Di pustole ed altre storie

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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Dicono che nella vita sia tutto un gioco di alti e bassi. In effetti è così, considerando che nelle situazioni difficili si potrebbe comunque scovare una parvenza di salvezza, sforzandosi un po', oppure che nelle giornate rose e fiori qualcosa potrebbe andare storto. E' colpa del pendolo della fortuna - anche detto karma -, che ogni tanto decide di premiare ed ogni tanto di affossare. A tirar le somme, Molly non si trova di certo nel momento più esilarante della propria esistenza. Papà che lascia in tredici la famiglia Trouble - e tanti saluti -, mamma completamente in tilt, sorella più silenziosa che mai. Ti prego, due paroline dille, altrimenti ci si preoccupa ti abbiano anestetizzata. Per cortesia. Eppure, ragionandoci neanche troppo, è cristallino come la sua situazione sia nettamente auspicabile rispetto a quella di altri. Basti pensare a Lilith, prefetta dei Dioptase, che ormai da un mese si è volatilizzata nel nulla. Storia raccapricciante, senza spiegazione alcuna, senza un filo conduttore che permetta di risalire all'ago nel pagliaio del gran casino che si è sollevato a Hidenstone e dintorni. Ovunque ci si volti, si noteranno soltanto espressioni corrucciate e ragazzi all'erta. Come se il pericolo fosse dietro l'angolo. Poco male, perché con la brutta aria che tira all'Accademia, Molly si mimetizza perfettamente, non dovendo tirar fuori sorrisi di circostanza per non sembrare la classica ragazza dalla luna storta. Non sei così, è solo un periodo, suggerisce una coscienza molto - decisamente troppo - speranzosa. Ma è davvero una questione di essere o non essere? Ogni evento vissuto è destinato a determinare un cambiamento più o meno significativo nella propria indole. Persino i dettagli, spesso, sono importanti. Magari non ce ne si rende conto sin da subito, ma a lungo andare tutto viene a galla, mettendoci di fronte alla realtà delle cose. E la realtà è che non si è mai le stesse persone di ieri, né quelle che si diventerà domani. Quindi ha davvero senso promettere a se stessi che si ritornerà quelli di una volta? Impossibile. Tanto vale arrendersi alla realtà dei fatti.
    Se si crede effettivamente nel gioco degli alti e bassi, ad ogni modo, per Molly si potrebbe confermare che quel martedì di Ottobre fili tutto liscio come l'olio. Lezioni tranquille, contatti umani scarseggianti ed una bella dose di pasticcio di carne a pranzo. Quasi da meravigliarsi per quanto ogni cosa sia al proprio posto. Ed è nell'esatto istante in cui si sofferma a pensare che, sì, in fondo è una giornata carina rispetto agli standard, un rumore fastidioso, uno scoppiettare incessante, richiama subito la sua attenzione, invitandola a dare un'occhiata... Che sarebbe stato meglio non dare. Una nebulosissima polvere verde troneggia alle proprie spalle, nel fragore delle risate di un gruppetto di ragazzi più piccoli che ne hanno probabilmente determinato la comparsa. Che... succede?, non fa in tempo a chiedersi, che inizia ad avvertire un terribile formicolio all'estremità dell'avambraccio. E poi sul dorso della mano. Sulla guancia destra. Sul fianco. Vorrebbe davvero, davvero non guardare, evitando così di prendere atto della terribile presa in giro che il destino le ha regalato. Ma l'istinto di sopravvivenza ha la meglio, confermandole che si tratti di uno dei soliti scherzi magici da quattro soldi che i più piccoli si divertono tanto a sparare a caso. Forse per spezzare l'atmosfera glaciale che troneggia a Hidenstone. Peccato che stavolta c'è andata di mezzo lei. Grugnisce, chiedendosi perché avessero scelto proprio la polvere Bulbadox: perché diavolo non optare per una Caccabomba innocente? Al massimo dopo un Gratta e Netta sarebbe stato tutto risolto. E invece no: pustole ovunque, prurito, bruciore, rossore al punto che non si distingue più l'attaccatura della chioma fulva rispetto al resto del viso. «Meraviglioso.», commenta tra sé e sé, «Questa è colpa di Judy che ha institito affinché ci iscrivessimo a Hidenstone. Grazie, Judy, aggiunge, rivolgendosi al nulla, ma figurandosi in realtà il contesto delle riunioni degli alcolisti anonimi, in cui ogni interlocutore ringrazia l'altro per il proprio contributo. In questo caso, invece, Molly affossa la sorella, addossandole la colpa di... Qualcosa che effettivamente non la riguarda neanche da lontano. Perché Judy è un angioletto e non c'entra proprio nulla; lei, invece, ha un po' di reflusso acido che non vede l'ora di fare una passeggiatina al di fuori delle fauci, e quindi dà aria alla bocca per liberarsene. S'incammina verso l'Infermeria, cercando di non guardare in faccia nessuno. E ci mancherebbe altro, è appena diventata la fotocopia di un peperone.

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    Joshua B. Evans

     
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  2. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 18 anni
    Sua madre gli raccomandava cose da quando era venuto al mondo e avevano scoperto della sua malattia. Era abituato a prendere nota di tutto ciò a cui avrebbe dovuto stare attento, delle cose da non fare e di quelle da fare con cautela, e si deve ammettere che Josh fosse anche abbastanza responsabile sotto questo punto di vista, non tanto per se stesso quanto per non far preoccupare quella santa donna.
    Il giovane mago era estremamente legato a sua madre, in verità lo era a tutti i componenti della famiglia, ma lei era l'unica donna del nido e come tale lui, suo padre e il fratello erano molto protettivi nei suoi confronti. Per questo motivo Josh faceva di tutto per evitare di crearle un dispiacere.
    Una delle cose che la madre gli aveva raccomandato quando aveva iniziato a frequentare Hidenstone ormai più di un anno prima, era quella di non fare a botte. Un avvertimento, il suo, che non trovò occasione di ripetere poiché Josh, per quanto potesse essere una testa calda, difficilmente perdeva la pazienza o si offendeva per qualcosa; il suo essere sempre solare e disponibile lo aiutava a stringere amicizia piuttosto in fretta, seppur non avesse una vera e propria cricca, né amici del cuore, come erano solite dire le ragazze. Lui era semplicemente amichevole e non aveva mai preso a botte nessuno, almeno fino a quel giorno.
