Basta un solo attimo per cambiarti la vita

Jessica & Joshua | Novembre 2018

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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    Aveva fame. Oh se aveva fame. Sarebbe voluta sgattaiolare nelle cucine e pregare qualche gentile elfo domestico di darle da mangiare, anche se la cena era passata da poco. In quel momento si trovava sul letto, intenta a guardare il soffitto e a sbuffare. Ultimamente era intrattabile, ma attribuiva questa cosa al semplice fatto che erano i primi mesi in un posto assolutamente nuovo. Era abituata alla familiare Hogwarts. La sala comune nei freddi sotterranei, anche se quando entravi venivi accolto da un piacevole tepore. Là era abbastanza popolare, nessuno la infastidiva troppo e aveva persino una sua poltrona personale. Insomma, cosa poteva desiderare di meglio se non una poltroncina davanti al camino e un buon romanzo storico, magari abbinato ad una tazza di cioccolata calda sgranfignata in cucina da un suo qualche compagno serpeverde? Ricordava perfettamente le serate passate a parlare riscaldati dalle fiamme scoppiettanti. Non tutti i serpeverde erano stronzi per definizione, come si poteva pensare. Si stiracchiò, cullata da quei ricordi così... rassicuranti. Ma non poteva rimanere ancora a rimuginare su cose ormai passate, cose che non avrebbe potuto -purtroppo- rivivere più. Si girò su un fianco e decise che sarebbe andata a cercare qualcosa. Era sera e non ci sarà stata molta gente in giro, senza contare che il castello sarà stato illuminato in modo non troppo acceso, quindi non badò eccessivamente al look. Si mise un vestito a caso preso dal baule -che non fosse la divisa- e infilò le sue comode vans. Non disdegnava due belle scarpe col tacco, ma per l'occasione optò per scarpe decisamente più funzionali. Si spazzolò i capelli senza troppo perderci tempo e si avventurò fuori dalla sua sala comune. L'unico punto in cui si sentiva al sicuro e che conosceva.
    Iniziò a scendere lentamente quelli che sembravano chilometri lungo infinite rampe di scale, d'altronde la sala comune dei Black Opal si trovava al terzo piano, mentre le cucine -se non ricordava male- si trovavano nei sotterranei. Beh, una cosa positiva! Sarebbe tornata in un luogo più o meno familiare, visto che ci aveva vissuto per ben cinque anni, ad Hogwarts.
    Scese le scale facendo scorrere la mano contro il muro, come a volerne saggiare la consistenza e il materiale, finché non arrivò all'ultimo gradino. Una cortina di umidità la accolse come una vecchia amica e in quel momento la ragazzina pensò che forse sarebbe stato meglio essersi presa una giacchetta. Pazienza, ormai era lì ed era fuori discussione rifarsi tutte quelle rampe di scale solo per una felpa.
    Iniziò a dirigersi verso le cucine stando bene attenta a non inciampare su qualche increspatura del pavimento, poi finalmente arrivò a destinazione e spinse la testa oltre la porta, per individuare qualche elfo domestico più accondiscendente e tirò fuori la miglior faccia da cucciolo che aveva.

    --

    Beh, era stato semplice convincere un elfo più mingherlino di altri a darle da mangiare, inventando una semplice scusa, tipo che a cena non si sentiva troppo bene e non era scesa a mangiare. Insomma, in poco tempo si ritrovò con un vassoio incantato pieno di magiche lecornie -in particolare gli avanzi della cena- che avrebbe potuto consumare in pace. Si guardò in torno. Nei sotterranei doveva esserci solo l'ufficio dell'insegnante di pozioni, che a quell'ora probabilmente non c'era ma anche se ci fosse stato, non sarebbe uscito o ci sarebbero state comunque poche probabilità che succedesse. Quindi la ragazza corvina vagò un po' per i corridoi fino a trovare una sottospecie di panchina intagliata nella roccia e vi si sedette, posando accanto a lei il vassoio e prendendo per primo il budino al cioccolato, ovvero quello che era stato il loro dessert per quella sera. Il budino di Hidenstone era qualcosa di favoloso, forse persino meglio di quello di Hogwarts e lei non vedeva assolutamente l'ora di mangiarselo. Sorrise e sussurrò Buon appetito prima di mettere in bocca la prima cucchiaiata
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  2. Joshua B. Evans
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    sotterranei erano il luogo che meno aveva conosciuto durante i suoi anni a Hogwarts, poiché da bravo Grifondoro preferiva guardare verso il basso e non camminarvici. Dopo aver trascorso i primi due mesi nella nuova accademia, l'ormai ex rosso-oro stava tentando di abituarsi ai nuovi colori di una divisa che non era sicuro di poter portare con fierezza e convinzione: si diceva che gli Ametrin fossero gentili e disponibili con chiunque, e per quanto questi lati corrispondessero ad alcune sfaccettature del carattere di Josh, si può affermare con una certa sicurezza che, tra le tre Case, quella delle Puffole gli era parsa la più insignificante.
