì con una certa leggerezza, condita da una buona dose di superiorità donata dalla sua notevole posizione. Per quanto non fosse così fiero di essere un Auror non aveva bisogno di sforzarsi per riconoscere quanto quel titolo lo rendesse diverso da chiunque, quanto lo rendesse superiore, e di certo non mancava di peccare di una certa vanità. Si credeva migliori di molti, di certo aveva le sue ragioni per credersi ampiamente superiore a Cameron, su questo non aveva alcun dubbio, la madre dopotutto lo aveva cresciuto ficcandogli in testa con decisione quella convinzione.

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    Cameron Cohen
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    Quel ragazzo aveva un che di familiare, come se lo avesse già visto da qualche parte ma non ricordasse esattamente dove. Forse erano i suoi lineamenti, i suoi occhi o i suoi capelli... chiuse gli occhi per un secondo. Gli ricordava tremendamente quel ragazzo senza volto che ogni tanto gli appariva in sogno, lontano eppure minaccioso. Avrebbe voluto chiederglielo, ma cosa poteva dirgli? "Ehi scusa, ci conosciamo?". No di certo. Non era nel suo stile fare quel genere di domanda, preferiva osservare e cercare di capire da solo ogni particolare, ogni implicazione e ogni sfaccettatura delle persone, per quanto fosse complicato. E così avrebbe fatto con lui. Le sue iridi nocciola si fissarono su quei capelli. Su quegli occhi. Su quel sorrisetto. Gli faceva male la testa con tutti quei pensieri che gli vorticavano con la velocità di un tornado nella mente non propriamente stabile.
    Prese un altro sorso della sua birra, arricciando le labbra. Ora che glielo aveva fatto notare, Cameron stava iniziando ad apprezzare un po' di meno il liquido giallo. In effetti sembra piscio commentò il ragazzo, abbastanza a caso visto che non c'entrava più nulla all'interno della conversazione. Ma Cam era così: se doveva dire una cosa, la diceva e basta senza farsi troppi problemi!
    Ed era una cosa che Arya gli rimproverava sempre; i suoi interventi completamente fuori luogo, ma lui non poteva farne a meno e, alla fine, anche la sorella lo aveva capito e lo aveva accettato, scuotendo ogni volta la testa e concedendogli un sorrisetto rassegnato.
    Credo che in quel luogo siano più interessati ad arrivare a fine giornata e prendersi uno stipendio piuttosto che controllare ragazzini che bevono se non hanno l'età fu la sua risposta sincera. Dubitava che un auror o chi per lui, avesse perso anche solo un secondo del suo prezioso tempo. Sospirò, scansando di lato la propria birra e dedicandosi completamente, si fa per dire, al biondino.
    Lo credo anch'io, infatti non ho partecipato. Avevo di meglio da fare che recuperare quattro stupide ragazzine rapite. E non stava scherzando, no davvero. Lui sul serio non pensava che la vita di quelle ragazze valesse nemmeno un quarto d'ora del suo tempo. Inoltre non so cosa le fosse passato di mente. Avrebbe potuto puntare ad obiettivi migliori di una scuola. Che ne so, il Ministero. Si sarebbe sicuramente divertita di più con degli auror addestrati aggiunse, sospirando e cercando una sigaretta e un accendino nella tasca dei pantaloni.
    Ridacchiò alla sua frase. Forse, dopotutto, non era così odioso quel ragazzo e forse loro due non erano poi così diversi. Ecco che tornavano le similitudini che gli davano alla testa. Scosse il capo. A dire il vero io non rimorchierei mai da nessuna parte, non so se già l'ho detto. Preferisco che cadano ai miei piedi senza che io debba sforzarmi troppo. Lo pensava davvero, anche se da quando conosceva un po' meglio Mia Freeman, quel pensiero si stava lentamente evolvendo in favore di una visione del mondo meno maschilista.
    Un Auror, eh? E possiamo dare un nome a questo volto? Gli chiese, trovando finalmente una sigaretta ed accendendosela. Non che fumare gli piacesse particolarmente; lo rilassava, ecco. E non si mostrava nemmeno minimamente preoccupato per aver denigrato fino a quel momento gli Auror... davanti ad un Auror.
    Cameron fece poi, a mo di presentazione. Posso averne un'altra? chiese, indicando la birra, sperando che gli arrivasse qualcosa di meglio. Quindi il barista gliene fece avere un'altra.