    Il mese di ottobre del suo secondo anno all'Accademia di magia di Hidenstone era stato difficile, era difficile e Josh stava palesando numerose difficoltà nell'affrontarlo. Le sue crisi erano sempre più frequenti, ma faceva di tutto per non finire in infermeria, dove ormai Skyler sapeva esattamente cosa fare con lui. L'unica nota positiva di tutta quella storia, per quanto inconcepibile, era che le comunicazioni con l'esterno erano state interrotte. Sperò vivamente che sua madre non avesse dato di matto una volta saputo di non potergli parlare, ma per quanto l'idea di farla preoccupare non le andasse a genio, era meglio che non venisse a sapere quante volte si stesse recando in infermeria in quel mese.
    La sparizione delle quattro ragazze aveva sconvolto l'intera scuola, ma c'era chi ne era risultato particolarmente provato. Blake era a pezzi per Lilith, e come avrebbe potuto biasimarlo? Lui stesso ne aveva sofferto, per quanto non osasse paragonare il proprio dolore a quello del compagno. Lucas si era recluso in un mutismo perentorio per via di Elisabeth, cosa che francamente lo aveva colto di sorpresa: non conosceva bene il suo compagno di camera, non quanto lo conosceva Erik per lo meno, e non aveva notato il suo interesse per una ragazza in particolare, una ragazza per cui pareva provare ciò che anche lui provava. No, Josh non osava mettersi a paragone di Lucas: quel ragazzo pareva profondamente innamorato di Elisabeth, cosa che Josh non poteva affermare.
    Per quanto ne sapeva, Lucas avrebbe potuto avere una storia con lei, poteva essere il suo ragazzo, questo per lo meno avrebbe spiegato il suo coinvolgimento, mentre Josh non c'era neanche mai uscito. La mente gli tornò al pomeriggio trascorso con lei in biblioteca, dove le aveva chiesto per l'ennesima volta un appuntamento e lei, puntualmente, aveva rifiutato. Avrebbe sorriso nel ricordarlo, se solo lei fosse stata lì nei dintorni a sgridarlo per qualcosa.
    Avrebbe fatto qualunque cosa per poter ricevere un altro di quei rifiuti.
    Con un sospiro, borsa in spalla e mani in tasca, il giovane Ametrin si era trascinato per i corridoi della scuola anche quel giorno, come tutti gli altri giorni. Non seppe esattamente cosa lo portò a scattare in quel frangente: forse il fatto che quel paio di ragazze parlassero di Lilith come se si fosse meritata ciò che le era accaduto o forse furono i due ragazzi in loro compagnia a fare un commento davvero poco gratificante su Elisabeth... non gli fu ben chiaro cosa lo spinse a lasciar cadere la borsa e ad afferrare uno dei ragazzi per il colletto della camicia, né a piazzare a lui un pugno dritto sul muso e all'altro sulla bocca dello stomaco.
    Seppe solo che, quando intervenne la docente di Erbologia a interromperli, lui aveva il labbro inferiore spaccato e lo zigomo sinistro brasato a causa del colpo che lo aveva mandato a cozzare contro il ruvido muro di pietra.
    La professoressa Murray ascoltò con calma apparente l'accaduto e, dopo aver mandato in infermeria i due ragazzi, aveva stretto la spalla a Josh facendogli un occhiolino. Gli chiese solo di andare in infermeria dopo una ventina di minuti, per evitare che incontrasse "quei due deficienti", testuali parole.
    Si indirizzò con calma verso la saletta che ormai conosceva meglio del proprio dormitorio e, nello spingere la porta per entrare, notò con piacere che non vi fossero i due ragazzi al suo interno. Al loro posto, una rossa dalla divisa dei colori dei Dioptase.
    «Ehi, sai se l'infermiere Mave è qui?»
    Di solito tendeva ad essere più gentile con chi non conosceva, ma quella non era davvero giornata... anzi, non era proprio periodo.
    Tuttavia, nel notare il suo volto, non poté fare a meno di inspirare aria tra i denti. Smise di sostenere la porta ed entrò, avvicinandosi alla ragazza senza accennare a smettere di osservare il suo viso.
    Sollevò la mano sinistra e l'avvicino a lei. Se glielo avesse permesso, Josh avrebbe scostato una ciocca di capelli vermigli per osservare meglio ciò che qualche studente imbecille le aveva sicuramente fatto.
    «Chi è stato?»
    Aveva già fatto a botte, un paio di ragazzi in più non avrebbero fatto alcuna differenza.

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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Una scocciata Molly Jane lascia penzolare le gambe giù dal lettino sul quale ha preso posto, senza che nessuno le abbia dato il permesso. Probabilmente l'infermiere sarà in pausa. Comunque non ha alternativa se non attenderlo, bisognosa di un antidoto che faccia effetto il più presto possibile. Prima che inizi a scorticarsi la pelle per via del prurito più intenso di sempre. E magari anche prima che si facciano le quattro del pomeriggio: da brava Dioptase, ha da svolgere una caterva di compiti da consegnare in tempo. Non è un periodo particolarmente brillante, certo, ma dopo una fase iniziale di menefreghismo rivolto anche nei confronti dello studio, Molly ha ripreso a fiondarsi a capofitto in qualcosa, ed ha scelto proprio quello. Tra Difesa Contro le Arti Oscure, Pozioni, Trasfigurazione... Ha come tenere ben impegnata la mente, non c'è che dire. E' in Infermeria solo da pochi minuti - che per altro ha trascorso guardandosi intorno stralunata: non è familiare a quel luogo, nel quale avrà messo piede una volta al massimo, per sua fortuna -, ed all'improvviso sbuca fuori un ragazzo, quasi facendola sobbalzare. Si fosse trovata in altro contesto, gli avrebbe intimato di bussare prima di entrare, ma ovviamente quella non è casa sua. Né la sua stanza. Né tanto meno il suo spazio. E' un luogo pubblico da condividere con altri esseri viventi smaniosi di cure, per i motivi più disparati. «Ehi, gli risponde a tono, calcando l'accento su quell'onomatopea poco comune nell'ambiente cui è abituata, fatto di 'signorina Trouble, di grazia, quello è il coltello del pesce' e di 'ricordatevi di dare sempre del lei ai soci di vostro padre', per poi continuare: «- non l'ho ancora visto. Lo sto aspettando anch'io.», e detto questo sarebbe pronta a mettersi a fissare un punto indistinto nella parete bianca, facendosi i fatti propri in religioso silenzio, non fosse che l'Ametrino si avvicina sempre di più, superando qualsiasi tipo di distanza di sicurezza giustamente stabilita dalla legge. Un attimo, è una regola che esiste davvero o cosa...? Comunque, lo sconosciuto