    Non aveva idea che a distanza di pochi mesi si sarebbe sentito perfettamente a proprio agio lì, dunque per il momento tentava di costruire un buon legame con i suoi compagni di stanza: un tale Erik che aveva sempre una faccia quasi apatica e perennemente pallida, e Lucas, un tizio... strano. Insomma, non che i due fossero particolarmente interessati a fare baldoria, seppur gli paressero simpatici, ma Josh aveva bisogno di viversi quell'esperienza e, di questo avviso, non mancava di farsi una capatina in giro per il castello dopo l'orario di cena, andando a scovare luoghi interessanti e conoscendo persino persone che valevano la pena di una punizione.
    La cucina era di certo uno dei luoghi che più preferiva: gli elfi ormai avevano rinunciato alla possibilità che l'Ametrin dimenticasse come accedere al loro regno e gli preparavano sempre un piattino con qualche leccornia, lascito della cena o del pranzo della giornata.
    Quando gli andava proprio bene, il giovane mago riusciva ad accaparrarsi anche una fetta di torta del mattino dopo, potendo andare a dormire felice e soddisfatto. Quella sera, tanto per cambiare, era proprio nelle cucine che si era recato, con l'intento di portare un po' di zuccheri a Erik, le cui condizioni non parevano essere particolarmente buone.
    Ehy, Blinky, come andiamo?
    L'elfo anziano che scorse per primo Josh lo ringraziò per essersi interessato al suo stato di salute, inseguendolo fino al tavolo da cui il ragazzo afferrò una mela. Le staccò un morso, mentre riportava lo sguardo di ghiaccio sulla creatura, allungando la mano sinistra per stringergli le mani adoranti.
    Dai, amico, non c'è bisogno di essere così formali. Piuttosto, hai qualcosa per me stasera?
    La fetta di torta spuntò come per magia -in realtà era stata appena afferrata da un altro elfo dalla credenza alle spalle di Blinky- e Josh la afferrò con la mano sinistra. L'avrebbe portata a Erik, magari si sarebbe ripreso un po' da quella strana serataccia.
    Ringraziò gli elfi e uscì dalla cucina, ma quando iniziò a percorrere il corridoio a ritroso, fu costretto a poggiarsi con tutto il peso contro la fredda e umida parete di pietra.
    Tachicardia.
    Iniziò a sudare freddo e la respirazione corta e veloce gli diede il colpo di grazia. Non si spaventò, sapeva come comportarsi in casi del genere ma, diamine, era una bella scocciatura! Si guardò in giro e scorse una seduta scavata nella pietra abbastanza lunga da permettergli di sdraiarsi. Rimase in quella posizione per minuti interi, fino a che non si sentì meglio. Poi guardò la fetta di torta e decise di averne più bisogno lui, così ne strappò un pezzo.
    Fu allora che una ragazza prese posto in una seduta poco distante da lui, evidentemente ignara della presenza del mago.
    Anche a te!

     
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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    La corvina non si spiegava la sua innaturale fame di quella sera, attribuiva il fenomeno allo stress per aver iniziato da nemmeno tre mesi e non era abituato a quel ritmo più ferreo che ad Hogwarts già di per sé dura, soprattutto agli ultimi anni. Ora però per fortuna era solo al primo di Hidenstone e quindi aveva una mole di impegni più leggera rispetto a chi era ad anni più avanzati. Era stata felice che gli elfi fossero stati così generosi. Forse non avevano voglia di sprecare gli avanzi o si sentivano particolarmente generosa nei confronti di una ragazza. No okay, questo faceva già ridere così. Guardò il piatto pieno di cibo ma decise di buttarsi per prima sul dessert. Aveva una malsana voglia di dolci quella sera, anche se ciò avrebbe voluto dire diventare una balena. Ma chi avrebbe detto di no ad un budino, dei muffins o ad una torta al cioccolato? Si riavviò i corvini capelli e, prima di buttarsi effettivamente su ciò che aveva davanti, decise di guardarsi un po' intorno. Quel luogo non era esattamente ospitale, buio e umido com'era. E poi non era per nulla a norma. Se qualcuno si fosse sentito male laggiù, chi se ne sarebbe accorto e quindi avrebbe poi potuto chiamare i soccorsi? Assolutamente nessuno! Era scarsamente illuminato da varie torce che non facevano altro che rendere quell'ambiente più atono e triste. Insomma, sperava di fare meno lezioni possibili di Pozioni! Era anche troppo freddo! E a Jessica piaceva stare in posti luminosi che la facessero risaltare, non