Whisky and blues

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    Versami ancora un pò di quella roba, Lorence.
    Il suono sordo di un bicchiere vuoto risuonò sul bancone di legno di un piccolo locale della periferia della metropoli inglese, mentre piano piano sentivo la mia testa piombare sul pianobar in attesa che la mia richiesta fosse esaudita.
    Quel posto non era un granchè a vederlo – anche se poi, con le fioche luci che lo illuminavano, era anche una lotteria riuscire a distinguere gli sgabelli dal bancone – ma era tranquillo ed isolato, non mal frequentato e poi, l'ambientino sembrava uno di quelle topaie dove una volta entrato devi essere pronto anche a morire e lasciare il tuo fegato sul bancone per pagare l'ultimo sorso di alcool che ti viene versato in quei bicchieri.

    Quando sarà stata l'ultima volta che quei cocci di vetro sono stati lavati?
    Avevano tutta l'aria di non aver mai provato una bella lucidata, insomma una sciacquata sotto l'acqua e via con altro whisky, rum o robaccia del genere. Per non parlare del banco: dannazione, era appiccicoso come il retro di un seggiolino della metropolitana aggredito dalle chewingum di quelle bande di teppistelli che non sanno dove gettare la loro gomma e allora l'attaccano con molta delicatezza sul sedile.
    Ogni volta che poggiavo quel bicchiere su quel piano avevo il timore di lasciarci anche una buona parte dei miei peli del braccio.

    «Non pensi che tu stia esagerando oggi, Mik.»

    Sollevai, per quanto mi fosse ancora possibile, la testa e guardai il barman. Lorence era un mio vecchio amico, il mio compagno di stanza al college, ne avevamo passate insieme e le nostre strade per un pò si divisero quando io decisi di voler fondare una band e girare il mondo. Lui rimase con i piedi per terra, aveva cercato di farmi capire che non sarebbe stato facile e che non potevo buttare la mia carriera e la mia intelligenza al vento, ma io non ne volli sapere nulla. E alla fine? Eccomi qua a supplicarlo di versarmi ancora dell'alcool in quel fottuto contenitore di vetro.

    «Lo, ne ho bisogno. Per piacere, in segno della nostra amicizia.»

    Le parole non mi venivan fuori dalle labbra in maniera semplice, per lo più biascicavo e ogni frase sembrava per me avere un senso ma forse, chi mi ascoltava, non capiva nemmeno che cosa volessi dire.
    Vidi Lorence afferrare la bottiglia di quel liquido ambrato e avvicinarsi al bicchiere. Esitò per un attimo, feci cenno con la mano quasi ad incoraggiare quel suo gesto e lentamente vidi scorrere nel bicchiere l'alcool. Ma cosa stavo bevendo? Non lo ricordavo nemmeno più. Il suo colore poteva somigliare a quello del rum, a quello del whisky...ma poteva anche essere del semplice tè al limone.
    Afferrai il bicchiere, sollevai il busto cercando di ottenere una posizione consona a bere e buttai giù anche quel goccio sbattendo nuovamente il bicchiere sul bancone. No, decisamente non era tè per come bruciava mentre scendeva lungo la mia gola. Strinsi gli occhi e poi li riaprii velocemente per evitare di cadere nell'oblio del buio che mi avrebbe portato a rigettare tutto quello che avevo bevuto.

    Lorence stava pulendo, con uno straccio lercio, il lato del bancone dove non c'era nessuno. Per un attimo mi chiesi quanta gente ci fosse in quel posto e scattai sullo sgabello, poggiando le mani sul bordo del bancone guardai prima a destra e poi a sinistra cercando di sembrare il più sobrio possibile.
    Vi erano solo quattro ragazzi con un paio di birre sul tavolo. Strinsi gli occhi in due piccole fessure e cercai di delinearne i volti. Nulla. Ascoltai i loro discorsi.

    «Ma avete notato che voce?»
    «Solo la voce? E il suo sedere?»
    «Ahahah! Hai ragione, cavalcava il palco oggi, Selena.»


    E così dicendo uno di loro imitò un cavallo al galoppo in una maniera molto poco consona e poco volgare scatenando le risate dei compagni di bevuta.
    Selena?
    La mia Selena?
    Parlavano di lei?
    Sbattei la fronte sul tavolo, un gesto di disperazione forse misto alla pesantezza che l'alcool aveva provocato alla mia testa.

    «Dovresti evitare di continuare così, Mik. Sai che te lo dico come un fratello. Ti stai riducendo come una pezza e non erano questi i progetti che avevi messo su.»