le scosta una ciocca di capelli rossi dal viso, scoprendo l'ennesima parte dell'esorbitante quantitativo di pustole che Molly aveva accuratamente nascosto grazie alla chioma. Lo guarda stupita, ma non dice una parola. Anche perché è successo tutto così rapidamente che non ha avuto il tempo di riflettere lucidamente. Ad ogni modo, il ragazzo torna al suo posto nel giro di poco, per cui la Trouble ha la possibilità di rilassare un attimo i muscoli del collo, irrigiditi in ogni fibra dopo quel contatto imprevisto. «Beh, non saprei.», risponde dubbiosa. Poi si rende conto che la sua affermazione non abbia senso alcuno, dunque si sforza di argomentare: «Qualche deficiente ha sparso un po' di polverina magica nei Corridoi, e ho avuto la fortuna di passare di là in quel momento.», sorride, uno di quei sorrisi autoironici che vogliono mostrarsi del tipo 'la vita è bellissima', quando in realtà 'ricordatemi di scavare una fossa nel letto e di non uscirne prima della fine del letargo'. Ecco, lo spirito è lo stesso. «Ma tu mi sembri messo peggio.», aggiunge, sollevando le sopracciglia in un'espressione concitata. L'escoriazione del ragazzo non ha l'aria di essere uno scherzo, a differenza di quanto sia accaduto a lei. «Che è successo?», gli chiede, curiosa. Non è particolarmente loquace negli ultimi tempi, ma quando arriva l'occasione di fare uno di quei giochetti mentali per cui a partire da alcuni indizi si devono trarre fuori le conclusioni giuste - un po' lo stesso procedimento che dovrà applicare l'infermiere di lì a poco, quando li visiterà -, Molly è sempre in prima fila. E a giudicare dalla ferita dello studente, deve avere fatto a pugni, o qualcosa di simile. Il suo zigomo sinistro la dice lunga. «Certo che negli ultimi giorni a Hidenstone è il finimondo, bisbiglia, ravviandosi i capelli. Si gratta un altro po', anche se il raziocinio suggerirebbe di non infierire sulle ferite aperte, rosse e decisamente orribili sparse ovunque sul suo corpo. «E mi sa che non abbiamo ancora visto niente...»

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  4. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 18 anni
    Dunque si era trattato di uno scherzo. Non del tutto innocente, certo, però nulla di intenzionale volto a rovinare la giornata della ragazza. In qualunque altra circostanza, Josh non avrebbe certo reagito in quel modo: probabilmente avrebbe cercato di alleggerire la situazione, di ironizzare sull'accaduto e di sorridere, per far sì che la giovane non si sentisse particolarmente sconvolta dall'accaduto, ma a prescindere dal fatto che lei non sembrasse troppo turbata, c'era da dire che quel periodo per il ragazzo -e il resto della scuola- non era stato del tutto rosa e fiori.
    Lasciò cadere la mano e ascoltò ciò che la rossa ebbe da dire, annuendo una sola volta quando fu decretato che non si fosse trattato di un attacco preventivato. A quanto pareva, per quel giorno aveva finito di fare il paladino della giustizia.
    Peccato.
    Fece per andarsene, ma non ebbe neppure il tempo di voltarsi ché la Dioptase parlò, costringendolo a inarcare il sopracciglio destro.
    Resto in silenzio per qualche secondo, ma alla fine decise di mostrarle un mezzo sorriso.
    «Oh beh, grazie tante.»
    Lasciarsi andare a un momento di ilarità non era un'idea malvagia, soprattutto quando si aveva a che fare con il primo raggio di sole dopo una notte tormentata da incubi. La rossa, che Josh riteneva di non aver mai notato, pareva una boccata d'aria fresca, qualcuno di estraneo alle vicende appena accadute, dopo un periodo trascorso a guardare in faccia i ragazzi con cui aveva condiviso la notte degli orrori.
    «Nulla di ché: un paio di Dioptase hanno osato sfidarmi e questo è il risultato. Ma dovresti vedere come sono conciati loro.»
    Le disse poggiando il gomito sulla testiera del letto di fianco a quello su cui era seduta la ragazza e facendole l'occhiolino.
    Ahia.
    Si portò una mano sulla palpebra e si rese conto che da lì a breve avrebbe avuto un bel bernoccolo da quelle parti. Quando la ragazza parlò di nuovo, l'umore di Josh finì nuovamente sottoterra, facendo perdere all'Ametrin il sorriso che con fatica aveva riacquistato. Beh, c'era stato comunque un passo avanti rispetto agli ultimi giorni.
    «Già... immagino avrai sentito delle ragazze scomparse. Ne conosci qualcuna?»
    Le chiese osservando un punto imprecisato e totalmente privo di alcun interesse del lenzuolo del letto su cui era seduta lei.
    Diede per scontato che almeno Lilith fosse tra le sue conoscenze, essendo suo Prefetto, ma per quanto ne sapeva poteva avere un buon rapporto anche con le altre, soprattutto quelle del primo anno. Il suo pensiero volò per un attimo a Tess, sua concasata, con cui non aveva mai scambiato neppure una parola.
    Non aveva idea di cosa aspettarsi da quell'episodio, ma non era del tutto certo che si stesse facendo il possibile per ritrovarle. Lui avrebbe potuto fare di più? Assolutamente no, e quello era il motivo per cui evitava di dare di matto con gli adulti, ma faceva fatica a trattenersi.
    Sollevò lo sguardo di ghiaccio sulla ragazza e la vide grattarsi, cosa che lo fece sospirare e non pensare solo per un attimo alle ultime parole di lei.
    «La mamma non ti ha detto di non grattarti in certi casi? Le infetterai se continui così.»
    Sbuffò dalle narici e, dopo aver lanciato un'occhiata verso lo studiolo di Skyler, si alzò per dirigersi proprio lì. Aveva frequentato abbastanza l'infermeria nell'ultimo anno da sapere dove il ragazzo tenesse i disinfettanti e del cotone, così da andare a recuperare entrambi e portarli dalla studentessa. Li poggiò sul comodino, svitò il tappo del disinfettante e ne versò in abbondanza su un batuffolo di cotone. Poi si avvicinò alla rossa e inclinò lievemente il busto verso di lei.
    «Permetti? Sono un fan dei metodi babbani.»
    Le mostrò un altro sorriso e attese un suo eventuale cenno di assenso, altrimenti le avrebbe lasciato il cotone in mano affinché provvedesse da sola.
    Rimase in silenzio nei successivi attimi, tornando a riflettere su quanto da lei detto. No, non avevano ancora visto niente.
    "Lei sta tornando."
    Un brivido lo colse alla sprovvista e lo costrinse a immobilizzarsi sul posto, portandolo ad abbassare le palpebre sugli occhi stanchi e spaventati. Che diavolo era successo quella notte? Chi stava tornando?