certo in un posto che puzzava di muffa. Ad ogni modo, ciò non l'avrebbe fermata dal mangiare come se non ci fosse stato un domani. Augurò un buon appetito al vento, convinta di essere sola, quindi fece un mezzo infarto quando una voce evidentemente maschile le rispose. Si guardò intorno spaventata. Forse un insegnante era sceso laggiù e l'aveva beccata e ora avrebbe preso una bella punizione e magari avrebbe perso punti casata ancora prima di averne. Ma che razza di professore va a farsi un giretto nei sotterranei dopo cena? La corvina aguzzò la vista e notò un corpo in posizione distesa poco lontano da lei. Un morto che parla? Ma no, impossibile! Ahhh era troppo buio quel posto! Posò il piattino accanto a sé e si alzò per poi dirigersi nella direzione della voce, ad una seduta dalla propria. Steso su di essa vi era un ragazzo presumibilmente dell'età di Jessica, ma non poteva esserne certa; non lo aveva mai visto tranne forse... sì, le pareva di averlo intravisto il giorno dello smistamento. Ma non si ricordava il suo nome, solo che non era un Black Opal. Ehm... tutto ok? tentò, inclinando la testa per guardarlo. Credo che i dormitori siano qualche piano più su... ironizzò. Era abbastanza palese che quel ragazzo non fosse sceso nei sotterranei per hobby o per dormire. Non aveva una bella cera, comunque. Forse si era sentito male? Devo chiamare qualcuno? L'infermiere magari? Azzardò. Non lo conosceva se non di vista, quindi non aveva idea di cosa potesse essergli capitato. Magari gli piaceva semplicemente stendersi sulle panchine nei sotterranei. Jess si accucciò per abbassare il volto al suo livello e continuò a guardarlo incuriosita. La corvina non era mai stata una che mascherava eccessivamente la sua curiosità con comportamenti normali badando alle apparenze. Se era incuriosita da qualcosa o qualcuno, lo guardava e basta, cercando di capire. Ora che lo vedeva da vicino, poteva constatare che fosse un bel ragazzo con due begli occhi grigi. Aveva un piattino tra le mani e Jess intuì che potesse essere sceso con le sue stesse intenzioni. Sembra buona disse indicando il cibo con il mento. Anch'io sono venuta qui alla ricerca di qualcosa da mangiare concluse, con un mezzo sorriso
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    Edited by Giadì - 26/10/2019, 22:17
     
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  4. Joshua B. Evans
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    a ragazza che, come lui, aveva avuto la brillante idea di fare uno spuntino serale, si rese finalmente conto della sua presenza e Josh la sentì avvicinarsi, tanto da volgere verso di lei lo sguardo di ghiaccio. Con un sorriso gentile la accolse a farsi avanti, facendole poi un occhiolino.
    So benissimo dove sono i dormitori, ma grazie dell'interessamento.
    Non aveva alcuna voglia di andare a dormire, men che meno di tornare in infermeria dove aveva trascorso il giorno precedente e, per quanto adorasse l'infermiere Mave, non era dell'idea di vederlo ancora. Così, quando la mora gli propose di aiutarlo in qualche modo, lui si portò il braccio sugli occhi e scosse il capo delicatamente, evitando di procurarsi un'altra volta un attacco di nausea.
    Sto bene, non preoccuparti. Solo un capogiro... mi capita, di tanto in tanto.
    Già, ben più di tanto in tanto a dire il vero, ma evitò di sottolinearlo.
    Piuttosto, si rese conto in fretta di come non fosse l'unico ad avere un certo languorino quella sera, motivo per cui quando la ragazza gli chiese della torta, il giovane Ametrin si portò a sedere e le offrì con gentilezza e un sorriso il piatto che fino a quel momento aveva tenuto sospeso sullo stomaco.
    Tieni, assaggia.
    A lui, d'altro canto, non andava più. Osservò finalmente con attenzione i lineamenti della mora e si rese conto di quanto gli risultassero familiari: di certo l'aveva incrociata nei corridoi durante la sua permanenza, seppur piuttosto breve, a Hidenstone, ma doveva averla incontrata a Hogwarts mesi addietro. Che fossero dello stesso anno? Di certo la ragazza doveva essere cambiata molto in quel frangente di tempo.
    Dal modo in cui le si era avvicinata, Josh capì di trovarsi davanti una tipa decisamente intraprendente e la qual cosa non lo dispiacque affatto.
    Così... primo anno anche tu?
    Iniziare a capire chi fosse poteva essere un buon modo per iniziare quella che pareva essere una normale conoscenza.
