Bill Parrish

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    BushMills (Irlanda del Nord)

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    Bill Parrish


    Frush

    Dense tenebre affogarono tutto. Quand'ecco... luce.
    Di nuovo.
    Questa però aveva un tocco morbido, profumato, gustoso e conosciuto.
    Bill era a casa; la sua vera, calda e vecchia casa di campagna.
    La veranda. Quella veranda azzurra pregna dell'odore di terra, tabacco e torta di mirtilli. Quella veranda ombrosa dove il frusciare della “grande quercia” contro il tetto non smetteva mai di elargire bisbigli ricolmi di segreti.
    Quella veranda azzurra dove la sedia di mamma appena riverniciata di rosa, con ogni suo dondolio, accompagnava esotici cavalieri, draghi dal cuore affamato e potenti stregoni nelle loro avventure.
    Quasi li potevi vedere foggiarsi, correre e combattere fra le dense nebulose emanate dalla pipa della donna.

    Frush

    Eterei si muovevano. Ballerini di fumo diretti dalle sue parole.
    Come aveva potuto perderne memoria?
    Con la leggerezza di volo di farfalla tutto si era sfumato: i capelli ramati di lei, le sue lentiggini. Le guance rigate dalla fatica, quegli occhi di caldo ghiaccio e le sue abbaglianti parole; tutto si erano man mano sbiadito fino ad immergersi totalmente negli intrecci più profondi e reconditi dell'astratto arazzo di Bill. Quel vecchio arazzo chiamato memoria.
    Il tenero bagliore d'oro e smeraldo dei campi che circondavano la casa era rimasto celato per tutto quel tempo.
    Dimenticato.
    Le mature spighe di grano che gli baciavano le dita; quel magico suono che questo incontro provocava.

    Frush

    Dimenticato.
    Il calore del sole intiepidito dal forte vento dell'Ovest.

    Frush

    Dimenticato.
    Una carezza di padre durante il lavoro nei campi.

    Frush

    Dimenticato.
    La propria risata di bambino.

    Aveva dimenticato tutto! Ma tutto era di nuovo lì!
    Bastava allungare la mano e prenderlo. Tutto era di nuovo lì!
    Sorrise alla madre. "Tutto bene Bill? Perché stai piangendo?"
    Poi dense tenebre affogarono tutto.


    Frush


    Il casco metallico fu sfilato con lentezza dal capo canuto.
    La luce del mondo virtuale spenta, quella del mondo reale accesa.
    Una stanza nuda, quadrata, bianca, priva di odori, priva di rumori, senza vento, senza sole. Niente spighe di grano. non c'erano più storie di magiche avventure, ne segreti bisbigliati e nemmeno carezze affettuose.
    Nessuna veranda azzurra.
    Lampade al neon ed una porta azzurra con un cartellino bianco dalle scritte nere: CAMERA 1004.
    “Tutto bene signor Parrish? Come è stato il viaggio?”







    “Signor Parrish? Signor Parrish?” L'omino continuava a chiamarlo con la sua vocina stridula e meccanica. C'era un cartellino sulla sua tuta bianca: Hans Anderson, Stazione Spaziale 404.
    Bill abbassò lo sguardo; aveva la medesima tuta, solo il nome riportato sul cartellino era differente: William Parrish.
    Una diga s'infranse e la tela rugosa del centenne affogò tra le lacrime.
    “Signor Parrish!?”

    Edited by SamuelBlack - 24/8/2020, 17:47
     
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0 replies since 16/7/2019, 21:16   48 views
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