    Quando riaprì gli occhi e posò le iridi artiche sulla rossa, tentò di non dare a vedere quanto quel pensiero lo avesse turbato, riprendendo ciò che stava facendo.
    «Non devi aver paura. Abbiamo docenti in gamba e sono sicuro che non permetteranno ci accada nulla.»
    Lo ripeteva più per assicurare se stesso che non la ragazza, e purtroppo non credeva realmente alle proprie parole: erano state rapite quattro studentesse proprio sotto gli occhi del corpo docenti e, per quanto Josh tentasse di non ritenerli responsabili, non poteva proprio far finta di nulla.
    «Qual è il tuo nome?»
    Le domandò quasi in un sussurro, come a non voler spezzare quel delicato equilibrio creato con naturalezza dalla ragazza e con una certa difficoltà da parte sua.

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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Per un attimo, Molly ha il timore di avere esagerato con la propria insinuazione. Sembri messo peggio - chissà, magari il ragazzo potrebbe interpretarla come un'offesa. Come se lei avesse deciso di sottolineare, di proposito, quanto la propria condizione, benché nella cattiva sorte, sia comunque un gradino più in alto di quella dell'interlocutore. Effettivamente, vista così appare come la prima sbruffona di turno che va ad infierire sulle disgrazie altrui, ridendosela alle spalle perché, per lei, la ruota della fortuna gira sempre nel verso giusto. Ma la signorina Trouble non ha peli sulla lingua, e la sua vuole essere soltanto una provocazione scherzosa. Ed in effetti va in porto, non provocando più morti e feriti di quanti non ce ne siano già. Il ragazzo spiega a grandi linee il motivo dei graffi profondi sul suo viso, contornati da un livido che prende pian piano forma, conferendogli un colorito violaceo non troppo dissimile da quello di Molly. Eccoli che sembrano direttamente sbarcati da un mercato di frutta e verdura: lei il pomodoro, lui la melanzana. Manca soltanto il peperone giallo, e si può iniziare a parlare dell'arcobaleno. «Già. Questi Dioptase proprio non hanno di meglio da fare.», gli sorride, prendendosi in giro da sola, mentre mette ben in mostra il colore verdeacqua della divisa. Fa un po' a pugni con il rosso intenso dei capelli, ma a lei non è mai importato troppo del vestiario. Anzi, è oltremodo convinta di quell'assortimento, sulla stessa scia del famoso detto dal letame nascono i fior. Da quello che non ti aspetti, può venir fuori un piccolo miracolo. «Avrò modo di notarlo a breve, in Sala Comune. Ma poi due, tre, quattro - quanti erano? - contro uno. Che senso dell'onore, questi Dioptase, commenta, ironica, ed è quando inizia a sciogliersi, ogni frase sempre di più, che l'Ametrin prosegue il discorso sulle ragazze scomparse. Ecco che il nostro cuoricino di pietra - anche noto come Molly Jane Trouble - è chiamato a dialogare sulla questione più spinosa, ed al contempo sulla quale è meno preparata, di tutti i tempi.
    No, non conosce nessuna di queste ragazze. Solo Lilith, di vista, ma non le ha mai rivolto la parola. Non ce n'è stata occasione - o forse, è stata lei a non cercarla. Perché il momento dell'iscrizione a Hidenstone è coinciso esattamente con la fastidiosa battaglia personale che ha combattuto con le unghie e con i denti, ed irrimediabilmente perso. Molly non ha guardato ad un palmo dal proprio naso, totalmente immersa in affari di famiglia di cui non si sarebbe dovuta occupare, ma nei quali ha messo molto più che lo zampino. E adesso si ritrova in un mondo completamente nuovo, sconosciuto, nel quale per ragioni ignote accadono cose terribili, e lei... Non ci ha neanche riflettuto più di tanto. Le è scivolato tutto addosso, come una doccia d'acqua fredda. Si è svegliata, sì, ma probabilmente non ha ancora ben chiara la portata degli eventi dell'ultimo mese. Quattro ragazze. Già una sarebbe una tragedia, figuriamoci quattro. «No, non le conosco. Solo Lilith. Una volta... Le ho chiesto una cosa.», falso. Non le ha chiesto proprio niente, e si sente a disagio nel dirlo. Ma non vuole apparire spaventosamente distaccata dalla faccenda, per cui si spinge oltre il famoso muro personale di protezione, infragendo una buona manciata di regole che, pur non essendo scritte da nessuna parte, nella sua testa sono ben radicate. «Tu le conosci?», domanda a sua volta, anche se forse non vuole ascoltare la risposta. Perché la farebbe sentire ancor più gelida di quanto non sia diventata, menefreghista, cinica e tutto il resto. E Molly non ha intenzione di accettare quel lato di sé, per quanto possa essere utile al momento di proteggersi dalle intemperie e dagli ostacoli che la vita decide, a giorni alterni, di mettere lungo un cammino troppo spianato per essere vero.
    La pesantezza dei loro discorsi viene spezzata, ad un certo punto, da un gentile tentativo, da parte del ragazzo, di alleviare il suo prurito. «Non sai quante cose che dice, la mamma.», ed è convinta che lui concorderebbe, se la conoscesse. Meglio non invocarla invano, pertanto, o potrebbe aver da ridire persino su come stanno inalando ed espirando l'aria - troppo veloce, troppo piano, troppo profondamente, troppo superficialmente... Se c'è una frittata da girare, sua madre la rigira, la rigira di nuovo, la capovolge, la mette al contrario, la inverte ed infine, avendo perso il conto dei passaggi fatti, non si può che concordare con la sua santissima opinione. Hai ragione, ed almeno lì la questione si chiude. O potrebbe continuare per secoli.
    Il ragazzo le consegna cotone e disinfettante, e la invita a spalmarlo sulle ferite. Molly gli dà fiducia, anche se preferirebbe un incantesimo rapido ed indolore, infatti: «Brucia.», si lamenta, serrando le labbra. Ma il punto è che deve bruciare, l'effetto sperato è proprio quello. Poi passa. «Guarda che se così facendo peggioro la situazione, la prossima che ti sfiderà sarò io, giusto per restare in tema Dioptase.», lo ammonisce, scherzosamente. E' il suo modo di dire grazie, affermando l'esatto opposto di quello che in realtà pensa. Gli sorride e poi aggiunge: «E lì ti devi preoccupare.», perché è chiaro e cristallino che vincerebbe lei, giusto? O almeno, facciamoglielo credere. Giusto per continuare a darsi un tono mentre, dentro di sé, c'è un clamoroso incendio che spera si plachi a breve, portando via anche i residui di prurito. «Non ho paura... Ma non sono neanche tranquilla. Più si parla della questione, più viene distorta, più tutto sembra... Finto. Come se non fosse accaduto davvero. E a volte me ne riesco persino a convincere. Finché non ricordo come siano effettivamente andate le cose... Per quanto io ne sappia, ovviamente.», afferma, mettendo a nudo i propri pensieri. Sperando di non aver detto qualcosa di sbagliato o poco consono. Perché dato l'argomento estremamente delicato, ci sarebbe quasi da utilizzare un vocabolario a parte, per non peccare di superficialità.