     
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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    Non era tra le cose più usuali del mondo trovare un ragazzo steso in una seduta nei sotterranei. Così come non lo era una ragazza che andava a saccheggiare le cucine prese da una fame improvvisa. E la fame non le era passata, siccome non aveva fatto in tempo ad addentare il dolce che una voce provenire dal buio l'aveva distratta. Per quello incuriosita si era alzata ed aveva percorso a ritroso il corridoio, cercando di capire da dove provenisse. E lo aveva capito, eccome se lo aveva capito. Anche se non capiva cosa potesse trovarci qualcuno in quelle panche tanto da stendersi come a schiacciarsi un pisolino. Avvicinandosi a lui, notò il ragazzo sorriderle e farle l'occhiolino. Ricambiò il sorriso con sincerità, anche se ancora un po' curiosa e preoccupata del motivo che lo aveva spinto laggiù, oltre al dolce che aveva posato in grembo. Ed effettivamente esternò questa sua preoccupazione. Cercando anche di stemprare quella che sembrava tensione puntando sull'ironia. Era sicura che il ragazzo sapesse dove si trovavano i dormitori, ma questo non le impediva di chiedersi cosa ci facesse in un posto come quello di sera, oltre che a mangiare. Anche la sua proposta di chiamare qualcuno fu, gentilmente, rifiutata. Quel ragazzo le pareva strano, ma non in modo negativo. Semplicemente, sembrava avere qualcosa che non andava, magari stava male ma non voleva, come aveva appunto detto lui, che si preoccupasse. Ma la corvina si preoccupava eccome. Insomma, di solito se ne sarebbe stata un po' più sulle sue, ma in quel periodo era particolarmente emotiva e sensibile, quindi ciò la portava a voler a tutti i costi sincerarsi che stesse davvero bene, seppur senza essere invadente. Lui, con tono tranquillo, le spiegò che era un semplice capogiro che ogni tanto gli succedeva.
    Oh, okay... beh ti capisco, in un certo senso. A me di tanto in tanto, nello specifico da quando ho iniziato a frequentare Hidenstone, pressappoco, sono spesso presa da una fastidiosissima nausea che rischia sempre di farmi arrivare alle lezioni in ritardo. Ammise, con un'alzata di spalle. Era vero che succedeva e pensò di essere onesta col ragazzo -senza scendere nei particolari- come lui lo era stato con lei. Anche se non so perché. Forse il cibo qui mi fa male ridacchiò, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo dagli occhi grigi.
    Però guardando la torta che aveva lui, il suo stomaco riprese a brontolare e la portò a fare un commento su quanto la torta fosse invitante. Non era atto a farsela dare, assolutamente, solo un complimento all'ennesimo all'apparenza buonissimo piatto preparato dagli elfi.
    Ma lui le offrì di assaggiarla, cosa che colse impreparata la corvina. Non si aspettava questo atto di generosità. Okay che era solo una torta, mica dei soldi, però erano quasi sconosciuti. Ma non le dispiaceva che lui gliel'avesse offerta. Aveva troppa fame per dire di no, ma non gliel'avrebbe divorata tutta. Sarebbe stato a dir poco scortese e lei non voleva esserlo, quindi allargò il sorriso. Posso davvero? Grazie esclamò, prendendone un piccolo pezzo e portandolo alle labbra rosee.
    Era deliziosa. Così morbida che le si scioglieva in bocca senza però risultare sgradevole. Si appuntò mentalmente di far razzia di quella torta non appena avesse potuto e si sedette affianco al ragazzo che si era precedentemente alzato dalla sua posizione a sedere.
    Alla sua domanda, annuì. Sì. Sono Jessica, Black Opal del primo anno. Tu invece? chiese, sinceramente curiosa di apprendere chi aveva davanti. Dalla tua domanda, mi pare di capire che sei del primo anno. Ma non mi pare di averti mai visto nella sala comune dei Black Opal spiegò, quindi escludendo a priori quella casata. Rimanevano, dunque, Ametrin e Dioptase.
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  6. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
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    Da quando aveva messo piede a Hidenstone, Josh non poteva negare di divertirsi un mondo; gli piaceva conoscere ogni giorno gente nuova, cercare di ricordare tutti i volti e non fare gaff sbagliando nomi vari ed eventuali (senza un gran successo, invero), motivo per cui tentava di rassicurare ogni giorno i genitori sul fatto che stesse bene anche quando magari non era propriamente così.
    Gli piaceva quell'ambiente, gli piaceva la magia e gli piaceva la gente che vi si aggirava, nonostante esistesse qualcuno che dava sui nervi persino a uno come lui. La ragazza appena conosciuta fortunatamente non rientrava tra questi ultimi.
    Quando le sentì dire di non sentirsi troppo bene, il moro non poté evitare di sorridere.
    «Nausee? Hai provato a farti visitare dall'infermiere? Quel tizio, Mave... dicono sia in gamba.»