    Aveva ragione. Ai tempi del college, prima che io proseguii per la strada sbagliata, avevo messo su un paio di progetti. Uno di questi comprendeva la band, ma non era proprio come la stavo vivendo adesso. Era più un qualcosa come i The Beatles oppure i Rolling Stones dove tutti avevano la stessa visibilità, fama, voglia di suonare insieme e di divertirci.
    In quei tempi non mancavano nemmeno i componenti: Lo, chitarra e voce; Tom al basso e io alla batteria. Tutto era perfetto.
    Iniziammo a suonare alle feste del college, eravamo i tre ragazzi più quotati e poi eravamo anche di bell'aspetto. Lorence alto, capelli lunghi e biondi, occhi neri con un taglio molto orientale – non capimmo mai perchè avesse quel taglio, che fosse un figlio di buona donna forse era l'unica ipotesi possibile, ma evitammo di chiederglielo – con un fisico palestrato. Il suo caratterino faceva cadere ai suoi piedi ogni donna lui volesse. Ma alla fine eccolo qui, sposato con due figli, una moglie fantastica e una topaia di sua proprietà.

    Io, invece, ero quello molto più semplice. Un taglio quotidiano, nè troppo lungo, nè troppo corto. Capelli marroni e occhi neri. Un metro e settantacinque, una statura per lo più consona all'età. Un fisico asciutto e mingherlino e un carattere molto spento. Ero il taciturno della band. Eppure le donne non mi mancavano.

    Poi c'era Tom – forse lui era il più bruttino, ma sempre pieno di donne – bassino, un metro e sessantacinque di pura follia, occhi verdi e capelli rasati. Le donne impazzivano per lui, non capivamo mai il vero motivo. Forse il suo carattere solare?
    Non si sa. E non lo sapremo mai.
    Morì in un incidente stradale mentre stava tornando da una vacanza con la sua famiglia. Quello fu il momento in cui non riuscimmo a trovare più la forza per proseguire il progetto della band. Ci provammo, eravamo troppo a terra per la perdita di Tom. Quello era il nostro gruppo, eravamo noi tre e poi tutti gli altri.

    Lorence continuò a studiare, io iniziai a cercare una via d'uscita. Mi sembrava quasi di essere chiuso in quelle quattro mura costretto a convivere con qualcosa che non riuscivo a capire nemmeno io cosa fosse ma che mi stava altamente sulle palle.
    Iniziai a frequentare meno le lezioni, perdere il passo con lo studio e, piano piano, ad uscire da quel college. Lo cercò di farmi mettere la testa sulle spalle ma il tentativo fu vano. Decisi che dovevo trovare il mio posto fuori dal mondo e solo con la mia musica potevo farlo.
    Misi un paio di annunci sparsi per le strade di Londra e in qualche localino. Arrivarono un paio di chiamate e dopo mesi di prove e cambi finalmente riuscii a trovare qualcuno con cui suonare in un misero garage di periferia. Mancava solo una cosa: la voce. Non volevo sostituire nelle mie orecchie il suono della voce di Lorence, per me era quasi una mancanza di rispetto nei suoi confronti, quindi optai per cercare una voce femminile.
    Era una serata come tutte le altre, fuori pioveva e gli altri ragazzi del gruppo volevano prendere una birra nel nuovo locale della città. Mi feci trascinare con forza, non avevo molta voglia di uscire, la pioggia non mi metteva buon umore. Quando entrammo in quel posto le urla e la confusione mi infastidirono, ingoiai a vuoto e seguii il resto della band.
    Fu lì che la incontrai. Era al bancone a bere una birra, una rossa doppio malto. Era stupenda. Lunghe gambe bianche accarezzate da un velo di collant che proseguivano fino a sfiorare le forme del suo sedere, perfetto. Fianchi stretti e un seno che formava due collinette perfette su quel corpo. Il suo viso era bellissimo: lineamenti delicati, un nasino con la punta leggermente all'insù, occhi verde smeraldo e lunghissimi capelli rossi che abbracciavano le sue spalle.

    Dovevo conoscerla. Chiesi al resto del gruppo cosa volessero da bere e andai ad ordinare al banco.
    Mi voltai, la guardai. Da vicino era molto più bella. Le sorrisi e lei rimandò. Mi feci forza e le chiesi se volesse bere qualcosa con noi, indicai il tavolo di scalmanati poco distante dal bancone, ridevano e scherzavano come bambini. Lei aveva seguito il mio dito e fino a quel momento non aveva ancora parlato, ma quando lo fece capii che era perfetta.
    La sua voce era calda...invitante...passionale.
    Si presentò. Selena.