    «Oh. Hai ragione, non ci siamo presentati. Io sono Molly... Trouble, pronuncia l'ultima parola con un tono di voce così basso che solo l'udito di un pipistrello potrebbe captarlo. «Hai cinque secondi per fare la battuta, poi tempo scaduto.», gli concede, perché tanto sa che lo farà. Lo fanno tutti, è automatico. «E tu sei...?»

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  6. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Si parta dal presupposto che a Josh non importava di ciò che gli altri potessero pensare di lui, o che almeno di questo volesse convincersi, perché più di una volta aveva tentato di nascondere un qualche dettaglio sulla sua vita o una determinata inclinazione, qualcosa che altri non avrebbero potuto comprendere, qualcosa di talmente complesso da non poter essere spiegato.
    Lui non mentiva, aveva semplicemente imparato a omettere certe cose o a convincersi del contrario, in modo da potersi dire sincero.
    Tuttavia, per quanto amante fosse della verità, non poteva evitare di pensare a come ciò che diceva potesse influenzare il proprio interlocutore. Voleva evitare di far sentire a disagio chi gli stava intorno, a meno che la qual cosa non gli risultasse particolarmente congeniale -e questo capitava di rado, solo con le persone che in fondo gli piacevano. Non che la rossa che aveva di fronte in quel momento non gli piacesse, non la conosceva affatto, ma di base lei di Josh non sapeva niente e una parola detta in un modo poteva assumere significati diversi da quello che lui avrebbe voluto intendere.
    Fu per questo che, quando la ragazza si scostò i capelli per rendere palese la sua Casa di appartenenza, Josh non potè non rivolgerle un sorriso, sollevando lo sguardo dalla cravatta per puntarlo in quelle iridi tanto diverse dalle sue.
    «Li avevo visti, sai? I colori. Comunque ho detto un paio? No, saranno stati sette, forse otto... dovrei dirti di stare attenta, ma mi sembri grande e forte, sono certo che tu sappia allacciare i sandali e tutto il resto.»
    E allargò il sorriso, curioso di scoprire se la ragazza avrebbe o meno colto la citazione. Josh era cresciuto a metà tra il mondo babbano e quello magico, e aveva adorato i film di animazione che i suoi genitori propinavano di continuo a lui e a suo fratello.
    Il ragazzo avrebbe continuato a parlare volentieri di cose frivole, almeno quel giorno, ma era più che normale che la rossa volesse saperne di più, che volesse fare domande. Lui, d’altro canto, avrebbe fatto lo stesso.
    Alla sua domanda, il giovane Ametrin si limitò ad annuire, con lo sguardo ben lontano dal fissare le iridi della compagna. Le conosceva, ma non tutte allo stesso modo. Elisabeth era la ragazza che gli piaceva, nulla di serio, ma comunque l’aveva notata da un annetto ormai; Lilith era... un’amica? Non avrebbe saputo come definirla, ma qualcosa fra loro in passato era accaduto e ora stava con Blake, un suo... amico? Insomma, non poteva negare di voler bene alla ragazza. Theresa era una sua concasata e con Ayla non aveva neppure mai parlato, ma non per questo la loro scomparsa non lo aveva turbato: Erik era sconvolto dalla sparizione della prima, sentendosi responsabile dato il suo ruolo da Prefetto.
    «Ayla... dovresti conoscerla, o per lo meno avere idea di chi sia. Dovrebbe essere una Dioptase del primo anno.»
    Solo in quel momento si rese conto di quanto poco sapesse di quella ragazza e si sentì un verme.
    Quando iniziarono a pensare alle ferite della rossa, quelle che perdevano sangue per lo meno e parevano non avere alcuna goccia di pus, si sentì quasi meglio. Paradossale, non credete?
    Ridacchiò alla lamentela dell’altra e scosse la testa, quasi esasperato.
    «Sta’ buona.»
    Alla fine lei aveva scelto di pensare da sè alle ferite, motivo per cui il ragazzo si fece da parte e riprese posto sul letto di fianco. Per un momento dimenticò il motivo per cui si trovava lì, ridendo di nuovo a causa della minaccia che l’altra gli rivolse.
    «Una guerriera, eh? Sarò felice di testare le tue abilità, ma non oggi.»
    Si strinse nelle spalle come per scusarsi e, sistemando il cuscino, si lasciò cadere sul letto con l’avambraccio destro e coprire gli occhi.
    Era stanco e nervoso, ma la voce della ragazza riusciva a calmarlo.
    La guardò di sottecchi quando si presentò e, nel sentire l’avvertimento, evitò di ridere.
    Voltò il capo verso di lei e la osservò per più di cinque secondi. Poi, finalmente, parlò.
    «Mi piacciono i guai. Mi permettono di non annoiarmi. »
    L’angolo destro della sua bocca si curvò birichino verso l’alto prima di continuare.
    «E dicono anche che io sembri attirarli. Dunque dimmi: ti attiro, forse?»
    Il fatto che fosse riuscito a scherzare come suo solito era un ottimo segno. Voleva dire che tutto sommato non stava messo così male come credeva. Era la prima volta che riusciva a rasserenarsi da quando Elisabeth era scomparsa e, se da una parte si sentì terribilmente in colpa per questo, dall’altra non potè evitare di lasciarsi trasportare.
    Evidentemente aveva solo bisogno di qualche guaio.
    «Joshua Evans. Ma tutti mi chiamano Josh.»