    In realtà lui stesso ne era convinto, ma non voleva diffondere tanto presto la notizia circa la sua malattia, perciò non sbandierava ai quattro venti la propria condizione ed evitava di farsi vedere in infermeria troppo spesso o negli orari in cui doveva essere più affollata.
    Avrebbe voluto fare una qualche battuta sul rischio di essere incinta, ma Josh era un tipo alquanto educato e non si sarebbe mai permesso di prendersi certe confidenze con le ragazze, a maggior ragione con quelle che non conosceva.
    «Certo, accomodati pure.»
    Le disse invitandola a finire la torta, mentre si rimetteva seduto e si passava una mano sugli occhi. Quando la ragazza si presentò, lui si lasciò sfuggire un sorriso di rimando.
    «Infatti sono della Casa degli Ametrin. Dimmi un po', è vero che voi Opali siete tutti un po' strani, macabri e con inclinazioni perverse? Non ci vedrei nulla di male, ma vorrei vincere una scommessa.»
    Era educato, dicevamo, ma sulla sua mancanza di tatto nulla da ridire.
    «Sei sicura che con la tua nausea faccia bene mangiare una torta? Hai altri sintomi? Magari è un virus...»
    O magari era incinta. Chi poteva immaginarlo.

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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    Il clima di quei sotterranei non era esattamente dei migliori e Jess si chiese come mai avessero optato per mettere le cucine laggiù, tra muffa, umidità e decisamente troppo freddo. Soprattutto con l'inverno che si avvicinava. Forse questo scoraggiava la maggior parte degli studenti ad andare a sgranfignare, secondo loro? O semplicemente perché era un posto tranquillo? Questi erano gli inutili interrogativi che vagavano nella mente della giovane quella buia e fredda sera di novembre.
    Si ravviò i capelli corvini, seduta affianco al ragazzo che aveva appena conosciuto e che, inizialmente, pensava fosse mezzo svenuto sopra delle panche in pietra non propriamente comode. Ad ogni modo, quando accennò alle sue nausee, non si beccò qualche battuta scaduta del tipo "Magari sei incinta!". Battute squallide che forse potevano andare bene dette da dei ragazzetti al primo anno di Hogwarts, non da parte di alcuni adolescenti ad Hidenstone. Invece le consigliò di farsi visitare dall'infermiere. Ci pensò su un attimo; effettivamente non aveva mai pensato di fare un giro da Mave. No, non lo aveva mai preso in considerazione; non sapeva bene il motivo, ma andare dai dottori e simili non la entusiasmava... come probabilmente non entusiasmava nessuno. Scrollò la testa senza troppa sicurezza.
    No, veramente no... non mi è mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello. Non metto in dubbio che sia bravo, però insomma... la considero come ultima spiaggia. Non sapeva nemmeno lei cosa intendesse con esattezza, fatto stava che era così.
    I suoi pensieri erano alquanto confusi mentre addentava quell'ottima fetta di torta che Josh le aveva gentilmente offerto.
    Fortunatamente poi il discorso si spostò su altro. Quindi il bel ragazzo che aveva davanti era un Ametrin. Ma fu la domanda che le porse a farla ridacchiare. Ti dirò, io non è che conosca tantissima gente dei Black Opal, per ora... ma personalmente non lo sono affatto! Però puoi fingere per vincere concluse, con un sorrisetto.
    Quando invece le fece la domanda successiva, alzò nuovamente le spalle. Mi hai convinta; domani passo da Mave. Ma ora devo proprio andare, è stato un piacere. Ciao! Salutò, alzandosi con un sorriso e dirigendosi verso le scale. In realtà non è che avesse particolari impegni, ma quella conversazione l'aveva leggermente agitata; non voleva farsi vedere così.

    **


    Era passata da Skyler. E quasi desiderava non averlo fatto per nulla. Gli aveva descritto tutti i sintomi. Le aveva detto che spesso aveva delle fastidiose nausee e gli chiese perché, secondo lui, mangiasse così tanto. Magari aveva il verme solitario, no? L'infermiere aveva fatto una faccia perplessa e, dopo aver inarcato un sopracciglio, le aveva chiesto quando era stata l'ultima volta che aveva fatto sesso e se era protetta. Onestamente lei non si ricordava granché. In ogni caso le aveva consigliato di fare un test. No, non un test scolastico. Un test di gravidanza. Era stato gentile e aveva avuto tatto, certo, però quella cosa aveva sconvolto la ragazza. Quando le aveva passato quella piccola stecca che sembrava un termometro, quasi non aveva il coraggio di guardarla. Non sapeva se mai lo avrebbe fatto. In ogni caso, se n'era andata ringraziandolo per il tempo dedicatole ed eccoci qua. Il giorno dopo aver incontrato l'Ametrino Josh nei sotterranei, ecco che si trovava ancora in quel luogo freddo e umido. Perché, vi chiederete. Beh, se il giorno prima lo aveva trovato squallido, ora era uno degli unici posti -oltre al bagno- dove poteva tranquillamente riflettere senza che nessuno la disturbasse. Si sedette nella panca che meno di ventiquattr'ore prima aveva condiviso con il ragazzo e prese quel test in mano. Non aveva ancora avuto il coraggio di farlo. Aveva troppa paura. Le mani le tremavano a tal punto, timorosa di doverlo fare, che il test le scivolò di mano e cadde sul pavimento poco distante da lei.