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    Era abbastanza certo che Cameron non avesse idea di chi lui fosse. Sospettava che il padre non gli avesse mai parlato di lui, visto quanto lo detestava, e dubitava che un bambino avesse abbastanza memoria da imprimersi in testa il volto di qualcuno che aveva visto per così poco tempo, e sospettava che se anche avesse avuto dei ricordi non li avrebbe ricollegati a lui. Perché avrebbe dovuto?
    Nella testa di James, Cameron era quello fortunato tra i due, quello che aveva avuto l’infanzia più felice anche se sapeva quanto il patrigno sapesse essere stronzo sospettava che fosse stato meno duro con Cam rispetto a quanto lo era stato con lui. Infondo James era la prova del fallimento dell’uomo, di quanto sua moglie avesse preferito qualcun altro a lui, uno smacco al suo orgoglio che di certo l’uomo non gli aveva mai perdonato. Detestava però che lo avesse condannato fino a quel punto, obbligato a vivere con una famiglia che non era violenta, certo, ma che lo aveva portato verso una vita che forse lui non avrebbe mai voluto.
    Non aveva idea di che cosa sarebbe diventato se non fosse stato un Auror, forse avrebbe preso quella strada in ogni caso ma c’era una differenza sostanziale nel scegliere le cose perché lo si voleva o perché non si aveva scelta. Se non altro James poteva dirsi un allievo esemplare, quando ci si metteva era bravo a seguire le imposizioni anche se poi c’era un sottobosco di vita, di eventi, di situazioni che nessuno poteva sospettare guardandolo in faccia. Qualche livido forse avrebbe potuto suggerire che non era una persona troppo tranquilla, ma era certo che anche Cam, lì di fronte a lui, mai avrebbe potuto dire che vita era solito fare James dopo il suo lavoro al Ministero.
    Non aveva alcuna idea di che cosa si aspettasse da quell’incontro, forse pensava di avere qualche illuminazione, di odiare ancora di più Cam e finire quello che aveva cominciato anni prima, ucciderlo una volta per tutte e toglierselo dai piedi. Ma in cuor suo sapeva già che non c’era ragione per distruggerlo adesso, non c’era niente che potesse davvero rimproverargli se non la fortuna di essere stato il figlio prediletto del padre e non quello di sua madre, perché in quel caso non sarebbe sopravvissuto nemmeno un secondo.
    Nell’irruenza e nella parlantina del ragazzo rivide un po’ sé stesso quando era più giovane, per quanto fosse da idioti ammetterlo la cosa lo fece sorridere. Si stava trasformando in un cretino sentimentale?! Forse era colpa di quella birra di merda. “Mmmh non saprei, qualche mio collega si metterebbe a farlo pur di perdere tempo.” ammise con non chalance ma era chiaro che non avesse intenzione di denunciarlo, non ora magari.
    Per qualche ragione Cameron era più simile a lui di quanto credesse, e la cosa passava da infastidirlo a farlo sorridere come poco prima. Come aveva fatto a crescere così? Avrebbe dovuto avvicinarsi a lui solo perché sembrava meno un piscia sotto di quanto pensasse? Ne dubitava, lui non era fatto per aiutare qualcuno, per avere un fratello e prendersene cura, per dedicarsi alla famiglia. Sorrise appena alle sue parole, immaginando il casino che Naga avrebbe provocato al ministero. “Sì, ci sarebbe stato da divertirsi.” ammise con un sorriso quasi sognante, per poi osservare il ragazzo che si accendeva una sigaretta. La sola azione gli fece venire voglia di fare lo stesso e se ne accese una a sua volta, sicuro che fosse ben migliore di quello schifo che il ragazzo si stava fumando, a prescindere da cosa fosse.
    ” Ah wow, quindi sei sicuro che ci sia sempre qualcuna pronta a cadere ai suoi piedi?!” commentò con non chalance e una certa leggerezza, per poi stringersi nelle spalle. Non era tipo che dava i suoi dati personali in giro, deformazione professionale, ma in un certo senso godeva all’idea che Cameron sapesse di lui, proprio quello che il patrigno non avrebbe mai voluto. “ James. James Mors.” buttò lì con tutta la leggerezza di cui era capace per poi alzarsi dal proprio sgabello e assestargli una pacca sulla spalla. Nessuno avrebbe saputo dire se avesse dato quelle informazioni con cognizione di causa, per creare un casino nella mente di Cameron o perché nella sua vita non conosceva mezze misure, era stanco di starsene nell’ombra e come sempre non riusciva ad evitare di punzecchiare il Fato e aspettare che lui gli rispondesse di rimando.

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