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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Sembra assurdo voler ridere in una stanza d'infermeria e con una ventina di pustole addosso che scoppiettano allegramente sotto l'effetto del disinfettante, eppure è proprio ciò che sta accadendo a Molly. Le sue labbra si allargano in un sorriso sincero, evento molto raro nella routine di giornate monotone, vuote fuori e piene - dentro - di pensieri rognosi e difficili da scacciare, come la più virulenta delle epidemie. Non sa se a farla ridere di più sia il tentativo del ragazzo di ergersi a gladiatore pluripremiato, oppure l'espressione buffa con cui lo dice. In ogni caso, verità o bugia, è comunque finita bene. Nessuno dei due può lamentarsi più del dovuto, in fondo ne saranno fuori al massimo tra mezz'ora. Il rimedio babbano fa male e, altrettanto, funziona a meraviglia. Certo, si potrebbe friggere un uovo sulla sua cute per la temperatura raggiunta, ma è abbastanza sopportabile. Aspetterà l'infermiere Mave un altro po', giusto per essere sicura che non le spuntino delle misteriose creature al posto degli arti, ma non dovrebbe essere un'opzione plausibile. «Nel caso fossi daltonico. Si sa mai.», commenta, ironica, ben consapevole di aver appena finito di ostentare la divisa dei Dioptase solo per metterlo in difficoltà. Come quando si partecipa a discussioni in cui viene descritto poco carinamente un certo individuo e poi, guarda caso, uno degli interlocutori si fa avanti e dice qualcosa del tipo scherzi a parte grazie per i complimenti. Ed il caso si chiude con una figuraccia da collezione, ben più rara ed importante dell'introvabile figurina delle Cioccorane con Albus Silente. «Beh, hai ragione. Non fossi stata forte non ti avrei sfidato.», rincara la dose, anche se non è poi così convinta della massa muscolare in tensione sul suo braccio destro - quello dominante che utilizzerebbe per fare a pugni, nell'eventualità vi fosse bisogno. Quando la discussione si sposta sulle ragazze scomparse, Molly si rende conto all'istante di come tutte le fibre muscolari del mondo non terrebbero, stracciate da una terribile ed inclemente sorte che si può combattere solo con equivalente fortuna. Si può essere preparati quanto si vuole, ma quando il male bussa alla porta è difficile farsi trovare con una valigia di veleni dietro, a scopo difensivo. Alla fine sarà tutto un gioco mentale, con una larga fetta di fortuna che non guasta mai. Mentre la spavalderia le muore in gola, augura tutta la buona sorte del mondo alla sua concasata, Ayla, che dovrebbe conoscere ma che non ha neanche mai visto. Quella frase del ragazzo, per quanto innocente, è in grado di sollevare un polverone nel cuore di Molly, facendola riflettere su quanto sia stata infantile a chiudersi tutti gli spiragli di vita intorno, sperando che il dolore familiare guarisse nella solitudine più nera. Ha sbagliato strategia, la signorina Trouble, e ne paga le conseguenze con un risultato decisamente peggiorativo rispetto alla situazione precedente: quello di risultare al primo posto nel podio dell'indifferenza. La peggiore etnia di individuo umano, in sostanza... E per cercare di nasconderlo, si ammutolisce. Non risponde all'accenno alla Dioptase scomparsa, perché potrebbe soltanto pronunciare una frase di circostanza confezionata a puntino per l'occasione, scovata dopo infinite ricerche in quello che è il glossario della vita, utilizzata da chicchessia in frangenti simili ma non certamente paragonabili. Finge di essere impegnata col disinfettante, strofinandolo il più forte possibile sul dorso della mano sinistra, come se avesse appena avvertito un dolore insopportabile del quale, in realtà, non dovrebbe esserci più neanche l'ombra. E questo probabilmente il ragazzo lo sa, anche se per fortuna non la sta osservando mentre tesse il piano più ingarbugliato di sempre, accompagnato da qualche sonoro ahia, per avvalorare la performance. Dopo essersi presentata, smettendo i panni dell'anonimato, il ragazzo la scruta dalla propria postazione di battaglia - steso sul lettino. E fa dei commenti che comunque andrebbero premiati per la fantasia. «Questa mi mancava. Date un premio per l'originalità al signorino Evans! Ed anche per il perfetto impiego delle proprietà dei sillogismi.», risponde, rivolgendogli una smorfia di complicità. «Chi te l'ha detto ha probabilmente ragione sul tuo conto. O non saresti qui in Infermeria, spiaggiato sul lettino.», proprio come me, dovrebbe aggiungere, ma evita di dirlo per non perdere quella parvenza di vantaggio sul presunto avversario. «In questa posa... Incredibilmente attraente, certo.», lo prende in giro, dando una risposta inevitabilmente imprecisa alla domanda di lui. Perché la questione è: tu, guaio, sei attirato da me, calamita? Ed è chiaro che non gli risponderebbe neanche sotto tortura, figuriamoci in un contesto pseudo-tranquillo. «Che poi di ammiratrici sei pieno -», inventa, anche se potrebbe essere vero, «- le anzianotte dei quadri non fanno che parlare di te. Il famoso Josh. Mi chiedevo quando avrei avuto la fortuna di incontrarti.», conclude, contenta della favoletta che ha costruito all'occorrenza. Lo fa sempre quando viene presa in contropiede: cambiare discorso.

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  8. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Avrebbe potuto continuare a parlare di tutto e di niente senza alcun problema, probabilmente andando avanti all’infinito, qualunque cosa pur di non pensare, di non ricordare. Egoisticamente aveva sperato per giorni di poter trascorrere un momento del genere e nell’attimo in cui ciò si era verificato, aveva deciso di non farselo scappare. Si era domandato più e più volte se lui e gli altri avrebbero potuto fare qualcosa per le ragazze, ma col trascorrere del tempo aveva imparato a tacere, a soffocare quella flebile speranza e ad accettare l’idea di essere totalmente e incondizionatamente inutile alla causa.
    Una gran bella soddisfazione, oltre ad essere il pensiero con cui il giovane si svegliava ogni dannato mattino da giorni, ormai.
    Rimase a scherzare con la Dioptase, a ridere e a prendersi vicendevolmente in giro in maniera bonaria, l’accudì fino a quando lei glielo permise, le promise uno scontro (?) e, alla fin fine, aveva forse compreso che quella ragazza risultasse -e si sentisse- totalmente estranea all’accaduto.
    Non era un Legilimens, ma poteva affermare la tal cosa con una certa sicurezza: quale adolescente avrebbe trovato più interessante leccarsi le ferite piuttosto che parlare di una compagna di corso rapita?
    Josh non gliene fece una colpa, al contrario provò a capirla e pensò anche di riuscirci piuttosto bene.
    «Mi reputi uno stronzo per stare qui a ridere con te, invece di preoccuparmi per le ragazze? Sai, non ti nego di sentirmi in colpa per ogni sorriso, ogni pensiero lievemente felice... e non sopporto l’idea di stare peggio per una ragazza in particolare fra le quattro, come se avessi il diritto di decretare che lei sia più importante di loro, più meritevole di essere salvata. »
    Lo disse con un sorriso, senza però smetterla di guardarla negli occhi. A lui non importava cosa avrebbe detto Molly e non perché non gli interessasse la sua opinione, ma perché qualunque fosse stata la sua risposta, il suo stato d’animo non sarebbe cambiato. Le aveva rivolto quelle domande con uno scopo ben preciso.