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    AVVISO PER LO SNASO/MOD CHE VALUTERA' PER GLI EXP U.U
    La cosa su Skyler l'ho scritta chiedendo prima il permesso a Mirko e chiedendogli cosa avrebbe fatto Skyler uwu
     
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  8. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
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    Erano trascorse meno di ventiquattr'ore da quando aveva incontrato quella ragazza dei Black Opal nei sotterranei e dalla sera precedente Josh non poteva negare di chiedersi che fine avesse fatto. Aveva accettato il suo suggerimento e ne aveva approfittato per fare un salto in infermeria da quanto le aveva detto, motivo per cui non ci sarebbe stato nulla di ché preoccuparsi.
    Che fosse incinta gli era passato eccome nell'anticamera del cervello, ma Josh era quel tipo di ragazzo che credeva che se una persona si riteneva abbastanza grande per fare del sesso, lo era anche per capirne le eventuali conseguenze e prendere dunque le giuste precauzioni.
    Senza neppure farlo apposta, ecco spuntare la mora, Jessica, dirigersi proprio verso il luogo in cui i due si erano conosciuti. Josh non era una persona invadente, ma l'espressione della ragazza lo preoccupò e, date le sue condizioni di salute del giorno precedente, era probabile che Skyler le avesse dato un qualche esito. La seguì, accelerando il passo per raggiungerla per non passare da stalker, e quando intrapresero i corridoi dei sotterranei e sentì un tonfo, affrettò il passo.
    Quando la raggiunse, si fermò a prendere aria e la vide seduta dove si erano conosciuti il giorno prima, su quella stessa panchina improvvisata.
    A terra quello che pareva essere un test di gravidanza.
    Era un maschio, non un cretino.
    Deglutì un paio di volte e molto lentamente sollevò lo sguardo dall'oggetto alla ragazza, dandosi dello sciocco per non aver realmente considerato quell'eventualità nelle ventiquattr'ore precedenti. Per un attimo si ritrovò ad essere uno dei personaggi principali de "La vita segreta di una teenager americana", solo che la teenager era una strega e più che in America si trovavano sull'isola di Denrise.
    Merda. E ora che faccio?
    Andarsene era fuori discussione, ormai era lì e non avrebbe fatto sentire Jessica anche peggio nel vederlo svanire, quasi col timore di beccarsi una qualsivoglia malattia.
    Decise dunque di avvicinarsi e, inginocchiandosi davanti a lei, guardarla negli occhi.
    «Va tutto bene?»
    Domanda sciocca. Ritenta.
    «Hai... insomma, è...»
    Non sapeva cos'altro dire. Non voleva chiederle in maniera tanto brutale se fosse incinta, ma come altro poteva fare? Attese dunque che fosse lei a parlare, limitandosi a poggiarle una mano sul ginocchio per darle un po' di forza.
    Aveva solo diciassette anni.

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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    Come era potuto succedere? Come cazzo era possibile? Perché proprio a lei? Cazzo, se avesse avuto Lucas tra le mani lo avrebbe ucciso... certo, la responsabilità era anche sua, ma mai lo avrebbe ammesso. Nemmeno a se stessa. E ora se ne stava lì seduta, in quella panca che sembrava essere stata scavata nella roccia lungo il corso degli anni a causa dell'acqua, anche se in realtà -probabilmente- avevano fatto apposta. Se solo il giorno prima quello le sembrava un posto buio, freddo ed inospitale, in quel momento non avrebbe voluto essere altrove. Là, generalmente, non passava mai nessuno, quindi nessuno che potesse fare domande scomode. Almeno era quello che sperava. Insomma, aveva un fottuto test di gravidanza in mano, non era proprio dell'umore di vedere nessuno. Imprecò quando il test le scivolò dalle mani e lasciò che rovinasse a terra poco lontano da lei.