    Avevo trovato il paradiso, non sapendo che sarebbe diventato il mio inferno.
    Iniziammo a frequentarci, era davvero una ragazza per cui avrei perso la testa facilmente. Le chiesi se volesse provare a cantare con noi, la portai ad un paio di prove giusto per farla ambientare. Più la guardavo, più mi rendevo conto che fosse perfetta. L'avrei portata all'altare, un pò come aveva fatto Lorence con la tipa con cui si frequentava da anni.

    Iniziò la sua carriera come voce del mio gruppo. Eravamo completi. Facemmo qualche serata in giro per locali, ci pagavano e pure bene.
    Io e Sel fittammo un monolocale e andammo a convivere. Fino a quel momento tutto andava come avevo sperato. La convivenza ci piaceva, eravamo diventati sempre più affiatati e ogni sera prima di andare a letto ci concedevamo un pò di intimità. Con dolcezza era entrata nella mia vita e se n'era impossessata. Ma capii che tutto stava per cambiare.
    Venivamo ingagiati molto più spesso per suonare, ma il motivo non era la nostra bravura. Ormai la band era lei. Selena. E lei pian piano ne diventava sempre più consapevole, ormai noi eravamo un di più. Non so se gli altri se ne fossero accorti, ma io sì. Quando finivamo di suonare era lei quella che il pubblico acclamava, era lei quella che firmava gli autografi per tutti.
    Perchè? Provai a parlarle una sera dopo una delle nostre esibizioni. Non ci riuscii molto, era sfuggente, eccitata dalla folla che l'acclamava eppure era così bella. Mi sorrise e mi disse che doveva salutare un gruppo di fan. In lei qualcosa era cambiato, ma ancora non capivo cosa fosse di preciso. Sapevo solo che lei era stupenda e forse io mi ero innamorato di lei talmente tanto da non riuscire a vedere cosa stava combinando nella mia vita.

    Io tornai a casa quella sera, non avevo voglia di vedere nessuno e, soprattutto, avevo bisogno di scrivere. Era uno dei momenti migliori per produrre qualche testo. Passai da un supermarket ancora aperto e comprai qualche bottiglia di birra per farmi compagnia mentre componevo. A quei tempi ancora non ero una spugna d'alcool. Mi piaceva accompagnare la mia serata con qualche birra, ma nulla di più.
    Restai sveglio per tutta la notte, Selena non tornava. Decisi che forse restare sveglio ad aspettarla mi avrebbe logorato il cervello. Ero circondato da fogli di carta accartocciati, non ero riuscito a far altro che scrivere e buttare. Mi alzai dal tavolo e decisi di lasciarmi andare sul divano, accesi la televisione e girai i canali molto velocemente mentre buttavo giù un'altra di quelle bottiglie di birra.
    Non so quando tornò, ma la trovai a letto al mio risveglio, doveva esser tornata davvero tardi visto che non aveva pensato nemmeno di cambiarsi ma si era gettata sul letto ancora con i vestiti del concerto del giorno prima.
    Non la svegliai, la osservai dormire beata in mezzo alle lenzuola bianche. La chioma rossa si spargeva sul cuscino. Le accarezzai dolcemente il viso cercando di non svegliarla.

    Passarono mesi e quello era l'unico tocco che riuscivo a dare alla mia donna. Sì, perchè lei era mia. Di nessun altro. Ma forse lei non lo sapeva.
    Provai a dirglielo più e più volte, ma le condizioni in cui mi ero ridotto in sua assenza non mi permettevano altro che alitarle in faccia tutto l'alcool di cui mi cibavo.
    Avevo iniziato a frequentare la locanda di Lorence e lui vedeva, di giorno in giorno, come peggioravo. Ormai Selena mi concedeva sempre meno tempo, forse solo un piccolo bacio prima di iniziare a suonare nelle nostre serate. Eppure mi accontentavo di vederla muoversi davanti a me, sentire la sua voce accarezzare l'aria e di assaporare, anche se solo per un istante, quelle labbra rosse a cui avevo venduto l'anima.
    Lorence vide che ero disperato e mi versò un altro bicchiere di whisky. Lo ringrazia con un misero sorriso e mentre gettavo giù anche quello sentii nuovamente i quattro ragazzi dietro di me, parlare.

    «Ma avete sentito che Selena ha un uomo?»

    Quasi mi stavo compiacendo che qualcuno finalmente riconoscesse un ruolo qualsiasi in quel teatrino, ero pronto per scendere spavaldo dallo sgabello e farmi notare sparando un "Ehi! Sono io l'uomo di Selena!" ma subito uno di loro continuò a parlare, spezzando il mio entusiasmo.

    «Uno solo? Il circolo dei suoi fan ha dichiarato che ognuno di loro è andato a letto, almeno una volta, con lei.»