    «Sono una brutta persona per questo?»
    E quello scopo lo avrebbe svelato solo se fosse stato il caso di farlo. Tutto dipendeva dalla persona che aveva davanti e dal suo modo di vedere le cose e la vita.
    Quando l’argomento si affievolì e i due passarono alle presentazioni, il buon umore lo colse di nuovo e Josh si lasciò trascinare da esso. Lui non era mai stato un tipo carismatico, non gli dispiaceva restare nell’ombra e lasciare il palcoscenico a tipi come Erik o Blake, eppure non si poteva certo dire che non si fosse fatto una nomea in accademia. Le ragazze in genere lo conoscevano, ma non era del tutto certo che la sua fama lo precedesse o che persino le studentesse del primo anno lo avessero sentito nominare.
    Tuttavia stette al gioco, annuendo di tanto in tanto e continuando a ridacchiare. Incassò il colpo, si prese il falso complimento e si portò la mano al cuore, fingendo di soffrire.
    «Questo è un colpo basso. Non puoi prenderti gioco di me in questo modo! Non ti faccio neppure un po’ pena nelle mie condizioni?»
    La ascoltò parlare ancora, proseguendo in quella presa in giro che le fece guadagnare un’occhiata divertita da parte dell’Ametrin.
    «Tu ridi e scherzi, ma non mi hai ancora risposto seriamente. »
    Quella frase, del tutto nelle sue corde, gli fece stringere il cuore in una morsa di ferro. Si sentì come se scherzare o flirtare con qualcuno fosse la cosa più sbagliata da poter fare in un periodo come quello, ma perché? Volle infierire da una parte, ma dall’altra si sentì in difetto e chiuse le labbra, impedendosi di continuare.
    color=plum]«Non importa. Immagino ci sarà tempo e modo di scoprirlo, signorina Trouble.»

    I guai... era vero che i guai lo aveva sempre seguito, e persino lui si lasciava attrarre da essi. In effetti, la domanda poteva essergli rivolta proprio da Molly: i guai lo attiravano? Assolutamente sì, e se avesse incontrato la ragazza solo pochi giorni prima, probabilmente non si sarebbe fatto alcun problema ad ammetterlo. Da una parte si dispiacque per lei: solitamente Josh si riteneva -ed era certo di essere- un tipo alquanto piacevole da incontrare, eppure in quel periodo pareva più morto che vivo.[/color]
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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Quando Josh dà voce ai propri pensieri - che senza andare tanto lontano sono anche quelli di lei -, un po' si preoccupa. E al contempo si rasserena, non sentendosi più la sola sulla faccia della terra ad avvertire quella dolorosa morsa allo stomaco altresì detta senso di colpa. Le loro posizioni sono differenti, perché Josh sembra avere un legame con le famose ragazze scomparse, mentre lei le avrà scorte sì e no tre volte in giro per l'Accademia. Le loro colpe sono differenti: Josh che crede di meritarsi un bel ceffone per ogni sorriso a lui strappato, come se fosse un torto diretto alle compagne disperse, lei che invece ha scelto di sviare l'argomento, non riuscendo ad ammettere di esser stata troppo concentrata su se stessa e sui propri problemi, piuttosto che esprimere una parola di rammarico per l'accaduto. «Sei soltanto umano.», gli risponde, spezzando il contatto visivo con lui e tenendo lo sguardo basso sul pavimento. Non è da Molly non fronteggiare con sicurezza l'interlocutore - è fermamente convinta che anche quando la propria posizione non sia delle migliori, una buona dose di coraggio possa fare la differenza in qualunque battaglia, fisica o mentale, si stia combattendo. Conta avere ragione, certo, ma conta di più saperlo dimostrare. Perché alla fine è tutto un gioco di apparenze: o le domini, o ti schiacciano. Ed uno sguardo dritto negli occhi fa apparire forti, sicuri, vittoriosi. Ma lei sceglie di mostrarsi umana, prendere un bel respiro per gestire il carico emotivo elargito dalle parole di Josh, e poi avvalorare la propria opinione: «E' successa una cosa tremenda, ma... Il resto del mondo non può comunque fermarsi, per quanto sia grave. Non puoi incolparti di qualcosa che non si può controllare.», le emozioni, appunto. Così come il pianto, a volte, risulta inarrestabile, allo stesso modo potrebbero esserlo anche le risate, suscitate magari nel bel mezzo di una lezione. L'obiettivo non è quello di essere cacciati fuori dall'aula, ma l'effetto raggiunto è quello, e neanche se ne potrebbe fare una così grande colpa. Semplicemente capita. «Se ci fosse mia sorella, là fuori, non guarderei in faccia nessuno pur di salvarla. Continuerei a sperare che anche le altre ragazze tornino a casa, ma se mi mettessero davanti la possibilità di riscattare soltanto lei, lo farei. Senza rimpianti.», ed immagino sia lo stesso anche per te, riflette, ma non lo dice ad alta voce. E' già stata abbastanza chiara su come la pensa, a costo di apparire insensibile. La verità è che tutti vogliono sempre mostrarsi perfetti in ogni cosa, in ogni scelta, in ogni situazione... Ma alla fine dei conti, nessuno lo è. E nessuno ha il coraggio di dirlo. Che Josh l'abbia fatto può soltanto andare a suo favore.
    Molly conclude l'opera di disinfezione, abbandonando l'occorrente sul tavolo lì vicino - ed augurandosi che l'infermiere Mave non se la prenda troppo per quella piccola perquisizione senza mandato, conseguita senz'ombra di dubbio a fin di bene. Si lascia scivolare sul lettino, scorge distrattamente l'orario ed un brivido di agitazione la percorre - è in ritardo sulla tabella di marcia. A quell'ora dovrebbe già essere di ritorno dalla Biblioteca, zaino in spalla e compiti svolti. Ma quella specie di gioco con Josh sembra valere la candela, per cui si mette comoda e lo incalza ancora una volta: «Vuoi che provi compassione o che sia attratta? Perché le due opzioni, contemporaneamente, penso mi creerebbero un disturbo di personalità non indifferente.», ridacchia, ben consapevole di cosa intenda il ragazzo. «Nel primo caso, sì, avresti proprio bisogno di una mano. Ma passerà in fretta, e sicuramente Mave ha l'incantesimo che fa per te.», afferma, scrutando la ferita ancora aperta sul suo labbro. Farà male, pensa, eppure lui non ha battuto ciglio, mentre Molly ha avuto il coraggio di lamentarsi di un banale prurito. E di pustole che, in fondo, sono soltanto antiestetiche, ma nulla di irreparabile. «Nel secondo caso, vero, non ti ho risposto seriamente.», ammette, per poi aggiungere: «Beh, sì, il mio cognome è attratto da te. Pensavo fosse superfluo specificarlo.», fin qui ineccepibile, l'ha detto lui di essere in grado di attirare i guai, no? E quindi Molly, per la prima volta nella sua vita, sfrutta il famigerato Trouble come escamotage in grado di farle prendere una curva in scivolata, senza perdere lo sprint ed al contempo senza andarsi a schiantare sul muro di fronte.