    La stecchetta produsse un tonfo sordo che in quella circostanza, in quel luogo, sembrava quasi l'esplosione di una bomba, almeno alle sue orecchie. Non voleva raccoglierlo, voleva che scomparisse dalla sua vista immediatamente e per sempre, non accettava l'idea di essere incinta, non la accettava proprio. E poi... magari era solo un caso, magari avrebbe dato esito negativo. Non ci sperava, ma lo voleva con tutta se stessa. Quando stava per andare a raccoglierlo, dei passi catturarono la sua attenzione. Alzò lo sguardo e a poca distanza dall'oggetto maledetto, vide qualcuno. Il suo sguardo salì fino ad arrivare al viso del potenziale sconosciuto. No, non era uno sconosciuto, era Josh. Il ragazzo Ametrino che aveva conosciuto il giorno prima e che le aveva consigliato di passare da Mave. Quello stesso ragazzo le chiese se andava tutto bene. Avrebbe voluto dargli contro perché se lui non l'avesse convinta ad andare da Mave, adesso non avrebbe quell'enorme peso che le schiacciava il cuore. Ma non poteva prendersela con un ragazzo innocente la cui unica colpa era stata preoccuparsi di lei. E poi, nell'eventualità che fosse incinta, non era stata certo colpa di Joshua. Tuttavia non rispose alla sua domanda, si limitò ad osservarlo, ma i suoi occhi dicevano tutto.
    Sì, è un test di gravidanza. Sono andata da Skyler, ieri, e dopo avermi visitato mi ha dato questo sollevò di poco la stecca che nel frattempo aveva raccolto e sorrise lievemente quando il ragazzo le posò la mano sul ginocchio. Mai come quella volta, aveva avuto una voglia irrefrenabile di piangere, indipendentemente da dove o con chi fosse. Che dici, che sia il caso di farlo eh? sussurrò a mò di domanda, seppur retorica, indicando con la testa il corridoio che avrebbe portato ai bagni.
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  10. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Diciamo che quando si era svegliato quel mattino, a tutto aveva pensato meno che a dover assistere una ragazza di soli diciassette anni in procinto di scoprire se fosse o meno incinta. E la cosa che poteva lasciar scappare un sorriso, nella tragicità di quella situazione, era che lui non fosse il padre. E ne era alquanto certo, perché aveva conosciuto la mora la sera prima ed era piuttosto sicuro di non essersela portata a letto.
    Inoltre, diciamolo, ai tempi non era così libertino come nell'attuale presente. Aveva perso la verginità da pochissimo, non era così sicuro di sé da darlo alla prima che passava.
    Accucciato ai piedi della corvina, Josh non seppe davvero cosa fare. Andarsene non gli sembrava un gesto così galante, motivo per cui alla domanda di lei deglutì, sintomo di nervosismo, per poi accennare un "sì" col capo.
    Se doveva fare questa cosa, tanto valeva spicciarsi. Magari sarebbe stato un falso allarme e nessuno si sarebbe preoccupato di niente: Jessica del fatto di dover diventare madre, lui dell'eventualità di consolarla. Non perché non volesse farlo, ma i due non si conoscevano neppure, cosa avrebbe dovuto dirle?
    «Vai, ehm... io, se vuoi, ti aspetto qui.»
    Dov'erano le amiche quando ce n'era bisogno? Di certo le ragazze sarebbero state più comprensive di lui e avrebbero saputo cosa fare, cosa dirle. Per un momento pensò di suggerirle che, in caso di test positivo, avrebbe potuto ricorrere all'aborto, ma anche quella gli parve una pessima idea.
    Rimase dunque in attesa, sedendosi sul pavimento e poggiando la schiena contro la panchina improvvisata. Avrebbe seguito con lo sguardo la ragazza, se si fosse alzata, per poi sperare in un risultato negativo.
    Cazzo, ora devo preoccuparmi pure per il figlio di un altro?

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    Black Opal
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    Jessica Veronica Whitemore
    Black Opal | 17 anni
    Ormai le sue mani erano insensibile all'oggetto che stavano trattenendo. Una piccola sottospecie di termometro che le avrebbe potuto cambiare la vita per sempre. Sperò con tutto il cuore che sarebbe risultato negativo, così da poterci ridere su in futuro. Se fosse stato positivo invece... beh, avrebbe dovuto iniziare a valutare seriamente cosa farci. Le possibilità, grosso modo, erano tre: aborto, adozione o tenere il bambino. La sola idea di abortire le metteva i brividi, non che fosse contro... ma l'idea che una creatura innocente avrebbe potuto cessare di esistere per colpa dell'errore di una notte, le dava il voltastomaco, anche se non doveva escludere nulla a priori. Sapeva, comunque, che nei tre mesi consentiti per abortire, la creatura non era nient'altro che un feto, non ancora un bambino. Per quanto riguardava il dare in adozione... beh... aveva visto in tv quanto dolore provassero i genitori a separarsi dal figlio. Probabilmente una volta nato, creava con i genitori un legame talmente forte che, desiderato o meno, lo si iniziava ad amare. Ma perché pensava già a queste eventualità? Lei non era incinta, dai! Impossibile!