    Scoppiarono risate e commenti su Selena. Io strinsi in mano quel bicchierino fino a quando non lo sentii cedere sotto la pressione della mia mano. Si ruppe e i vetri scheggiarono il palmo. Forse qualche frammento si era conficcato nella carne. Piano sentii il calore del sangue che scivolava lungo la carne. Lorence mi guardò preoccupato e subito si affrettò per cercare della carta per tamponare il sangue. Non gli diedi il tempo nemmeno di voltarsi per cercarlo che barcollai fuori sbattendo la porta.

    Sicuramente attirai l'attenzione di coloro che fino a quel momento avevano parlato della mia donna. Sbandavo mentre proseguivo il mio cammino verso casa. Era quasi l'alba, gli uccelli cinguettavano pronti a spiccare il volo non appena il sole sarebbe spuntato.
    Cosa avrei fatto adesso?
    Lungo la strada si trovava il fan club di cui quei quattro ragazzi parlavano.
    Chissà se avrei trovato qualcuno.
    Avanzai, con passo deciso anche se barcollavo. La strada sembrava sempre più lunga.

    Dopo un pò – non so bene dopo quanto, la cognizione del tempo non era una prerogativa di quando ero ubriaco – iniziai a tirare dei calci ad un sasso trovato lì per caso. Passai davanti le serrande di quello stupido fan club. Chiuso. Come temevo. Magari a mente lucida sarei potuto andare a fare due chiacchiere con qualcuno di loro, nel frattempo mi limitai a sbottarmi i jeans e ad urinare sulla serranda.
    Terminato ripresi a camminare verso casa. Ogni tanto passava qualche macchina lungo la via e i fari mi distruggevano gli occhi. Dovevo smetterla di bere così tanto, il mio fegato non ne poteva più. Ma perchè mi ero ridotto così per una donna?
    Arrivai a casa. Entrai e trovai Sel distesa sul letto, questa volta aveva messo la sua camicia da notte. Era bellissima. Non potevo farne a meno. Amavo quella donna che mi aveva ridotto una pezza. Era il mio inferno. Ed io ero contento di essere dannato.
    Decisi in quel momento che dovevo svegliarla, avremmo discusso, le mia avrebbe fatto incazzare ma alla fine l'avrei guardata, lei avrebbe pianto, ci saremmo ritrovati abbracciati e avremmo fatto l'amore fino al pomeriggio. E tutto si sarebbe risolto.
    Le posai una mano sulla spalla e cercai di scrollarla.

    «Sel. Selena, dai... svegliati devo parlarti.»

    Lei aprii i suoi occhi smeraldo e mi guardo con la classica dolcezza di chi si sveglia contro voglia, mise il muso come una bambina capricciosa e si mise a sedere a gambe incrociate sul letto.

    «Cosa c'è Mik?»
    «Devo parlarti.»
    «Sei ubriaco. Dai parliamo domani, oggi sono stanca, sono stata con i ragazzi fino alle quattro e vorrei dormire. Domani ho interviste varie e poi di nuovo il concerto, lo sai.»


    Fece per rimettersi a letto, girandomi le spalle. Non potevo mollare. La presi per le spalle e la scrollai di nuovo, senza farle male.

    «No, devi ascoltarmi. Dicono che ti sei fatta mezzo fan club. È vero, Sel? Dimmi la verità cosa fai la notte quando non torni con me?»

    Il mio tono era diventato rude, grottesco e il mio alito emanava alcool. Lei si voltò e questa volta capì che era arrivato il momento di parlarne. Si alzò dal letto e mi guardo.
    Il suo sguardo non era più dolce come prima, aveva una smorfia strana. Disgusto? Forse era proprio disgusto, ma per cosa?
    Schiuse le labbra e sospirò prima di parlare. Le sue parole furono veleno. Pugnalate.

    «Senti Mik, aspettavo questo momento da mesi. Dicono che la nostra storia faccia parlare i giornali e quindi sarebbe meglio non terminarla, ma io non ti amo. Non ti ho mai amato forse. Ero solo invaghita dal tuo essere musicista.»

    Quelle parole furono accompagnate da un fischio nell'orecchio sinistro. Cosa stava succedendo? Non poteva dire sul serio. Risi e mi grattai la testa.

    «No, dai. Non è divertente Sel. Ero venuto per calmare le acque non per provocare uno tzunami.»
    «No, Mik. È finita. Ero già pronta a dirtelo domani prima del concerto. Non va. Non può andare. Non voglio farla andare.»


    Tutto intorno a me girava.
    "La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare."
    Forse ho imparato ad amare, ma non a lasciare che lei facesse lo stesso con me.
    Adesso tutto aveva più senso.
    Presi la mia bottiglia di whisky e tornai per la strada.
     
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