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  10. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Josh la ascoltò senza dire una parola, limitandosi ad annuire di tanto in tanto e tentando di comprendere se Molly capisse che quei suggerimenti, quel punto di vista, potessero essere applicati anche a lei. Lui si sentiva davvero in colpa, si rendeva conto di non aver alcun diritto di pensare determinate cose, di sperare nella sopravvivenza di una o due persone con tutto se stesso, mentre per le restanti impiegava solo la metà di quella costanza. Se qualcuno gli avesse chiesto un nome, il nome dell’unica persona che avrebbe potuto salvare, il suo cuore gliene avrebbe consigliato solo uno fra quei quattro, mandando al diavolo tutti i suoi buoni propositi e mostrando al mondo ciò di cui Josh era capace: una buona dose di egoismo.
    Dubitava che in una simile circostanza avrebbe però davvero scelto, probabilmente si sarebbe lanciato contro l’aguzzino e avrebbe provato a salvarle tutte, ma questo non avrebbe fatto alcuna differenza.
    Ascoltò dunque le parole di Molly e le rivolse un sorriso di resa, in fondo le era grato per ciò che disse, nonostante non potesse -e non volesse- giustificarsi.
    «Dunque se vale per me, vale per chiunque altro. Giusto? Anche per te, per esempio?»
    Non voleva entrare nel dettaglio, gli bastava farle comprendere che neppure lei doveva farsi alcuna colpa. Non conosceva nessuna di quelle ragazze, probabilmente le aveva solo intraviste a lezione o in Sala Grande, non era giusto che si punisse per non soffrire quanto invece stava accadendo a lui o peggio, a Blake o a Erik o a Lucas.
    Nel ripensare a quest’ultimo e alla sua reazione alla scomparsa di Elisabeth, Josh si costrinse a mantenere la calma. Se da una parte desiderava picchiarlo a sangue, ritenendolo in qualche modo responsabile della scomparsa della ragazza, dall’altra si dava dell’idiota, pensando che lui non avrebbe potuto fare più di quanto non avesse provato a fare il ragazzo.
    E il fatto di continuare a pensare a lei gli stava dando sui nervi.
    Il cambio di argomento fu senz’altro utile per permettergli di riprendere a sorridere, motivo per cui si lasciò andare a una debole risata. La ragazza non mollava e la tal cosa lo divertiva immensamente.
    «Allora lasciamo la compassione a Mave, il resto puoi tenerlo tu.»
    Le rivolse un occhiolino e le sorrise. Tentò di essere se stesso, di tralasciare per un momento ciò che provava e quello che stava succedendo, costringendosi a fare una delle sue solite battute. E ci riuscì.
    «Sia mai che un giorno non sia solo il tuo cognome ad essere attratto da me.»
    Sia mai che un giorno potesse tornare tutto alla normalità. Lo sperò davvero, per tutti loro.

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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Mentre la sua cute è ormai tornata al candore iniziale, Molly non può fare a meno di riflettere ancora sulle quattro ragazze scomparse, che certamente staranno affrontando situazioni ben peggiori. Non sa cosa stia succedendo, non sa cosa si possa considerare sicuro e cosa pericoloso. Perché il famigerato nemico potrebbe celarsi ovunque, anche dietro un sorriso ben camuffato. Potrebbe essere persino Josh, che col suo fare gentile sembra il classico ragazzo della porta accanto, salvo poi rivelarsi, eventualmente, la peggiore delle conoscenze. In fondo, è proprio questo il risultato che il male - quello vero - desidera ottenere: mettere tutti contro, far dubitare dei concetti più banali, rinchiudere ogni certezza in un baule sotto chiave da gettare nelle profondità degli abissi. Ed il suo scopo lo stanno perseguendo tutti, a Hidenstone, volenti o nolenti, tanto che nessuno gira più per i corridoi con le spalle scoperte, per così dire. E' una specie di lungo incubo in cui tutti hanno un ruolo, più o meno marginale, ma pur sempre in grado di influenzare l'ago della bilancia. La stessa Molly, che non ha mai avuto nessun contatto con le disperse, potrebbe, invero, trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato, finendo sotto le grinfie di chissà quale terribile aguzzino. Oppure riuscendo ad aiutare le coetanee, qualora ce ne fosse l'occasione. La verità è che loro sono soltanto ragazzi, abituati a testi di studio e ad un livello di pericolo che rasenta il mal di stomaco di un pasto andato a male, o la Bulbadox che è finita su Molly poc'anzi. Che ne sanno del gelo, della nebbia e della paura? Nulla, appunto. «Giusto.», conferma, anche se non può evitare di sentirsi ancora in colpa. In colpa per essere una semplice ragazza alla quale, tutto sommato, non manca niente. E che rimugina su problemi che chiunque giudicherebbe di una ridicolezza assurda, per quanto lei, a riguardo, riesca a percepire il battito di un cuore che vorrebbe solo scoppiare: il proprio.
    Proprio per l'irregolarità di un'attività cardiaca che non accenna a rilassarsi, nel momento in cui Josh ammette di preferire l'attrazione alla compassione, Molly quasi cade dal lettino su cui siede comodamente, perdendo per un attimo la connessione spazio-temporale. «Mave...», mormora, tra sé e sé, perché mentre cerca di metabolizzare la conversazione avuta col ragazzo si è decisamente dimenticata dove si trova ed il motivo. «Mave. Sì. Dovrei andarlo a cercare, a proposito.», balza giù dal lettino e si tiene dritta come se l'avesse appena sgridata sua madre - pancia in dentro e petto in fuori! -, per poi indietreggiare in direzione della porta. «Magari quel giorno potresti aver smesso di cacciarti nei guai, gli risponde, sorridendo, ormai sull'uscio della porta. «Ciao, guerriero. Alla prossima rissa!»

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