    Sì, mi faresti un favore... e scusami, non volevo coinvolgerti nei miei problemi... rispose, sinceramente dispiaciuta, prima di alzarsi e dirigersi verso i bagni. Era vero che non avrebbe voluto coinvolgerlo, ma non aveva ancora amici. Si sistemò i capelli corvini dietro l'orecchio ed entrò in un gabinetto. È il momento della verità... pensò tremante, guardando il test con terrore ancora prima di farlo. Fece ciò che doveva e aspettò il tempo indicato prima di osservare il risultato che lei, era ancora convinta, sarebbe stato negativo. Aspettò e aspettò. Cosa avrebbe fatto se fosse stato positivo? Non lo sapeva, non sapeva cosa cazzo avrebbe fatto.
    Bene, era l'ora di guardarlo. Se lo portò davanti agli occhi convintissima di avere ragione, che avrebbe dato un risultato che lei voleva. Beh, se era questo ciò che voleva, ebbe una bella batosta. Sì, perché il risultato era fottutamente positivo. La prima cosa che fece, fu lasciar cadere il test di gravidanza a terra e scivolare lei stessa a terra, con la schiena contro il muro. Calde lacrime iniziarono a scivolare lungo le sue guance. Si concesse qualche attimo di tranquillità, si fa per dire, e poté piangere in pace. Ma poi le tornò in mente di Josh e non poteva lasciarlo solo ad aspettarla, si sarebbe prima o poi scocciato e l'avrebbe magari maledetta per avergli fatto perdere tempo, anche se non ne sembrava il tipo. Faticosamente si alzò, trucco sbavato ed occhi bagnati e gonfi, ma poco le importava. Tornò dove aveva lasciato l'ametrino e lo trovò con la schiena posata alla panca. Ehi... eccomi... sussurrò, cadendo di peso affianco a lui. Aveva gli occhi da pianto, si evinceva benissimo quale fosse stato il risultato, ma parlò comunque. Sarò una cazzo di madre, a soli diciassette fottutissimi anni. Nel suo tono non c'era rabbia, c'era tristezza e senso di colpa per aver rovinato la vita a quel bimbo innocente con una madre che a malapena sapeva badare a se stessa. Come farò? Altra domanda retorica. Scusami disse poi, nuovamente. Adesso dovrò dirlo ai professori, alla preside... ai compagni. Che cosa diranno? Cazzo. sbuffò. Ti prego, non dire nulla a nessuno... ci penserò io... sussurrò flebilmente. E grazie di non essere scappato, anche se ne avresti il diritto visto che ci conosciamo da appena un giorno. Forse... dovremmo andarcene da questo posto triste? Indicò le segrete con un ampio gesto delle braccia.
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  12. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Josh era dell'idea che si era troppo piccoli per fare certe cose, ma non era del tutto oggettivo. Si era troppo piccole per restare incinta a diciassette anni, ma non lo si era per fare sesso, a quanto pareva. Lui almeno non avrebbe mai ammesso una cosa simile.
    Decisamente messo in difficoltà da quella situazione, mai avrebbe pensato che potesse sorgere una buona amicizia con la ragazza che a breve avrebbe scoperto di aspettare un bambino, eppure quello fu un po' il motivo che li unì. Josh annuì al suo ringraziamento e ignorò le scuse. Jessica aveva altro a cui pensare. Se ne restò lì in attesa, senza muoversi, sperando per lei che quel test non segnasse nulla di potenzialmente rilevante.
    Quando finalmente sentì i suoi passi riecheggiare nel corridoio, la seguì con lo sguardo, fino a quando non la vide sedersi su quella panchina improvvisata che per loro avrebbe avuto sempre un significato. Voleva chiederle qualcosa, come fosse andata per esempio, ma rendendosi conto che non fosse una partita a poker, aspettò che fosse lei pronta a parlare.
    Gli occhi arrossati dal pianto furono nulla rispetto a ciò che lei disse, dando voce a preoccupazioni, timori e ansia più che fondate. Lui rimase in silenzio, sentendosi triste per lei e sperando che le cose potessero essere più semplici rispetto a come si prospettavano.
    Si sentì unicamente di prendere una sua mano con la propria, cercando di infonderle un po' di calore e sostegno.
    Cosa poteva dire?
    «Non sarai una madre del cazzo, d'accordo? L'importante è che tu non dia peso a ciò che potrebbero dire gli altri. I professori e la preside ti aiuteranno, vedrai.»
    Prese un sospiro e sperò di avere ragione. Alla richiesta della ragazza, poi, annuì con fare deciso.
    «Non lo dirò a nessuno. Promesso.»
    Si mise in piedi e allungò una mano verso di lei, tentando di sorriderle.
    «Andiamo, ti accompagno da Mave. Andrà bene, vedrai.»

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